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CHIAVELLI, Lagia

di Pasquale Stoppelli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)
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CHIAVELLI, Lagia

Pasquale Stoppelli

Lixa o Alicia, secondo Wadding; ma nota comunemente, e impropriamente, con il nome di Livia, visse tra la seconda metà del sec. XIV e i primi decenni del XV. Non sono noti né l'anno di nascita né quello di morte. Fu moglie di Chiavello Chiavelli, figlio e successore di Guido Chiavelli, detto il Napolitano, della famiglia che ebbe la signoria di Fabriano dal 1378 al 1435.

Sulla C. l'unico documento che offra un qualche ragguaglio è una cronachetta manoscritta relativa al convento di S. Caterina in Fabriano stilata, non oltre il 1410, da un anonimo frate olivetano, cronachetta che tra l'altro elenca anche i numerosi benefici che il monastero ricevette dalla generosità di Chiavello. È proprio questa la fonte (il manoscritto era nel 1926 di proprietà di Ernesto Moscatelli di Fabriano; e alcuni suoi estratti furono resi noti dal Sassi, Le origini) che ci accerta del vero nome della donna e ci testimonia un'altrettale sua sollecitudine nei confronti degli Ordini religiosi ("cara e devota de tutto l'ordene et per enfermetade e per sanitade de li frati sempre è suta et vole esse solicita quasi fosse de tucti madre"). Un'altra prova dell'attenzione dei Chiavelli verso gli Ordini doveva essere nel documento da cui il Wadding (per l'anno 1390) desunse la notizia relativa alla donazione, da parte di Chiavello, della chiesa dell'Eremita in Valdisasso ai francescani osservanti. Proprio in questa chiesa il signore di Fabriano dispose per testamento di esser tumulato e, riporta il Wadding, la moglie di lui, "Lixa sive Alicia", curò due anni dopo la morte, avvenuta a Venezia nel 1412, la traslazione qui della salma.

Sulla scorta di questa notizia deve correggersi il 1410, anno vulgato della morte della Chiavelli. La gentildonna di Fabriano (ma il nome parrebbe tradire una origine toscana) morì dunque dopo il 1414. Ebbe, al pari del marito, sepoltura nella chiesa dell'Eremita. Nel 1929 le urne con i resti della C. e di Chiavello furono traslate in S. Francesco di Camporegio.

La figura della C. difficilmente sarebbe uscita dall'anonimato se un canonico e trattatista fabrianese del Cinquecento, Giovanni Andrea Gilio, in un discorso tenuto alla presenza del cardinale Alessandro Farnese sulla necessità di riconoscere a Fabriano il titolo di città (discorso che nel 1564 fu pubblicato in appendice a Due dialoghi), non avesse annoverato la moglie di Chiavello, ribattezzata Livia (nome che suonava ben più illustre del troppo municipale Lagia), nel gruppo di alcune poetesse fabrianesi (comprendente anche Ortensia di Guglielmo da Fabriano e Leonora della Genga), che lo stesso Gilio vantava essere vissute ai tempi del Petrarca. A questo nucleo originario di rimatrici si aggiunsero, nel corso del XVII sec., i nomi di Elisabetta Trebbiani di Ascoli e Giustina Levi Perotti da Sassoferrato, anch'esse del sec. XIV, in modo che si configurò una supposta tradizione di poesia femminile trecentesca marchigiana. La più autorevole di queste rimatrici sarebbe stata Ortensia, autrice del sonetto "Io vorrei pur drizzar queste mie piume", del quale il sonetto petrarchesco "La gola e il somno et l'otiose piume" sarebbe addirittura responsivo (la responsio si estende dalle rime alle parole-rima, secondo un costume di poesia virtuosistica che, in verità, è piuttosto cinquecentesco che non del Petrarca). Di fatto, l'invocazione di un antico prestigio culturale legato al nome del Petrarca, nel pieno del secolo petrarchista, doveva favorire, nelle intenzioni del Gilio, la concessione a Fabriano del titolo di città. Il canonico avrebbe poi indicato, nel 1580 per la prima volta, i due sonetti che sarebbero stati fattura di Livia ("Veggio di sangue human tutte le strade" e "Rivolgo gli occhi spesse volte in alto"), stampandoli in appendice ai suoi Topica poetica. La produzione attribuita a queste poetesse marchigiane, compresi i due sonetti della C., fu quindi variamente ristampata nel corso del Settecento e dell'Ottocento; e tranne le riserve, prima dello Zeno e del Tiraboschi, poi del Carducci, relative alla datazione e quindi all'attribuzione dell'intero corpus di rime, non furono espresse sulla loro autenticità, fino al saggio del Morici, obiezioni consistenti. In realtà i sonetti della C., come quelli delle altre sue compagne, sono il frutto di falsificazioni, neppure tanto abili, di poeti petrarchisti del secondo Cinquecento. Nel sonetto attribuito alla C. "Veggio..." è addirittura coglibile un riferimento cinquecentesco. A proposito della terzina "Ma se disio di vera gloria accende / l'italico valor, rivolga l'arme / contro colui che 'l Christianesmo sface" non si vede, infatti, quale minaccia mortale potesse incombere sulla cristianità nei decenni a cavallo tra Tre e Quattrocento, mentre se l'allusione è riferita alla seconda metà del sec. XVI potrebbe avere un riscontro adeguato nel pericolo turco. Ma è il linguaggio dei sonetti che ribadisce senza possibilità di equivoco, e indipendentemente dai temi, l'estraneità della C. dai versi che le furono attribuiti. L'altro componimento "Rivolgo gli occhi...", ad esempio, tradisce nella filigrana un marcato sfondo platonizzante ed è permeato da un gusto miracolistico che sconfina addirittura in soluzioni concettose. Come dire che racchiude esemplarmente i caratteri più tipici della poesia petrarcheggiante del secondo Cinquecento.

Fonti e Bibl.: L. Wadding, Annales Minorum, IX, Florentiae 1932, p. 108; G. A. Gilio, App., in Due dialoghi, Camerino 1564; Id., App., in Topica poetica, Venezia 1580; C. Ramelli, Fiori poetici d'illustri donne fabrianesi, Fabriano 1838; O. Marcoaldi, Guida e statist. della città e comune di Fabriano, Fabriano 1873, pp. 52 s.; G. Carducci, Prefaz. a F. Petrarca, Rime, Livorno 1876; E. Magliani, Storialetter. delle donne ital., Napoli 1885, pp. 65-66; G. Marcoaldi, Sonetti di tre poetesse fabrianesi, Cortona 1896; M. Morici, Giustina Levi-Perotti e le petrarchiste marchigiane, in La Rass. naz., 16 ag. 1899, pp. 662 ss.; R. Sassi, Le origini e il primo incremento del monastero di S. Caterina di Fabriano, in Riv. stor. benedettina, XVII(1926), pp. 196-201; A. F. Guidi, Fabriano e le prime poetesse d'Italia, in Il Lavoro d'Italia, 11 sett. 1928; R. Sassi, I Chiavelli, Fabriano 1934, pp. 29 s.; Id., Il "Chi è" fabrianese, Fabriano 1958, s. v.

Vedi anche
sonetto Composizione metrica, (dal francese antico sonet «canzone, canzonetta»), di carattere prevalentemente lirico, composta di 14 versi (quasi sempre endecasillabi nella letteratura italiana), distribuiti in 2 quartine e 2 terzine, con rime disposte secondo precisi schemi. Nel suo schema originario il sonetto ... Francesco Petrarca Petrarca (lat. Petrarca), Francesco. - Poeta e umanista (Arezzo 20 luglio 1304 - Arquà, od. Arquà Petrarca, Francesco, tra il 18 e il 19 luglio 1374). Nato ad Arezzo da Eletta Canigiani e da ser Pietro di ser Parenzo dell'Incisa in Valdarno, che era stato bandito da Firenze nel 1302 per dissidî personali ... Giosue Carducci Poeta italiano (Val di Castello, nella Versilia, 1835 - Bologna 1907). Crebbe "selvatico" nella Maremma toscana, dove il padre, Michele, un liberale già carbonaro, era medico condotto. Andò poi a Firenze e a Pisa, dove si laureò nel 1856. Di questo stesso anno è la polemica antiromantica, d'impostazione ... poesia Arte di produrre composizioni verbali in versi, cioè secondo determinate leggi metriche, o secondo altri tipi di restrizione; con una certa approssimazione si può dire che il significato di poesia è individuabile, nell’uso corrente e tradizionale, nella sua contrapposizione a prosa, in quanto i due termini ...
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chiavèllo
chiavello chiavèllo (o clavèllo) s. m. [lat. tardo clavĕllus, dim. di clavus «chiodo»], ant. – Chiodo: l’elmo adorno tutto Di lucenti chiavelli (V. Monti).
chiavèlla
chiavella chiavèlla s. f. [dim. di chiave]. – Organo di collegamento nelle costruzioni meccaniche, sinon. di chiavetta.
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