CAMPONESCHI, Lalle
Secondo di questo nome, figlio di Lalle (I), non ne ereditò il predominio all'Aquila; nei primi anni della sua carriera il Comune godette di una relativa libertà dalla supremazia dei Camponeschi. La prima notizia sul C. risale al 1366 quando egli si recò all'Aquila per accogliere con onore Nicola di Roio che tornava da Roma, ove aveva ricoperto la carica di senatore. In questo torno di tempo si riaprirono le lotte tra le fazioni cittadine a causa del matrimonio tra Antonio l'Arciprete, figlio di Francesco Camponeschi, e la vedova Orsini, madre di Giovanni Orsini. Grazie al suo matrimonio, Antonio Camponeschi prese possesso di Peschio Rocchiano e vi difese i diritti della moglie contro le pretese di Giuntarello de Poppleto, crede di Bonagiunta. Conseguenza di questa lotta fu l'attacco portato dal Comune dell'Aquila contro la fortezza Bonagiunta di Antrodoco. In questa azione il Comune ricevette anche l'aiuto della corte napoletana, anche se questa cercava di difendere l'autonomia del regime comunale contro il C. per quanto le era possibile. L'indirizzo politico per cui il Comune sosteneva i Camponeschi nelle lotte cittadine, senza peraltro identificarsi con loro, divenne una costante della vita politica aquilana. Il 15 maggio 1368 la regina Giovanna cercò, senza successo, di pacificare le fazioni aquilane. Dal 1368 al 1370 appoggiò gli attacchi del Comune contro Antrodoco. In questo periodo il C. è chiamato dal cronista aquilano "lu Conte Camorlingo", titolo che probabilmente significa camerlengo delle arti del Comune.
Convocato a Napoli insieme con Giuntarello e i principali capi delle opposte fazioni, il C. fu probabilmente tra coloro che vennero imprigionati dalla regina, decisa ormai a porre fine alle lotte all'Aquila. La pace fu stabilita a Nocera il 30 sett. 1371; il C. dovette rinunciare alla contea di Montorio che consegnò a ufficiali regi, mentre altri capi delle due fazioni dovettero cedere castelli alla regina. La pace rappresenta un tentativo deciso della corte napoletana di riprendere il controllo dell'Aquila e di sopprimere le fazioni feudali. Il C. e gli altri capi dovettero impegnarsi a non dare asilo ai "banniti" e a dare cauzioni al capitano regio ogni qual volta entrassero in città. La pace - che concedeva anche il perdono per gli omicidi commessi dalle due fazioni - fu pubblicata una seconda volta il 13 ott. 1371.
Il C. nel 1375 si recò a capo delle sue truppe a Teano per unirsi all'esercito radunato dalla regina contro Francesco del Balzo, duca d'Andria. Nel 1377 il C. iniziò una guerra privata contro il conte Ruggieri di Celano per la questione dell'eredità di Milianica. La regina intervenne di nuovo e il C. fa messo in prigione a Napoli. In seguito, ottenne dalla corte regia una sentenza di condanna del conte Ruggieri e poi, con l'aiuto del Comune dell'Aquila, fu rilasciato e ricevette la custodia di Milianica.
L'occasione per ristabilire il predominio della famiglia all'Aquila fu offerta al C. dalla confusione derivante dalle guerre del grande scisma. Tali lotte ebbero inizio in Abruzzo con il tentativo di Ceccantonio Pretatti, capo della fazione avversa al C., di impadronirsi del potere cittadino (20 sett. 1378), con il pretesto di sostenere Urbano VI contro Clemente VII che aveva avuto l'adesione del governo napoletano. La moglie e la famiglia del C. si rifugiarono nel castello di Montorio, in attesa del ritorno del C. dal servizio che prestava nell'esercito regio in Terra di Lavoro. Il C. allora cercò di assicurarsi il sostegno di una rivolta popolare per cacciare i Pretatti dall'Aquila. Nella confusione che seguì la rivolta il C. svolse un ruolo importante. L'apice della lotta feudale fu raggiunto in seguito alla cattura in battaglia di Ceccantonio Pretatti da parte di Antonio l'Arciprete Camponeschi (15-16 luglio 1381). In quel periodo l'autorità di Rinaldo Orsini di Tagliacozzo si era imposta come forza dominante nella politica abruzzese: con 5.000 fiorini il C. comprò il suo consenso all'esecuzione di Ceccantonio Pretatti che ebbe luogo il 16 agosto.
Durante le guerre dello scisma il C. aveva combattuto con Ottone di Brunswick in favore della regina; ma l'avvicinarsi di Carlo di Durazzo al Regno nell'estate del 1381 lo convinse a cambiare partito. Il 23 sett. 1381 riconobbe Carlo come legittimo sovrano e portò il suo vessillo nelle strade cittadine. Nel novembre fece parte dell'ambasceria aquilana che si recò alla corte regia. Ma il Comune si rifiutò di pagare la tassa di 20.000 fiorini richiesta dal nuovo sovrano nel Parlamento di Napoli, così che l'adesione del C. alla causa del Durazzo durò poco. Nella primavera del 1382 il C. lasciò Napoli e il 28 marzo entrò all'Aquila da Spoltore con cinque soli fedeli. La sua fazione era ancora tanto potente in città che questa subito dopo si ribellò a Carlo di Durazzo, cacciandone il capitano, e dichiarò la sua fedeltà a Luigi d'Angiò. Il C. comunicò l'avvenimento a Luigi con una lettera che si conserva nell'Archivio comunale di Marsiglia, lettera nella quale annunciava anche la sua intenzione di attaccare Cittareale e Antrodoco. Carlo di Durazzo attaccò l'Aquila il 4 luglio 1382, mentre il forte esercito di Luigi d'Angiò si avvicinava all'Italia centrale. Perciò Carlo rinunziò all'assedio e il 16 sett. 1382 il C. e Rinaldo Orsini ricevettero Luigi d'Angiò nella città, aprendo così alle sue truppe i passi per il Regno. Non sorprende dunque che il nome del C. compaia nella lista dei ribelli compilata da Carlo di Durazzo il 18 nov. 1382 e l'11 febbr. 1383.
L'entrata di Rinaldo Orsini nella vita politica dell'Aquila si rivelò fatale per i progetti politici del C. e fu con ogni probabilità la causa della sua fine. Il 21 giugno 1383 il C. morì all'Aquila; si sospettò che fosse stato avvelenato. Lasciò otto figli, il maggiore dei quali, Giampaolo, gli successe nella contea di Montorio. Il C. aveva sposato la figlia di Corrado Acquaviva, conte di San Valentino.
La carriera del C., al pari di quella del padre, attesta il declino del potere angioino. Ma la fazione dei Camponeschi, sebbene importante, non era prevalente in città e molti elementi indicano che i suoi interessi dovevano cercare di identificarsi con quelli del Comune, come nel caso del rifiuto dell'imposta stabilita da Carlo di Durano nel 1382. Anche se le qualità personali del C. furono limitate, egli riuscì per alcuni anni a conciliare gli interessi del Comune con quelli della sua famiglia.
Fonti e Bibl.: Antonio di Boezio, Delle cose dell'Aquila, in L. A. Muratori, Antiquit. Italic. Medii Aevi, VI, Mediolani 1742, coll. 711-824; Cronaca di Niccolò di Borbona, ibid., coll. 852-57; I diurnali del duca di Monteleone, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXI, 5, a cura di M. Manfredi, p. 31; Chronicon Siculum, a cura di G. De Blasiis, Napoli 1887, pp. 44, 46; L. Cassese, La "Chronica civitatis Aquilae" di Alessandro de Ritiis, in Archivio storico per le province napolet., n.s., XXVII (1941), pp. 168-170; N. Valois, La France et le grand schisme d'Occident, II, Paris 1896, pp. 52, 65, 445 s.; L. Palatini, La signoria nell'Aquila degli Abruzzi, in Boll. della Soc. di storia patria A. L. Antinori negli Abruzzi, n.s., XII (1900), pp. 232-248; A. Cutolo, Maria d'Enghien, Napoli 1929, p. 28; E.-R. Labande, Rinaldo Orsini, comte de Tagliacozzo († 1390), et les premières guerres suscitées en Italie centrale par le grand schisme, Monaco-Paris 1939, pp. 107, 116, 125 s., 133 ss., 145 s., 150, 161.