LA VALLE
Famiglia di organari palermitani attivi in Sicilia nei secoli XVI e XVII, in stretti rapporti con l'ambiente musicale isolano che proprio nel tardo Rinascimento vide il fiorire della famosa scuola polifonica siciliana fondata da Pietro Vinci.
Primo della famiglia a occuparsi della costruzione di organi fu Antonio, citato in un documento del 1555 in cui si impegna a prestare servizio per tre mesi presso l'importante organaro palermitano Silvestro Corica, con il quale probabilmente perfezionò la propria arte.
Il figlio Raffaele, nato a Palermo intorno al 1543, divenne la presenza più rilevante nell'ambito organario siciliano del tardo Cinquecento. Nel 1570 realizzò uno strumento per la Confraternita di S. Maria la Nova di Palermo e tra il 1571 e il 1574 ne costruì tre per le chiese conventuali dei carmelitani di Nicosia (Enna), Naro e Trapani.
Questo particolare legame con l'Ordine dei carmelitani potrebbe essere in relazione con i rapporti tenuti con lo stesso ordine dal S. Corica: questi, pochi anni prima, aveva realizzato alcuni strumenti per i carmelitani, e le sue opere vennero spesso utilizzate come modello da Raffaele, come nel caso dell'organo della chiesa matrice di Mirto, realizzato "in eius apoteca" nel 1579 con otto registri e le stesse caratteristiche di quello costruito nel 1561 dal Corica per la chiesa di S. Antonio Abate di Palermo, revisionato dallo stesso Raffaele nel 1580.
Dal contratto di commissione dell'organo per la chiesa domenicana di S. Maria degli Angeli in Caccamo (1576) si rileva, inoltre, che Raffaele dopo la realizzazione dello strumento si impegnò a suonarlo per un anno nelle principali feste della chiesa (Arch. di Stato di Palermo, Notai, I, vol. 10628). La notizia risulta alquanto interessante e singolare perché rivelatrice di particolari competenze musicali di Raffaele, probabilmente superiori a quelle normalmente richieste per l'esercizio della professione, che non frequentemente risultano documentate tra gli organari anche nei secoli seguenti. Nel 1581 è documentata la costruzione di un primo grande organo di 16 piedi per il duomo di Enna "intaglato [sic] della forma delo organo delo convento de Santo Francesco […] di Palermo", con quattro mantici e dieci registri, fra cui quello denominato "organetto", particolare registro utilizzato nel Napoletano già dagli inizi del '500 (Dispensa Zaccaria, p. 20). Dopo la realizzazione di altri strumenti di medie dimensioni per le chiese matrici di S. Marco d'Alunzio nel 1589 (Miracola, p. 53), Capizzi e Piazza Armerina nel 1590 (Arch. della cattedrale, Patrimonio ordinario, 1588-1635), nel 1593 iniziò l'opera più importante di cui sia giunta notizia, la costruzione dei due organi della cattedrale di Palermo.
Si trattava di due strumenti "uno grandi et uno più piccolo": il primo con dieci registri su base 16 piedi e tastiera di 50 tasti più "quattro canni chiamati contrabascio di altezza di palmi 29 in 30 [24 piedi] chiamati Fefaut, Gesolreut, Alamire, Befabemi in negro che siano per VIIIa sutto della tastame e saranno fora di essa tastame"; il secondo di 8 registri su base 8 piedi e tastiera di 45 tasti con 6 tasti spezzati (Dispensa Zaccaria, p. 139). Tali strumenti, come era consuetudine nelle principali chiese siciliane, erano posti negli ultimi intercolumni della navata centrale, uno a destra e uno a sinistra, permettendo così esecuzioni policorali e "a doppio coro", responsoriali o alternate. In un manoscritto seicentesco i due manufatti sono così descritti: "organi di smisurata grandezza, nei quali si vedono canne così grandi che vi entrerebbe un uomo: sono tutti ben lavorati con oro e argento, con altri colori, con il cielo stellato e il suolo [cantorie] ben effigiato dalle storie delle Sante Vergini" (cit. in Di Giovanni, pp. 82 s.).
Tanta era la bellezza degli strumenti e la fama del loro artefice che anche il papa Paolo V, "il quale dalle lettere degli amici venne informato della perizia di Raffaele, che già aveva conosciuta dai discorsi di moltissimi" (Villari - Meli), lo volle invitare a realizzare uno strumento a Roma, ma, probabilmente per motivi di salute, l'organaro non poté accettare l'incarico. Ancora dopo alcuni decenni anche il famoso organaro fiammingo Willem Hermans, invitato nel 1673 a realizzare un organo per la chiesa di Casa Professa a Palermo, giudicò molto positivamente gli strumenti creati da Raffaele per la cattedrale palermitana (ibid.).
Nel 1594, mentre ancora lavorava agli organi della cattedrale, Raffaele si impegnò alla realizzazione di un altro importante strumento per il monastero benedettino di S. Martino delle Scale a Palermo, uno dei maggiori dell'isola. Anche in questo caso venne richiesto un organo di grandi dimensioni, su base 16 piedi, con 10 registri, fra cui l'"organetto", e una tastiera di 50 tasti con "sei semitoni spartiti del modo e forma quali si hanno di fare all'organo piccolo di la maiori ecclesia" di Palermo (Dispensa Zaccaria, pp. 140 s.).
I numerosi strumenti costruiti da Raffaele nel trentennio successivo alle grandi opere palermitane risultano invece di medie dimensioni e concentrati nella Sicilia centroccidentale (cfr. ibid., pp. 20 s.): Ciminna (matrice, 1600), Tusa (matrice, 1607), Trapani (S. Nicolò e S. Domenico [incerto], 1612), Cefalù (cattedrale, 1612 [data incerta]), Palermo (S. Maria degli Angeli, 1615; S. Maria Maddalena, 1617 [data incerta]), Erice (S. Giuliano, 1619), Mussomeli (S. Maria dei Miracoli, 1620), Cammarata (S. Vito, 1620).
Agli inizi del 1620, infine, Raffaele finanziò l'edificazione della chiesa e oratorio di S. Maria Maggiore a Palermo, dove fu seppellito l'8 apr. 1621, come richiesto nel proprio testamento redatto il 25 marzo dello stesso anno.
Il rogito prevedeva, oltre a generosi lasciti in denaro ai figli, la donazione della bottega organaria e degli utensili al figlio Francesco, nato da Filippa e battezzato il 4 maggio 1583 a Palermo. Francesco aveva aiutato il padre nella costruzione degli ultimi strumenti e nel 1613 aveva eseguito un piccolo organo per don Vincenzo D'Elia, illustre musicista della capitale siciliana che nel 1636 dirigerà la cappella musicale palatina. Francesco morì a Palermo l'8 maggio 1637.
Antonino, figlio anch'egli di Raffaele e Filippa, fu battezzato a Palermo il 6 ag. 1572. Acquisita l'arte dal padre, dovette presto staccarsi dalla bottega paterna e condurre attività propria, poiché già nel 1597 effettuava un intervento di riparazione all'organo del duomo di Cefalù (Arch. di Stato di Palermo - Sezione di Termini Imerese, Notai, Cefalù, vol. 416), e nel 1601 veniva pagato per la realizzazione dell'organo della chiesa madre di S. Salvatore di Fitalia.
Pochi anni dopo lavorava a importanti strumenti per alcune cattedrali siciliane: nel 1608 per quella di Agrigento e nel 1610 per la cattedrale di Patti, commissionatogli dal vescovo don Vincenzo De Napoli con le medesime caratteristiche dell'organo eseguito dal padre Raffaele per il monastero di S. Martino delle Scale: altezza di 16 piedi, 10 registri fra cui l'"organetto" e "al tono del organo dela maiori panormitane ecclesia"; alla stipula dell'atto era inoltre presente il musico dell'Ordine dei frati minori conventuali Vincenzo Gallo, originario di Alcara Li Fusi (Messina), all'epoca maestro della cappella palatina e del duomo di Palermo.
Nel 1614 Antonino firmò l'organo "in cornu evangelii" del duomo di Cefalù, una delle poche opere conservatesi, pur se con alcune modifiche settecentesche, con prospetto a cinque campate e 10 registri su base 16 piedi, posto sulla cantoria di fronte all'altro organo realizzato due anni prima dal padre Raffaele.
L'anno successivo, in occasione della costruzione dell'organo del convento di S. Agostino di Piazza Armerina, che doveva essere simile a quello del monastero della Martorana di Palermo, venne coinvolto come procuratore anche il famoso musico Antonio Il Verso, principale discepolo di P. Vinci, e all'epoca maestro di cappella della matrice di Piazza Armerina, a ulteriore riprova degli importanti rapporti professionali che legavano i L. all'ambiente musicale siciliano.
L'attività di Antonino continuò intensa per un altro trentennio circa e almeno fino al 1640, data a cui risale l'ultima notizia relativa alla costruzione dell'organo della chiesa matrice di Pollina (Arch. di Stato di Palermo - Sezione di Termini Imerese, Notai, Cefalù, vol. 4074); a questo periodo risalgono numerosi strumenti di medie e grandi dimensioni costruiti da Antonino nella chiese della Sicilia nordoccidentale. Tra essi è opportuno ricordare quelli che si sono conservati, più o meno integri, in alcune chiese del Palermitano: matrici di Sclafani Bagni (1615), Caltavuturo (1619) e Collesano (1626), e quello per la cattedrale di Caltanissetta (1638), di cui si conserva soltanto il sontuoso prospetto intagliato e dorato, eseguito in collaborazione con il figlio Raffaele (Dispensa Zaccaria, pp. 150 s.) e per il quale venne richiesta una consulenza al famoso musico gesuita padre Erasmo Marotta, uno degli epigoni della scuola polifonica siciliana.
Antonino morì a Palermo e venne seppellito il 16 sett. 1645 nella chiesa di S. Maria Maggiore, come già il padre e il fratello Francesco.
La maggior parte degli strumenti realizzati dai L. presentavano la tipica impostazione in Do di 10 palmi (1 palmo siciliano corrispondeva a 26 cm circa, quindi 10 palmi = 8 piedi circa) per strumenti medi con un numero di registri variabile da 6 a 9, e nel Do di 20 palmi (16 piedi) per gli strumenti più monumentali con un numero massimo di 10 registri. Pochi risultano invece gli organi positivi con impostazione in Do di 5 palmi (4 piedi) destinati soprattutto a conventi, monasteri e privati. La canna maggiore in facciata corrisponde spesso al Do di 8 o 16 piedi del Principale I di stagno, mentre è espressamente indicata la presenza nel prospetto di canne maggiori più piccole, come per l'organo del monastero di S. Martino delle Scale di Palermo del 1594: "che sia di palmi dodici di apparentia e di palmi deciotto di tono" (Dispensa Zaccaria, p. 140).
L'estensione tipica delle tastiere risulta compresa dal Do-1 al Do5 (con prima ottava corta) per un totale di 45 tasti per organi di media grandezza (8 piedi), mentre arriva fino a 50 tasti per organi di 16 piedi (Do1-Fa5, con prima ottava corta) e addirittura a 57 in uno strumento di 16 piedi realizzato ad Acireale nel 1637 (Do1-Do5, con prima ottava corta). È inoltre possibile riscontrare la presenza di tasti spezzati in organi realizzati tra la fine del secolo XVI e la metà del XVII: "sei semitoni spartiti" (1593, organo di 8 piedi della cattedrale di Palermo e di 16 piedi del monastero di S. Martino delle Scale); "otto bassi spezzati con soi canni per lo cromatico" (1638, organo di 8 piedi della matrice di Caltanissetta) di cui in seguito all'intervento di E. Marotta se ne realizzarono sette (ibid., pp. 139, 141, 151).
Riguardo la pedaliera, solo raramente è citata nei documenti e quindi si può solo presumere che fosse scavezza, cioè con 8 tasti come la prima ottava della tastiera (Do1-Si1) a cui era forse costantemente unita, e con piccoli pedali sporgenti dalla cassa così come praticato in Sicilia fino al secolo XIX. Una "pidalora raddoppiata" era indicata per l'organo della cattedrale di Palermo nel 1593 che presentava quattro contrabbassi di 29-30 palmi (circa 26 piedi) corrispondenti alle note Fa, Sol, La, Si "in negro che siano per ottava sutto della tastame" (ibid., p. 139). Peraltro i contrabbassi quando vengono citati sono previsti in legno e spesso tappati.
La composizione fonica di base per strumenti di 8 piedi risulta costituita quasi sempre da 8 registri: Principale I in facciata di stagno, Ottava, XV, XIX, XXII e XXVI e un Principale II dal Do2 definito "surdo" o "muto" e denominato spesso Principale "darreri" (di dietro); inoltre è presente un solo registro di Flauto di 8 piedi spesso del tipo "alla tedesca" cioè tappato.
Negli strumenti di 16 piedi, commissionati per le chiese più grandi e importanti, alla citata impostazione fonica si aggiungono altri due registri: la XXIX e l'"organetto"; solo per l'organo maggiore della cattedrale di Palermo del 1593 si prevede un Flauto in ottava invece della XXIX, mentre è previsto un raddoppio della XXVI come in altri strumenti delle stesse dimensioni.
Particolarmente interessante risulta la citata presenza del registro denominato "organetto", unisono del Principale, con un'estensione che andava dal Fa3 fino all'ultimo tasto (solo in un caso dal Do3) e che in uno strumento del 1637 (Acireale, chiesa matrice) risultava triplicato da metà con una XV e una XIX poste sulla medesima stecca. La prova che si trattava di un registro a sé stante è data da una lettera scritta dal maestro di cappella abate don Ottavio Catalano, attivo anche a Roma come maestro di cappella a S. Apollinare (1606-08 e 1611-13) e come insegnante di Marc'Antonio Borghese principe di Sulmona, in occasione di un parere richiestogli per la costruzione del citato organo di Acireale, commissionato al palermitano Paolo Bonaiuto: "che il registro che chiamano organetto sia similmente dalla metà in su triplicato con una quintadecima decimanona e quel che meglio parerà per tanto maggiormente dar spalla al ripieno e che a detto organetto suonino tutti li tre registri insieme sempre, che tutti li tre registri faccino un registro solo" (Arch. di Stato di Catania, Notai, I, vol. 15799). Pertanto appare improbabile l'ipotesi che il termine si riferisca a una primitiva funzione sonora degli "organetti morti" posti nei prospetti d'organo rinascimentali, mentre è molto probabile che si trattasse di un registro con funzione di sostegno del ripieno.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Palermo, Notai, I, vol. 10628 (10 sett. 1576; segnalato da P. Scibilia); Arch. di Stato di Palermo - Sezione di Termini Imerese, Notai, Cefalù, vol. 416, (Giovanni Andrea Sardo), c. 313r; vol. 4074 (Calogero D'Anna), cc. 230v-231 (segnalati da R. Termotto); Arch. di Stato di Catania, Notai, I, vol. 15799, cc. 169r-173 (segnalato da S. Consoli); Piazza Armerina, Archivio della Cattedrale, Patrimonio ordinario chiesa madre, 1588-1635, c. 40; Palermo, Biblioteca comunale, Mss., Qq.H.47, l. II: V. Di Giovanni, Del Palermo restaurato (1615 circa), pp. 82 s.; D. Di Pasquale, L'organo in Sicilia dal sec. XIII al sec. XX, Palermo 1929, pp. 37-39; O. Tiby, I polifonisti siciliani del XVI e XVII secolo, Palermo 1969, passim; G. Dispensa Zaccaria, Organi e organari in Sicilia dal '400 al '900, Palermo 1988, ad nomen; G. Larinà, Prospetti d'organo barocchi in Sicilia e Malta, in Annali del Barocco in Sicilia, VII (2000), pp. 169-176; G. Villari - G. Meli, Il tempio dei Re. Con la ristampa anastatica compattata del "De principe templo panormitano" (1728) di G.M. Amato, Palermo 2001, p. LXXIII; S. Miracola, S. Marco d'Alunzio (pagine d'archivio), San Marco d'Alunzio 2001, p. 53.