LADINI
. Nei suoi memorabili Saggi ladini (in Archivio glottologico italiano, I, 1873), G. I. Ascoli indicò con questo nome i tre gruppi dialettali neolatini congiunti da vincoli di peculiare affinità e distribuiti nelle tre regioni territorialmente non contigue dei Grigioni (escluse le parlate tedesche e quelle lombarde della Mesolcina, della Bregaglia e di Poschiavo: v. grigioni), delle valli dolomitiche dell'Alto Adige (v. venezia tridentina) e del Friuli (v. friuli). Siccome queste tre regioni non formarono in nessun momento della loro storia un'unità amministrativa, culturale e linguistica, mancava un termine indigeno e popolare per denotare tale unità; l'Ascoli non fece che estendere a tutte le sezioni una voce che nell'engadinese e nel badiotto indica appunto la parlata locale: ladín, da latinus.
E. Boehmer e Th. Gartner (Rätoromanische Grammatik, Heilbronn 1883) generalizzarono l'aggettivo raetoromanisch, creato nel 1845 da Fr. Lauchert per indicare i dialetti dei Grigioni, chiamati dal popolo romaunsch e dai dotti (Fl. da Sale, 1729) retici, estendendolo, in modo del tutto erroneo, anche al friulano, cioè a una zona veneta che fu sempre fuori e lontana dalla Rezia romana e preromana.
Mentre fra i Grigioni e le valli dolomitiche di Fassa, Gardena, Badia e Marebbe si è incuneata da alcuni secoli una massa alloglotta che occupa quasi l'intero bacino superiore dell'Adige, fra la sezione centrale e il Friuli l'ampio bacino del Piave si è ambientato verso Venezia in modo che soltanto il margine estremo - Livinallongo, Ampezzo, Comelico - ha ancora qualche caratteristica ladina. La congiunzione fra i tre gruppi è data piuttosto da una vasta anfizona in cui convergono elementi ladini e lombardo-veneti, estesa a quasi tutte le Alpi e Prealpi meridionali e divisa dall'Ascoli, secondo il maggiore o minor grado di ladinità, in due gruppi: uno più interno, più ladino, l'altro più periferico, più lombardo o veneto. Questa doppia categoria di dialetti comprenderebbe nel tratto occidentale tutto il bacino superiore del Toce, l'intero Canton Ticino, la parte lombarda del cantone dei Grigioni e Livigno, mentre l'affinità ladina appariva all'Ascoli meno chiara nelle parlate che dal bormino sfumano per la Valtellina verso il bergamasco alpino e dalla Rendena discendono per la Valbona al lago d'Idro. Nella sezione centrale sarebbero semiladini i dialetti del corso del Noce e dell'Avisio a S. di Fassa e, più a oriente, le parlate di Ampezzo e Oltrechiusa, del corso superiore del Cordevole fino alle valli Fiorentina e Pietorina, nonché del Comelico, nella zona terminale del Piave. Più deboli, evanescenti tracce ladine continuano invece più in giù fino a Trento, Feltre e Belluno. Al gruppo friulano devono congiungersi verso E. le vecchie parlate di Trieste e di Muggia; anzi pareva all'Ascoli che "pur nell'Istria il linguaggio ladino, nella sua varietà friulana" venisse "a toccarsi e in parte a fondersi con un linguaggio che si rannoda al veneto di terra ferma" e avesse quindi "in sé medesimo delle somiglianze ingenite coi parlari ladini". Ma l'Ascoli conveniva che questo complesso dialettale, che, tolti i Grigioni, rientra nei confini naturali d'Italia, non solo mancava di continuità geografica e di una lingua, letteraria o meno, comune, ma che esistevano delle divergenze tutt'altro che di poco conto nella base e nello sviluppo dialettale delle tre sezioni, di cui la maggiore, la friulana (con un numero di parlanti quasi dieci volte maggiore delle altre due riunite), ha nel complesso ladino una vera e perfetta autonomia, e che queste divergenze erano aumentate dalla "diversa quantità o qualitȧ di alterazione che per l'influsso di estranee favelle (slavo, tedesco) quei dialetti hanno patito nella sintassi, nel lessico, nella tempra fonetica". Di più, non essendo sempre possibile, secondo l'Ascoli, di distinguere nell'anfizona fra "comunanza ed affinità di fenomeni che derivino da attiguità genetica" e quelli che dipendano da riversamenti di età posteriori (il che, in pratica, vuol dire che mancano dati fondamentali per tracciare un esatto confine fra il ladino e il lombardo-veneto), la ricostruzione di questa anfizona, che costituisce il presupposto geografico per ricomporre in unità spaziale le tre sezioni, non può essere che arbitraria e incerta.
Per questo motivo il problema della confluenza ladino-lombarda e veneto-ladina ha per il Gartner una soluzione in singoli punti molto diversa: nelle Alpi lombarde questo autore distingue non meno di tre gruppi di dialetti intermedî - di cui uno assegnato alla Val Mesolcina e alla Val Bregaglia -; quanto al Trentino egli esprime il dubbio che le parlate del bacino del Noce non siano mai state "puramente ladine"; altro più logico raggruppamento hanno i dialetti di Val di Piave.
In ogni modo l'Ascoli e il Gartner considerano i Grigioni, l'Alto Adige e il Friuli come tre zone estreme, staccate, conservative di un sistema dialettale esteso in origine anche alle Alpi meridionali, dal Toce al Risano, e ricacciato in queste tre isole dall'incoercibile progresso delle due grandi famiglie dialettali della pianura, il lombardo e il veneto. A base di questa teoria sta il presupposto che qui siano venute in urto due unità idiomatiche, di cui quella più periferica, la ladina, esulerebbe dal complesso italiano dialettale, del quale entra a far parte invece il lombardo, per quanto anch'esso sia un continuatore cisalpino del sistema idiomatico gallo-romanzo. Questo presupposto si fonda sul riconoscimento, che esistono nella struttura grammaticale del ladino e dei dialetti semiladini delle Prealpi dei tratti caratteristici che avvicinano particolarmente queste parlate a quelle francesi e franco-provenzali e sono viceversa "alloitaliani". Questi tratti, sfrondati di parecchio dai discepoli stessi dell'Ascoli (C. Merlo, in Italia dialettale, I, pag. 17), consistono nello sviluppo alla palatina dell'antica velare seguita da a, nella conservazione di l nelle formole pl, cl, ecc. e in quelle di s di antica uscita, fatto fonetico che ne origina uno morfologico della maggiore importanza, cioè la formazione del plurale sigmatico. Non può dunque esistere alcun dubbio, né per l'Ascoli, né per il Gartner, che i dialetti compresi entro l'isofona più ampia, quella di l conservato in pl, appartengano in origine al gruppo ladino, cui dovrebbero dunque ascriversi risolutamente i dialetti della Valtellina e quelli delle maggior parte delle Alpi bergamasche e bresciane.
Siccome fra il ladino e il lombardo-veneto intercede una divergenza originaria, si pone il problema delicatissimo della diversità di sostrato, per cui i Ladini dei Grigioni, delle valli dolomitiche e del Friuli dovevano avere una speciale affinità originaria fra di loro, di contro alle popolazioni della pianura sottostante. Mentre l'Ascoli non risolve questo problema cardinale, ma lo mitiga in tutti i modi, il Gartner lo affronta e lo conduce all'assurdo insistendo, contro ogni realtà storica, sulle origini "retiche" del Friuli. Il pensiero ascoliano si riassume così: "La romanizzazione della zona ladina non andrà ripetuta dal sovrapporsi dello schietto idioma dei conquistatori, ma si dovrà all'azione di un elemento celto-italico principalmente formatosi nella valle del Po, che, per ragion di milizie e di ogni maniera di commercio, si venisse via via dilatando) (Arch. glott. ital., XI, p. IX).
La teoria dell'Ascoli era stata preceduta dall'affermazione di Chr. Adelung, che nel Mithridates, II, p. 509 (1809), ignorando l'esistenza di dialetti romanzi dell'Alto Adige, sosteneva rapporti di parentela fra il romancio dei Grigioni e il friulano, e da quella di J. Th. Haller, in Zeitschrift des Ferdinandeums, VII (1832) e di L. Steub, Drei Sommer in Tirol (1846), che, seguiti poi dal Böttinger (1853), G. G. Sulzer (1855), J. Chr. Mitterrutzner (1856), E. Stengel (1868) diedero risalto all'affinità fra il ladino dei Grigioni e quello dolomitico. Poco prima dell'Ascoli Chr. Schneller (Die romanischen Mundarten in Südtirol, Gera 1870) introdusse nel complesso ladino anche il friulano, pur riconoscendo la mancanza di una lingua comune e di un sentimento nazionale che cementasse i tre gruppi. Il suo principio che nelle Alpi meridionali le attuali parlate veneto-lombarde coprono un precedente strato ladino corrisponde ai criterî in base a cui l'Ascoli tracciò la sua anfizona. Mentre E. Windisch respinse nel 1888 la concezione ascoliana per la mancanza di sostrato unitario prelatino, la posizione presa da Th. Gartner nella Raetoromanische Grammatik (Heilbronn 1883) riconfermò in Germania la fortuna della tesi "ladina" che è tuttora sostenuta dalla scuola svizzera (J. Jud, R. v. Planta).
Una vivace reazione cominciò in base a diversi criterî, dopo che C. Battisti nel 1910 negò l'esistenza di un gruppo linguistico ladino. Successivamente C. Salvioni (Ladinia e Italia, Milano 1917), P. E. Guarnerio (in Fonologia romanza, Milano 1918), M. G. Bartoli (in Giorn. stor. lett. ital., LXXII, pp. 345-349), E. G. Parodi (Nell'Alto Adige, Milano 1921, pp. 39-57), C. Battisti (La teoria ascol. della gallolatinità dei dialetti ladini, in Riv. Soc. fil. friul., 1921; Sulla pretesa unità ladina, in Silloge Ascoli, Torino 1929, pp. 409-444 e Popoli e lingue dell'Alto Adige, Firenze 1931, pp. 54-212), si schierano contro la vecchia tesi, sia negando che tra il ladino e il lombardo-veneto, tanto nella struttura grammaticale quanto in quella del lessico, esistano divergenze tali da ammettere due sistemi dialettali diversi già nella base della romanizzazione, sia contrapponendo alla supposizione di particolare affinità col francese quella che il ladino, non solo nelle due sezioni orientali, ma, geneticamente, anche nei Grigioni rappresenti una zona d'italianità periferica, sia negando una particolare parentela fra le tre sezioni in cui il ladino si sarebbe conservato più puro, sia affermando che la zona grigione durante il periodo di romanizzazione fu strettamente congiunta col paleolombardo, mentre Alto Adige e Friuli devono essere studiati nel particolare complesso territoriale cui appartengono, cioè nell'unità veneta di cui formano aree estreme, conservative, le uniche che per ragioni geografiche e storiche hanno mantenuto un'autonomia "veneta" di fronte all'incalzare del veneziano di terraferma.
L'esame cronologico delle innovazioni ladine, sentite dall'Ascoli e dal Gartner come peculiari caratteristiche di fronte al veneto e al lombardo, legittima il sospetto che si tratti di lentissime evoluzioni che sono graficamente fissate molto tardi; così, p. es., l'evoluzione di á in é, che per l'Ascoli è un'"acutissima spia celtica", non è documentata nella toponomastica delle valli dolomitiche prima della seconda metà del sec. XVI; oppure la palatalizzazione di c, g avanti a che ora manca nelle Prealpi e nella pianura, risulta documentata da cesa "casa" a S. Fratello e céuzi "calzoni" a Novara di Sicilia per quel territorio donde (de partibus Lombardiae) vennero fra il sec. XII e XIII i Galloitalici di Sicilia, mentre questo fenomeno è a quell'epoca e per altri due secoli documentabile nei Grigioni o nell'Alto Adige. Viceversa sono ancora meno probative le fasi di conservazione di l dopo consonante (pl, bl), che perdura ancora nel sec. XIII nei dialetti della Pianura padana o quella di s finale, di cui nel verbo rimane qualche traccia anche al presente nelle Prealpi e nella pianura in speciali condizioni e che, secondo la giusta osservazione dell'Ascoli, scompare nell'Italia settentrionale nella flessione verbale in sillaba atona alla fine del Duecento, in sillaba tonica all'inizio del Quattrocento. Mancano dunque dei motivi impellenti per ammettere un'originaria diversità fra le parlate subalpine e quelle alpine. Viceversa, tanto nel lessico, quanto nella struttura grammaticale, esistono fra le tre sezioni delle divergenze notevoli, profonde e bene antiche, che furono raccolte e studiate da C. Battisti, in Popoli e lingue dell'Alto Adige, pp. 199-204; è innegabile che alcune di quelle, che separano l'Alto Adige e il Friuli dai Grigioni, rappresentano vecchie innovazioni galloitaliche, collegano invece i Grigioni con la sottostante pianura (p. es., la ii; lo sviluppo di -c- seguito da consonante apicale, cioè i nessi -ct, -cl, -cs, a -j più consonante, la metafonesi).
Altri ordini di studî hanno portato a respingere la tesi di un particolare sostrato prelatino uniforme per tutta la zona ladina. E in quanto concerne il Friuli, questo sostrato non corrisponderebbe né alla zona della diffusione preistorica dei Reti, né all'estensione della Rezia romana. Il sostrato linguistico grigione varia da quello dolomitico e questo dal friulano. La romanizzazione si compì in modo e in tempo diversi in ognuna delle tre zone. Fino dagl'inizî della romanizzazione mancò ogni contatto storico e politico fra esse, che, pur rimanendo reciprocamente isolate, ebbero una debole continuità di relazione con i dialetti delle Prealpi e della pianura e furono avulse nella prima metà del Medioevo dai grandi centri religiosi (Milano, Venezia). I Grigioni e l'Alto Adige si ambientarono, ma in modo diverso (lì Svevi, qui Baiuvari), alla cultura tedesca; essi fecero parte di organismi politicamente non italiani. Data la reciproca indipendenza storica delle tre sezioni, verrebbero dunque meno le premesse per un'unità linguistica ladina.