Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Seicento è dominante l’idea che l’origine del cosmo e la formazione della Terra siano da interpretare sulla base della Genesi. Cominciano però a emergere tentativi di introdurre, pur sempre all’interno di una concezione creazionista, l’idea che la Terra e il mondo naturale abbiano subito delle trasformazioni dovute all’opera di agenti naturali. Questa linea di ricerca prende le mosse dallo studio dei fossili che sono spiegati come resti di forme organiche.
Genesi e fossili
Nel XVII secolo lo studio delle età della Terra (salvo rare eccezioni) non è separato dalla Storia Sacra, ovvero dalla narrazione biblica e in particolare dal Diluvio. Il racconto mosaico è generalmente considerato vero e l’età del mondo calcolata intorno ai 6000 anni. Il vescovo James Usher (1581-1656), basandosi sulla cronologia biblica, arriva a fissare l’anno e il giorno della Creazione. Eventi cosmici, così come cataclismi, terremoti ed eruzioni, rientrano in un quadro provvidenziale che si può comprendere solo con l’ausilio della Rivelazione. Il naturalista di Cambridge John Ray afferma nel The Wisdom of God (1691) che “le opere create da Dio in principio sono state da Lui conservate fino a questo giorno nello stesso stato e condizione in cui furono create”. Le strutture fondamentali della natura non sono il risultato dell’azione di agenti naturali, ma, secondo Ray e gran parte dei naturalisti del suo tempo, sono frutto dell’atto creativo divino. Esse rispondono a un disegno provvidenziale e, seppure vi è mutamento, questo non modifica l’assetto fondamentale del mondo, non altera il piano della Creazione. La concezione lucreziana di un universo che si forma dall’incontro fortuito di atomi e di una Terra dove hanno luogo trasformazioni dovute al cieco caso e alla ferrea necessità è condannata in quanto materialista e atea, sia nel mondo cattolico che in quello protestante. Descartes propone una teoria sulla formazione del mondo di tipo meccanicistico, secondo cui il mondo sarebbe l’esito di moti di particelle di materia dirette dalle sole leggi di natura, tuttavia la presenta come una finzione, al fine di evitare conflitti con i testi sacri.
I timori di Cartesio non sono infondati: tra i suoi contemporanei è infatti ampiamente condivisa l’idea che l’origine del cosmo e la formazione della Terra non siano oggetto di indagine scientifica, ma siano temi che vanno al di là della ragione umana e su cui conviene attenersi al racconto contenuto nella Genesi. Tuttavia nel Seicento cominciano a emergere tentativi di legittimare il superamento di questi limiti, ovvero di introdurre, pur sempre all’interno di una concezione creazionista, l’idea che la Terra e il mondo naturale abbiano subito delle trasformazioni dovute all’opera di agenti naturali. Questa linea di ricerca prende le mosse dallo studio dei fossili che già nel Rinascimento alcuni (in realtà pochissimi) naturalisti avevano tentato di spiegare come resti di forme organiche. L’opinione corrente è che i fossili siano opere incompiute delle natura, “scherzi di natura”, oppure resti del Diluvio. Spiccano per la loro originalità gli studi di Leonardo da Vinci, tra i pochi a negare che il Diluvio possa spiegare la presenza di fossili marini su montagne e in zone lontane dal mare. Nel Codice Leicester egli attribuisce la presenza dei fossili di conchiglie e pesci in zone montuose non a un unico evento, ma a numerosi cataclismi e successive immersioni delle terre sotto il mare. Le osservazioni di Leonardo, poiché rimangono inedite, non esercitano alcuna influenza sulle successive ricerche intorno ai fossili e alla storia della Terra.
Indipendentemente da Leonardo, il medico Girolamo Fracastoro afferma che i fossili sono veri e propri resti organici, non generazioni anomale o “scherzi della natura”. Fracastoro nega altresì che si tratti di resti del Diluvio universale; a suo avviso, infatti, il Diluvio sarebbe stato un evento troppo breve, mentre i fossili, presenti a differenti livelli, sono indice di una presenza prolungata delle acque. Il ceramista francese Bernard Palissy, un ugonotto che finisce i suoi giorni alla Bastiglia durante le guerre di religione, studia l’origine dei fiumi e delle sorgenti e colleziona fossili, che interpreta come resti di organismi viventi progressivamente mineralizzati. Per Palissy la superficie della Terra è in moto continuo: le acque filtrano costantemente attraverso i vari strati di cui si compone la superficie terrestre e costituiscono gli agenti fisici principali cui si devono le trasformazioni del globo. L’olandese Simone Stevino sostiene che la Terra sia continuamente modificata da agenti fisici che operano in maniera meccanica e chimica, determinando processi di erosione e dissoluzione.
Significativi contributi all’interpretazione dei fossili provengono da due naturalisti membri della Accademia dei Lincei: Francesco Stelluti e Fabio Colonna. Nel Trattato del legno fossile minerale (1637) Stelluti afferma che la lignite si forma nel terreno per effetto del calore sotterraneo e dei vapori sulfurei. Studioso di minerali e collezionista di fossili, Colonna cerca di rendere le proprie conclusioni scientifiche compatibili con la cronologia biblica. Descrive le cosiddette glossopetrae (“lingue di pietra”), ritenute tradizionalmente dei minerali, come fossili di denti di squalo, distinguendole dalle pietre e dai minerali. A conferma della loro origine organica, Colonna produce una prova sperimentale: sottopone i fossili a combustione e nota che da questi si produce prima carbone e poi cenere, mentre i minerali si calcinano. Dalla identificazione delle glossopetrae con i denti di squalo, Colonna conclude che anche altri fossili sono resti di animali (per lo più marini) trasportati in diversi luoghi dalle acque del Diluvio e lì pietrificati per l’azione di succhi presenti nella terra. Colonna è convinto che la superficie terrestre non abbia subito grandi trasformazioni, eccezion fatta per il Diluvio biblico.
Così come Colonna, il medico e naturalista danese Niels Stensen, noto come Stenone, identifica le glossopetrae con i denti di squalo. Stensen esamina uno squalo pescato nel Tirreno e scopre che i denti di squalo sono identici alle glossopetrae. Non è questo il suo unico apporto alla nascente paleontologia: durante il soggiorno in Italia, Stenone studia minerali e cristalli, nonché gli strati di cui è composta la crosta terrestre e stabilisce una stretta relazione tra indagini paleontologiche e geologiche. Nel De solido intra solidium naturaliter contento dissertationis Prodromus (“Prodromo di una dissertazione sul solido contenuto naturalmente in un solido”, 1669), in cui pone le basi della nascente cristallografia, Stenone spiega la formazione e l’accrescimento di tutti i solidi (incluse rocce, minerali, calcoli) e mostra che gli angoli tra le facce dei cristalli sono costanti, indipendentemente dalla forma e dalle dimensioni del cristallo. Stenone fornisce una spiegazione teorica delle proprie ricerche geologiche, condotte soprattutto in Toscana, formulando alcuni dei principi basilari della stratigrafia: ogni strato si forma come deposito di materiale liquido su una superficie solida; ogni strato è continuo e ha uno sviluppo orizzontale; la sovrapposizione di strati avviene in epoche diverse; ogni alterazione della superficie terrestre è dovuta a terremoti, eruzioni, erosione. I vari strati che formano la crosta terrestre si sono formati in tempi differenti per sedimentazione e deposizione di varie sostanze, inclusi animali e piante. Poiché la Terra, secondo lo scienziato danese, ha subito immersioni e emersioni per effetto del bradisismo e del Diluvio, i fossili sono indubbiamente segni di forme di vita del passato e si sono formati all’interno dei diversi strati. Per Stenone, che nel 1667 si converte alla religione cattolica per divenire poi vescovo, non vi è contraddizione tra il racconto biblico del Diluvio e le testimonianze che si osservano dallo studio degli strati che compongono la superficie terrestre. Queste ultime ci informano delle trasformazioni subite dalla Terra in varie epoche, eventi di cui la Bibbia non ci parla.
Anche il naturalista e pittore messinese Agostino Scilla non ha dubbi sull’origine dei fossili da forme di vita del passato e spiega i mutamenti intervenuti sulla Terra come effetto combinato del Diluvio e di altre catastrofi naturali.
Verso una storia della Terra
L’introduzione del fattore tempo nella storia della natura è dovuto all’inglese Robert Hooke. Basandosi sulle osservazioni condotte con il microscopio, Hooke afferma nella Micrographia (1665) che le strutture del legno e delle conchiglie pietrificate non differiscono dal legno e dalle conchiglie dei molluschi osservabili attualmente. Per effetto del Diluvio o di altre cause naturali, conchiglie e molluschi sono stati portati in luoghi lontani dal mare e si sono pietrificati per l’azione di acque ricche di minerali penetrate nei loro pori. Nel Discourse of Earthquakes (Discorso sui terremoti), composto nel 1668, Hooke afferma che molte parti della Terra che sono attualmente lontane dal mare furono un tempo sommerse dalle acque e poi per effetto di terremoti si sollevarono formando le montagne che oggi sono sulla Terra. Agenti naturali quali eruzioni, terremoti, inondazioni, hanno trasformato la superficie terrestre e sono quindi le cause dei fossili. Il Diluvio universale, afferma Hooke, a causa della sua brevità, difficilmente avrebbe potuto produrre le trasformazioni della superficie terrestre che sono all’origine dei fossili. Mentre il naturalista inglese Martin Lister nega che le conchiglie fossili abbiano origine animale non accettando l’idea dell’estinzione di specie viventi, Hooke è convinto che tutto ciò che è sulla Terra decade, e quindi anche le specie viventi presenti in epoche lontane possono essere state distrutte e quindi scomparse. È anche probabile che specie oggi presenti non siano esistite sin dall’inizio dei tempi. Hooke è convinto che la Terra e la natura abbiano una storia, pur non mettendo in discussione la cronologia biblica.
La teoria sacra della Terra
Negli ultimi decenni del Seicento ha inizio in Inghilterra una polemica sulle origini della Terra che si protrae a lungo e che ha carattere scientifico e teologico. L’oggetto principale della diatriba è la spiegazione delle trasformazioni subite dalla Terra, nonché del Diluvio, da un punto di vista fisico. La querelle ha inizio con la pubblicazione della Telluris theoria sacra (“Teoria sacra della Terra”, 1680) di Thomas Burnet, che si prefigge lo scopo di rendere conto del Diluvio universale facendo uso della spiegazione meccanicistica cartesiana della formazione della Terra.
Burnet non nega l’origine divina del Diluvio, ma lo spiega facendo ricorso a cause di carattere naturale, delle quali Dio, a suo avviso, fece uso per produrre il Diluvio con cui volle castigare il genere umano. Attraverso una serie di catastrofi naturali e di processi di carattere meccanico, la superficie terrestre, da omogenea e levigata che era all’origine, si è trasformata divenendo irregolare e imperfetta. Ciò che noi osserviamo oggi sulla Terra non sono altro che ruderi, resti di una lontana condizione di perfezione. La teoria della Terra di Burnet introduce il fattore tempo nello studio della Terra, considerando la sua forma attuale il risultato di un processo di invecchiamento e di disfacimento –processo ormai già molto avanzato. Coniugando un’interpretazione naturalistica della storia della Terra ad aspettative di carattere millenaristico, Burnet prevede come imminente la fine del mondo, che coinvolgerà la Terra e il genere umano. Si tratterà di una conflagrazione che riporterà la Terra alla forma perfetta che essa aveva all’origine e che durerà mille anni, cui corrisponderà una rigenerazione dell’umanità. Ciò che Burnet prospetta è il Millennio, periodo in cui, come si legge nei testi profetici, Cristo regnerà sulla Terra, ossia il periodo che precede il Giudizio universale. Quando quest’ultimo avrà luogo, la Terra, conclude Burnet, si trasformerà in una stella come il Sole. Le tesi di Burnet non sono facilmente conciliabili con i testi sacri, ed egli ne è consapevole, ma giustifica questa discrepanza ritenendo che il racconto biblico è adattato alle limitate capacità di comprensione del popolo, perciò esso non ci fornisce una descrizione vera della formazione della Terra, cui si può invece pervenire per mezzo dell’indagine fisica. Questa conclusione di Burnet è rifiutata da Newton, il quale in una lettera allo stesso Burnet afferma che la narrazione mosaica è vera, ma solo il suo linguaggio è adattato alle limitate capacità di comprensione del volgo. I seguaci di Newton sono divisi sulla valutazione dell’opera di Burnet. William Whiston, successore di Newton alla cattedra di matematica a Cambridge, infrange l’equilibrio tra scienza e religione faticosamente stabilito da Newton, cercando di determinare una causa naturale di ciò che era tradizionalmente spiegato per mezzo della Scrittura. Pur basandosi sulla meccanica newtoniana, la sua New Theory of the Earth (Nuova Teoria della Terra, 1696) giunge a conclusioni ben lontane da quelle di Newton. Whiston sostiene che la Terra si è formata da una nebulosa e che il Diluvio ha avuto cause di carattere naturale, essendo stato cioè prodotto dal passaggio di una cometa in prossimità della Terra, probabilmente la cometa osservata da Edmond Halley nel 1682. Come Burnet e Newton, anche Whiston è convinto assertore di concezioni millenaristiche, ma, a differenza di Newton, che è cauto nell’esprimersi sulla fine del mondo, Whiston asserisce che essa sia imminente. Le idee di Whiston sono fortemente criticate dalle autorità religiose, poiché, in quegli anni, la Chiesa anglicana è preoccupata di stabilire una nuova ortodossia religiosa basata sulla scienza newtoniana e di evitare possibili esiti materialistici della scienza. Whiston è privato della cattedra e, per volontà di Newton, non è mai eletto membro della Royal Society. Nelle polemiche che fanno seguito alla pubblicazione dell’opera di Burnet interviene John Woodward, medico e studioso di antichità, che pubblica l’Essay toward a Natural History of the Earth (Saggio per una storia naturale della Terra, 1696). Collezionista di fossili, Woodward li considera resti di forme di vita scomparse dopo il Diluvio, poi conservate nei differenti strati della Terra a seconda della loro gravità. Woodward costruisce la propria storia della Terra su due fondamenti: l’osservazione dei fossili e degli strati e il racconto biblico. Le sue conclusioni sono differenti da quelle di Burnet e di Whiston. Secondo Woodward, ciò che narra Mosé è interamente confermato dall’osservazione; il Diluvio ha avuto carattere universale e da esso si possono ricostruire la caratteristiche che la Terra presenta attualmente, ivi compresi i fossili. Le tesi di Burnet e Whiston sono aspramente criticate da John Keill, professore ad Oxford e uno dei primi sostenitori della fisica newtoniana. Ciò che Keill vuole confutare è il tentativo, come quello compiuto da Burnet e Whiston, di spiegare la storia della Terra in termini puramente naturali e di fornire un’interpretazione naturalistica degli eventi di cui parlano le Scritture.
Il dibattito sull’origine e sulle trasformazioni della Terra coinvolge anche il filosofo tedesco Leibniz, che tra il 1691 e il 1692 scrive un’opera dedicata a questo tema, la Protogea, pubblicata però solo nel 1749. Leibniz integra l’idea del disegno della Provvidenza con un’indagine di tipo chimico-fisico della storia della Terra. A suo parere, la struttura attuale della Terra è il frutto dell’opera di agenti naturali, “programmata” dal Creatore. All’origine, la superficie della Terra era omogenea e successivamente processi chimico-fisici analoghi alle fusioni, distillazioni e fermentazioni che si producono in laboratorio, ne hanno trasformato la struttura. I fossili, secondo Leibniz, hanno origine organica e si sono conservati nei vari strati in cui la massa liquida si è successivamente solidificata dando luogo a rocce. Pesci e animali marini sono stati trasportati sui monti quando le acque fuoriuscite dalle viscere della Terra ne hanno sommerso gran parte della superficie, per poi colare nuovamente negli abissi. In questa descrizione il Diluvio ha una funzione marginale, mentre agenti naturali, guidati da un disegno provvidenziale, acquistano un rilievo centrale.