Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Grande è il contributo di Domenico Scarlatti alla formazione di un “idioma musicale” spagnolo e i riflessi della sua lunga permanenza alla corte di Madrid sono ben leggibili in molte sonate che utilizzano temi e ritmi di canzoni e di danze popolari iberiche. Il Settecento vede anche lo sviluppo di un genere teatrale e musicale allo stesso tempo, la zarzuela, che subirà varie trasformazioni e che godrà di una lunga, seppur altalenante, fortuna.
Musicisti italiani alla corte di Spagna
Se il Seicento vede passare in forze i musicisti spagnoli in Italia, il Settecento trova gli italiani impegnati a occupare posizioni anche di grande rilievo nella penisola iberica. A parte gli eventi storici ed economici generali è la vicenda dinastica spagnola a favorire questo insediamento. Con la morte, nel 1700, di Carlo II e l’estinzione della dinastia degli Asburgo, sul trono di Madrid è chiamato, con il nome di Filippo V, il giovane nipote di Luigi XIV di Francia. Filippo non conosce la Spagna e non ne parla la lingua, inoltre entrambe le sue due mogli, Maria Luisa di Savoia e poi Elisabetta Farnese, duchessa di Parma, sono italiane.
Quest’ultima, che acquista un forte potere anche politico, chiama quale primo ministro un italiano, Giulio Alberoni, che già aveva servito il duca di Vendôme.
In una corte così aperta agli influssi provenienti dall’Italia, piena di favoriti e suonatori originari di questo Paese, il clima è straordinariamente favorevole anche nei confronti della musica italiana. Le troupes di opera italiana incominciano a conquistare, dai primissimi anni del secolo, le scene spagnole. Nel 1730 un mediocre musicista napoletano, Francesco Corradini, è nominato compositore ufficiale di corte; nel 1737, il sopranista Carlo Broschi, meglio conosciuto come Farinelli, viene chiamato dalla regina ElisabettaFarnese a Madrid per rallegrare il malinconico marito: con uno stipendio altissimo, Farinelli è impegnato a cantare ogni sera, dalla stanza accanto a quella di Filippo V, sempre le stesse tre arie. Le fortune di Farinelli proseguono anche dopo la morte di Filippo V – avvenuta nel 1746 – durante il regno di FerdinandoVI; sarà soltanto nel 1759, con Carlo III, che il sopranista italiano lascerà la Spagna, dopo 22 anni di onori, fortune e guadagni, per ritirarsi a Bologna, con un vitalizio della corte di Madrid.
Domenico Scarlatti
Alla corte dei Borbone di Spagna trascorre quasi ininterrottamente 28 anni – dal 1729 fino alla morte nel 1757 – anche Domenico Scarlatti, che già dal 1720 (o 1723) ha vissuto nella penisola iberica, alla corte portoghese (una corte di sensibilità musicale assai più raffinata di quella spagnola), in qualità di maestro di cappella e insegnante di musica della principessa Maria Barbara. E Scarlatti passa da Lisbona a Madrid proprio al seguito della principessa, quando questa va in moglie al futuro Ferdinando VI. Divenuta regina, Maria Barbara nomina Scarlatti Maestro de camera e il re gli conferisce il titolo di Caballero del Hábito de Cristo.
Tuttavia, pur godendo di grande stima e rispetto, Scarlatti occupa una posizione meno importante rispetto a Farinelli; conseguenza, questa, della grande passione della corte di Madrid per l’opera italiana e dell’assai minore interesse per la musica strumentale.
La lunga permanenza in Spagna consente a Scarlatti, che è napoletano, di accostarsi con interesse alla musica popolare, nella quale probabilmente trova riferimenti e modelli per superare il convenzionale italianismo della pratica vocale e operistica della corte. Probabilmente quest’attenzione è già maturata nel periodo portoghese, attraverso i contatti con un minore ma interessante musicista “dilettante” lusitano, José António Carlos de Seixas, nelle cui sonate per cembalo non sono presenti soltanto elementi del folklore, ma appaiono anche passaggi tecnicamente acrobatici di notevole genialità. Charles Burney, uno dei primissimi storici della musica, sottolinea che nell’opera di Scarlatti vi sono molti passaggi nei quali il musicista italiano “imita le melodie cantate da carrettieri, mulattieri e gente del popolo” ed è proprio a ragione di questo filo “folklorico” che corre nelle sue composizioni che il musicista napoletano acquisisce un posto di rilievo nella musica spagnola, avviando un gusto “spagnolo” che emergerà ben chiaro nell’Ottocento e nel Novecento. Alcuni passaggi della Sonata in Do K 159 ritornano, per esempio, nella Symphonie espagnole di Édouard Lalo, altri della Sonata in La K 175 ricorrono nell’Andaluza sentimental di Joaquin Turina e quelli della Sonata in Fa K 17 nel El Albacín di Isaac Albéniz: non si tratta quasi certamente di citazioni dirette, ma del ricorso a modelli di riferimento popolari. Debiti taciuti o dichiarati verso Scarlatti hanno anche Enrique Granados, Manuel de Falla, Joaquín Nin, Ernesto e Rodolfo Halffter.
Molti sono i riferimenti popolari spagnoli nelle sonatedi Scarlatti, tanto da indurre Gilbert Chase ad affermare che dalle oltre 500 sonate scarlattiane si potrebbe ricavare un delizioso album di danze spagnole, stilizzate con grazia squisita e infallibile sensibilità artistica.
Le sonate per cembalo in Do K 159 e in Re K 397 sono delle jotas aragonesi, quella in Sol K 450 deriva da una danza del León, quella in Si bemolle K 202 ha un aperto sapore catalano, mentre lo stile chitarristico spagnolo del tempo si ritrova in varie altre sonate.
L’insegnamento di Domenico Scarlatti è raccolto da Antonio Soler che dal 1752 è organista e maestro del coro al monastero dell’Escorial, luogo dedito non soltanto alla vita monastica ma anche centro di attività musicale. Soler è discepolo di Scarlatti negli ultimi cinque anni della vita del musicista napoletano e sempre si definirà, con orgoglio, suo allievo. Le sonate di Soler replicano molto fedelmente la struttura in un solo movimento adottata da Scarlatti, senza grandi innovazioni, ma con qualche interessante contributo nella pratica delle modulazioni.
Luigi Boccherini
Un altro musicista italiano che opera in Spagna, dal 1768 fino al 1805 – anno della morte – con una parentesi presso il re di Prussia Federico Guglielmo II, è Luigi Boccherini. Il musicista lucchese non gode (sembra a causa degli intrighi di un altro musicista italiano, un certo Gaetano Brunetti, violinista a corte) della stessa fortuna di Scarlatti presso il re a Madrid, pur essendo sotto la protezione del fratello di Carlo III, l’infante don Luis, e poi dei Benavente-Osuna.
Elementi di “spagnolismo” e soprattutto di stile e tecnica chitarristica sono presenti nella musica di Boccherini. Egli stesso dichiara di aver tratto ispirazione ascoltando padre Miguel García Basilio mentre suonava il fandango con la chitarra. Padre Basilio è maestro di un altro italiano, Federico Moretti, considerato l’iniziatore della pratica moderna della chitarra a sei corde con la pubblicazione nel 1799 a Madrid dei suoi Principios para tocar la guitarra de seis órdenes. La competenza chitarristica di Boccherini emerge ben chiara, per esempio, nei Quintetti per archi e chitarra: quello in Re maggiore (G 448) propone proprio un esplicito ritmo di fandango.
La zarzuela
Se gli italiani dominano la scena dell’opera e improntano anche la produzione strumentale, il contributo spagnolo alla vita musicale è dato soprattutto dallo sviluppo di un genere teatrale e insieme musicale in qualche modo simile all’opéra-comique francese e al Singspiel tedesco, la zarzuela, che subirà varie trasformazioni e avrà lunga fortuna.
La zarzuela postcalderoniana ha grande fortuna nei teatri per tutta la prima metà del secolo. Su mediocri libretti del Conde de Clavijos, di Francisco de Bances Candamo, Antonio de Zamora, José de Cañizares, scrivono musiche compositori spagnoli di talento, quali Sebastián Durón (Veneno es de amor la envidia su testo di Zamora, 1700), Antonio Literes (Accis y Galatea, 1708) e José de Nebra.
È soprattutto José de Nebra, autore anche di molta musica religiosa, che trova i più larghi apprezzamenti e i più solidi successi, tanto da meritare, per la fecondità della produzione e il talento teatrale, l’appellativo di “il Lope de Vega della musica”.
Merito di José de Nebra è l’aver saputo inserire una vena comica nei soggetti pseudostorici, mitologici e leggendari sullo stile di Metastasio che in quest’epoca sono i preferiti dal pubblico. Per esempio, in una sua zarzuela, Acquiles en Troya (1747), accanto ai personaggi seri ed eroici compaiono due caratteri comici che cantano e suonano seguidillas sotto le mura della città assediata. Si determina così un risultato anacronistico, con elementi contemporanei e popolari che si scontrano con la struttura artificiosa della vicenda.
Dopo la seconda metà del secolo la zarzuela cambia carattere, abbandonando via via i soggetti mitologici, storici e leggendari. Il musicista Antonio Rodríguez de Hita e il librettista Ramón de la Cruz nel 1768 portano sulle scene una zarzuela nella quale i protagonisti non sono più divinità, eroi e personaggi leggendari, ma contadini. Ne Las segadoras de Vellacas, infatti, vediamo agire contadine falciatrici che vanno di paese in paese a offrire la loro opera. Il figlio di un ricco proprietario terriero si innamora di una di queste contadine; ci sono ovviamente contrasti, intrighi, gelosie, ma alla fine si scopre che la ragazza è di nascita nobile e la zarzuela finisce con un matrimonio.
È l’avvio di un nuovo genere che avrà il suo capolavoro in un’altra opera di Rodríguez de Hita e di Ramón de la Cruz, sempre di ambiente popolare e paesano, Los labradores de Murcia. La nuova moda, però, dura meno di una decina d’anni e dopo il 1776 la zarzuela esce dal gusto del pubblico, schiacciata dall’irruzione dell’opera italiana, sostenuta dalla corte e da Farinelli. Ma se la zarzuela decade (godrà, tuttavia, rinnovata fama nell’Ottocento), un altro genere di teatro musicale spagnolo incomincia a emergere: la tonadilla escénica, una forma lirico-drammatica molto popolare. Tonadilla significa “piccola tonada”, cioè piccola canzone. In realtà la tonadilla escénica è una forma teatrale più complessa ed espansa, di soggetto picaresco e satirico, musicalmente ricca di riferimenti popolari, risultato dello sviluppo di forme teatrali già esistenti, quali la jácara, l’entremés, lo sainete, cioè arie e strofette cantate da attori.
Il nuovo genere incomincia a formarsi e ad affermarsi poco dopo la metà del secolo, attraverso l’opera di musicisti quali Antonio Rosales, Jacinto Valledor, José Palomino, Blas de Laserna. Sono questi autori a costituire un argine contro il dilagante “italianismo” che domina, a livello alto, la musica spagnola e a conservare quel filo “popolare” e “spagnolo” che contribuirà poi con l’apporto di non spagnoli – da Scarlatti a Bizet – alla formazione di un “idioma spagnolo”.