La vita religiosa
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il periodo di rinascita che accompagna l’Europa dopo il Mille riguarda anche la vita religiosa, il cui cambiamento è favorito dal rinnovamento della Chiesa che si erge a protagonista, non solo spirituale, ma anche politico dell’epoca. Contemporaneamente emergono movimenti che mirano a ripristinare lo spirito della Chiesa primitiva: è l’inizio dell’esperienza dei movimenti pauperistici e penitenziali che avranno grande influsso a partire dal XIII secolo.
Dopo il Mille tutta la vita dell’Europa rinasce. Le campagne incominciano a produrre di più, la popolazione aumenta, le città diventano attivi centri commerciali nei quali si sviluppa un’economia monetaria, la circolazione delle idee e degli uomini diventa intensa. Anche la vita religiosa si rinnova.
Non si pensi, tuttavia, a una netta e profonda rottura dall’età precedente. Ci troviamo di fronte a strutture che si evolvono in maniera più complessa e più repentina che per il passato. È, infatti, soltanto alla metà dell’XI secolo che l’Europa entra nella piena età feudale, che la cultura e gli istituti feudali raggiungono la loro piena maturità. Tutta la società è in movimento, senza per questo segnare una netta cesura con il passato. Nuovi ceti cittadini e rurali nascono ed entrano sulla scena politica; nuovi insediamenti si formano; nelle campagne i castelli si impongono come nuovi punti di riferimento e di aggregazione del territorio; i milites dei castelli diventano i titolari delle nuove signorie fondiarie e territoriali, mentre le antiche circoscrizioni pubbliche si dissolvono.
La vita religiosa è pienamente coinvolta in questa “rinascita”. Già alla fine del secolo X si sono levate voci negli ambienti monastici che hanno auspicato un cambiamento delle strutture della Chiesa e un rinnovamento della vita religiosa. A imitazione e in collegamento con il monastero di Cluny in Francia, numerosi monasteri si sono infatti sottratti al patronato laico e alla giurisdizione vescovile. Si è, insomma, andato definendo e precisando quel concetto di libertas ecclesiae, che è il tema fondamentale intorno al quale si incentra tutta la vita religiosa europea dell’XI e XII secolo. Liberare la Chiesa dalla superiorità e dalle investiture dei laici diventa l’obiettivo primario non soltanto della gerarchia romana, ma anche di tutti i componenti del corpus ecclesiae.
Di contro, l’imperatore, nell’illusione che facendosi sostenitore della riforma della Chiesa – si pensi, ad esempio, a Enrico III –, possa meglio consolidare il proprio potere, non si accorge che la libertas ecclesiae non gli consente margini di manovra e di recupero. Additato come la causa prima dei mali della Chiesa, è accusato e umiliato, nella persona di Enrico IV, a Canossa (1077).
Il papato riformato diventa per l’Europa cristiana e per i regni il nuovo vertice politico di riferimento.
Un monaco di Cluny, Ildebrando di Soana, esponente di primo piano del partito della riforma in seno alla curia romana, eletto papa nel 1073 con il nome di Gregorio VII, porta a termine questa operazione che è, nello stesso tempo, ideologica e politica. Egli trasforma la contesa per l’affermazione della libertas ecclesiae, per l’affrancamento dal potere laico, nella lotta contro le investiture dei vescovi e degli abati da parte del potere laico, nella lotta, cioè, per imporre la Chiesa al di sopra del potere laico. Scrive il pontefice: “se la Sede Apostolica ha avuto da Dio la giurisdizione sulle cose spirituali, perché non dovrebbe avere la giurisdizione anche su quelle temporali” Ci si trova di fronte a delle idee rivoluzionarie, che Gregorio VII all’inizio del 1075 riassume in 27 proposizioni raccolte in un documento noto come Dictatus papae.
Questa svolta epocale della Chiesa romana è accompagnata da un profondo cambiamento della vita religiosa, che si adegua ai fermenti di rinnovamento della gerarchia ecclesiastica e alle nuove strutture della società in movimento.
Lentamente si abbandona lo schema tripartito dell’immobile società altomedievale, nella quale per ogni nobile che comanda, per ogni cavaliere che combatte, per ogni ecclesiastico che prega, vi sono molti uomini che devono lavorare e devono essere sfruttati per il bene comune.
A esso si sostituisce una società allargata e articolata in modo nuovo, nella quale sono inseriti e attivi ceti prima del tutto assenti, come quello cittadino e mercantile, che sono portatori di idee e di valori legati alle nuove realtà politiche ed economiche di cui sono espressione. In particolare, costoro pongono al centro dell’attenzione la valorizzazione dell’uomo, la sua capacità di apprendere, ma anche quella di creare. Le vecchie scuole episcopali e monastiche, in cui gli alunni sono ripetitori di conoscenze, diventano, anche grazie alla nascita delle università all’inizio del XII secolo, centri in cui tutti, i ricchi come quelli di condizione sociale modesta, possono essere istruiti ed elevati socialmente. I fedeli chiedono di non essere più soltanto gli spettatori passivi delle scene della Bibbia raffigurate sulle pareti delle chiese altomedievali, ma di potere tradurre in volgare la Bibbia, così da assumere un ruolo attivo nella vita della Chiesa.
In questa società cristiana in movimento anche i pellegrinaggi ai luoghi santi, a San Giacomo di Compostela, a Roma, a Gerusalemme, acquistano un nuovo significato, perché sono affrontati come una scelta individuale e un percorso penitenziale in cui il credente, in una visione escatologica non più legata alle paure dell’anno Mille, ricerca una sua autonoma via di salvezza.
Alla fine dell’XI secolo si assiste in tutta Europa a un progressivo recupero dei poteri politici centrali nei confronti delle signorie di castello e territoriali in cui si è andato parcellizzando il potere politico dall’inizio del secolo.
I sovrani e gli imperatori (questi ultimi prevalentemente in Germania) di fronte alla crisi della grande feudalità, dei conti, dei marchesi, dei vescovi conti, si collegano ai titolari delle nuove signorie, li legittimano e li riconoscono, li trasformano in propri feudatari, talvolta in propri funzionari. In Francia, ad esempio, la monarchia capetingia, proprio grazie al sostegno dei piccoli signori e delle nascenti borghesie cittadine, emargina l’alta feudalità e getta le fondamenta dello Stato unitario.
Quando nel 1095 si profila l’idea della “crociata” contro i Turchi, tutta l’alta feudalità europea vi partecipa con entusiasmo, alla ricerca, come la massa dei contadini senza terra che la segue, di un riscatto e di nuove fortune.
In Europa, il fenomeno del recupero del potere centrale tra XI e XII secolo investe anche la vita religiosa, e quella della Chiesa romana in particolare.
Papa Urbano II, che a Clermont Ferrand indice la prima crociata, avvia una profonda trasformazione in senso clericale della cosiddetta “riforma gregoriana”, d’ispirazione squisitamente monastica, i cui effetti si risentono nella vita della Chiesa e in quella, più in generale, del popolo cristiano nel corso del XII secolo. Egli rafforza l’autorità dei vescovi nelle diocesi, e pone le basi, meglio e più di papa Gregorio VII, per la nascita di quella struttura gerarchizzata, che vede al suo vertice il papa, destinata a sopravvivere fino a oggi.
La sua riforma, basata sull’accordo, e talvolta sul compromesso con i vescovi e con le realtà locali, ha il merito di fare sentire i suoi effetti in tutta l’Europa cristiana, e di escludere definitivamente i laici dal governo delle cose ecclesiastiche, conferendo un ruolo essenziale e fondamentale ai distretti diocesani. Al tempo stesso ha però il demerito di chiudere, sul piano locale, tutti gli spazi di autonomia al popolo cristiano, attribuendo ai vescovi l’autorità assoluta all’interno delle diocesi. Urbano II pone, in questo modo, le premesse perché, come nel caso dei patarini milanesi, le realtà locali favoriscano la nascita dei numerosi movimenti ereticali di cui è caratterizzato il XII secolo. Il concilio lateranense I del 1123, primo della cristianità occidentale, sancisce la riforma di Urbano II. Afferma il primato della Chiesa romana sulle Chiese locali e rivendica alla gerarchia ecclesiastica diocesana la cura delle anime. Il papato si pone come punto di riferimento insostituibile sullo scenario politico. Diventa il referente dei nascenti regni in Europa, dei liberi Comuni in Italia. Il tentativo dell’imperatore Federico I di Svevia, detto il Barbarossa, di trasformare l’impero in una monarchia assoluta non può che essere destinato a naufragare.
Nel corso del XII secolo, il nuovo ruolo del papato romano è accompagnato da profonde trasformazioni della vita religiosa. Entra in crisi la cultura platonico-agostiniana che sorregge l’ideale monastico dell’ascetismo e del distacco dal mondo, e che emargina i ceti cittadini e mercantili, detentori del potere nei nuovi contesti politici. La donna non può essere più considerata soltanto come fonte di peccato. La mercatura non può più essere condannata.
Bernardo di Chiaravalle, un monaco cistercense di origini nobili, che, primo dei mistici dell’Occidente, domina con la sua personalità e i suoi scritti la prima metà del secolo, è l’epigono di questa cultura. Consapevole della crisi del monachesimo ascetico, predica l’ideale di una Chiesa riformata e di un laicato a essa soggetto.
Anche un non trascurabile gruppo di laici pensa di abbandonare il mondo e di ricercare un autonomo rapporto con Dio. Sono i catari, che elaborano un’eretica dottrina di stampo manicheo, basata sul presupposto di un insanabile contrasto tra spirito e materia, e che sperimentano autonome forme di vita religiosa e civile tra la Provenza e l’Italia padana.
Contro la fuga dal mondo, la nuova Europa dei regni e delle città elabora con realismo una strada che la porta, nelle nuove fucine della cultura rappresentate dalle università, a studiare il mondo ricorrendo alla fisica e alle arti meccaniche, a guardare all’uomo e al mondo ricercando finalmente un’armonia con la verità rivelata.
Per questa strada si perviene a valorizzare l’uomo e il contesto in cui opera, e si giunge, sul piano della vita religiosa, a una nuova e rivoluzionaria acquisizione.
Il fedele laico, povero ed emarginato, non è più quel soggetto che è visto dalla comunità dei fedeli con sospetto, che deve scontare le sue colpe, che riceve l’elemosina dai ricchi. La condizione del povero e del penitente incomincia ad essere vista come quella propria di ogni buon cristiano, che voglia davvero vivere il Vangelo.
All’inizio degli anni Settanta, un mercante di Lione, di nome Valdo, fonda la comunità dei Poveri di Lione. Egli vuole ripristinare i valori della Chiesa primitiva, priva di gerarchie, nella quale tutto è in comune.
La vita religiosa è in pieno fermento alla fine del secolo, pervasa dalla spiritualità penitenziale e dal movimento pauperistico, che sono appena nati, ma che impronteranno di sé, con Francesco d’Assisi e Domenico di Guzmán, tutta la cristianità dell’Europa del secolo seguente.