La struttura territoriale e l'amministrazione dell'Impero assiro
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook
Al culmine della sua potenza, dopo circa due secoli di assidua politica espansionistica e a ridosso del suo crollo improvviso, l’Impero assiro si estende dal Mediterraneo ai monti della Media e dal Tauro fino all’Egitto. Un impero tanto vasto e variegato è retto da un apparato amministrativo assai complesso e fortemente gerarchizzato rispetto al quale il sovrano si trova in una posizione di assoluta preminenza.
Con il progressivo espandersi dei confini l’Assiria giunge inevitabilmente a includere una somma consistente di popolazioni fra loro eterogenee, distribuite su un territorio caratterizzato da un’accentuata varietà per morfologia del terreno, clima e potenzialità produttive. Nella percezione e rappresentazione assira questa complessità dello spazio reale viene semplificata mediante l’applicazione di un’immagine del mondo incardinata sui due concetti contrapposti del centro e della periferia: l’uno civile, abitato e florido, l’altra subumana, tendenzialmente spopolata, mero serbatoio di materie prime da drenare verso il ricco cuore dell’Impero.
In quella che è stata chiamata la “mappa mentale” assira, il nucleo centrale corrisponde alla madrepatria assira, mat Ashshur (il “Paese di Assur”) contenuto nel perimetro dei suoi confini originari e consistente nel triangolo limitato dal corso del medio-alto Tigri e dallo Zab Superiore. Un certo numero di città, alcune delle quali nel periodo neoassiro raggiungono dimensioni notevoli per essersi avvicendate nella funzione di capitale, fanno del Paese di Assur una regione densamente popolata. Ogni centro è dotato delle strutture palatine atte ad accogliere l’apparato amministrativo, e di quelle templari, per ospitare i culti. A ciascuno di essi fa capo un distretto rurale. L’amministrazione locale dei centri urbani è affidata alla gestione di un consiglio di “anziani” (shibuti) e a un “sindaco” (khazanu).
La città di Assur in questa fase ha perso sia il suo antico primato politico che il ruolo di vivace traino del commercio, conservando però il prestigio della città sacra che dalla fase paleoassira ne aveva fatto il maggiore centro urbano. Al rango di capitale assurgono Kalkhu (odierna Nimrud) e per ultima Ninive. I sovrani le ampliano e le dotano di sontuosi edifici palatini, luoghi di culto ed efficenti infrastrutture. Ad esse si aggiunge Dur-Sharrukin, oggi Khorsabad, ma solo per l’arco di una breve stagione, quella del regno di Sargon II, un re usurpatore che intende svincolarsi dai potentati radicati nelle altre città – che comunque continuano ad esistere come centri amministrativi e religiosi – ed accrescere il suo prestigio. Per la nuova capitale, edificata sul sito di un precedente villaggio, vengono impiegate risorse umane e materiali straordinarie, testimoniate dal racconto delle iscrizioni reali e dalle raffigurazioni dei rilievi parietali del palazzo. Magnifica e razionale nell’impianto, essa viene circondata da una poderosa cinta muraria, all’interno della quale si trovano diverse fabbriche palatine e templari. Alla morte del re la città viene abbandonata. La morte di Sargon, avvenuta nel corso di una battaglia (sorte inconsueta per un sovrano assiro), viene interpretata come la punizione divina a un atto di hybris: è per questo che il suo successore, Sennacherib (sovrano dal 704 al 681 a.C.), decide di lasciare Dur-Sharrukin eleggendo a nuova capitale una prestigiosa e antica città, Ninive, sede di uno dei maggiori templi assiri.
Al Paese centrale, mat Ashshur, si salda più a nord il territorio dell’attuale Jezirah, che era stato inglobato con la conquista medio-assira, comprendente le città lungo i fiumi Khabur e Balikh, affluenti dell’Eufrate, fino alle pendici dei monti Zagros. In quest’area provinciale, a popolamento assiro per la vecchia colonizzazione del II millennio a.C., si sono stanziati i nuovi arrivati Aramei.
C’è infine una periferia, che dalle fonti appare via via più vasta, eterogenea e lungi dall’essere interamente pacificata: grandi regni dalle insigni tradizioni, piccole entità politiche di formazione più recente, gruppi nomadi e seminomadi. Nella fase preimperiale al quadro disomogeneo della periferia si sovrappone una configurazione amministrativa altrettanto diversificata. Innanzitutto come retaggio dell’impostazione medio-assira persiste la contrapposizione fra Assiria propria e terre sottoposte al “giogo di Assur”, dove la prima definizione comprende l’Assiria con le colonie del II millennio a.C. integrate in ragione dello status di province e la seconda individua le ulteriori acquisizioni, qualsiasi sia il grado di controllo su di esso esercitato. Qui gli Assiri possono accordare il proprio favore ai dinasti locali, reggenti fedeli e riconosciuti dal re assiro presso i quali è talvolta attestata la presenza di un qepu, un rappresentante del re assiro, o insediare propri funzionari periferici, shaknu.
Dall’VIII secolo a.C. si afferma la tendenza ad una gestione più coerente dei vari territori. Intanto la riorganizzazione delle conquiste periferiche si adegua al nuovo assetto politico, amministrativo e militare interno alla madrepatria, in quanto occorre contrastare la perdita di centralità che ha indebolito l’istituzione monarchica, con un re che aveva difficoltà a mantenere unito un potere in realtà condiviso con i suoi più alti funzionari. Lo sforzo di riorganizzazione e centralizzazione del sistema politico interno si attua ricompattando la precedente struttura intorno alla centralità assoluta della figura del sovrano, benché venga lasciato agli alti funzionari uno spazio di potere notevole, soprattutto nell’amministrazione decentrata. Ne consegue una crescente complessità nella gerarchia dei poteri, con un’organizzazione di cariche della quale si conosce per lo più la dicitura ma non gli ambiti e le competenze di chi vi è preposto. Quanto all’amministrazione delle terre conquistate, essa risulta essere la proiezione all’esterno del sistema provinciale interno. Con la creazione dell’impianto provinciale finisce la contrapposizione fra “Paese di Assur” e “Giogo di Assur”, superando la frammentazione feudale. Qualora ad essere conquistati siano grandi regni, si procede alla suddivisione degli stessi in due distretti. La reggenza delle province è affidata a shaknu e bel pakhati, titoli solo vagamente equivalenti, dato che ai secondi spetta la giurisdizione su suddivisioni minori delle province. Ad ogni modo, alle mansioni relative al proprio ambito regionale, ciascun governatore cumula doveri verso la corte e l’amministrazione centrale. Le province interne sono considerate le più prestigiose e, pertanto, sono le più ambite. Di norma sono appannaggio dei funzionari di rango più elevato.
Nei centri cittadini si concentrano i segni della presenza imperiale sul territorio: i palazzi in cui hanno sede i governatorati, le fortificazioni, le guarnigioni di stanza nell’area. Sono questi i gangli della rete che permette il prelievo di ricchezze dalle zone assoggettate, con cadenza annuale e secondo precisi quantitativi in relazione alla natura delle risorse locali. La ricchezza che la periferia produce a favore del centro dell’Impero perviene in Assiria come tributo annuale, articolato in biltu/madattu e namurtu, rispettivamente “contribuzione” e “dono aggiuntivo”. In genere il madattu consiste in grano e paglia; cavalli e legname venivano dalle zone più esterne. Il dominio assiro ha nei fatti dei pesanti risvolti economici. Nonostante le fonti accentuino l’aspetto della violenza distruttiva della conquista, essa quasi mai giunge alla distruzione delle potenzialità produttive locali, in un’ottica di assunzione del controllo delle strutture politico-amministrative ed economiche. È presumibile che gli interventi più drastici e violenti si limitassero alle popolazioni che si opponevano all’occupazione o si ribellavano ad essa.
Ad ogni modo, nonostante la generale tendenza al livellamento della prassi amministrativa, il fenomeno dell’imperialismo non è in termini geopolitici monolitico e unitario. La geografia e la geometria dei rapporti non sono impostate rigidamente secondo un’assoluta astrazione, ma conoscono adattamenti alle condizioni reali delle singole parti e per tutta la durata dell’Impero resta viva una certa flessibilità. L’approccio flessibile e suscettibile di cambiamenti nel tempo dipende dalla resistenza della popolazione ed è influenzato dal fattore spaziale, dalla distanza e dalla morfologia del territorio. I diversi gradi di autonomia e la concessione di privilegi sono riconosciuti e autorizzati dal potere regio e regolati da patti di fedeltà che vengono a sancire il rapporto di subordinazione in termini peculiari.
Nel caso di realtà a spiccata vocazione commerciale o nel caso in cui i contraenti siano popoli nomadi o troppo distanti per rientrare sotto un controllo diretto, questi patti possono includere clausole particolari. Un ulteriore grado di complicazione si riscontra nei rapporti con la Babilonia, il vicino meridionale con una tradizione culturale sostanzialmente comune all’Assiria. Nel quadro della sua politica di equilibri regionali, il potere centrale ha interesse a che la Babilonia mantenga una posizione subordinata, affermando da un lato la propria superiorità politico-istituzionale, ma riconoscendole dall’altro una posizione privilegiata rispetto agli altri regni assoggettati. Se un modello di gestione territoriale si può estrapolare dalle fonti, esso si configura tripartito e articolato rispettivamente in province, in governi “fantoccio” e in stati vassalli.
Al vertice della compagine politica fortemente centralizzata e burocratica si colloca il sovrano (sharru), apice della struttura piramidale dell’organigramma amministrativo alla cui base c’è la massa della popolazione. La complessa e stratificata concezione della regalità innanzitutto si incardina attorno all’idea del mandato ricevuto dal sovrano da parte della principale divinità del pantheon assiro, il dio Assur. Quanto alla legittimità dinastica, la successione al trono è destinata al primogenito che, come principe ereditario (mar sharri), viene spesso cooptato nella reggenza col re in carica. Energiche virate nella prassi amministrativa e sanguinose repressioni accompagnano le non poche usurpazioni. Il re non è divinizzato, tuttavia gode di un rapporto privilegiato con le divinità e partecipa attraverso le conquiste alla creazione e all’estensione del cosmos. Benché le sue mansioni siano gestite dal personale e dai funzionari a scendere nella scala gerarchica, egli resta il centro della vita politica, amministrativa e religiosa, il giudice supremo e la massima autorità militare. Sue prerogative sono l’eroismo, variamente declinato nelle fonti, che ad esempio pongono l’accento sul coraggio e la forza, e la pastoralità, connessa ai benefici che egli garantiva ai sudditi e alle terre in suo possesso.
I più alti funzionari, la cui totalità è indicata dall’endiadi “eunuchi e barbati”, cumulano poteri in ambito amministrativo militare e religioso. Gli eunuchi, considerati particolarmente affidabili per la loro fedeltà e l’impossibilità di trasmettere per via ereditaria cariche e ricchezze, sono presenti in ogni settore amministrativo e militare. Fra i “grandi del regno” (rabute), sette occupano i posti di maggiore prestigio gestendo di fatto un’ampia gamma di poteri e una straordinaria ricchezza. Il “generalissimo” (turtanu) ha un suo contingente, ma a partire dal regno di Sargon II e in ricordo del grande potere e della progressiva autonomia che in passato questi funzionari erano riusciti a ricavarsi, la carica viene assegnata a due diversi individui, di cui uno stazionava fra Melid e Kummukh, due regni medio-hittiti posti sulla riva destra dell’Eufrate a sud dell’Antitauro, e l’altro nella zona del Balikh, aree di pertinenza che sono assegnate loro come province. Al tesoriere, masennu, spettano i territori del basso Khabur orientale. Egli coordina progetti edilizi in diverse parti dell’Impero e sotto Sargon è attivissimo nel sovraintendere ai lavori della nuova capitale. Quella dell’ “araldo palatino” (nagir ekalli) si sviluppa lungo il corso dello Zab Superiore. Questa provincia, insieme a quella del “capo coppiere” (rab shaqe), che controlla Mushashir e Khubushkia, a ridosso di Urartu, era strategica e cruciale sotto l’aspetto militare, data la pericolosità del nemico oltreconfine. Il capo eunuco (rab sha reshi) comanda la coorte permanente al servizio del re, uno dei ruoli militari più ambiti. Il gran visir (sartennu) è incaricato della gestione dei rapporti fra Assiria e Babilonia. I titoli svelano l’origine tutta interna al palazzo di queste alte cariche, originariamente personale a servizio del re a livello cerimoniale, passato nel tempo a coprire ruoli ampi e fondamentali dell’amministrazione statale.
La mancanza di sacerdoti ai vertici del personale governativo e le competenze nella sfera sacrale riconosciute agli alti funzionari è indicativa del grado di “laicità” della direzione dello Stato assiro.
Nei gradi più bassi della gerarchia amministrativa la situazione è assai complessa e varia. Le 2300 lettere trovate a Ninive e a Kalkhu sono solo una piccola percentuale di quelle missive cui è affidato il coordinamento fra il re e i funzionari di vario rango e che contribuiscono a dare un’idea del funzionamento della burocrazia assira. Fedeltà e una forma assoluta di lealtà sono richieste a tutti i sudditi, in primo luogo riportando notizia di eventuali comportamenti o anche soltanto discorsi eversivi.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia