CAMPONESCHI, Lalle
Nobile aquilano, primo di questo nome (che è probabilmente un diminutivo, di Ludovico), figlio di Odoardo, è ricordato per la prima volta dalle fonti nel 1334 quando divenne podestà di Foligno, succedendo nella carica al suo amico Ugolino de' Trinci. Nel dicembre 1337 fu convocato davanti alla corte del re Roberto di Napoli per i contrasti scoppiati all'Aquila tra le fazioni dei Camponeschi e dei Pretatti; nonostante che egli vantasse importanti protettori alla corte napoletana, il più potente dei quali era Carlo d'Artus, la sentenza gli fu sfavorevole: il C. e la sua fazione furono banditi dall'Aquila per alcuni anni. Fece vari tentativi di rientrare in città, cercando di avvalersi dei contrasti tra le fazioni aquilane. Una delle conseguenze della lotta tra i Camponeschi e i Pretatti fu l'emergere della fazione di Bonagiunta de Poppleto, che giocò la parte di tertium gaudens. Nel gennaio del 1338 Bonagiunta riammise il C. in città; ma questi, appena rientrato, si rivoltò contro Bonagiunta, uccise molti della sua fazione, e assediò la sua casa nella piazza del Mercato valendosi anche di mangani. Il tentativo fallì per il ritorno all'Aquila, nel marzo, di Todino Pretatti, che godeva del sostegno della corte regia e che riuscì a esiliare di nuovo il Camponeschi. Il suo definitivo attacco all'Aquila del 6 apr. 1338 non ebbe successo; anzi portò anche alla perdita dei castelli che la famiglia teneva nel contado. Sembra chiaro che la causa principale dell'insuccesso del C. fosse l'ostilità di re Roberto; questi nel 1342 da Nola rifiutò ancora ai Camponeschi il permesso di ritornare all'Aquila, condizionandolo alla consegna nelle sue mani, quali ostaggi, del C. e degli altri principali membri della fazione.
Nell'estate del 1342 Bonagiunta conquistò il controllo dell'Aquila, ma ai primi di novembre fu sconfitto dagli esuli Camponeschi a Cascina. "In dì de sancto Amico" (3 novembre) il C. rientrò in città: aveva, così inizio il predominio della fazione Camponeschi all'Aquila, predominio che si protrasse, anche se con notevoli interruzioni, per un secolo e mezzo. Appena giunto al potere il C. promise il perdono a tutti i suoi avversari, ma venne meno a questo suo impegno appena la morte del re Roberto (1343) indebolì il controllo napoletano negli Abruzzi. Egli allora espulse i Pretatti e ne espropriò le proprietà e infine, dopo l'uccisione di Bonagiunta, nel 1345 ottenne il completo controllo della città. La sua signoria non ebbe mai un riconoscimento formale, ma quale fosse il suo potere si può comprendere dalle parole del cronista che lamenta la durezza dei tiranni: "Jesu Christo à revolti sopre nui li tyranni che ne a menati ad pomese".
La crisi che colpì il Regno dopo la morte di Andrea d'Ungheria nel 1345 dette modo al C. di consolidare la sua posizione. L'importanza dell'Aquila sia economica, per il commercio e per l'allevamento del bestiame, sia geografica, quale anello tra il Regno e lo Stato pontificio, furono di grande vantaggio per il Camponeschi. Nell'ottobre del 1346 egli si ribellò al governo napoletano, incoraggiato da Ugolino de' Trinci, e si dichiarò a favore dell'invasione di Luigi d'Ungheria. Un cronista afferma che il C. prese questa decisione "per aver spalle contro li suoi nemici". Il C. fu messo al bando dal governo napoletano il 9 apr. 1347 e l'11 maggio successivo ottenne il gonfalone di Luigi d'Ungheria dalle mani del conte de Bars. Si unì alle truppe ungheresi nell'attacco a Sulmona e a Chieti e quindi fece prigioniero Iacopo Cavalconti, inviatogli contro dalla corte napoletana. Alla fine del giugno 1347 il duca di Durazzo pose l'assedio all'Aquila, ma lo tolse il 16 agosto. Aiutato da Werner di Urslingen e da Ugolino de' Trinci il C. fece scorrerie in Abruzzo e conquistò Leonessa e Montereale.
Il C. raggiunse l'apice del successo nel Regno dopo l'occupazione ungherese di Napoli nel 1348. Il C. aveva prestato l'omaggio a Luigi d'Ungheria all'Aquila il 24 dic. 1347 ed era tra i più favoriti del re. Stando al cronista Ruccio di Raynaldo, che sembra esagerare e che comunque non sembra aver avuto diretta conoscenza degli avvenimenti napoletani, Luigi dette al C. un posto di rilievo nel suo governo: "Sou conte camborlingo ser Lalle facto havea; Adsay majure corte che lo re tenea; Era signor de Napoli. facea ciò che volea, Et lo re acceptavalo. et no contradicea". Si disse che il C. avesse consigliato al duca di Durazzo di non partecipare al banchetto che si concluse con la sua morte per ordine del re (1348); ma questo consiglio non gli dovette costare la perdita del favore regio. Il 15 apr. 1348 ricevette le terre confiscate a Carlo d'Artus; fu poi investito della contea di Montorio ed ottenne altri doni dal re nel novembre del 1348, tra i quali Atessa e Città Sant'Angelo (21 novembre) e la contea di Monte Odorisio (17 novembre). La sua posizione all'Aquila in questo periodo era quella di un tiranno; secondo Buccio di Raynaldo "chi li volea contradire, diceali 'Crucifigate'".
Un ulteriore consolidamento del potere del C. dovette essere ostacolato dalla peste del 1348 e dal terremoto del 1349. Dopo il crollo di una parte delle mura cittadine provocato dal terremoto, il C. ordinò la costruzione di una staccionata di legno per sostituire la parte lesa. È possibile che egli abbia preso in considerazione la possibilità di sottomettersi a Luigi di Taranto quando Luigi d'Ungheria fu cacciato dal Regno. Il 24 ag. 1350 il papa lo ringraziava della sua "lealtà"; ma dovette trattarsi di una lealtà che esisteva solo nelle speranze dei diplomatici pontifici. Nell'ottobre del 1351 il C. si rifiutò di accogliere in città Luigi di Taranto; questi attaccò allora, insieme con Galeotto Malatesta, i possedimenti del C. a Monte Oderisio, ma fu respinto. Il C. nutriva troppa sfiducia nella corte di Napoli per volersi sottomettere. Gli inviati aquilani che si recarono a Napoli per sottomettersi vennero arrestati, come aveva predetto il Camponeschi. Ma il trattato concluso nel 1352 tra Luigi d'Ungheria e Luigi di Taranto rese inevitabile la sottomissione del C. alla corte. Nel dicembre egli si recò a Napoli per fare atto di sottomissione al monarca; questi lo ricevette con benevolenza e il C. si recò liberamente a Gaeta.
Il suo potere all'Aquila non era ancora infranto, anche se ormai dipendeva dal risultato della lotta tra le case di Taranto e di Durazzo. Quando Filippo di Taranto visitò L'Aquila il 9 giugno 1354 il C. fu costretto ad accettare la riammissione in città degli esuli e quindi la conseguente rivoluzione politica che avrebbe potuto portare solo al suo allontanamento. Quando però gli esuli cercarono di rientrare, il C., venendo meno agli impegni assunti, sollevò il popolo contro di loro e chiuse le porte della città: gli esuli, non sperando in un successo, si dispersero. Ma Filippo di Taranto si trovava ancora in città né era disposto ad accettare una tale sconfitta politica; deliberò di vendicarsi del C. che era partigiano dei Durazzo. Il 2 luglio lasciò L'Aquila, apparentemente in amicizia con il C. che lo scortò fino a Bazzano. A Le Forme, ove il C. si presentò al principe per prendere formale commiato, da lui, Filippo lo fece catturare e assassinare, prendendosi così quella vendetta che non aveva osato in città.
La prima reazione degli Aquilani all'assassinio del C. fu di disorientamento: "la gente era stordita non sapea che se fare; No vi era signore, no vi era caporale... Non avevamo capo né avevamo capitano". Ma la forza della classe mercantile aquilana e la sua abilità politica di mantenersi al potere anche dopo la morte del C. sono attestate dalla nuova istituzione da parte del governo napoletano del camerlengo e dei Cinque delle arti. Questo nuovo governo comunale doveva dimostrarsi molto duraturo.
Il C. lasciò due figli, Lalle (II) e Arrigo, che gli successero nella contea di Monte Odorisio.
Fonti e Bibl.: Dominici de Gravina notarii Chronicon de rebus in Apulia gestis, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XII, 3, a cura di A. Sorbelli, pp. 27 s., 37-39; Fragmentum Fulginatis Historiae, ibid., XXVI, 2, a cura di M. Faloci-Pulignani, p. 25; Buccio di Raynaldo, Cronaca Aquilana, a cura di V. de Bartholomaeis, Roma 1907, in Fonti per la storia d'Italia, XLI, ad Indicem; Cronica di Giovanni Villani..., a cura di G. Antonelli, VII, Firenze 1823, lib. 52, capp. 71, 88, 89; Cronica di Matteo Villani, a cura di L. Moutier, I, Firenze 1825, lib. 2, cap. 40; II, ibid., lib. 3, cap. 68; Chronicon Siculum, a cura di C. de Blasiis, Napoli 1887, p. 8; Quattro cronache e due diarii inediti relativi ai fatti dell'Aquila, a cura di G. Pansa, Sulmona 1902, p. 61; L. A. Antinori, Raccolta di memorie storiche delle tre provincie degli Abruzzi, II, Napoli 1782, pp. 220 s.; L. Palatini, La signoria nell'Aquila degli Abruzzi dalla seconda metà del secolo XIII al principio del XV, in Boll. della Soc. di st. patria A. L. Antinori negli Abruzzi n.s., XII (1900), pp. 203-232; B.-G. Léonard, Histoire de Jeanne I, reine de Naples, Monaco-Paris 1932, I, pp. 619, 646, 660, 666, 672, 680 5.; II, pp. 22, 38-41, 50, 110 s., 155, 270, 325, 327, 369, 376.