Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La trattatistica del Seicento è, in ogni campo, un mare infinito dai mille diversi colori: sulla solida base del sistema del sapere aristotelico ereditato dal secolo precedente, essa reca numerose e (a volte) clamorose novità. L’ardita spregiudicatezza della poetica barocca, che non di rado si esprime in opere moralmente discutibili, viene ben presto avvertita da numerosi artisti. Peraltro, mentre alcuni autori si limitano soltanto ad arrotondare gradualmente le punte più aguzze della poetica della meraviglia, altri, invece, si schierano decisamente contro di essa, opponendole un classicismo ben più equilibrato, composto e morigerato.
Poetica
Nell’ambito della poetica, è d’obbligo ricordare l’Acutezza earte dell’ingegno di Baltasar Gracián, in cui l’autore afferma, fra l’altro, che fine principale dell’arte è cogliere e dare forma alle corrispondenze sussistenti fra le cose, e in special modo a quelle sottili, ardue, celate o inedite.
Elemento essenziale per raggiungere tale meta è l’acutezza, ovvero la pronta vivacità dell’intelletto.
Altri testi notevoli sull’importanza dell’ingegnosità di pensiero nella creazione artistica sono Il Cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro e La maniera di ben pensare nelle operedello spirito di Dominique Bouhours: mentre il primo vede nella metafora l’elemento comune a tutte quante le arti, che vengono così a essere per la prima volta comprese in un’unica teoria, il secondo pone l’accento sulla necessità di evitare le sottigliezze oscure e incomprensibili.
Emanuele Tesauro, ancora, vuole analizzare le problematiche della poesia fruendo di uno strumento certamente datato, ma a suo avviso più che mai valido: la Retorica di Aristotele, “limpidissimo cannocchiale per esaminare tutte le perfezioni e le imperfezioni dell’eloquenza”.
Secondo il gesuita, poi, sussiste una netta differenza fra i due “modi di porgere” caratteristici dell’intelletto umano, cioè tra la logica, scienza del pensare esatto, e la “persuasione rettorica”, modo di esprimersi sottile, ingegnoso e attraente; egli tuttavia non trascura i numerosi rapporti esistenti fra logica, retorica e morale.
Avverso a ogni fanatismo, tanto marinista quanto antimarinista, il Tesauro si sofferma lungamente sulla natura della poesia, da lui concepita come attività in virtù della quale è possibile conoscere volti, legami e corrispondenze della realtà che altrimenti rimarrebbero incogniti; per il gesuita torinese, le argutezze costituiscono soprattutto il “vestigio della divinità nell’animo umano”.
Dio, sommo creatore di argutezze, ha infatti elargito agli uomini la mirabile facoltà di formarne a somiglianza delle sue. Per quel che riguarda poi la poesia del secolo, il Tesauro, da moralista aperto qual’è, giudica positivamente soltanto quella che, non utilizzando le argutezze come fini a se stesse, tende ad alti scopi morali e civili, rasserenando con “soave riso” anche individui rozzi, insensibili e crudeli.
In realtà, il Tesauro, nella sua ampia trattazione retorico-poetica, manifesta la volontà prudente, moderata e, di fatto, conservatrice di giustificare l’arte del presente non tanto per le sue evidenti novità, quanto per i suoi solidi legami con la tradizione classica e, segnatamente, aristotelica.
Il gesuita polacco Maciej Kazimierz Sarbiewski non è soltanto poeta latino abile, delicato ed elegante, ma anche teorico della poesia d’ampio respiro (è in contatto con i maggiori intellettuali europei) e non di rado originale. Nel trattato De perfecta poesia è il primo a definire il poeta “creatore”: il poeta crea dal nulla in piena libertà, agendo in maniera simile a Dio. Nel breve studio De arguto et acuto, egli definisce l’argutezza in maniera autonoma, discostandosi dagli altri trattatisti contemporanei: l’acutum è, a suo parere, una concors discordia o una concordia discors, che per sua natura, non può non ingenerare stupore nel lettore.
Nel 1674 appare in Francia L’arte poetica di Nicolas Boileau ampia composizione in versi in cui si compendia mirabilmente quella poetica classicista che è già stata sostanzialmente definita in opere precedenti, quali i saggi e le prefazioni di Jean Chapelain, la Poetica di La Mesnadière, la Pratica del teatro dell’abate d’Aubignac e le Riflessioni sulla poetica di questo tempo di padre Rapin.
Secondo questi illustri teorici, la poesia deve trattare soggetti universali, nobili e utili dal punto di vista morale, in uno stile alto e levigato, ispirato alle regole e ai modelli offerti dai classici greci e latini. Boileau, fra l’altro, traduce e divulga il celeberrimo trattato Del sublime dello Pseudo Longino.
Testo di capitale importanza nell’ambito della poetica tedesca è il Libro dell’arte poetica tedesca di Martin Opitz, dotto umanista e autentico riformatore della letteratura del suo paese.
Fonti principali delle sue teorie sono Aristotele, Giulio Cesare Scaligero e Pierre de Ronsard; egli aspira, fra l’altro, a una poesia limpida e rigorosa dal punto di vista formale e dà un’importanza notevolissima alle figure retoriche (in special modo l’iperbole e l’antitesi). Il suo trattato fa luce, inoltre, su alcune fondamentali questioni metriche.
Mentre ne La ricreazione del savio Daniello Bartoli, con lo stile arioso e ricco di sempre, tratta i motivi dell’ordine mirabile e della somma bellezza del mondo intesi come basi per una riflessione in virtù della quale il saggio lettore cristiano possa “ricrearsi”, ne L’uomo al punto incoraggia gli uomini a meditare con attenzione intensa e gran tremore sul punto decisivo dell’esistenza: il momento della morte.
Fra i molti temi presenti nel trattato in dialoghi Del Bene di padre Sforza Pallavicino si possono qui ricordare la natura e l’essenzadel bene, il valore autentico della gloria, il “classico” paragone fra Aristotele e Platone, l’impossibilità di distinguere i beni dai mali, l’utilità della filosofia e i rapporti fra poesia e verità.
Ne L’Oggidì, overo il mondo non peggiore né più calamitoso del passato, il polemico, bizzarro e inquieto Secondo Lancellotti attacca con mordace veemenza gli stolti e ciechi detrattori della modernità, sostenendo che l’età presente non solo non è inferiore, ma invero è assai più florida di quelle passate. Alla lode tanto acritica quanto perniciosa del “tempo che fu” e dei suoi “eroi”, egli contrappone così un’obiettiva (e, per certi versi, progressiva) valutazione delle energie del presente.
Nei poliedrici e proteiformi Pensieri in dieci libri, Alessandro Tassoni, scrittore d’un eclettismo dilettantesco, disordinato e sconcertante, riflette, fra l’altro, su questioni mediche (fisiologia e patologia) e fisiche (caldo e freddo, aria, acqua, terra...), su problemi di ordine politico-culturale, strettamente politico e latamente morale, e infine su argomenti di critica letteraria (Ariosto, Boccaccio, Omero, querelle des anciens et des modernes).
Caratteristico appare, ancora, l’antitacitismo di Anton Giulio Brignole Sale, critico di certa cultura accademica e più che mai sensibile ai problemi etici; nel suo Tacito abburattato, aspira a superare le idee dell’acuto storico romano, ponendo l’accento sul valore della bontà umana.
Virgilio Malvezzi, pessimista in politica, tale non è in morale: nei suoi celebri Discorsi sopra Cornelio Tacito, infatti, pur affermando con avveduto e franco realismo che gli uomini non sono né interamente buoni, né del tutto cattivi, esalta con vigore la libertà umana.
Composta in onore di Vittorio Amedeo II di Savoia, la Filosofia morale del citato Emanuele Tesauro, opera ove si armonizzano sano buon senso, vasta erudizione ed equilibrio aristotelico, ottiene una diffusione notevole e riscuote non pochi consensi.
I moralisti francesi: La Rochefoucauld
In Francia, il Seicento è il secolo dei grandi moralisti, i quali esprimono di sovente le loro profonde e pungenti riflessioni adottando le forme della massima e dell’aforisma.
La massima è, in origine, una sorta di divertimento mondano.
Nel salotto di Madame de Sablé, vicina all’ambiente giansenista, gli ospiti discorrevano abitualmente di morale, filosofia e religione.
Colui che sa condensare nella maniera più efficace la sostanza di questi dialoghi è, senza dubbio, il duca di La Rochefoucauld. L’idea centrale delle massime di La Rochefoucauld è che l’egoismo è la molla di ogni azione umana. Per questo disingannato moralista, che si vanta di non ridere mai, l’uomo nasce malvagio. Egli interpreta la generosità come un’ambizione mascherata, la modestia come “il desiderio di essere lodato due volte”, la tolleranza dei principi come “una politica per conquistare il favore dei popoli”. La virtù pura non esiste: invero, l’uomo cosiddetto buono è solo un individuo che ha raggiunto l’equilibrio dei suoi vizi.
Il triplice influsso del preziosismo, del giansenismo e del pensiero filosofico-scientifico spiega numerose peculiarità delle sue opere: fra l’altro, la sua preoccupazione di andare oltre l’apparenza delle cose, il suo radicale pessimismo e il suo tentativo di dare una spiegazione meccanica alle passioni umane.
Nelle Riflessioni o sentenze e massime morali, La Rochefoucauld smaschera con feroce ironia l’ipocrisia umana, rivelando come molte di quelle che gli uomini stimano virtù siano soltanto vizi mascherati. Da queste frasi lapidarie e taglienti traspare una concezione alquanto cupa della condizione umana che risente, come accennato, della dottrina giansenista: gli uomini compiono la più parte delle loro azioni per fini utilitaristici o perché animati dall’amor proprio. Per quanto disingannato, tuttavia, La Rochefoucauld manifesta un ideale stoico della virtù e dell’onore.
François de La Rochefoucauld
Il più delle volte, le nostre virtù sono soltanto dei vizi mascherati
Riflessioni o sentenze e massime morali
Il più delle volte, le nostre virtù sono soltanto dei vizi mascherati
1. Ciò che noi scambiamo per virtù spesso non è altro che un insieme di azioni e di interessi diversi che la fortuna oppure la nostra abilità sanno conciliare; non è sempre per valore e per castità che gli uomini sono valorosi e le donne caste.
2. L’egoismo è il più grande di tutti gli adulatori.
3. Per quante scoperte si siano fatte nelle regioni dell’egoismo, vi sono ancora molte terre sconosciute.
4. L’egoismo è più abile del più abile degli uomini.
5. La durata delle nostre passioni, come quella della nostra vita, non dipende da noi.
6. Spesso la passione fa dell’uomo più intelligente un pazzo e spesso rende intelligenti i più sciocchi.
7. Le grandi e sfolgoranti azioni che abbagliano la vista sono rappresentate dai politici come risultati di grandi progetti, mentre solitamente sono effetti del temperamento e delle passioni. La guerra tra Augusto e Antonio, per esempio, che si fa risalire alla loro ambizione di impadronirsi del mondo, forse non era altro che una conseguenza della gelosia.
8. Le passioni sono gli unici oratori che persuadano sempre. Esse sono come un’arte della natura dalle regole infallibili: il più semplice degli uomini animato dalla passione riesce più persuasivo del più eloquente che ne sia sprovvisto.
9. Le passioni hanno una loro ingiustizia e un loro tornaconto che fanno sì che sia pericoloso seguirle e che se ne debba diffidare anche quando sembrano più ragionevoli.
10. Nel cuore umano c’è una genesi perpetua di passioni, e il soccombere dell’una rappresenta quasi sempre l’insediarsi di un’altra.
La Rochefoucauld, Riflessioni o sentenze e massime morali, introduzione di G. Macchia, trad. it. a cura di G. Bogliolo, Milano, Rizzoli, 1978
Nei Caratteri di Jean de La Bruyère è contenuta un’immagine suggestiva e critica dei costumi della corte di Luigi XIV.
Attraverso massime, aforismi e puntuali ritratti, lo scrittore espone in uno stile raffinato e limpidissimo le sue idee morali, politiche, religiose ed estetiche.
Il testo ha rappresentato per secoli un modello di eleganza formale.
In ambito spagnolo troviamo poi opere di stimolante contenuto intessuto ad amare riflessioni morali quali il Criticon, di Baltasar Gracián e i Sueños di Francisco de Quevedo.
Jean de La Bruyère
Gli alti e bassi dell’essere umano
I caratteri
142. Anche l’uomo più intelligente è ineguale; è soggetto ad alti e bassi; ha momenti felicissimi, ma anche altri infelici; allora, se è saggio, parla poco, non scrive affatto, non cerca di immaginare e di piacere. Si canta forse quando si ha il raffreddore? Non bisogna aspettare che la voce ritorni? Sciocco è un automa, una macchina, una molla; è trascinato dalla forza d’inerzia che lo fa muovere e girare continuamente, nello stesso senso e con lo stesso ritmo; è uniforme e non si smentisce mai; chi l’ha visto una volta l’ha visto in ogni istante e in ogni periodo della sua vita; al massimo, è il bove che mugghia o il merlo che fischia; è fissato e determinato dalla sua natura, oserei dire dalla specie. Ciò che appare di meno in lui è l’anima; non agisce, non esplica alcuna attività, si riposa.
La Bruyère, I caratteri, introduzione di B. Craveri, trad. it. a cura di F. Giani Cecchini, Milano, TEA, 1988