MITTNER, Ladislao
– Nacque a Fiume il 23 apr. 1902 da Zoltán e da Giovanna Burich, entrambi insegnanti.
Il padre, ungherese, si era stabilito giovanissimo a Fiume, crocevia di quattro nazionalità, dove, affascinato dalla lingua e dalla cultura italiane, aveva deciso di restare anche dopo il 1919, quando quasi tutti i suoi connazionali l’avevano abbandonata. La madre, italiana, aveva diversi antenati croati, e uno zio materno, Enrico, valente germanista, era stato uno dei promotori dell’irredentismo fiumano.
Il M. seguì i corsi universitari di letteratura e filosofia a Bologna (1919-20 e 1922-23), a Firenze al R. istituto di studi superiori (1920-21) e infine a Padova (1921-22). Dopo essersi laureato a Bologna nel 1923, con la tesi Il bello ed il sublime nell’estetica di Schiller (seguito da A. Mondolfo e A. Galletti), trascorse un periodo a Vienna e a Monaco per approfondire gli studi privatamente. Nel 1925 ebbe inizio la sua carriera di insegnante: rimase nove anni a Brunico, dove aveva chiesto di essere mandato per motivi di salute ed era stato poi «dimenticato dal Ministero dell’Istruzione». Nel 1930 si unì in matrimonio con Letizia Battistig de Tauffersbach e nel 1935 fu trasferito a Torino. Nel 1939 ottenne la libera docenza in filologia germanica e si spostò a Roma per insegnare questa materia nell’Istituto di studi germanici a villa Sciarra-Wurts. Dal 1942 al 1945 tenne la cattedra di lingua e letteratura tedesca nell’istituto universitario Ca’ Foscari di economia e commercio, a Venezia, e dal 1945 fino al pensionamento, nel 1972, fu docente di filologia germanica, sempre nel medesimo istituto.
Lo stesso M. riconobbe che tutta la sua produzione scientifica ebbe origine, quasi necessariamente, nell’ambiente ricco di contrasti, assai stimolanti ma non meno drammatici, della Fiume del primo venticinquennio del Novecento. Il mondo culturale fiumano non aveva mai mostrato un interesse particolare per la Germania – semmai la paura nei confronti di questo paese era stato il cemento del multiforme mosaico asburgico di nazionalità – e le notizie sulla letteratura tedesca più recente erano mediate da Trieste. Qui i filologi germanisti studiosi dei primordi tendevano a mitizzare, a giudizio del M., le manifestazioni arcaiche del germanesimo nelle sue presunte forme «pure», alle quali si faceva risalire quanto sarebbe venuto dopo, ossia il germanesimo storicamente documentato.
Attratto da questo settore di studi, il M. reagì a quest’operazione di travisamento sforzandosi di chiarire la reale storicità del fenomeno. Nel 1939, alla notizia dell’invasione nazista della Cecoslovacchia, iniziata il 15 marzo di quell’anno, decise di riprendere in mano l’Edda, il ciclo poetico antico-nordico, con la «rabbiosa» volontà di scoprire se in esso fosse realmente racchiusa la forma più antica e genuina della mitologia dei Germani. E giunse a sfatare questa consolidata leggenda romantica dimostrando che anche le poesie più arcaiche erano spesso d’imitazione o d’impostazione meridionale, semplici calchi o talvolta addirittura versioni di canti giunti nell’Europa settentrionale dopo secoli di peregrinazioni (La lingua tedesca e lo spirito dell’antica poesia germanica, Firenze 1942; Die kenning als tragisch-ironisches sinnbild in der Edda, Wien 1951; Wurd. Das sakrale in der altgermanischen epik, Bern 1955).
Sempre nell’ambito dei primordi della letteratura tedesca, per comprendere la lingua protogermanica e la sua sintassi, il M. dedicò lunghi anni di studio a un aspetto caratteristico delle lingue germaniche – un vero e proprio unicum –, cioè il verbo ausiliare werden (divenire).
Giunse alla conclusione che la forma werden era sempre collegata nell’epos all’idea del destino, alla sua esplorazione e interpretazione, e in particolare alla figura della valchiria, che preannuncia la morte al guerriero già segnato (La concezione del divenire, Milano 1931).
Contemporaneamente alle ricerche sulla lingua e la spiritualità germanica, il M. si applicò allo studio della lirica del Settecento tedesco, nel sovrapporsi e intersecarsi di aspirazioni musicali, poetiche e filosofiche che la caratterizzavano.
A questo periodo risale una prima idea, ancora solo abbozzata, di una storia della letteratura tedesca che coprisse il periodo dal pietismo al romanticismo, poi realizzata a partire dagli anni Sessanta.
Con il romanticismo, altro fondamentale nucleo tematico dei suoi studi, il M. cominciò a confrontarsi alla fine degli anni Quaranta, approdando ai densi saggi raccolti in Ambivalenze romantiche. Studi sul romanticismo tedesco (Messina-Firenze 1954) in cui domina la figura di F. Hölderlin, con la sua lirica ricca di folgorazioni e il suo ardente culto della grecità.
Il M. era un appassionato lettore di poesia fin dai tempi del liceo. Si era sentito diviso fra la seduzione dei versi decadentistico-simbolisti e l’ammirazione per la meditazione sorvegliata e la rigorosa architettura poetica di U. Foscolo e di T. Tasso: da questo «culto», come dichiarò lui stesso, prese le mosse, molti anni dopo, il saggio Trionfi rinascimentali e misteri romantici (sempre in Ambivalenze romantiche) dedicato ai romantici di Jena (da W.H. Wackenroder a L. Tieck, a Novalis [G.P.F. von Hardenberg]) e all’ispirazione del Rinascimento italiano, in particolare della sua mirabile pittura, sulla loro poetica.
Altrettanto importante era stata, nel periodo giovanile, la scoperta della poesia di J.W. Goethe, dal ritmo libero, una forma superiore a qualsiasi legge di metrica.
Da allora, in tutte le sue ricerche critiche, il M. si impose sempre una lettura puntuale del testo – di cui avvertiva la mancanza nelle riflessioni del pur ammirato B. Croce – la sola che consentisse di cogliere, e di analizzare anche nei particolari, una più profonda struttura organica dell’opera. Fu il M. a sottolineare, fra i primi germanisti italiani, la centralità dell’«età di Goethe» per la cultura europea, un aspetto che già Croce aveva messo in luce. Alla figura di Goethe, «spirito multiforme e sfuggente, d’inesauribile enigmatica e contraddittoria ricchezza» (La letteratura tedesca del Novecento e altri saggi, Torino 1960, p. 13), il M. dedicò alcuni saggi negli anni Cinquanta, scrivendo pagine particolarmente acute sul romanzo Werther (Il Werther, romanzo antiwertheriano, ibid. 1962), nelle quali mise in risalto, dietro le pagine lacrimevoli e passionali, capaci di suscitare una profonda commozione, la penetrante e spesso crudele analisi goethiana degli equivoci del cuore.
Il M. è stato anche un acuto studioso della letteratura tedesca del Novecento. Negli scritti dedicati all’argomento non ha mancato di registrare i turbamenti, le derive, le crisi profonde che l’hanno attraversata, dal principio del secolo, passando per le svolte cruciali della guerra e del dopoguerra, fino al nazismo, al secondo conflitto mondiale e agli anni più recenti. Singole figure e movimenti, nella Letteratura tedesca del Novecento, compongono uno scenario che non trascura mai, oltre ai fattori sociali e spirituali, i rapporti con le arti figurative, la musica, il cinema.
Spaziando nella sua ricognizione del Novecento dall’opera di R.M. Rilke a quella di E. Jünger e di B. Brecht, il M. riserva un posto di spicco nella letteratura di questo periodo a Th. Mann, al quale nel 1936 aveva dedicato un ampio saggio (L’opera di Thomas Mann, Milano) concepito negli anni solitari di Brunico, che fu sequestrato dalla polizia fascista. Il M. riteneva che la grandezza di Mann consistesse soprattutto nel suo spirito dialettico implacabile e sottile, appassionato e preciso, capace di investire la totalità della cultura, soprattutto nei suoi brillanti e sconcertanti romanzi culturali, da Lotte in Weimar a Der Zauberberg. Anche a F. Kafka il M. dedicò un lungo e penetrante studio (Kafka senza kafkismi, 1954), ripromettendosi di «liberarlo» dalle numerose interpretazioni arbitrarie e unilaterali della sua opera, e di storicizzarlo per comprenderne l’autentica personalità letteraria.
L’espressionismo è stato un altro snodo fondamentale della ricerca del M., che ha dato origine a un’articolata ricostruzione della vita breve ma intensa del movimento, nella sua dinamica vitale e nei suoi molteplici aspetti: da quelli letterari a quelli musicali – innanzitutto le innovazioni di A. Schönberg – a quelli pittorici, seguendo l’evoluzione dal figurativismo di O. Dix e O. Kokoschka all’astrattismo di V. Kandinskij e P. Klee (L’espressionismo, Bari 1965 [ed. rivista a cura di P. Chiarini, Roma-Bari 1997]; L’espressionismo letterario, in Bilancio dell’espressionismo, Firenze 1965, pp. 13-29).
Il M. è ritenuto uno dei massimi germanisti italiani, non solo per la sua capacità di disporre di tutti gli strumenti tecnici, ma soprattutto perché ha dominato l’arco tradizionale della disciplina dalle origini germaniche fino alle ultime avanguardie del Novecento. E grazie alle sue doti di scrittore ha sempre saputo, al tempo stesso, rendere accessibili a un largo pubblico i risultati del suo lavoro scientifico. Questo lavoro si è nutrito di un vastissimo retroterra culturale, che l’ha sottratto a qualsiasi rischio di angustia settoriale, e i tre poderosi volumi della Storia della letteratura tedesca (Torino 1964-77, I, Dai primordi pagani all’età barocca: dal 750 circa al 1700 circa; II, Dal pietismo al romanticismo: 1770-1820; III, Dal realismo alla sperimentazione: 1820-1970) possono esserne considerati la summa.
Quest’opera ambiziosa per l’ampiezza del materiale trattato – oltre mille anni di storia letteraria e culturale – e la complessità del disegno storico-sistematico è il frutto di trent’anni di studi universitari: il M. spazia dagli inizi della cultura germanica alle grandi personalità, alle correnti e alle componenti di gusto del periodo contemporaneo. Nell’accingersi alla sua impresa, egli non fece, intenzionalmente, alcuna dichiarazione di metodo, ritenendo che per ogni età, opera, autore, e perfino pagina, fosse necessario costruire di volta in volta un metodo adeguato o anche ricorrere, contemporaneamente, a metodi diversi che riflettessero quella dialettica inesauribile che è sempre presente in ogni grande opera artistica.
Nel primo volume, Dai primordi pagani all’età barocca, è delineata la letteratura del tedesco antico fino al Mille, con una prospettiva che si estende dall’età aurea della letteratura medievale alla mistica, all’umanesimo, alla Riforma, fino a giungere al Seicento. Nel secondo volume, Dal pietismo al romanticismo, domina il Settecento, giungendo all’epilogo dell’età classico-romantica e all’esperienza goethiana: il M. non ha trascurato alcun aspetto, nello sforzo di rappresentare in modo limpido ed equilibrato il periodo letterario più complesso e ricco di influenze durature sull’intera Europa. L’età aurea della poesia tedesca abbraccia la seconda metà del Settecento e i primi due decenni dell’Ottocento, un periodo denso di impulsi e di opere in cui la letteratura tedesca, a giudizio del M., è assurta a un’altezza mai raggiunta in precedenza né oltrepassata in seguito. In questo ampio scenario la dettagliata interpretazione dell’opera goethiana da lui proposta ha una sua validità autonoma e disegna un intreccio suggestivo fra interpretazione storicistica ed ermeneutica testuale. Il taglio interpretativo scaturisce da una conoscenza approfondita dell’opera di Goethe e della letteratura settecentesca, nonché dell’intera letteratura critica, tra cui una collocazione particolare, come si è già accennato, ha il confronto con gli studi crociani. La prima parte del terzo volume, Dal Biedermeier al fine secolo, prende le mosse dall’esaurirsi del romanticismo per dare spazio all’affermarsi del realismo e concludersi con il neoromanticismo simbolista e decadente, con una particolare attenzione per le figure di H. Heine e R. Wagner, che nelle loro opere seppero coniugare romanticismo e decadentismo. E, nel consueto intreccio fra la letteratura e le altre arti, il M. assegna un notevole spazio nella sua esplorazione multiforme alla liederistica da F. Schubert a G. Mahler. Nella seconda parte, Dal fine secolo alla sperimentazione, campeggiano le figure di Kafka e di Brecht. Inquadrando l’opera letteraria nel clima sociale e artistico – dall’impressionismo al cubismo, dall’arte materica al nuovo design – il M. si spinge fino al 1970, ossia agli anni in cui scrive.
Nel dominare la sua amplissima materia, egli ha saputo evitare il rischio di ridurre la storia della poesia, da un lato, a episodi di storia economica o di polemiche sociali, dall’altro, alla ricerca dell’«ineffabile», ignorando la linfa di cui anche la poesia si alimenta. Il lavoro scrupoloso di avvicinamento, sempre più intimo, alla pagina e all’autore testimonia non solo il desiderio di capire, che nell’ottica del M. è il primo dovere del critico, ma anche la forza di un pensiero organico e una robusta volontà di sintesi. Caratteristica del suo approccio alle opere e agli autori, nella Storia della letteratura tedesca, è la fusione tra informazione biografica e dato sociologico: le opere, considerate nel loro rapporto dialettico con le più generali situazioni sociali e politiche, diventano uno strumento efficace per spiegare l’origine e il valore delle conquiste della letteratura.
Il M. morì a Venezia il 5 maggio 1975.
Autentico maestro della germanistica italiana, il M. formò un’intera generazione di studiosi: per decenni non c’è stato lavoro critico sul Settecento tedesco che non abbia preso le mosse dalla sua ricerca. L’impronta crociana è senz’altro rintracciabile nei suoi studi - nell’attenta ricostruzione della civiltà letteraria e intellettuale dell’epoca - ma con la loro apertura mitteleuropea essi rappresentarono, all’epoca, un’eccezione nell’orizzonte della cultura italiana e contribuirono profondamente a sprovincializzare la germanistica successiva. Il M. fu inoltre un precursore della critica stilistica e fu suo merito aver fatto conoscere, negli anni Trenta, L. Spitzer in Italia.
Oltre a quelle citate nel testo, si ricordano fra le opere del M.: Grammatica della lingua tedesca, Milano 1933; Dizionario di fraseologia e manuale di consultazione della lingua tedesca, ibid. 1934; Lezioni sulla letteratura tedesca del Medioevo, Padova 1948; Motiv und Komposition. Versuch einer Entwicklungsgeschichte der lyrik Hölderlin, in Hölderlin-Jahrbuch, X (1957), pp. 73-158; Saggi, divagazioni, polemiche, Napoli 1964; Correnti e figure della letteratura tedesca dal Settecento ad oggi: appunti delle lezioni, Venezia 1978. Ha inoltre curato le edizioni di: Th. Storm, Die Regentrude, Milano-Messina 1938; A. Stifter, Der Waldsteig, Torino 1938; R.M. Rilke, Ausgewählte Gedichte, Milano 1961.
Fonti e Bibl.: L. M., in Jahrbuch. Deutsche Akademie für Sprache und Dichtung, 1967, pp. 100 s.; H. Rüdiger, Gedenkwort für L. M., ibid., 1975, pp. 162-165; Appunti autobiografici, in Fiume. Rivista semestrale di studi fiumani, XIV (1987), pp. 67-69; L. Lászloczky, L. M. (1902-1975). Presentazioni e annotazioni «fiumane», ibid., pp. 69-78; L. M., in E. Guidorizzi, La poesia e la critica italiane di fronte a Goethe, Napoli 1992, pp. 227-248.