laicità
La neutralità dello Stato e delle sue istituzioni in materia di religione
Contrariamente a quello che spesso si crede, laicità non è sinonimo di ateismo. La laicità equivale a un rifiuto non della fede ma della pretesa di una religione di essere il metro di misura universale della società e del mondo. La neutralità dello Stato e delle sue istituzioni in fatto di religione, la separazione tra la sfera pubblica della politica e quella privata della religione sono i capisaldi del laicismo, e sono una garanzia di pluralismo e tolleranza
Laico nel Medioevo era definito chi non faceva parte del clero, e da allora il termine è diventato sinonimo di civile in contrapposizione a religioso o ecclesiastico. Laico è quindi tutto ciò che non ha riferimenti o legami con una particolare religione: una morale laica, per esempio, è una morale che si basa su principi e valori che non sono dettati da un credo religioso.
Sarebbe però sbagliato identificare la laicità con l’ateismo, cioè con la negazione o il rifiuto della religione. Laicità non è contrapposta a religiosità, bensì alla volontà di estendere i valori religiosi a tutti gli aspetti della vita sociale e politica. Perciò l’atteggiamento laico si oppone al fondamentalismo, che postula l’unità inscindibile di fede, cultura e politica e ritiene che le istituzioni politiche debbano essere collegate al rispetto obbligatorio per tutti – credenti e non credenti – dei principi religiosi della Chiesa dominante. Si oppone, però, anche al totalitarismo, che cerca di annullare ogni possibile confine tra Stato, società ed esistenza privata, monopolizzando in un unico centro il potere politico, quello economico e quello culturale. Alla base dell’atteggiamento laico vi è il principio generale della autonomia delle attività umane: ogni sfera di attività – la religione, la politica, la scienza – deve svolgersi secondo regole proprie, non imposte dall’esterno per fini o interessi diversi da quelli che le sono propri. Questo principio può essere invocato per difendere l’autonomia dello Stato nei confronti della Chiesa, ma anche per difendere l’attività religiosa dalle ingerenze politiche e per sottrarre la scienza e la sfera del sapere in generale dalle influenze estranee delle credenze religiose, delle ideologie politiche, dei pregiudizi razziali.
La distinzione e la separazione tra la religione – che riguarda la sfera privata della coscienza individuale – e la sfera pubblica della politica, del diritto e delle istituzioni civili è una condizione essenziale per organizzare la convivenza umana nel rispetto del pluralismo e all’insegna della tolleranza.
Lo Stato, la cosa pubblica per eccellenza, deve richiamarsi a principi e valori che siano riconosciuti e condivisi da tutti, e quindi indipendenti da un particolare credo religioso.
La laicità – cioè la neutralità rispetto alla religione – dello Stato e delle sue istituzioni implica il riconoscimento di eguali diritti a tutte le confessioni e a tutte le credenze, e impedisce ogni intrusione del potere politico nella sfera privata della coscienza individuale, assicurando la libertà del singolo di aderire ai principi e ai valori della propria fede, nella misura in cui non violino la libertà altrui e le regole della civile convivenza tra gli uomini.
Il principio della separazione della sfera politica da quella religiosa fu affermato per la prima volta da ;papa Gelasio I, che alla fine del 5° secolo formulò la teoria delle due spade, cioè dell’esistenza di due poteri distinti, quello del papa e quello dell’imperatore. Gelasio voleva rivendicare l’autonomia della sfera religiosa da quella politica, ma successivamente la stessa tesi venne invocata per difendere il potere politico da quello religioso. Tuttavia nello scontro tra papato e impero, e successivamente nella formazione delle grandi monarchie nazionali tra il 13° e il 15° secolo, non si affermò una concezione laica dello Stato: il potere del papa e quello del sovrano infatti erano considerati entrambi derivati da Dio.
Il processo di laicizzazione, cioè lo svincolamento della cultura e della politica dalla dimensione religiosa, cominciò a partire dall’età moderna ed ebbe come prima, fondamentale tappa la rottura dell’unità religiosa del mondo cristiano con la Riforma protestante.
A preparare il terreno fu la critica della corruzione del clero e dello stravolgimento della natura spirituale del cristianesimo, fenomeni causati dal potere temporale della Chiesa. A ciò si aggiunsero nel periodo dell’Umanesimo una crescente insofferenza nei confronti delle superstizioni e del dogmatismo religioso e il richiamo a una autentica spiritualità. La riscoperta della cultura classica greca e romana, inoltre, proponeva agli umanisti il modello di una civiltà che non aveva conosciuto il problema di un potere religioso organizzato autonomamente come controparte o alleato di quello civile e politico.
All’inizio del Cinquecento l’opera di Machiavelli ebbe un ruolo fondamentale nell’affermazione di una concezione della politica di tipo laico, priva di qualsiasi riferimento a valori e principi religiosi. Egli affermò la natura puramente umana delle istituzioni di governo, criticando nello stesso tempo il ruolo negativo svolto dalla Chiesa, che aveva corrotto gli animi anziché dare al popolo «buoni costumi».
Nel Cinquecento si affermò l’idea che la Chiesa è un’istituzione di natura spirituale, distinta dal potere politico, e che la coscienza non può essere costretta con la forza. Le sanguinose guerre di religione che devastarono l’Europa sino alla metà del Seicento fecero sentire con forza l’esigenza di separare le funzioni spirituali della Chiesa da quelle politiche dello Stato come istituzione umana, che ha come compito fondamentale quello di organizzare la pacifica convivenza degli uomini. Il filosofo John Locke in particolare, nella sua Epistola sulla tolleranza pubblicata nel 1689, indicò con chiarezza le competenze e i limiti dell’autorità politica e di quella religiosa. Solo la distinzione e la separazione tra la sfera privata della coscienza individuale e quella pubblica del governo civile consente di riconoscere i diritti di tutte le confessioni, impedendo nello stesso tempo che una di esse arroghi a sé funzioni pubbliche proprie del potere politico.
Il distacco della cultura dal dominio delle istituzioni e dei simboli religiosi trovò pieno compimento nel pensiero dell’Illuminismo che, a partire dalla fine del 18° secolo, diffuse il rifiuto dell’accettazione acritica della tradizione e la convinzione che nessun campo della vita umana e sociale, comprese la religione e la politica, dovesse sottrarsi all’indagine razionale.
Già intorno al Seicento la scienza aveva cominciato a rivendicare la propria autonomia nei confronti di una religione improntata al dogmatismo e al principio di autorità. Un ruolo pionieristico fu svolto in questo senso da Galilei, che sostenendo la validità della teoria copernicana si oppose ai limiti e agli ostacoli posti alla scienza dall’autorità ecclesiastica.
Nel corso del secolo successivo la ricerca scientifica si rese sempre più autonoma dalla religione, ma fu il positivismo ottocentesco ad assolutizzare il valore della conoscenza scientifica, contrapponendola alla religione rivelata. Le nuove teorie scientifiche, in particolare l’evoluzionismo elaborato da Darwin, offrivano spiegazioni del mondo in termini esclusivamente scientifici, rifiutando la pretesa della religione tradizionale di dettare verità che solo la scienza positiva poteva raggiungere.
Le Costituzioni emanate dai rivoluzionari americani (1787) e francesi (1791) sancirono definitivamente il principio della libertà di fede e della neutralità dello Stato nei confronti delle confessioni religiose. I valori laici come l’autonomia della ragione critica e il libero confronto delle idee improntato alla tolleranza si affermarono lentamente e faticosamente nei secoli successivi, diventando elementi essenziali delle democrazie liberali del mondo occidentale.
Dopo la caduta dei regimi totalitari del nazismo e successivamente dello stalinismo, nel 21° secolo la principale sfida al principio della laicità proviene dalla rinascita e dalla diffusione del fondamentalismo, che propugna un ritorno ai valori tradizionali della religione in nome di una fusione totale tra fede, cultura e politica.