Sennuccio, la tua poca personuzza
L'attribuzione a D. di questo sonetto (Rime dubbie VI; schema abba abba; aba aba, rime in -uzza e -uzzo) si basa sostanzialmente sulla rubrica (" S[one]tto di Dante a Sennuccio ") dell'unica testimonianza manoscritta che di esso sia pervenuta, il codice Chigiano L IV 131, che in fatto di attribuzioni risulta notevolmente sospetto, e non dà quindi sufficiente affidamento.
Il dubbio sembra trovare ulteriore conferma nella circostanza che il sonetto di tipo analogo Guata, Manetto, questa scrignutuzza del Cavalcanti è nel Chigiano attribuito a D., mentre è adespoto nel Magliabechiano VII 1041; poiché con ogni probabilità (Barbi, Studi 498) il Magliabechiano e il Chigiano derivano da una fonte comune, " sorge il sospetto che in essa anche il sonetto Sennuccio fosse adespoto, e che il trascrittore del Chigiano, una volta assegnato a Dante Guata, Manetto, rilevata l'analogia, assegnasse a Dante anche Sennuccio " (Barbi-Pernicone, p. 674).
Rilevata l'affinità del sonetto " nella caricatura e nella fattura ", nonché per le rime in -uzza, con Guata, Manetto e con Deh guata, Ciampol, ben questa vecchiuzza attribuito a Cecco Angiolieri, Guido Mazzoni conclude per l'attribuzione del sonetto a D., già apparsa probabile al Barbi: per il quale (cfr. edizione del '21, p. 139) l'esame interno del componimento rivelava " un artista non mediocre e un sentimento di superiorità che non disdice a Dante; e poiché sembra la risposta d'Amore alla canzone di Sennuccio Amor, tu sai ch'io son col capo cano, non è da escludere che Dante nell'esilio si inducesse a scherzare così col suo compagno di sventura ".
Occorrerà tuttavia notare che se il sonetto cavalcantiano e Deh guata presentano alcuni legami (il ritratto della vecchia ingobbita, l'incipit, il sospetto di satira della terminologia cavalcantiana nella chiusa di Deh guata, " sì, che per poco non ti fa perire / gli spiriti amorosi ne lo core "), non bastano le rime in -uzza limitate del resto in Guata, Manetto ai versi 1, 4, 5, 8, o quelle in -uzza e -izza nelle quartine di Deh guata per sostenere validamente la paternità dantesca di questo sonetto a Sennuccio. Neppure convincono le considerazioni del Pézard, anch'egli propenso all'attribuzione a D. basata su elementi stilistici e contenutistici già presenti altrove nell'opera del poeta: il quale possiede " il senso del ridicolo (Conv. III VIII 11), sa scherzare all'occasione, e sa anche essere pesante (Rime LXXIII, LXXV, LXXVII). E si diletta a forgiare vocaboli nuovi - anche se qui non si tratta di verbi come inventrarsi o inmillarsi ". Né il passo del Convivio ci sembra infatti richiamato a proposito (E che è ridere se non una corruscazione de la dilettazione de l'anima...? E però si conviene a l'uomo, a dimostrare la sua anima ne l'allegrezza moderata, moderatamente ridere, con onesta severitade e con poco movimento de la sua [f]accia), né la temperie stilistica della tenzone con Forese è perfettamente allineabile con quella del sonetto; né i numerosi diminutivi possono considerarsi neoformazioni vere e proprie, ma piuttosto frutti di un abile e teso gioco retorico condotto sul filo della parodia.
Probabile scherzosa risposta alla canzone di Sennuccio Amor, tu sai ch'io son col capo cano (nella quale è tra l'altro ripreso, al v. 70, If V 103); il sonetto, formato da un solo periodo, rimprovera per bocca di Amore Sennuccio per la sua eccessiva timidezza nei confronti di quella donna che miri fisuzzo (v. 10).
Il testo del sonetto approntato dal Barbi - che è peraltro intervenuto sul testo offerto dal codice soltanto per correggere l'ipometria del v. 8 sostituendo " pocuzza " con pochettuzza - non è accettato integralmente da tutti gli studiosi, particolarmente per quanto concerne i versi 5 e 8, ipometri. Per ragioni metriche, ma anche per chiarire il senso letterale del v. 8, il Mazzoni propone " poca uzza " o, accettando la congettura testuale del Barbi, " pochett'uzza ". Il Pézard, sempre allo stesso luogo, suppone invece un erroneo scambio d'iniziale, e propone di correggere il " pocuzza " in un discutibile " [C]ocuzz[uzz]a ", che risponderebbe anche al senso, secondo lo studioso (ma resterebbe poi da chiarire il significato dell'espressione " ambiando con la cocuzzuzza "; e occorre notare che evidentemente il Pézard non conosce o non ha tenuto in considerazione la proposta del Mazzoni).
Al v. 5 il Contini suggerisce l'integrazione decisamente accettabile di uzza in " uzz[uzz]a ", che ristabilisce l'endecasillabo e meglio viene ad accordarsi con la costante disposizione dei diminutivi in rima.
V. anche DEL BENE, Sennuccio.
Bibl. - G. Mazzoni, Almae luces malae cruces, Bologna 1941, 138-147; Contini, Rime 263-265; A. Pézard, La rotta gonna, I, Firenze-Parigi 1967, 103-104; Barbi-Pernicone, Rime 674-675.