LAGUNA
. Si chiamano lagune gli spazî d'acqua poco profondi lungo le coste, separati dal mare per mezzo di strisce di terra (frecce litoranee, cordoni litorali, lidi) e nel medesimo tempo comunicanti immediatamente col mare aperto mediante una o più aperture del cordone stesso, dette bocche, o porti, per le quali entra la marea. Con le lagune non devono essere confusi i laghi costieri, che mancano di comunicazione diretta col mare. Tuttavia si deve subito osservare che una netta distinzione fra lagune e laghi costieri non è possibile, anzitutto perché, quantunque esistano laghi costieri che non si possono interpretare come dovuti allo sbarramento di un seno, l'origine di molti altri fra essi non è essenzialmente diversa da quella delle lagune, e queste non rappresentano una condizione permanente. Infatti un seno o uno stretto incompletamente sbarrati sono destinati a divenire col tempo lago e palude costiera e le bocche per le quali un bacino costiero comunica col mare, con alterna vicenda dipendente dalla variabile attività del mare stesso, possono venir col tempo ostruite o riaperte dalle onde, o anche essere intermittenti come le passes o graus degli étangs della Linguadoca. L'uomo stesso più volte aperse una breccia negli sbarramenti delle lagune e dei laghi costieri per comodità della navigazione.
Tipo di lagune, particolare anche per la posizione alquanto diversa da quelle ora considerate, sono gli specchi d'acqua degli atolli; l'isola corallina cinge una laguna che per più passi comunica col mare ma che col tempo può venirne del tutto separata. Queste lagune spesse volte superano i 100 m. di profondità; invece le lagune costiere sono assai poco profonde (solo verso le bocche hanno profondità talvolta alquanto superiori ai 20 metri). Essendo costruite con materiale apportato dai fiumi, i quali perciò rappresentano una condizione essenziale della loro formazione, le lagune possono costituire una caratteristica delle sole coste alluvionali.
Nelle coste ragguagliate talvolta la formazione di una laguna dipende dà un'isola, al cui tergo si appoggiano i tomboli che separano la laguna, oppure le lagune consistono in valli sommerse o in golfi sbarrati da un cordone litorale: tali i limani delle coste settentrionali del Mar Nero che, separati da un cordone litorale (detto peresip) e comunicanti col mare per una bocca (girl), si addentrano alquanto con direzione normale a quella della costa. Per questa ragione, alcuni studiosi proposero di chiamare limano qualunque golfo che intagli la costa perpendicolarmente, riservando la denominazione di laguna agli specchi d'acqua la cui lunghezza è disposta nel senso della linea costiera. Per questa distinzione vi sono buone ragioni anche sotto l'aspetto genetico.
La formazione delle lagune dipende da quella di un accumulo di materiale detritico che le separi dal mare. Quando il fondo marino è leggermente acclive, la quantità dei materiali apportati dai fiumi e molte volte trascinati dal moto radente è tanto grande che le correnti non riescono ad allontanarli tutti, le onde tendono a spingerli verso terra. Ma se, a causa della poca profondità, i flutti non possono raggiungere la riva e si frangono a una certa distanza da questa, quivi si formeranno scanni subacquei paralleli alla costa che finiranno per emergere, separando dal mare una laguna o uno stagno allungato parallelamente al mare.
Un'altra causa della formazione di cordoni litorali sta in una brusca incavatura della costa, incavatura che non è seguita dal moto di traslazione del detrito costiero che avviene nella direzione precedente; lungo la quale si accumula la sbarra che chiude parzialmente, o anche totalmente, l'insenatura. È allora la sbarra una sottile lingua di terra che dalla costa sporge a guisa di penisola, accompagnando esattamente la direzione del trasporto dei detriti, e termina incurvata a uncino dove le onde riescono a penetrare nel seno. Al lato posteriore di un'isola, due movimenti opposti dei detriti possono formare due tomboli separanti una laguna o uno stagno (v. coste: fig. 2).
I cordoni litoranei formatisi a una certa distanza dalla costa si elevano dal fondo marino come poderosi argini e sono essi pure accumulamenti allungati e sottili di materiali; e vanno via via elevandosi per effetto del vento che v'innalza cumuli di sabbia (dune). I cordoni in via di formazione possono presentarsi isolati, non avendo ancora potuto prender connessione con la riva. Per tali motivi è assai vario il modo di presentarsi di codeste formazioni litoranee e sono frequenti i cambiamenti ai quali, nel breve periodo della storia umana, esse andarono soggette, sia per ulteriore accrescimento, sia per distruzione, opere incessanti del moto ondoso e delle correnti di marea.
Le lagune che comunicano col mare per una sola bocca contengono acqua dolce apportatavi dai fiumi, come i haffe del Baltico, che sono antichi golfi sbarrati da cordoni litorali. Altre lagune hanno più bocche le quali per lo più interrompono il cordone litorale all'estremità più lontana rispetto alla provenienza della cosiddetta corrente litoranea. Le lagune a più bocche, al quale tipo appartengono quelle della costa alluvionale dell'Adriatico, fra l'Isonzo e il Po, sono le più caratteristiche. Sono salate; e le bocche sono tenute aperte dal giuoco delle maree che alimentano la laguna e la conservano. Sulla costa lagunare dell'Adriatico le maree raggiungono un'ampiezza considerevole (quella media di sizigia a Grado è di cm. 88, al Porto di Lido di 72 cm.).
Il fondo fangoso di queste lagune è formato da una parte più elevata costituita dalle barene sulle quali attecchiscono le piante alofile e che non sono sempre raggiunte dalle alte maree, e da superficie meno alte (velme) prive di erbe e coperte da poca acqua la quale si ritira nella bassa marea. Perciò, durante questa, buona parte del fondo della laguna rimane scoperto. Esso è intersecato da un sistema di solchi detti canali, disposti dendriticamente: da un tronco che s'inizia alla bocca della laguna divergono diramandosi sul fondo della medesima e sono occupati dall'acqua anche nel riflusso. Le diramazioni facendosi via via meno ampie e meno profonde (rii) penetrano verso l'interno, dove alcune fra esse continuano nelle foci lagunari dei fiumi della pianura, altre, e son dette ghebbi, cime, code, vanno assottigliandosi e morendo sul fondo della laguna. Per la bocca entra il flusso, e risalendo i canali fino alle più interne ed estreme diramazioni, alimenta la laguna; per i canali stessi l'acqua retrocede nel riflusso.
Le velme (o secche) e le barene (o tappine) delle lagune della Venezia particolarmente trovano riscontro nel watt della Frisia Orientale, striscia anfibiotica di sabbie e di fanghiglie che l'alta marea va a coprire risalendone gl'innumerevoli solchi (priele; v. frisia). Ma le barene della Laguna Veneta non sono allagate se non dalle maree straordinarie, mentre nelle alte maree ordinarie ne emergono di qualche decimetro; e la parte più interna della laguna, dove le barene si alternano agli stagni salsi destinati all'allevamento del pesce e a specchi d'acqua permanenti e liberi, di scarsa estensione rispetto alle parti emergenti, è soggetta a correnti di marea alquanto deboli, incapaci di scavare e di tener sgombri i canali, che vi formano non un'arborescenza, ma un reticolo di maglie chiuse. Questa parte della laguna, con espressione un po' iperbolica, è detta laguna morta. Nella parte verso il mare invece, costituita da velme e da canali diramati, l'azione delle maree è assai intensa con le correnti che essa produce, e questa laguna si suol dire laguna viva. La sua conservazione è assicurata sia dalla maggior velocità del riflusso, che asporta il materiale portato dai fiumi, in confronto alla corrente di flusso, sia dalle opere umane dirette a tener puliti i canali per i quali solo si può navigare, e a proteggere il cordone litorale dall'azione distruttiva del moto ondoso.
Il colmamento delle lagune avviene in parte per mezzo della sabbia che il vento trasporta dal lido, in parte molto maggiore per la ostruzione delle bocche e per la sedimentazione dei fiumi che vi sfociano. Appunto per tale pericolo reso evidente dai fatti, furono espulsi dalla Laguna Veneta i fiumi torbidi che vi sfociavano (Brenta) e allontanati altri (Po, Piave) che ne minacciavano l'esistenza. Anche la moltiplicazione delle piante palustri, le cui nuove generazioni si avanzano sui resti delle precedenti e finiscono per chiudere gli specchi d'acqua della laguna morta, esercita un'azione non trascurabile. Si formano così paludi e torbiere al posto delle antiche lagune, com'è certamente avvenuto nella Frisia e sulla stessa costa alluvionale dell'Adriatico settentrionale.
Bibl.: Oltre alle opere citate all'articolo coste, v. L. De Marchi, La morfologia lagunare e il regime stazionario di marea, in Atti del R. Istituto Veneto, 1904-05; O. Hentzchel, Die Hauptküsten typen des Mittelmeeres, Lipsia 1903; N. Sikolow, Über die Entstehung der Limane Süd-Russlands, in Mémoires du Comité géologique, Pietroburgo 1895, X.
La fauna lagunare. - È il complesso di specie animali che vivono negli specchi d'acqua situati nelle vicinanze del mare, con cui sono in comunicazione più o meno larga e nei quali, al lato opposto, sboccano ruscelli o canali d'acqua dolce; la salsedine vi è molto variabile secondo le stagioni, maggiore d'estate, minore d'inverno. Piogge torrenziali possono modificarla improvvisamente ed in qualunque momento. La fauna lagunare è composta evidentemente di specie poco sensibili alle variazioni di salsedine e di temperatura; dunque specie eurialine ed euriterme, mentre le specie stenoaline e stenoterme, sensibili a tali cambiamenti, trovano nella laguna, ora salmastra e ora eccessivamente salata secondo i momenti, un'ostacolo alla penetrazione nelle acque continentali e viceversa da queste a quelle marine. Le specie lagunari sono state anche distinte in oligoaline, mesoaline e polialine secondo che vivono in acqua a salsedine bassa, moderata o elevata. La variazione della salsedine e della temperatura caratterizza questo tipo di ambiente, che non può essere confuso da un lato con quello dei mari poco salati e degli estuarî e dall'altro con quello dei laghi molto salati e delle saline, i quali ospitano, gli uni e gli altri, specie la cui resistenza alle variazioni di salsedine e di temperatura è più limitata.
La fauna lagunare è costituita di quattro gruppi di elementi variamente mescolati. In primo luogo forme d'acqua dolce eurialine, come certi pesci, che vivono normalmente in acqua contenente fino a otto grammi di sale (carpa, brema, luccio) o anche fino a dodici grammi per litro (perca). In secondo luogo una fauna marina eurialina. Poi animali migratori che sostano in acqua salmastra durante un periodo relativamente breve e ben determinato della loro vita (anguilla). Infine un gruppo realmente salmastro, di origine marina e con affinità marine, ma che non prospera in acque a salsedine anormale e manca in mare. L'interpretazione di questi fatti è forse meno semplice di quanto si suole ammettere. Alla eurialinità sono probabilmente collegati fenomeni respiratorî; inoltre l'aumento dell'alcalinità delle acque, generalmente concomitante a quello della salsedine, può essere in rapporto con la distribuzione di talune specie.
Il plancton comprende un discreto numero di Protozoi, specialmente Dinoflagellati, Foraminiferi e Tintinnidi, ma è molto scarso in fatto di Metazoi, rappresentati quasi esclusivamente da Crostacei Copepodi. Si tratta in generale di forme marine che non resistono all'eccessiva diluizione dell'acqua né alla soverchia sua saturazione. Maggiormente soggette all'azione dell'onda di marea, mentre hanno facilità di penetrazione, sono sensibili ai forti cambiamenti di ambiente, onde codesto plancton varia più o meno intensamente con le stagioni e anche da un anno all'altro. Forme moderatamente eurialine popolano la laguna fino a che il mutamento di salsedine non superi il loro limite di resistenza e poi soccombono e scompaiono. Quando ha luogo un nuovo ripopolamento, i migranti passivi che giungono con la marea possorio essere differenti da quelli dell'anno precedente. Le condizioni di vita nelle lagune sono difficili e perciò la fauna non è ricca di specie, ma bensì d'individui appartenenti a poche forme: si tratta di un plancton monotono.
La fauna di fondo è più caratteristica: essa annovera un certo numero di specie, particolarmente Molluschi e Crostacei, a larga distribuzione geografica discontinua, perché si trovano in lagune lontane l'una dall'altra centinaia e anche migliaia di chilometri. Fra i primi, ad esempio, il Cardium edule, il Trochus adriaticus, la Peringia ulvae e la Cyclonassa neritea si trovano negli stagni salmastri della Francia, nella Laguna Veneta, nella laguna d'Orbetello, nelle valli salse della Mesola. Fra i Crostacei, l'anfipode Gammarus locusta, gl'Isopodi Idothaea basteri e lo Sphaeroma serratum vivono dovunque specialmente sulle alghe, come Ulva latissima e Chaethomorpha crassa, che coprono larghe superficie del fondo o delle sponde. Sui numerosi fastelli formati da quest'ultima specie, si trovano anche Attinie, qualche Anellide, qualche Briozoo e larve di Ditteri. Questa fauna di fondo è, al contrario del plancton, molto uniforme nelle annate successive.
L'esempio più dimostrativo della scarsità di specie e dell'abbondanza d'individui è fornito dai pesci, i quali sono numericamente abbondantissimi nelle lagune salmastre, al punto da esser fonte di un'industria altamente redditizia, la vallicoltura. Le specie presenti e che formano oggetto di pesca intensa sono peraltro pochissime: nelle lagune italiane sono frequenti varie specie di Muggini, comprese sotto il nome di "pesce bianco", l'anguilla e il branzino (Labrax lupus). L'anguilla dà vita all'industria del marinaio: entra dal mare allo stato giovanile e penetra nelle acque dolci continentali; si trattiene in laguna, quando, raggiunto il periodo di maturità sessuale, è diretta al mare per deporvi le uova. Altri pesci marini abbastanza frequenti, ma non abbondanti come i primi, sono le sogliole, le passere di mare (Pleuronectes), i ghiozzi (Gobius), le acquadelle (Atherina), il pesce ago (Syngnathus acus). Nelle lagune salmastre della Linguadoca e della Provenza, alquanto meno salate delle italiane, si trovano anche pesci di acqua dolce come carpe, breme e persici. I crostacei commestibili più frequenti sono il granchio di valle (Carcinus moenas), la schila (Crangon vulgaris), entrambi provenienti dal mare, e il gamberello d'acqua dolce (Palaemonetes varians), molto resistente alle variazioni di salsedine (v. vallicoltura).
La Laguna Veneta.
La Laguna Veneta (A. T. 22-23), stendentesi in forma lunata fra gli attuali sbocchi del Brenta-Bacchiglione, a sud, e del Sile, a nord, sopra una lunghezza massima d'oltre km. 52 e una larghezza variabile tra 8 e 14 km., occupa una totale superficie di 58.660 ha., di cui ha. 27.680 di laguna viva e 30.980 di laguna morta. Della totale superficie, ha. 39.395 sono costituiti da specchi acquei, ha. 14.905 da barene e ha. 4360 da isole e zone insommergibili. Fanno parte della laguna morta, sopra una superficie complessiva di circa 12.500 ha., numerose valli da pesca, formate da ampî avvallamenti del fondo sempre sommersi e circondati da barene, arginate in gran parte e nel resto chiuse, permanentemente o periodicamente, da graticci, in cui si esercita l'allevamento del pesce.
Nel suo presente stato, la Laguna comunica col mare aperto per tre bocche, o foci lagunari, o porti, aperte attraverso il cordone litoraneo: sono i porti di Lido, Malamocco e Chioggia. Per tali varchi le acque del mare entrano ed escono alternativamente dalla laguna, propagandosi in questa la marea per una fitta rete di canali, il cui sviluppo complessivo misura poco meno di 800 km. e che, amplissimi e profondi presso alle bocche, vanno poi diramandosi, attraverso gli specchi d'acqua - localmente detti anche laghi - e fra paludi, isole e barene, in canali sempre meno ampî e meno profondi, sino agli estremi margini della laguna in terraferma. Ciascuna delle bocche alimenta un bacino lagunare, o laguna minore, che da quella prende nome e che dalla stessa riceve nel flusso le acque, restituendovele nel riflusso. Partiacque si chiamano le zone acquee poste sul confine tra due bacini lagunari contigui.
L'ampiezza media della marea, nella zona in cui sorge Venezia, varia tra m. 0,40 nelle quadrature e m. 0,71 nelle sizigie, con una media generale di m. 0,565. Il livello cui, nella media generale, giunge l'alta marea, si chiama comune marino (c. m.) o di comune alta marea (c. a. m.), ed è approssimativamente individuato dal lembo superiore della fascia nero-verdastra che le acque lasciano sulle pietre dei muri di sponda e degli edifici prospicienti i canali, il quale, nella zona di Venezia, si trova a m. 0,225 sopra il livello medio del mare.
La periodica escursione del livello acqueo è peraltro influenzata, oltre che dalla marea astronomica, da cause meteoriche e segnatamente dai venti e dalla pressione atmosferica: i venti del largo e le basse pressioni sovralzano i livelli, tanto delle alte quanto delle basse maree, mentre l'opposto avviene con i venti di terra e con le alte pressioni. Sotto l'azione di tali cause, generalmente concomitanti, nell'uno come nell'altro caso, l'ampiezza della marea si riduce talora sinanche alla metà della media ampiezza di quadratura, ovvero si accresce sino a più del doppio di quella media sizigiale, con massimi di basse e d'alte maree che, secondo le osservazioni raccolte dal 1867 a oggi, hanno persino raggiunto, nel bacino di San Marco, m. 1,52 e m. 1,25, rispettivamente, sotto e sopra c. m.
Al fenomeno della marea s'accompagnano due correnti a moto continuamente vario, l'una di flusso (crescente), l'altra di riflusso (dozana), la cui propagazione, dalle bocche agli estremi margini in terraferma dei corrispondenti bacini lagunari, è a sua volta influenzata dal graduale elevarsi del fondo e dal progressivo restringersi dei canali e degli specchi acquei, aventi per naturale effetto di ritardare continuamente il moto generale nel flusso e d'accelerarlo nel riflusso. Mentre, però, siffatta circostanza sensibilmente non influisce sulla distribuzione del livello acqueo nella laguna viva, il quale vi risulta praticamente uniforme su tutta l'estensione, nella laguna morta, invece, i maggiori e via via crescenti ostacoli opposti dalla configurazione lagunare alla propagazione verso terraferma della marea determinano in questa, in una col ritardo, una continua e progressiva degradazione dell'ampiezza.
A tale degradazione d'ampiezza naturalmente corrisponde una diminuzione dell'integrale volume d'acqua entrante e uscente a ogni marea, ragguagliandosi la degradazione stessa a una riduzione dell'escursione media generale del livello acqueo su tutto lo specchio lagunare, dai m. 0,565 pertinenti alla sola laguna viva, a circa m. 0,51; ma la diminuzione è più che compensata dal maggior volume d'acqua recato dalle maree cosiddette sopracomuni, ossia superanti il livello della c. a. m., le quali, 156 volte ogni 1000 maree, invadono anche le zone barenose, superandone il livello, in media, di circa 17 cm., sicché in definitiva, il volume medio generale dell'acqua entrante e uscente a ogni marea sale a non meno di 200 milioni di metri cubi.
Consegue, d'altra parte, dall'opposta influenza esercitata dalla configurazione lagunare sul generale movimento dell'acqua nel flusso e nel riflusso, una media velocità maggiore in questo che non in quello, e quindi una minore durata del riflusso rispetto al flusso, con una corrispondente maggiore efficacia delle correnti del primo a mantenere naturalmente sgombri da depositi così i canali interni come le foci lagunari. Risulta, dalle osservazioni raccolte durante una lunga serie di anni, che la durata del riflusso è costantemente inferiore a quella del flusso, con differenze tanto più rilevanti quanto maggiore è l'ampiezza della marea e che in media raggiungono 17′ nelle quadrature (7h, 34′ di flusso, contro 7h, 17′ di riflusso) e 39′ nelle sizigie (6h, 28′ di flusso, contro 5h, 49′ di riflusso).
Consegue infine dalle varie cause influenti sulla propagazione della marea nella laguna, che le massime velocità si verificano, nel flusso e nel riflusso, verso la fine del primo e al principio del secondo, ossia intorno alla stanca d'alta marea, in misura tale che nelle due ore intermedie tra il flusso e il riflusso entra ed esce dalla laguna la metà circa dell'integrale volume d'acqua pertinente a ogni marea, con una corrispondente intensificazione nella velocità delle correnti, che massimamente accresce in quel periodo l'attuosità dei canali e dei porti, onde risulta come la laguna di Venezia trovi in sé stessa la vitalità necessaria per conservarsi.
Così è nel presente stato della laguna, opera non della natura, ma esempio tra i più mirabili di vittoria dell'uomo sulla natura, conseguita attraverso secoli di lotta, con opere di cui non si sa se più ammirare la sapienza o l'ardimento.
Abbandonata alla natura, la laguna di Venezia, per effetto di quelle stesse forze che l'avevano generata, sarebbe da tempo scomparsa, così come scomparvero, colmate dalle alluvioni, tante altre parti del vasto sistema lagunare che anticamente si stendeva lungo tutto il lembo della grande valle padana, dal Rubicone al Timavo, da Ravenna ad Aquileia.
Già negli antichissimi tempi, Italici ed Etruschi, seguiti più tardi dai Romani, avevano lottato contro gl'interramenti, mediante opere di regolazione dei fiumi, senza riuscire tuttavia a impedire che le alluvioni seppellissero o strappassero al mare città ed emporî marittimi famosi, come Butrio e Spina, e Ravenna, Adria, Altino e Aquileia. Sopravvenute le invasioni barbariche, incontrastate rimasero per secoli le forze naturali, sinché non vennero i profughi veneti, riparati sui lidi e nelle isole tra Piave ed Adige, a riprendere la lotta contro i fiumi e il mare.
Sin dall'811 la Repubblica, trasferita la sede ducale da Malamocco a Rialto, istituisce i primi magistrati preposti alla conservazione della laguna e alla difesa dei suoi lidi, nei quali si aprivano a quel tempo sette bocche, cioè i porti di Lio Mazor (Pordelio), Treporti, Sant'Erasmo, San Nicolò di Lido, Malamocco, Pastene e Chioggia. Da allora le cure sono principalmente rivolte, da un lato, a consolidare e difendere contro gli assalti del mare il cordone litoraneo, con opere di terra, fascinaggi, palafitte e sasso, in forma, sia di pennelli, sia di dighe longitudinali, le quali ultime saranno più tardi estese sino a un totale sviluppo di 20.100 metri e via via sostituite con opere sempre più salde e più perfette, sino ai celebri "murazzi" - ausu Romano aere Veneto -; e d'altro lato, a regolare il corso inferiore dei fiumi Piave, Sile, Brenta, Bacchiglione e altri minori, che sfociavano in laguna, come pure dell'Adige e del Po, sboccanti in finitime lagune e le cui torbide minacciavano sempre più la foce di Chioggia, specie dopo la rotta del Po a Ficarolo (1152), in seguito alla quale, il fiume s'era aperta una nuova via al mare (Po di Tramontana, o di Venezia) sboccante poco sotto la foce d'Adige.
Frattanto, per i sempre più estesi disboscamenti effettuati in tutta la valle padana e nelle alte convalli alpine e appenniniche, cresce a mano a mano il tributo dei materiali convogliati al mare, e sempre più stringente si fa la minaccia d'interramento della laguna e di sbarramento delle sue foci, mentre l'esperienza ha già dato ragione di quella verità che, intuita da tempo dai Veneziani, doveva trovar più tardi consacrazione nel celebre aforisma "gran laguna fa gran porto" e formare uno dei cardini della lotta per la preservazione della laguna e, con essa, delle fortune marittime e della stessa esistenza di Venezia.
L'allontanamento dei corsi torbidi che, direttamente o indirettamente, minacciano la laguna, e la necessità di assicurare in questa la più estesa e più libera espansione della marea s'impongono oramai come unica via di salvezza. Severi editti sono emanati contro le usurpazioni di zone lagunari a scopi agricoli o di pesca, e nel 1324 s'intraprendono i primi lavori per separare le acque dolci dalle salse, con la costruzione d'argini sul contorno della laguna superiore e con la diversione del Brenta, alternativamente da uno ad altro bacino lagunare, secondo che maggiormente s'imponga la difesa della laguna dall'interramento o quella delle prossime campagne dalle inondazioni. Ma l'opera procede ancora per lungo tempo tarda e incerta, fatta più ardita dagli scarsi insegnamenti offerti dalla scienza idraulica, che si trova ancora nella sua infanzia. È solo nel 1501 che, istituito il Magistrato alle acque, ha inizio quell'opera mirabile, con la quale la Dominante doveva riuscire, in tre secoli di prodigiosa attività, ad assicurare la redenzione e la preservazione della sua laguna, profondendovi tesori di sapienza e d'ardimento.
La Signoria intensifica anzitutto la sua azione contro ogni sottrazione di spazî lagunari alla libera espansione della marea: rivendica allo stato numerose zone abusivamente occupate e sopprime le sue stesse saline; fissa la conterminazione lagunare ed erige sulla traccia della stessa un argine, che estenderà a mano a mano all'intero contorno della laguna; migliora con escavazioni alcuni specchi e canali, e nuovi canali apre - tra cui alcuni attraverso la laguna morta, detti tagli di vivificazione, o tagli Garzoni, dal nome del perito che per primo li suggerì - al fine di facilitare la circolazione delle acque e avvivare la marea entro vasti specchi racchiusi nelle zone barenose; regola le pubbliche discariche fuori della conterminazione lagunare e vieta ogni altra menomazione dello specchio acqueo - ovvero ne assicura l'immunità da ogni dannosa conseguenza, con l'imporre adeguati "scavi di compenso" -, tutto ciò formando oggetto di leggi e ordinanze che, saranno nel 1841 raccolte in quel "Regolamento di polizia lagunare" che oggi ancora è in vigore.
Nel 1507, un ulteriore notevole passo è compiuto sulla via della separazione delle acque dolci dalle salse, con l'apertura, lungo il margine lagunare, del canale dell'Osellin, mercé il quale le acque del Marzenego sono portate a sfociare, insieme con quelle del Dese e dello Zero, nella lontana laguna di Treporti.
Nel 1550, le acque del fiume Brenta, sopra ogni altro infesto alla laguna, e quelle del Bacchiglione sono deviate nella palude di Brondolo, a sud della laguna di Chioggia, e nel contempo provvede la Repubblica ad assicurare nel prossimo territorio lo smaltimento delle acque di quegli scoli che dal nuovo alveo di Brenta risultano intercettati.
Nel 1556, il celebre Sabbadino, proto e ingegnere della Repubblica, concepisce l'ardito disegno di allontanare da Venezia il Po, deviandone il corso dall'alveo di Tramontana verso scirocco; e 50 anni più tardi l'opera meravigliosa è portata a compimento, con l'apertura del Taglio di Porto Viro (1604). Il Po volge in breve l'intero suo corso per il nuovo letto, e dà così origine alla formazione dell'attuale delta polesano, mentre il delta più settentrionale, che la poderosa fiumana aveva formato a sud di Brondolo, abbandonato all'azione dei flutti, è da questi progressivamente eroso sino a completa distruzione.
Alle irruzioni del Piave, che dopo aver colmato la laguna di Eraclea svolge il suo corso lungo il lembo superiore della laguna di Venezia e in questa riversa, a ogni rotta, le sue acque, è in un primo tempo opposto l'argine di San Marco, esteso da poco sopra Iesolo sino a Ponte di Piave. Ma la minaccia non per questo cessa, e ad eliminarla in via definitiva il Sabbadino propone, nel 1545, di deviare il fiume verso NE., portandolo direttamente a sfociare in mare, e utilizzandone il letto abbandonato per convogliare le acque meno torbide del Sile e dei fiumi minori Musone, Marzenego, Dese e Zero. Un intero secolo trascorre prima che l'attuazione del nuovo piano sia affrontata. Si tenta, con un primo diversivo, di rivolgere le acque del Piave verso Porto Santa Margherita (foce del Livenza) ma altro risultato non ne segue fuor che la formazione, a NE. di Iesolo, di un vasto lago che, a difesa della laguna, deve a sua volta essere arginato; ed è solo nel 1683 che, in seguito a una rotta avvenuta in quell'arginatura, alla Landrona, il fiume s'apre un nuovo letto, che lo porta a sfociare definitivamente in mare a Cortellazzo, a 15 km. verso oriente dall'antica foce di Iesolo, mentre in questa è portato a sboccare il Sile, divertito, mercé l'omonimo taglio, nel letto abbandonato del Piave. Intanto si provvede anche ad espellere le acque del Musone, inquinanti da secoli la laguna presso Mestre, immettendole in parte nel Brenta e avviandole per il resto direttamente in mare, con l'apertura, nel 1610-13, del Fiume Novissimo e del Taglio di Mirano.
L'espulsione o l'allontanamento dei maggiori e più pericolosi fiumi dalla laguna sono così portati a compimento. Ma nel 1840, in seguito a ripetute rotte del Brenta, conseguenti alla forzata sua diversione, il fiume è nuovamente immesso in laguna di Chioggia, e per oltre mezzo secolo vi permane, sinché, di fronte agl'immensi danni arrecativi, non si delibera la definitiva sua espulsione dalla laguna, la quale ha finalmente luogo, dopo dieci anni di lavoro, nel 1896.
Ma se cessata è la diretta minaccia dei fiumi, permane quella del mare, che continuamente tende ad accumulare le alluvioni di contro alle foci lagunari, e già ha fatto sparire nel 400 il porto di Pastene e ridotto, verso la fine del 600, quello di Pordelio a un canale interno, e che va progressivamente riducendo l'attuosità degli altri porti e peggiorandone le condizioni di navigabilità. Con l'aumentare dell'ingombro creato dai depositi alluvionali, diminuisce il volume d'acqua che può entrare ad ogni marea nella laguna, e correlativamente meno vive si fanno le correnti di riflusso, le quali, d'altronde, spagliandosi in mare, non appena superata la foce, lasciano precipitare i materiali asportati dalla laguna, aumentando così l'ostruzione. La stretta correlazione fra attuosità delle foci e preservazione della laguna dagli interramenti, già da lungo avvertita dagli idraulici veneti, e le condizioni ognora peggiori del porto di Lido, nei riguardi della navigazione, ripetutamente suggeriscono il partito di chiudere ora questo e ora quel porto, a favore della foce di San Nicolò, assicurando a questa il tributo d'acqua di un più vasto bacino lagunare. Ma il provvedimento si dimostra in pratica del tutto inefficace; e finalmente si afferma il concetto di risolvere il problema incanalando le acque nelle foci tra due dighe, protratte in mare sin oltre gli scanni, in guisa da rendere stabili i passi navigabili e da concentrare le correnti di riflusso sulle barre, ond'esse possano, con la loro forza viva, asportarne le sabbie e mantenervi libero il passo. È ancora il Sabbadino che, per primo, ne fa in modo concreto la proposta, nel 1551; ma essa incontra viva opposizione, non ammettendosi a quel tempo che opere avanzate in mare possano resistere alle tempesta. I provvedimenti si riducono pertanto alla costruzione di brevi opere aggettanti dalle opposte sponde delle foci, chiamate "speroni", o "guardiani", analoghi a quelli costruiti a difesa dei litorali, col criterio principalmente di difenderle dalla supposta azione della corrente litoranea, più tardi riconosciuta insussistente.
È solo nel 1806 che, avendo Napoleone I deciso di restituire Venezia all'ufficio di porto militare di primo ordine, una commissione di eminenti idraulici, all'uopo da lui nominata, concreta, nella forma già preconizzata dal Sabbadino e sulla traccia di un piano studiato dal colonnello veneto Salvini, il progetto per la sistemazione del porto di Malamocco, ritenuta di più facile attuazione, in confronto di quella di Lido. I lavori sono tosto iniziati, ma poco appresso sospesi, con la caduta di Napoleone, e sono ripresi dal governo austriaco solo nel 1839, per essere poi portati a termine dal governo italiano nel 1872, con la costruzione di due dighe, di cui l'una, quella nord, lunga m. 2122, e l'altra lunga m. 956, poste, nella loro parte foranea rettilinea, alla distanza di m. 471, pari a quella compresa fra le estremità dei due speroni delimitanti l'antica foce. Per la struttura delle dighe è prescelto il tipo che meglio risponde alle varie esigenze e circostanze della costruzione, costituito da una gettata di pietre da scogliera, di poco emergente dal livello del mare e sormontata da un massiccio murario di coronamento.
I risultati che ne conseguono superano di gran lunga ogni previsione: in breve si ottengono non meno di m. 9,60 sotto c. m. sulla barra, là dove non si avevano in precedenza più di m. 4 d'acqua, e da 10 a 11 m. sotto lo stesso livello, nell'interno del porto-canale.
Dopo simili risultati, è con piena fiducia affrontato il problema della sistemazione del porto di Lido, che il governo italiano attua negli anni dal 1882 al 1910, riunendo le tre bocche contigue di Treporti, Sant'Erasmo e San Nicolò in un'unica foce, armata di due dighe, di cui l'una, quella nord, lunga m. 3610 e l'altra lunga m. 3270, aventi struttura in tutto analoga a quella adottata per il porto di Malamocco. La distanza fra le due dighe, nella loro parte foranea rettilinea, è fissata in m. 900, in base al principio di commisurare l'ampiezza dell'unica foce all'estensione del corrispondente bacino lagunare, nello stesso analogo rapporto risultante per il porto di Malamocco: rapporto che è a sua volta stabilito, tenendo conto con larga approssimazione, nel valutare l'ampiezza dell'uno e dell'altro bacino lagunare, della varia distribuzione che il dislivello di marea presenta in ciascuno di essi.
I risultati che ne conseguono sono ancora soddisfacenti: per la sola naturale azione delle correnti si ottengono sulla barra fondali non minori in alcun punto di m. 7 sotto c. m., laddove non si avevano in precedenza più di 2 metri d'acqua, e fondali massimi di m. 8,30 a 8,50 nell'interno del porto-canale. A tali limiti s'arresta l'azione effossoria delle correnti, per la presenza, in tutta la zona, di estesi banchi argillosi assai tenaci, che sono escavati più tardi con le draghe, sino a raggiungere nel canale navigabile l'attuale profondità di circa 12 m. sotto c. m. Così il Lido è restituito alla sua funzione di principale porto della laguna e della città di Venezia, in condizioni da rispondere a ogni esigenza della navigazione.
E finalmente si provvede anche alla sistemazione dell'ultima foce, quella di Chioggia. I relativi lavori, iniziati nel 1911, sospesi allo scoppio della guerra mondiale, ripresi nel 1919 e ultimati nel 1933 con la costruzione delle due dighe, a struttura ancora di scogliera, di cui quella nord lunga m. 1800 e quella sud m. 1500, distanti fra loro, nella parte foranea rettilinea, m. 550. Tale ampiezza del porto-canale è stata ancora fissata per via di confronto con quella del porto di Malamocco, ma stabilendo in tal caso il rapporto tra foce e corrispondente bacino lagunare, con criterio molto più rigoroso, in base non già alle aree dei bacini, ma all'effettivo volume d'acqua entrante e uscente, in media, a ogni marea. I risultati conseguiti appariscono già ottimi, essendosi sin d'ora ottenuti per la sola naturale azione delle correnti, fondali di m. 10 sotto c. m. sulla barra e di poco inferiori a m. 8 nell'interno del porto-canale.
Con la sistemazione a porto-canale di quest'ultima foce, è compiuta la fondamentale sistemazione della laguna e assicurato il suo avvenire. Solo resta da provvedere a opere complementari, come quelle intese a completare la separazione delle acque dolci dalle salse e a migliorare le condizioni delle più remote zone della laguna superiore.
Bibl.: M. Cornaro, Scrittuer sulla laguna, a cura di G. Pavanello, in Antichi scrittori di idraulica veneta, I, Venezia 1919; C. Sabbadino, Discorsi sopra la laguna, a cura di Roberto Cessi, ibid., II, Venezia 1930; A. Marini, Discorsi sopra la laguna, a cura di A. Segarizzi, ibid., IV, Venezia 1923; B. Zendrini, Memorie storiche dello stato antico e moderno della laguna di Venezia, Padova 1811; D. Guglielmini, Relazione sopra la laguna di Venezia, in Zendrini cit., Venezia 1811; V. Fossombroni, Considerazioni sopra il sistema idraulico dei paesi veneti, Firenze 1847; Comune di Venezia, Venezia e le sue lagune, Venezia 1847; C. Vaccani, Della laguna di Venezia e dei fiumi delle attigue provincie, Firenze 1867; E. Lombardini, Studi idrologici e storici sul grande estuario adriatico, Milano 1868; P. Paleocapa, Dello stato antico, delle vicende e delle condizioni attuali degli estuari veneti, Venezia 1867; G. Bucchia, Considerazioni intorno al porto di Lido ed alla laguna di Venezia, Venezia 1876; id., La laguna di Venezia, Venezia 1882; A. Foschini, Le trasformazioni idrografiche del grande estuario adriatico dall'epoca romana ai giorni nostri, Roma 1878; G. A. Romani, Del metodo più razionale per determinare la larghezza che vuol essere assegnata ad un porto-canale lagunare, Milano 1880; B. Colbertaldo, Il porto di Lido, Venezia 1887; R. Prefettura di Venezia, La provincia di Venezia, Venezia 1893; L. De Marchi, La morfologia lagunare e il regime stazionario di marea, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere e arti, LXIV, 1904-05; Magistrato alle acque per le provincie venete e di Mantova, Regolamento di polizia lagunare, Venezia 1908; A. A. Michieli, La laguna di Venezia e i suoi caratteri economici, in Quaderni geografici, Novara 1919; E. Cucchini, La laguna di Venezia e i suoi porti, Roma 1912; id., Le acque dolci che si versano nella laguna di Venezia, Roma 1929; A. De Toni, Studi geologici sul lido di Venezia, Venezia 1912; O. Marinelli, Atlante dei tipi geografici, Firenze 1922.