GORI, Lamberto Cristiano
Nato a Livorno nel 1730, apprese l'arte della sca-gliola, nel corso del sesto decennio, e per la durata di sette anni, presso il monaco vallombrosano Enrico Hughford, grazie al quale quell'arte, praticata nelle abbazie benedettine dal XVII secolo, si era rinnovata nella tecnica e nei soggetti ottenendo un certo successo di mercato. Lo stesso G., in un breve scritto degli anni Settanta, alluse alla propria presenza, "sino da piccolo giovanetto", nel romitorio delle Celle di Vallombrosa, dove Hughford aveva fondato una scuola; e ricordava come il proprio apprendistato avesse previsto anche lo "studio del disegno, base e fondamento, sotto la direzione del sig. Ignazio Hugford", pittore e mercante d'arte, fratello di Enrico (Relazione dell'arte di lavorare in scagliola [1771-79], in Massinelli, p. 257).
Nel 1757, quando forse si trovava ancora a Vallombrosa, il G. ritrasse Enrico Hughford in un disegno inciso poi da Ferdinando Gregori, apponendovi a dedica una lunga iscrizione in latino celebrante l'"egregius inventor" dell'arte plastica che con il colore emulava la pittura. Il disegno preparatorio per l'incisione venne acquistato da John Duncan nel 1759 e donato al St. John's College di Oxford insieme con una delle prime prove in scagliola del G., la copia del S. Giovanni Battista di Raffaello.
Al periodo della formazione deve risalire anche una serie di ritratti di monaci vallombrosani, passati sul mercato antiquario (sei Teste di monaci firmate con monogramma in alto a sinistra, in gessetto nero e rosso, datate 1756: Sotheby, 13 maggio 1924), di cui la Witt Collection di Londra conserva un esemplare (n. 4061).
Si conoscono altri disegni del G., già in collezione Santarelli e oggi al Gabinetto delle stampe e dei disegni degli Uffizi; fra questi, alcuni ritratti da lui firmati, come quello del "celebre Albano pittore", datato 1749 (Santarelli, n. 11305).
L'orizzonte culturale entro il quale si veniva a collocare l'attività del G. era quello della Toscana di Pietro Leopoldo, attento sostenitore delle manifatture fiorentine.
L'interesse granducale per la manifattura della scagliola sarebbe stato in seguito significativamente testimoniato dal parere di Giuseppe Bencivenni Pelli, direttore della Galleria degli Uffizi, il quale nel 1779 sostenne l'acquisto di alcune scagliole come necessario aggiornamento della galleria fiorentina per adeguarla al gusto internazionale e per mantenere il passo, come scrisse il G. nella sua Relazione, con le "più culte nazioni, e in specie gli Inglesi", i quali "si provvidero a gara" delle opere di Enrico Hughford, "che al presente vengono ammirate nelle primarie Gallerie" (in Massinelli, p. 256). Nel discorso tenuto il 1° genn. 1785 in occasione dell'apertura della rinnovata Accademia delle belle arti di Firenze, Bencivenni Pelli esortava, inoltre, gli iscritti a dedicarsi anche alle arti meccaniche (Gallo Martucci, p. 10).
In tale contesto, ponendosi fra mestiere e aspettative di una committenza colta e internazionale, la produzione del G. giunse ben presto a ottenere anche il favore granducale.
Bencivenni Pelli scriveva che "oltre l'avergli il Granduca assegnata una pensione, acciò l'arte non si perda mantiene sotto di esso un giovane, il quale formato da lui, la sostenga nel rango in cui è salita" (in Massinelli, p. 253).
Significativa a questo proposito fu la partecipazione del G., sostenuta dallo stesso Pietro Leopoldo, all'esposizione di pittura del 1767, in cui l'artista presentò fra il plauso generale una Crocifissione, ora a Firenze nella Galleria d'arte moderna, della quale si conoscono altri esemplari, fra cui quello firmato e datato 1762, oggi in collezione privata (Prima mostra mercato…) e quello del 1752, presso l'Opera pia di Prati (Forlì).
Nella sua produzione, il G. seppe orientarsi all'interno di una tradizione consolidata, costituita in primo luogo dai soggetti frequentati da Enrico Hughford, nature morte, in particolare vasi di fiori e farfalle - è il caso, per esempio, dei due quadri di fiori in scagliola degli Uffizi firmati "Lambertus Christianus Gori F(ecit) Florentiae Anno Domini MDCCLXXII" - e paesaggi, soprattutto vedute fluviali. Si conoscono infatti alcuni paesaggi in scagliola del G., fra cui il Paesaggio con cavaliere firmato e datato 1763, oggi nel Museo dell'Opificio delle pietre dure di Firenze, avvicinabili alle raffinate vedute romane eseguite dallo Hughford in collaborazione col fratello Ignazio nel 1755.
Al contempo però, grazie anche alla conoscenza dell'arte di quest'ultimo, il G. seppe ampliare il repertorio consueto, creando le premesse per l'aggiornamento della manifattura fiorentina di scagliole di cui i contemporanei riconobbero il primato a lui e al suo allievo Pietro Stoppioni, capaci di reggere il confronto con le nuove tematiche richieste dal mercato internazionale, soprattutto inglese e francese.
Già nel 1761 il G. aveva proposto una tavola con capriccio all'antica e paesaggio con rovine (Firenze, collezione privata, in Massinelli, p. 36, fig. 24), un tema tanto apprezzato da acquirenti inglesi come John Russell, quarto duca di Bedford, che acquistò una coppia di tavoli del G. nel 1762 (Cook, figg. 1, 6). I soggetti all'antica realizzati dal G., come i medaglioni ispirati a medaglie antiche con i ritratti di Marco Aurelio e Faustina conservati a Palazzo Pitti (Museo degli argenti), erano destinati ad andare incontro al gusto degli acquirenti. Notevole risonanza ebbe il piano di tavola con soggetto antichizzante, il Trionfo romano, firmato e datato 1768 (Museo dell'Opificio delle pietre dure), che Antonio Benci, sulle pagine dell'Antologia del 1821, ricordava come fosse portato a Pitti su richiesta del granduca Leopoldo, insieme con il suo pendant, "sopra velluto e come in trionfo". La tipologia semplificata dei piani di tavola del maestro fiorentino si esplicita anche nelle forme rettangolari e nel fondo nero su cui si disegnano motivi a imitazione degli intarsi lapidei (si veda l'esemplare a San Pietroburgo, Ermitage, datato 1795).
Luigi Lanzi ricordava nella Storia pittorica della Italia il G. e l'allievo Stoppioni, segnalando la novità di una tecnica non più solo policroma, ma volta a esaudire la richiesta di "dicromi, o sia le figure gialle in campo nero" copiate dai vasi antichi.
Il G. si specializzava inoltre nella traduzione in scagliola di opere dei grandi maestri della Galleria granducale, di cui è rappresentativa la copia della Madonna addolorata (Museo dell'Opificio delle pietre dure), allora attribuita a Guido Reni, e oggi alla sua bottega, che nel 1777 veniva registrata nelle entrate di galleria; di questa fortunata produzione sono testimonianza anche le copie da Andrea del Sarto (Madonna col Bambino) e Carlo Cignani (Gesù Bambino), oggi a Palazzo Pitti, Museo degli argenti.
Di una certa importanza fu inoltre l'impresa, condotta dal G. e dal suo allievo, di riprodurre in scagliola una serie di ritratti di Uomini illustri, conservata al Museo degli argenti di Palazzo Pitti e costituita da diciotto medaglioni, di cui dodici opera del G., che li realizzava tra il 1786 e il 1788, e sei di Stoppioni.
I ritratti erano desunti dalla Serie di ritratti di uomini illustri toscani, edita a cura di Giuseppe Allegrini a Firenze tra il 1766 e il 1773, nonché dalla Serie degli uomini più illustri della Toscana, analoga alla precedente e pubblicata negli stessi anni, grazie alla collaborazione di Ignazio Hughford.
Lo status sociale del G. e la consapevolezza del rango assunto fra le arti da un mestiere ricercato e apprezzato non solo nell'ambiente fiorentino, ma anche in quello internazionale dei grands touristes, si rispecchia in un autoritratto che lo raffigura con la tavolozza da pittore (Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Santarelli, n. 11306). Se ne conosce un secondo, in cui è rappresentato in atteggiamento devoto di preghiera (ibid., n. 11307).
In questo contesto assume particolare risalto l'idea di scrivere il trattato già ricordato e conservato nella Biblioteca degli Uffizi (Miscellanee manoscritte, ms. 60, vol. I, ins. 36) con il titolo Relazione dell'arte di lavorare in scagliola, di Lamberto Cristiano Gori allievo di Hugford Enrico monaco vallombrosano, in cui il G., avvertendo l'esigenza di tracciare una breve storia della tecnica, dall'antichità ai suoi ultimi sviluppi, sottolineava la versatilità di un mestiere capace di reggere la concorrenza con le arti maggiori, potendosi tradurre in scagliola "tutto ciò a cui si estende la pittura, cioè veduta di paese, marine, vasi, frutta, animali e quel che è maggiormente da ammirarsi anco la figura arrivando ad imitazione del vero" (in Massinelli, p. 255).
A riprova della fama della manifattura fiorentina di scagliola, si ricorda che fra le opere d'arte portate a Parigi sotto il commissariato di Charles Reinhard c'erano anche alcuni tavoli "en stuc", da riconoscersi nel Trionfo romano del G. e nella Danza di Apollo e le muse di Pietro Stoppioni (González-Palacios, p. 100).
Il G. morì a Firenze nel 1801.
Fonti e Bibl.: G. Bencivenni Pelli, Saggio istorico della Real Galleria di Firenze, II, Firenze 1779, pp. 436-441; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1809), a cura di M. Capucci, Firenze 1968, I, pp. 197 s., n. 1; A. Benci, Opere di scagliola, e artisti che meglio le condussero in Toscana, in Antologia, agosto 1821, p. 306; S. Pinto, Petrarca e il suo tempo, in Per Maria Cionini Visani, Torino 1977, pp. 143 s.; A.M. Giusti, in Il Museo dell'Opificio delle pietre dure a Firenze, a cura di A.M. Giusti - P. Mazzoni - A.P. Pampaloni Martelli, Firenze 1978, pp. 343, 348-352; A. González-Palacios, Commessi granducali e ambizioni galliche, in Florence et la France. Rapports sous la Révolution et l'Empire. Actes du Colloque… 1977, Firenze 1979, pp. 100, 102; A.M. Giusti, in Curiosità di una reggia. Vicende del guardaroba di Palazzo Pitti (catal.), Firenze 1979, pp. 127 s.; A. Gallo Martucci, Il Conservatorio d'arti e mestieri terza classe dell'Accademia delle belle arti di Firenze (1811-1850), Firenze 1988, p. 19; Prima mostra mercato degli antiquari toscani, Firenze 1990, p. 186; L. Tongiorgi Tomasi - A. Tosi, Enrico Hugford e la "Galleria delle scagliole" a Vallombrosa, in Artista, 1991, pp. 92, 94 s.; S. Meloni Trkulja, in Storia della pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1991, pp. 739 s.; J. Cook, Masters of the art of scagliola, in Country Life, 1994, n. 188, pp. 84-87, figg. 1, 6; A.M. Massinelli, Scagliola: l'arte della pietra di luna, Roma 1997, pp. 34-44, 255-258 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 400.