LABORANTE
Nacque a Pontormo, nei pressi di Firenze, probabilmente tra il 1120 e il 1125. Studiò teologia in Francia sino a conseguire il titolo di magister.
Anche se non esistono prove certe (Classen, p. 146), si può supporre che abbia frequentato le scuole parigine intorno al 1140. In particolare, potrebbe aver ascoltato le lezioni di Gilberto Porretano proprio nel momento in cui questi era al colmo della fama (Kuttner, 1937, p. 268); dal pensiero del maestro L. fu in ogni caso profondamente influenzato. Egli stesso ci informa di come, prima di rientrare in Italia, abbia continuato a viaggiare ancora per l'Europa, soggiornando in particolare in Germania. È però probabile che abbia assunto la sua preparazione giuridica solo successivamente al ritorno in Italia (Gouron). Negli anni '50 lo troviamo canonico a Capua. Nel Regno normanno entrò in contatto con gli ambienti della corte e strinse legami di amicizia con il potente ammiraglio Maione di Bari al quale dedicò un trattato (Martin, Mare vitreum, p. 53).
Nel 1173 fu nominato da Alessandro III cardinale diacono di S. Maria in Portico. In tale veste egli partecipò ai lavori del III concilio Lateranense (5-19 marzo 1179) e questo dovrebbe spiegare il fatto che L. disponesse di un testo del concilio molto vicino all'originale (Martin, Die Compilatio, p. 133). Almeno dall'autunno di quello stesso anno L. figura come cardinale prete di S. Maria in Trastevere. Agli anni del suo cardinalato risalgono anche alcune legazioni nell'Italia centro-settentrionale che egli svolse per incarico di Alessandro III. Fu in rapporti d'amicizia con "magister Vivianus", dapprima attivo nella Curia come "Sanctae Romanae Ecclesiae advocatus" e quindi (1175) eletto anch'egli cardinale. A quest'ultimo appartiene anche un piccolo trattato sul diritto d'appello che a L. è appunto indirizzato e che è anche l'unico scritto estraneo inserito nella raccolta delle opere di L. (Kuttner, 1940). L'ultima notizia su L. è datata al 6 ott. 1189. La morte dovrebbe appunto essere intervenuta tra quella data e il 1190 (cfr. Dictionnaire de théologie…) o il 1191 (Enciclopedia cattolica).
Le sue opere sono conservate in un unico codice, il solo testimone della sua produzione sia giuridica sia teologica: il manoscritto della Biblioteca apostolica Vaticana, Arch. del Cap. di S. Pietro, C.110. La prima parte del codice contiene l'opera principale di L., la Compilatio decretorum (cc. 1-243) che è dedicata al vescovo Pietro di Pamplona. L. stesso dice di averla terminata il 30 apr. 1182 dopo un lavoro prolungatosi per vent'anni. Seguono quattro trattati di contenuto prevalentemente filosofico-teologico, tutti editi da A.M. Landgraf (Laborantis cardinalis opuscula, in Florilegium patristicum…, XXXII, Bonn 1932). Il primo si intitola De iustitia et iusto (cc. 244-251v; ed. Landgraf, pp. 6-42, già edito a cura di G.B. Siragusa, Palermo 1886), fu compilato tra il 1154 e il 1160 ed è quello dedicato da L. all'ammiraglio Maione. Il secondo, il De vera libertate (cc. 251v-255v; ed. Landgraf, pp. 43-60), fu scritto tra il 1144 e il 1161 e porta la dedica all'arcivescovo Ugo di Palermo. Il terzo, Contra Sabellianos (c. 255v; ed. Landgraf, pp. 61 s.), fu scritto quando L. era già cardinale presbitero ed è indirizzato a un certo "Hermannus theologicae veritatis amicus". L'ultimo trattatello, De relativa praedicatione personae in divinis (cc. 255v-256r; ed. pp. 63-66), è infine dedicato a un tale "Rispaldus theologici sinus alumnus".
Secondo un'ipotesi (Volbach, pp. 41 s.), il manoscritto vaticano fu appunto ultimato nel 1182 e potrebbe essere stato corretto dal medesimo Laborante.
Come si diceva, l'opera principale di L. è la Compilatio decretorum, alla quale egli attese negli anni di attività presso la Curia romana. L'opera è tuttora inedita anche se una sua edizione critica è stata annunciata già da alcuni anni da N. Martin.
Si tratta di un tentativo di rielaborazione del Decretum di Graziano che ha come obiettivo primario quello di dare alla mole di materiali già raccolti da Graziano un nuovo e migliore ordine sistematico. La Compilatio si divide in sei libri (in realtà il sesto libro è concepito in forma di epilogo e si limita a ripetere e, in parte, compendiare il titolo grazianeo De consecratione). Ciascun libro è al suo interno ulteriormente suddiviso in "parti", "titoli" (o capitularia) e "capitoli". Chiaramente avvertibili sono il proposito di eliminare le ripetizioni e di abbreviare la trattazione tagliando le parti inutili. La destinazione alla pratica si intuisce, oltre che nella partizione delle materie, nel tentativo di offrire una rappresentazione sistematica del processo (il quinto libro, in particolare, si presenta come un autentico ordo iudiciarius). Le ripetute allegazioni sembrano d'altra parte palesare anche una certa cura per gli aspetti teorico-scientifici (cfr. Martin, Die Compilatio).
Relativamente alle fonti utilizzate, la dipendenza dal Decretum è subito evidente: oltre il novanta per cento dei capitoli di L. derivano infatti dall'opera di Graziano. Della rimanente parte, circa 200 capitoli, più della metà dipende invece dalla collezione canonica in 10 libri nota come Mare vitreum (ms. Napoli, Biblioteca nazionale, XII.A.27). L. potrebbe aver conosciuto questa importante ma poco nota collezione durante il suo canonicato capuano. Ampiamente utilizzata da L. fu anche la Summa decretorum del bolognese Rufino. Una cinquantina di capitoli sono ripresi dai commentari di Gilberto Porretano ai Salmi e a s. Paolo (Martin, Mare vitreum). L. utilizza anche le Sentenze di Pietro Lombardo. Fra le aggiunte rispetto a Graziano figurano finalmente anche i canoni del III concilio Lateranense e alcune decretali di Innocenzo II, Eugenio III e Alessandro III.
Nonostante il prestigio derivante dal fatto che quando L. ultimò la sua collezione egli apparteneva già da circa un decennio al Collegio cardinalizio, e per quanto il valore intrinseco dell'opera possa oggi apparire sotto più aspetti pregevole, la Compilatio decretorum di L. non sembra aver suscitato il minimo interesse presso i contemporanei e gli epigoni, i quali continuarono a preferire la raccolta di Graziano pur non nascondendone le mende. Se si eccettua l'uso che forse ne fecero Pierre di Blois (Schulte) o i Correctores Romani del Decretum (Kuttner), l'opera di L. sembra non aver lasciato traccia di sé nella scienza canonistica. È assai probabile che a nuocere alla fortuna della sua Compilatio sia stata soprattutto la pronta recensione del testo grazianeo nell'insegnamento scolastico a Bologna e altrove (vanno in particolare considerate sia le modifiche che al testo stesso di Graziano apportarono già i suoi allievi diretti sia l'ampia letteratura subito sviluppatasi su di esso). Un certo peso, per converso, può avere avuto anche la lontananza di L. da quei medesimi ambienti scolastici (a parere del Weigand è probabile che L. non abbia mai insegnato) e la scarsa propensione dimostrata negli ultimi decenni della sua vita ad allontanarsi dalla Curia.
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