La sindrome di Berlino
Il governo di Angela Merkel si dibatte fra i propri interessi economici globali e i legami politici con l’Europa. Intanto le elezioni si avvicinano. Ma è certo che, se vincesse, l’attuale opposizione socialdemocratica mostrerebbe un volto diverso?
Sono passati sei anni da quando la Germania ospitò i campionati mondiali di calcio nel 2006. Allora il paese aveva in Europa una immagine positiva e bonaria. Era stata l’occasione ideale per presentare agli occhi dei propri vicini un paese ospitale, moderno, ricco e multiculturale. Data per favorita, la squadra nazionale perse il torneo con stile e accettò volentieri la vittoria dei concorrenti italiani.
Da allora, l’immagine della Germania – e del suo cancelliere democristiano Angela Merkel – è cambiata radicalmente. La crisi finanziaria, economica e debitoria ha rinvigorito i pregiudizi, suscitato risentimenti, creato tensioni politiche e sociali. L’Europa non capisce l’incapacità tedesca di affrontare di petto la crisi dei debiti sovrani.
Negli ultimi anni, il paese è stato lento a capire la gravità della crisi; a salvare la Grecia; ad aiutare l’Irlanda e il Portogallo; a consentire alla Banca centrale europea di acquistare obbligazioni pubbliche sui mercati; a creare e poi a rafforzare un meccanismo europeo di stabilità finanziaria (l’European Stability Mechanism, noto con l’acronimo inglese ESM). L’atteggiamento tedesco ha comportato paradossalmente un aumento dei costi per la stessa Germania, che appare a molti egoista, insensibile, e anche cinica.
Lo sguardo corre alle elezioni federali dell’autunno 2013 e alla possibilità che anche a Berlino – come a Parigi o a Madrid – la crisi provochi l’emergere di nuovi equilibri politici.
La drammatica paralisi tedesca ha ragioni diverse. Certamente il paese è combattuto tra i suoi legami europei e i propri interessi globali. Nessun altro Stato membro dell’unione monetaria in questo ultimo decennio si è proiettato quanto la Germania sui grandi mercati internazionali.
Il paese è presente in Brasile con 13 camere di commercio, in Russia con 20 sedi del Goethe Institut, in Cina con diversi centri-studi e fondazioni politiche. Mentre molti partner europei soffrono di una congiuntura debole, l’economia tedesca continua a sorprendere: la crisi è inevitabilmente vissuta in modo diverso a Barcellona e ad Amburgo. Vi sono poi motivi politici dietro alle incomprensioni di questi mesi. Come altri, la Germania è attraversata da una disaffezione nei confronti del processo di integrazione europea. In cuor loro i tedeschi sanno perfettamente che la moneta unica è stata per molti versi un successo, ma temono l’invecchiamento della popolazione e le incertezze economiche causate da questo fenomeno sociale; diffidano di una burocrazia comunitaria ritenuta spesso invasiva e inefficiente; vivono in parte la globalizzazione come una minaccia, nonostante siano riusciti ad approfittarne più di altri paesi. Troppo sovente in queste circostanze la classe politica cade nella tentazione di voltare le spalle all’Europa e di guardare al di là dell’oceano.
A influire sull’atteggiamento tedesco è però soprattutto un rigore intellettuale che porta il paese a vivisezionare – come nessun altro europeo – le conseguenze delle sue scelte. La Germania non rifugge dall’idea di rafforzare l’integrazione politica dell’Unione Europea. Sa perfettamente che è probabilmente l’unica via di uscita, ma non può permettersi né economicamente né intellettualmente che avvenga al buio, senza il rispetto di passaggi predefiniti. Goethe nel Faust fa dire a Mefistofele: «Das erste steht uns frei, beim zweiten sind wir Knechte», ossia «Solo il primo passo è libero; del secondo si è schiavi». I tedeschi sono pronti a una graduale mutualizzazione dei debiti pubblici, ma a patto che questa avvenga dopo una cessione di sovranità dagli Stati membri a una istituzione sovrannazionale, responsabile in ultima analisi delle politiche economiche.
D’altro canto, la Germania è il paese più ricco, più solido. Nell’accettare la nascita di un unico bilancio europeo correrebbe rischi notevoli. Vuole quindi assicurazioni contro l’eventualità che i suoi partner tradiscano la sua fiducia e approfittino della sua solvibilità. Nel frattempo, la paura dell’azzardo morale la induce ad avere un atteggiamento obiettivamente poco costruttivo. Un elemento cruciale per comprendere la condotta della Germania è la sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe del 7 settembre 2011: «Il Bundestag», si legge nella decisione del tribunale supremo, «non può partecipare alla creazione di meccanismi permanenti che attraverso accordi internazionali comportino l’assunzione di passività per decisioni volontarie di altri Stati, soprattutto se hanno un impatto difficile da calcolare». L’aggettivo volontario aprirebbe la porta a una mutualizzazione dei debiti, se le decisioni di politica economica dei singoli governi nazionali non fossero volontarie o unilaterali, ma invece imposte in qualche modo dai partner europei. Agli occhi della Germania l’aumento della solidarietà deve quindi andare di pari passo con una cessione di sovranità.
Il confronto di questi anni non è solamente economico politico, è soprattutto culturale, segnato dall’incapacità tedesca di affrontare a cuor leggero l’inevitabile incertezza del futuro. Ossessionati dal bisogno di sicurezza, i tedeschi sono paralizzati dal domani e dalla sua indeterminatezza.
Se dovessimo attribuire l’atteggiamento tedesco nei confronti dello sconquasso finanziario semplicemente a un nuovo euroscetticismo o a un innato cinismo, come spiegheremmo che la Germania dopo tanti tira e molla abbia accettato in questi anni di aiutare i suoi partner europei?
La crisi debitoria europea incrocerà nel 2013 nuove elezioni tedesche; si voterà in autunno per il rinnovo del Bundestag e quindi per un nuovo cancelliere.
La partita oggi è aperta. A metà del 2012 il partito democristiano non è più in testa nei sondaggi: i rapporti di forza rispetto al passato stanno cambiando, fosse solo per l’arrivo sulla scena politica di un nuovo partito libertario, i Pirati. Si discute già pubblicamente dell’ipotesi del ritorno di una grande coalizione tra socialdemocratici e democristiani. Quanto l’atteggiamento tedesco possa cambiare con l’arrivo al potere dell’SPD è difficile da valutare. Se oggi la sinistra tedesca appare agli occhi di molti europei più ragionevole e meno cinica del partito democristiano, è probabilmente perché non ha alcuna responsabilità di governo. Le è facile mettersi in contrapposizione con il partito della Merkel, la CDU, o il suo alleato liberale, l’FDP. Se dovesse giungere al potere, il suo atteggiamento rischia di essere molto più simile a quello che ha tenuto finora il cancelliere Merkel di quanto non appaia oggi.
La parola
■ European Stability Mechanism
La sigla ESM designa l’ente che, una volta completata la ratifica dei trattati che lo istituiscono, fornirà assistenza finanziaria ai paesi dell’eurozona in difficoltà. Ad esso contribuiranno tutti gli Stati membri dell’eurozona, con percentuali sul totale del capitale versato (80 miliardi di euro in partenza, da elevare a 700 entro cinque anni) variabili dallo 0,09% di Malta al 27,14% tedesco.
Non più di ferro?
Paragonata dai media internazionali alla ‘lady di ferro’ britannica Margaret Thatcher, Angela Merkel è tuttora considerata una delle donne più potenti al mondo in quanto cancelliere federale tedesco e leader de facto di una Unione Europea in cui è notevolmente cresciuto (soprattutto a causa dell’indebolimento dei suoi partner) il ruolo della Germania. Nondimeno, la posizione della Merkel non è così solida come appare, anche per via delle ultime sconfitte elettorali: la più clamorosa si è verificata a maggio, quando il più grande Land dello Stato federale tedesco, il Nord Reno-Westfalia, ha ridato la maggioranza alla coalizione rosso-verde guidata dalla governatrice uscente Hannelore Kraft, fautrice di politiche (in particolare in campo economico e finanziario) divergenti da quelle portate avanti dalla coalizione di centro-destra al governo a Berlino. Anche in campo europeo alcuni sviluppi della seconda metà del 2012 – gli esiti del Consiglio europeo del 28-29 giugno, e successivamente le decisioni prese in estate dalla BCE circa la possibilità di acquistare, sia pure condizionalmente, titoli pubblici degli Stati membri per abbassarne, almeno a breve termine, i costi d’indebitamento – sono stati interpretati come scacchi al cancelliere. Resta però da vedere se, a medio e lungo termine, tali interpretazioni si riveleranno corrette; non è da escludere, infatti, che la consumata abilità tattica della Merkel li trasformi in semplici incidenti di percorso, lasciando inalterate le sue chance di vittoria alle prossime, importantissime elezioni politiche federali del settembre 2013.
La parola
■ Azzardo morale
Si definisce in questo modo, in macroeconomia, l’incentivo a comportamenti rischiosi o insostenibili nel lungo periodo, dipendente dalla convinzione che esista una significativa probabilità che i loro costi ricadano in definitiva sulla collettività, o su altri operatori o categorie di operatori.
Cedere la sovranità
Quello della ‘cessione di sovranità’ è un tema ricorrente nei dibattiti europei, che s’intreccia con la questione del ‘deficit democratico’, ossia della carenza di legittimazione popolare delle istituzioni europee, che appaiono come prevalentemente tecnocratiche benché siano nominate da governanti eletti. Tuttavia, gli Stati membri dell’UE hanno già effettuato sostanziali cessioni di sovranità, anche nella speranza di potere così meglio preservare i propri interessi. Basti pensare al calcolo politico che stava dietro il Trattato di Maastricht del 1991, che ha spianato la strada all’euro e sostanzialmente equivaleva a un assenso europeo alla riunificazione tedesca (vista allora in modo sfavorevole da vari paesi, timorosi della potenziale egemonia continentale di una Germania unita) in cambio della rinuncia tedesca alla propria moneta, fra le più forti e stabili del mondo.
Partito dei Pirati
Il Piratenpartei Deutschland, fondato nel 2006 sul modello svedese, è un partito ‘esterno’ al sistema politico tedesco. È vicino ad alcune posizioni dell’estrema sinistra (ad esempio, sul reddito di cittadinanza), anche se il suo programma di partenza si concentra soprattutto su alcune questioni specifiche relative alla cosiddetta ‘libertà digitale’ (in particolare sulla lotta contro la censura su Internet e contro le pratiche di ‘conservazione dei dati personali’ da parte di aziende ed enti statali).