di Claudio Arbore
Nella primavera 2014 la Guinea-Bissau è tornata nuovamente al voto sotto la forte pressione della comunità internazionale, Ecowas e Un in testa, nel tentativo di ripristinare l’ordine democratico bruscamente interrotto dal golpe militare realizzato durante le elezioni presidenziali del 2012. Il processo elettorale, che è stato definito trasparente, ordinato e libero dalla speciale commissione di osservatori dell’Unione Europea, ha permesso di eleggere il nuovo presidente della Repubblica e i deputati dell’Assembleia Nacional Popular. Tuttavia non si può affermare che la Guinea-Bissau sia uscita dalla cosiddetta fase di transizione politica che ha fatto seguito al golpe, con un governo da poco insediato e già al centro di polemiche per rinnovate pratiche clientelari e di privilegio della classe dirigente, una riforma costituzionale delicata da affrontare con una classe politica ancora in corso di legittimazione e soprattutto con il problematico riposizionamento delle alte gerarchie militari in quadri costituzionali di subalternità al potere politico, da sempre il vero problema al centro delle periodiche crisi del piccolo stato africano. Il nuovo presidente della Repubblica José Mário Vaz, esponente del Paigc (Partido Africano da Independência da Guiné e de Cabo Verde) e il nuovo parlamento dovranno faticare non poco per scrollare di dosso l’etichetta di estado falhado alla Guinea-Bissau.
Ad acuire l’instabilità e la dinamicità dei quadri politici di quest’ultimo decennio, e a segnarne fatalmente le tappe, sarà però soprattutto il traffico internazionale di droga. Almeno dal 2005, infatti, la cocaina proveniente dal Sudamerica è andata progressivamente sostituendo i lucrosi affari del traffico di armi che l’ex presidente Nino Vieira prima e i vari generali poi, gestirono durante le crisi degli anni Novanta in Liberia e Sierra Leone. L’accelerazione impressa ai quadri geopolitici guineani e transahariani dal traffico di cocaina sarà impressionante. Il numero degli sbarchi dei carichi procedenti da Colombia, Brasile e Venezuela e i rispettivi quantitativi aumenteranno vertiginosamente nel giro di un paio d’anni. E con loro anche la spregiudicatezza dei baroni locali della droga, arrivando ad utilizzare l’aeroporto di Bissau con aerei privati e mettendo in scena arresti e sequestri, per poi far sparire la droga dai depositi della polizia giudiziaria nel giro di qualche giorno.
A gestire il traffico locale è Nino Vieira, ma a contenderglielo in una situazione di conflitto crescente ci sono generali di ogni corpo d’armata, tra i quali spicca il nome del capo di stato maggiore dell’esercito Batista Tagme Na Wai. Vieira è ossessionato dal potere crescente dei generali e decide di chiudere la partita con un’azione di forza violenta per sbaragliare i concorrenti e accreditarsi come interlocutore affidabile dei cartelli sudamericani. Il 1° marzo del 2009 Tagme Na Wai viene ucciso con un attentato dinamitardo che per modalità e natura non ha precedenti in Africa occidentale. I militari di Tagme non hanno dubbi nell’individuare nel presidente Nino Vieira il mandante dell’attentato e in quella stessa notte attaccano la residenza presidenziale, uccidendolo.
Il traffico continua, così come le pericolose connection dei militari guineani con le organizzazioni che garantiscono alla droga di attraversare il Sahara per raggiungere l’Europa. Chi garantisce il passaggio sono soprattutto le organizzazioni terroristiche jihadiste dell’Aqim (al-Qaida nel Maghreb islamico) e del Mujao (Mouvement pour l’Unicité et le Jihad en Afrique de l’Ouest) che con il narcotraffico finanziano le proprie attività terroristiche. La droga diventa la nuova moneta delle internazionali criminali, dai cartelli dei narcos colombiani, alle reti terroristiche jihadiste che si stanno radicando sempre più nel Sahel. In mezzo ci sono i militari bissau-guineani e i protagonisti di questa fase, dopo la scomparsa di Vieira, sono Américo Bubo Na Tchuto e Antonio Indjai, gli stessi che hanno ordito il golpe del 12 aprile 2012 tra il primo e il secondo turno delle presidenziali prendendo il controllo definitivo del passaggio locale della droga e instaurando un regime dittatoriale sotto un debole governo di transizione, dove gli omicidi politici e i pestaggi delle voci dissidenti, sono praticati sistematicamente. La Guinea-Bissau si lega sempre più pericolosamente alle cellule magrebine di Aqim e alla rete Hezbollah, trafficando non solo droga, ma anche armi, che finiscono direttamente alle organizzazioni terroristiche. Due terroristi responsabili dell’uccisione di una famiglia di quattro turisti francesi in Mauritania vengono arrestati a Bissau dall’Interpol, con l’appoggio dei servizi francesi. Ma Bubo Na Tchuto vanifica l’operazione, facendoli fuggire poco dopo.
Per la Guinea-Bissau si inizia a parlare di narcoterrorismo. A questo punto l’attenzione degli Usa, fino a quel momento concentrata soprattutto sull’asse Libia-Azawad, si sposta anche su Bissau. Un agente della Dea statunitense in missione viene arrestato, torturato e ucciso dagli uomini di Bubo, che entra così nella lista dei baroni della droga più pericolosi e ricercati. L’epilogo arriva il 3 aprile 2013, quando al largo della costa di Bissau gli agenti della Dea statunitense arrestano Bubo Na Tchuto dopo averlo attirato a bordo di una nave con l’inganno. Bubo Na Tchuto è in prigione negli Usa; Antonio Indjai, che molti ritengono abbia barattato la propria libertà con la consegna di Bubo agli Usa e quella del potere alle nuove cariche dello stato, ha abbandonato il suo linguaggio violento presentandosi a votare al seggio delle ultime elezioni senza uniforme e con una colomba bianca in mano. Al governo appena insediato rimane invece l’immane compito di risollevare il paese dalla povertà e dal degrado politico e sociale generato da 15 anni di guerre e colpi di stato, esacerbati dal traffico internazionale di droga.