CURTI (Corte, Corti, Curtius), Lancino
Ebbe a Milano natali che i biografi garantiscono non oscuri (ma ci è stato tramandato solo il nome della madre, Caterina Appiani), probabilmente non oltre la metà dei Quattrocento, giacché sembra che sia arrivato carico d'anni alla morte. Suo maestro fu Giorgio Merula di Alessandria, sotto il quale conseguì brillanti risultati nello studio delle lettere latine e greche. E come un aspetto particolare dei più vasto esercizio della complessa erudizione di stampo umanistico alla quale era stato iniziato negli anni giovanili, egli intese, del resto, la fitta attività poetica esplicata senza interruzione nella maturità.
La sua vita non conobbe avvenimenti di grande rilievo. Contento di poco, visse seguendo il suo genio, dilettandosi della consuetudine, non sempre del tutto pacifica, con gli uomini più eruditi del suo tempo, e mantenendosi ostinatamente fedele a una scelta celibataria, benché non fosse alieno da amori anche tenaci, come quello per una Lucia Monichina che cantò più volte, in vita ed in morte. Di indubbia importanza per lo sviluppo della sua attività poetica furono i legami, per quanto informali, con il cenacolo umanistico sorto accanto alla corte di Ludovico il Moro, dove, oltre al C., spiccarono come poeti latini il Biffi e Piattino Piatti: a quest'ultimo egli fu legato da un'amicizia enfaticamente espressa nei suoi carmi (dove propone addirittura Platone come capostipite della famiglia dell'amico, della quale esalta peraltro anche vari altri membri), ma, in seguito, rapidamente e radicalmente infranta. Fu altresì in amichevoli rapporti'con Bernardino Corio, una opera dei quale, l'Utile dialogo amoroso (Milano 1502), accompagnò con una propria epistola elogiativa, riservandosi di esprimere negli epigrammi punti di vista meno lusinghieri sul conto dell'amico. Disperso o almeno privato del suo splendore il cenacolo umanistico milanese in seguito alla caduta di Ludovico il Moro, il C. apparve sempre più soltanto come un isolato e largamente indesiderato esemplare di monocorde e rabbioso moralista.
Il C. degli ultimi anni ci è appunto descritto come una irrigidita figura di vecchio, ostinato nell'acconciare la sua persona secondo perenti costumi, togato. con volto glabro e lunghissima chioma, in una città dove il prevalere della potenza militare francese sì era tradotto anche in vittoria della moda francese, e i concittadini del C., "non obscura confessione servitutis", in mantello corto, capelli tagliati sotto le orecchie e folta barba, deridevano ormai petulantemente il bizzoso sopravvissuto.
Morì a Milano il 2 febbr. 1512, e fu sepolto nel chiostro del convento di S. Marco. Sul monumento sepolerale, oggi custodito nel Castello Sforzesco, fu inciso, sotto il ritratto del C. giacente, un epigramma di Stefano Dolcino cremonese.
L'unica opera dei C. stampata durante la sua vita, con l'eccezione di occasionali contributi a volumi di altri autori, fu la Meditatio in Hebdomadam Olivarum, pubblicata a Milano nel 1508 (ed. L. Birago, "Apud A. Minutianum") e preceduta da un'epistola al lettore, dove egli affermava di essere l'autore di oltre sessantamila componimenti.
La loro parziale pubblicazione, che il C. andava appunto preparando al momento della morte, fu cura del nipote Gaspare Della Chiesa, che raccolse la maggior parte della produzione epigrammatica dello zio che sia pervenuta fino a noi, in tre grossi volumi pubblicati a Milano in rapida successione nel corso del 1521: Syivarum libri decem, Epigrammaton libri decem ed Epigrammaton libri decem decados secundae ("Apud R. E. A. fratres de Valle impressores P. Foyot faciebat").
Caratteristica comune dei componimenti raccolti in questi tre volumi è una accanita sperimentazione delle più varie possibilità metriche, dalle frequenti trasposizioni in latino di metri volgari, a un vasto numero di forme di poesia artificiosa (sulla scia tanto della tradizione ellenistica che di quella medioevale): technopaegnia, acrostici, versi retrogradi, ecc., anche in ardue e rare combinazioni. È una produzione che, liquidata già nel Cinquecento da un duro giudizio limitativo di Paolo Giovio, soltanto recentemente è divenuta oggetto di attenti e produttivi sondaggi critici. Di notevole interesse e inoltre il quadro che questi testi forniscono della realtà anche minuta della vita culturale del tempo e dell'ambiente del C., riflettendo i suoi rapporti, non sempre amichevoli, non solo con letterati come gli umanisti milanesi già citati, o come Ermolao Barbaro.ma anche con musicisti, come Franchino Gaffurio, un carme in onore del quale, riprodotto nelle Sylvae, era già stato stampato a Milano nel 1492, in appendice all'opera di Franchino Theorica musice. La materia degli. altri epigrammi è fornita dalle vicende amorose del C., dalla mitologia, e soprattutto dalla riflessione moraleggiante sulla decadenza dei costumi. Destino non infrequente dei moralisti più aspri, carmi di quest'ultimo genere (ne è un esempio il furioso attacco InPaedicopathicos, nelle Sylvae) procurarono al C. dure critiche postume per la turpitudine dei suo eloquio.
A lungo è stato erroneamente attribuito al C. il vivace sonetto caudato in vernacolo "0 vét, o vét, o vét o Lodovigh?" che deride il Moro in occasione della sua caduta. Documenti autentici dell'attività del C. come voce non spregevole della cultura dialettale sono invece i versi del codice Magliabechiano II.II.75 della Biblioteca nazionale di Firenze, in dialetto pavese; con ogni probabilità sono da attribuire al C. anche i sette sonetti seguenti, di più difficile definizione linguistica, che deridono Baldassare Tacconi, segretario e poeta presso la corte sforzesca.
Della produzione del C. rimasta esclusa dalla stampa e giunta fino a noi presentano, inoltre, qualche interesse le Supplicationes rivolte nel 1505 a Luigi XII, nel codice Ambrosiano H. 21. sup.
Fonti e Bibl.: P. Giovio, Elogia virorum literis ill., Basileae 1577, p. 74; B. Corte, Notizie istor. intorno a' medici scrittori milanesi..., Milano 1718, passim (la produz. epigrammatica del C. è ripetutamente citata in questo testo come fonte di notizie storiche sui medici milanesi); Ph. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolan., Mediolani 1745, I, 1, coll. XLII-III, CCCLXX, CCCCIII, e 2, pp. 531-533 (largamente basato, per le informazioni biogr., sul Giovio, aggiunge ad esse un catal. molto preciso delle opere del C. comunque tramandate); G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VI, Modena 1776, p. 205; C. Cantù, Scorsa di un lombardo negli arch. di Venezia, Milano1856, pp. 140 s.; G. De Castro, La storia nella poesia popolare milanese, Milano1879, pp. 93 s.; R. Renier, Gaspare Visconti, in Arch. stor. lombardo, XIII (1886), pp. 512, 796, 797 n., 801, 805; E. Zerbini, Sonetti politici vernacoli, in Giorn. stor. d. letteratura italiana, XI (1888), pp. 156 ss., V. Forcella, Iscrizioni... di Milano..., IV, Milano 1890, p. 305 n. 430; E. Motta, Morti in Milano dal 1452 al 1552, in Arch. stor. lombardo, XVIII (1891), p. 271; M. Mandalari, L. Curzio e Aulo Giano Parrasio, in Id., Anecdoti di storia, bibliogr. e critica, Catania 1895, pp. 12-18; C. Salvioni, Dell'antico dial. pavese, in Boll. d. Società pavese di storia patria, II (1902), pp. 248 ss. e passim; A. Simioni, Un umanista milanese, Piattino Piatti, in Arch. stor. lombardo, XXXI (1904), pp. 6, 10, 13, 273, 283 s.; V. Cian, La satira, Milano 1945, I, pp. 427, 517; E. Garin, La cultura milanese nella seconda metà del XV sec., in Storia di Milano, Milano 1953-1966, VII, pp. 574, 583; G. L. Barni, La vita culturale a Milano dal 1500 alla scomparsa dell'ultimo duca Sforza, ibid., VIII, pp. 425 s., 429; F. Giannessi, Gli inizi della tradizione poetica milanese, ibid., pp. 476-484; G. Nicodemi, La scultura milanese dal 1530 al 1630, ibid., X, p. 788; C. Santoro, L'arte della stampa nel XVI secolo, ibid., p. 872; C. Dionisotti, Gir. Claricio, in Studi su Boccaccio, II (1964), pp. 315-319; G. Crevatin, Scipione e la fortuna di Petrarca nell'Umanesimo (un nuovo manoscritto della "Collatio inter Scipionem, Alexandrum, Hanibalem et Pyrrum"), in Rinascimento, s. 2, XVII (1977), pp. 24-30; D. Isella, Lo sperimentalismo dialettale di L. Curzio e compagni, in In ricordo di Cesare Angelini. Studi di letteratura e filologia d. Università degli studi, Pavia, Istituto di cultura medievale e moderna, a cura di F. Alessio-A. Stella, Milano1979, pp. 142-159; G. Pozzi, La parola dipinta, Milano1981, pp. 186, 197 ss., 283, 286; M. E. Cosenza, Biogr. and Bibliographical Dict. of Ital. Humanists, sub voce; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 332, 334 s., 359, e II, p. 187, al quale si rimanda per un catalogo completo, benché non esente da leggere imprecisioni, dei manoscritti del Curti.