CROTTI, Lancellotto
Figlio di Lucolo, svolse attività diplomatica e amministrativa al servizio del duca di Milano dalla fine del primo quarto del XV secolo.
Nel 1425, mentre perdurava la guerra fra Firenze e Filippo Maria Visconti, che aveva attivamente sostenuto Giovanna II contro il pretendente aragonese, il duca di Milano inviò come oratori ad Aversa il C. ed Arrigo Vercellese. Essi presentarono alla regina le loro credenziali, datate 8 febbraio. Le trattative condussero alla conclusione della lega, firmata il 5 aprile, con la quale i due contraenti si impegnavano a non addivenire alla guerra né a stringere accordi di pace l'uno senza il consenso dell'altro e a non attaccare né il papa, né Venezia. Nell'estate del medesimo anno il C. si recò a Lucca presso Paolo Guinigi ed a Genova, sotto il governo di Milano da quattro anni, presso il doge Tommaso Campofregoso. Non sono note le istruzioni da lui ricevute per queste due missioni, ma questo era il periodo precedente alla costituzione della lega antiviscontea, caratterizzato da un'intensa attività diplomatica, esplicata da Milano e da Firenze nell'intento di procurarsi alleati sia che si potesse addivenire alla pace, sia che si dovesse intensificare il conflitto. Nel gennaio del 1426, presumibilmente con il medesimo scopo, il C. fu inviato a Roma, prima che iniziassero le ostilità in Lombardia. Durante il corso dell'anno la situazione militare del Visconti si fece via via sempre meno favorevole ed egli nel maggio aveva ottenuto che il re dei Romani Sigismondo sottoscrivesse un trattato che gli prometteva aiuti militari e diplomatici. Tuttavia le trattative per indurlo a fattivi interventi continuarono e dal maggio all'ottobre risiedette presso di lui un'ambasceria milanese, che il C. raggiunse nel settembre. Doveva giustificare il duca per aver intavolato con la lega veneto-fiorentino-sabauda le trattative che portarono al trattato di Venezia del 30 dicembre. Il 19 sett. 1431 il C. fu fra i testimoni alla Renovacio conventionum habitarum con Sigismondo, ormai già avviato verso l'Italia.
Nel marzo del 1432 agli ambasciatori sabaudi che avevano compiuto una inutile missione a Milano, il Visconti fece comunicare che avrebbe inviato a Thonon oratori milanesi. Alleato. secondo il trattato del 31 dicembre dell'anno prima con la Savoia, che però si era già riaccostata per i suoi fini particolari al marchesato, il ducato era allora in guerra con il Monferrato stesso. Nel maggio il C., che il 28 febbraio era stato designato come uno dei procuratori per trattare un'eventuale pace con Venezia e Firenze, insieme con P. C. Decembrio, presentava le richieste del Visconti ad Amedeo VIII, il quale si poneva quasi come arbitro fra i due contendenti.
Il duca di Milano faceva comunicare di essere disposto alla pace, ma che questa doveva realizzarsi sulla base dell'accordo con la Savoia del dicembre passato, cioè purché gli fossero concessi tutti i territori del marchesato relativi ad Asti, Genova e Pavia. Chiedeva inoltre che fossero sceltì due delegati per dirimere le controversie che potevano sorgere per la designazione dei territori. Il marchese avrebbe anche dovuto porre a garanzia della pace dieci castelli nelle mani del duca di Savoia, che li avrebbe dovuti consegnare al Visconti se fosse sopravvenuta una rottura. Amedeo VIII si rifiutò di acconsentire a quest'ultima richiesta e propose di emanare, a conclusione delle trattative, due documenti distinti, uno in forma di lettera patente, che avrebbe annunciato la conclusione della pace, e l'altro che, richiamandosi agli accordi del dicembre 1431, stabilisse le clausole particolari. I due oratori si batterono a lungo per ottenere l'emanazione di un unico documento, secondo la volontà dei Visconti, ma il 5 giugno si arrivò alla firma del trattato di pace con due atti distinti.
Prima della fine del 1432 il C. - che il 3 luglio aveva ricevuto in donazione dal duca, insieme con i fratelli Luigi, Giovanni e Galeazzo, Vinzaglio, Robbio e altre terre, si recò, insieme con Pietro Visconti, a Genova. Nel corso del 1433 egli svolse una missione a Siena, la città alleata del Visconti che l'anno prima aveva ricevuto Sigismondo, e di lì si portò successivamente a Lucca. Agli inizi dell'anno successivo il C. fu inviato in Savoia. Nel dicembre 1433 era passato per Milano il marchese del Monferrato di ritorno da Venezia,. dove si era trattenuto per quasi due anni, e il Visconti si era impegnato con lui ad intervenire presso il duca di Savoia perché gli fosse restituito lo Stato. A questo scopo ufficialmente era stato inviato il C., che giunse il 6 gennaio a Chambéry. Il fine recondito era però che egli dovesse portare a termine i negoziati per un patto di alleanza fra Milano, la Savoia, il duca di Borgogna e Luigi III d'Angiò. Questa lega non si realizzò che parzialmente - il duca di Savoia si alleò con quello di Borgogna nel febbraio 1434, ma il C. continuò a condurre trattative fra il duca di Milano e il Savoia, spinti l'uno verso l'altro dall'avvicinamento di Sigismondo a Venezia. Quando nel maggio giunsero a Milano due ambasciatori sabaudi il C., insieme con Franchino Castiglioni, fece da tramite nei negoziati fra loro e il duca. Essi furono lunghi e laboriosi e sembrarono più volte arenarsi, perché accordi raggiunti erano di nuovo rimessi in discussione una volta che il C. tornava dagli ambasciatori dopo aver riferito al Visconti. In ogni modo il 18 luglio gli oratori sabaudi lasciarono Milano con la minuta dell'accordo da sottoporre al duca di Savoia. Ritornati nel settembre dopo aver ricevuto l'approvazione del duca, essi furono di nuovo accolti dal C. e dal Castiglioni, con la collaborazione dei quali si arrivò il 14 ottobre alla firma del trattato di alleanza fra i due Stati, la cui durata avrebbe dovuto essere di ottanta anni. Il C. fu uno dei capitani e consiglieri milanesi che furono dichiarati garanti dei patti.
Intanto il Visconti era di nuovo in stato di guerra sia con la lega venetofiorentina, sia con Eugenio IV; tuttavia si convinse della necessità di interrompere le ostilità e di addivenire ad un accordo. Fu creata una commissione di cui per il pontefice fecero parte Branda da Castiglione e Niccolò III d'Este e per il duca di Milano il C. e Guarniero Castiglioni. La conferenza raggiunse effettivamente l'accordo e il lodo della pace fu pronunziato il 16 ag. 1435 a Firenze. Fu stabilito che le truppe viscontee dovessero abbandonare Imola e ritirarsi dalla Romagna entro venticinque giorni; i Veneziani avrebbero sgomberato Castelbolognese. Il C. si portò quindi immediatamente in Romagna a notificare ai capitani l'ordine, derivante dagli accordi, di ritirarsi. Com'è noto, dopo la liberazione da parte del duca di Milano di Alfonso d'Aragona preso prigioniero nella battaglia di Ponza, Genova, nel dicembre 1435, si ribellò e vennero a determinarsi scontri armati sulle due Riviere. Tuttavia fra i rivoltosi e il Visconti furono intavolate trattative per lo scambio dei prigionieri. Fu incaricato di trattare il C. e si pervenne il 10 apr. 1436 ad un accordo, secondo il quale il duca di Milano si impegnava a rilasciare tutti i genovesi catturati nel suo territorio dal 27 dicembre in poi, come anche gli ambasciatori di Gaeta, detenuti a Milano; analoghi impegni si assumeva Genova.
Familiare del duca dal settembre 1426 e segretario già dall'anno precedente, il C. firmò atti nella segreteria ducale dal luglio 1431 al dicembre 1446. Dal 1428 il Visconti gli aveva delegato una serie di delicati ed importanti poteri; era inoltre sigillatore. Come consigliere ducale affiancò l'invecchiato Gaspare Visconti, capo del Consiglio segreto, dal 1434; in quest'occasione il duca gli raccomandò esplicitamente che i sudditi non subissero violenze e potessero usufruire - e rapidamente - del diritto vigente, che le punizioni loro comminate fossero giuste e che si assolvesse con tempestività agli ordini ducali. Probabilmente dunque il C., che fu anche castellano di Pavia, nei dieci anni - dal 1436al 1446 - durante i quali mancano per lui notizie di incarichi diplomatici, si dedicò ai suoi doveri di amministratore.
Nel 1445 Filippo Maria Visconti era tutto volto a contrastare il genero e per questo aveva bloccato il transito sul Po isolando Cremona, ceduta allo Sforza per le nozze con Bianca Maria; inoltre dopo l'uccisione di Annibale Bentivoglio e di Battista Canetoli a Bologna, aveva occupato Castelfranco e San Giovanni in Persiceto. Ciò, com'è comprensibile, aveva allarmato notevolmente Firenze e Venezia. In quest'ultima città il C. fu inviato, insieme con Niccolò Guerrieri, a giustificare le mosse del Visconti; ma la Repubblica rispose nel febbraio del 1446 molto duramente, affermando che essa stessa si sarebbe premurata di ristabilire il transito fluviale, protestando perché il Visconti a suo avviso stava violando i patti della lega. Nel medesimo anno il C. fu inviato a Tortona, insieme con Guarniero Castiglioni; essi dovevano indagare sulla condotta del nipote del duca, Giacomo Visconti, e provvedere a far cessare il malcontento che questa aveva provocato.
Morto Filippo Maria Visconti, il C. aderì alla Repubblica Ambrosiana e quando, dopo l'acquisizione di Pavia da parte dello Sforza, essa avrebbe visto con favore una composizione con Venezia, nell'autunno del 1447, fu inviato, insieme con Guarniero Castiglioni, nella città lagunare. Ma, com'è noto, la loro missione non ebbe successo.
Arrivati nel febbraio del 1450 i Milanesi all'epilogo della loro avventura repubblicana, i convenuti nella chiesa di S. Maria della Scala elessero ventiquattro cittadini che li rappresentassero; il C. fu eletto per Porta Ticinese. Egli, insieme con altri sei, fu scelto per recarsi a Vimercate a comunicare a Francesco Sforza il volere della città e il 4 marzo giurò fedeltà nelle sue mani. Quando, subito dopo, l'11 marzo, il novello duca procedette alle nomine con cui ridistribuiva le cariche politiche ed amministrative, il C. fu eletto membro del Consiglio segreto ad beneplacitum. Continuò a svolgere, sembra, un'attività amministrativa; infatti in una sua lettera del 28 dic. 1451 egli specificava l'uso che si faceva nella cancelleria viscontea di due sigilli di differente grandezza da usare per due differenti tipi di corrispondenza.
Morì il 4 giugno 1454.
Era stato amico del Panormita, che lo fece protagonista di una sua celebre ed arguta lettera al fratello di lui, Luigi (Familiarum liber, Venetiis 1553, n. n., ma c. 30) e ne tesse le lodi in una lettera a Filippo Maria Visconti (Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 6850, cc. 120v-123v). Amico e corrispondente di P. C. Decembrio, che in una lettera a lui diretta espresse riprensione per una traduzione della vita di Sertorio di Plutarco fatta da Leonardo Bruni; fu in buoni rapporti con Francesco Filelfo, che ne fece uno degli interlocutori del suo secondo convivio (Convivia Mediolanensia, [Milano] 1483-84; Ind. gen. degli incun., n. 3881). Maffeo Grassi gli dedicò la sua Fabella Hermestis (Milano, Bibl. Ambrosiana, D 32 inf.).
Fonti e Bibl.: P. C. Decembrio, Opuscula histor., in Rer. Ital. Scrip., 2 ed., XX, 1, a cura di A. Butti-F. Fossati-G. Petraglione, pp. 352, 389 s. (con ulteriore bibl.); Docum. diplom. tratti dagli archivj milanesi, a cura di L. Osio, III, Milano 1872, pp. 96, 117, 361, 417; Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1948, p. 3; E. Resti, Documenti per la storia della Repubblica Ambrosiana, in Arch. stor. lomb., s. 8, V (1954-55), p. 261; N. F. Faraglia, La storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 319 s.; A. Colombo, L'ingresso di Francesco Sforza..., in Arch. stor. lomb., XXXII (1905), 2, pp. 80, 83, 88; F. Cognasso, L'alleanza sabaudo-viscontea contro il Monferrato nel 1431, ibid.. XLII (1915), pp. 641, 643; Id., L'alleanza sabaudo-iviscontea contro Venezia nel 1434, ibid., XLV (1918), pp. 224, 358, 367, 369, 372, 375 ss., 380 ss.; A. Pesce, Sulle relazionifra la Repubblica di Genova e Filippo Maria Visconti, Torino 1921, pp. 49, 52, 54; G. Resta, L'epist. dei Panormita, Messina 1954, pp. 98, 176; F. Cognasso, Il ducato visconteo..., in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 310, 360; Id., La Repubblica di S. Ambrogio, ibid., p. 410; Id., Istituz. comunali e signorili, ibid., pp. 491, 494; G. Resta, Le epitomi di Plutarco nel Quattrocento, Padova 1962, p. 28; G. Soldi Rondanini, Ambasciatori e ambascerie al tempo di Filippo Maria Visconti, in Nuova Riv. stor., XLIX (1965), pp. 328 s.; M. F. Baroni, I cancellieri di Giovanni Maria e di Filippo Maria Visconti, ibid., I, (1966), pp. 370, 406 s.; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 204, 282; II, p. 382.