La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. Le neuroscienze e il Neuroscience Research Program
Le neuroscienze e il Neuroscience Research Program
Negli ultimi anni le neuroscienze hanno conosciuto una grandissima espansione. Si tratta di una disciplina ibrida, che spazia dagli studi sul sistema nervoso degli invertebrati a quelli sull'uomo, dalla neurobiologia alla psicobiologia, dalla fisiologia alla patologia del sistema nervoso, dalla scienza cognitiva alla filosofia della mente.
Passando in rassegna le tappe fondamentali dello sviluppo delle neuroscienze, ci si rende conto che esse sono andate incontro a una crescita esponenziale a partire dagli anni Cinquanta del Novecento e che questa crescita è stata possibile anche grazie alla disponibilità di metodiche, tecnologie e strumenti di analisi mediate dalla fisica e dalla chimica. Tuttavia, ciò che ha consentito lo sviluppo delle neuroscienze è stato un approccio composito, basato sull'eliminazione delle barriere tra discipline differenti che, prima della metà del XX sec., si rivolgevano a specifici settori delle attività nervose e mentali senza tentare un'integrazione tra dati e approcci diversi. Questo nuovo orientamento ha pertanto determinato, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l'emergere di un nuovo settore, quello appunto delle neuroscienze, grazie alla fusione e alla collaborazione tra varie discipline quali la neuroanatomia, la neurofisiologia, la neurofarmacologia, la neurochimica e lo studio del comportamento. Il consolidarsi del nuovo approccio neuroscientifico ha fatto sì che all'inizio degli anni Ottanta le neuroscienze potessero integrarsi con altre aree della biologia anch'esse in rapida ascesa ‒ la biologia e la genetica molecolari ‒ rendendo così possibile un nuovo metodo di studio del sistema nervoso e delle sue funzioni fisiologiche e patologiche. Infine, una svolta ulteriore si è compiuta intorno alla metà degli anni Ottanta quando neuroscienze e psicologia cognitiva hanno guardato alla mente e al cervello con un'ottica comune.
Questa scansione delle tappe delle neuroscienze e della loro origine come nuova disciplina affermatasi nella seconda metà del XX sec. deve però tenere anche conto di alcuni antecedenti in cui affondano le loro radici i moderni studi neuroscientifici. Queste radici risalgono agli anni tra Otto e Novecento quando, in seguito alla scoperta del neurone da parte di Camillo Golgi (1844-1926) e Santiago Ramón y Cajal (1852-1934), gli studiosi del sistema nervoso si trovarono di fronte un panorama completamente nuovo. L'identificazione delle cellule costituenti il cervello e l'aver compreso che i neuroni non formavano una rete ininterrotta ma erano separati da una sottile interruzione, come sosteneva Ramón y Cajal, posero infatti nuovi interrogativi sulle modalità della conduzione nervosa. Tutto ciò portò alla scoperta dei messaggeri nervosi che, man mano, sono stati al centro delle analisi funzionali del sistema nervoso e delle basi della fisiologia e patologia di specifici comportamenti.
Nella prima metà del Novecento, l'attività di quelli che oggi definiremmo con il termine 'neuroscienziati' è stata in gran parte polarizzata sullo studio della conduzione nervosa, della funzione delle sinapsi e dei mediatori nervosi. Questo approccio vedeva schierati ricercatori con una formazione diversa come gli anatomisti, i neurofisiologi, i farmacologi del sistema nervoso e infine i neurochimici. La scoperta dei mediatori nervosi e del loro ruolo a livello della sinapsi neuromuscolare nonché dei circuiti del sistema nervoso periferico e centrale è stato un evento fondamentale che ha spinto i ricercatori a porsi una serie di domande nuove, caratterizzate da un'ottica comune.
L'acetilcolina è stato il primo dei diversi messaggeri nervosi o neurotrasmettitori scoperti all'inizio del Novecento: prodotta dalle cellule nervose colinergiche, questa molecola assicura la conduzione nervosa da una parte all'altra della fessura sinaptica, trasformando un segnale elettrico in uno di tipo chimico. Ci si chiedeva tuttavia se ciò che i fisiologi avevano verificato a livello periferico tra nervo e muscolo valesse anche a livello delle sinapsi dei neuroni centrali. Malgrado i fisiologi avessero indicato sin dai primi anni del Novecento che i neurotrasmettitori erano responsabili dell'attraversamento della sinapsi nervo-muscolo da parte del segnale nervoso, è stato necessario attendere alcuni decenni perché fosse provato che gli stessi fenomeni si verificavano anche a livello cerebrale e si affermasse completamente la concezione secondo cui le diverse funzioni cerebrali dipendono strettamente da un gioco tra messaggeri nervosi e modulatori a livello della sinapsi.
Negli anni Trenta si verificò tra i fisiologi e i farmacologi una contesa sulle modalità della trasmissione sinaptica. I fisiologi, capeggiati da John C. Eccles (1903-1997), ritenevano infatti che tutte le sinapsi fossero elettriche e che il flusso di corrente prodotto dal neurone attraversasse lo spazio sinaptico per eccitare l'elemento postsinaptico, muscolo o neurone; i farmacologi, guidati da Henry H. Dale (1875-1968), pensavano invece che tutte le sinapsi si scambiassero l'informazione attraverso molecole chimiche, i mediatori nervosi. La concezione 'elettrica' non era priva di conseguenze ideologiche in quanto, mentre era facile ammettere che in periferia vi fossero sinapsi di tipo chimico, ipotizzare che ciò valesse anche per il cervello implicava un approccio più riduzionistico alla mente: l'attività elettrica si prestava infatti maggiormente a concezioni olistiche che tenevano ben scissa la mente dal cervello. Quando, intorno agli anni Cinquanta, furono disponibili raffinate tecniche elettrofisiologiche e biochimiche, fu evidente, grazie agli studi di Eccles e di Paul Fatt e Bernard Katz che soltanto alcune sinapsi particolari utilizzano la conduzione elettrica, mentre la maggior parte usa un mediatore nervoso, si basa cioè su una trasmissione neurochimica.
Il concetto di trasmissione neuroormonale, oggi consolidato nelle neuroscienze, si è affermato lentamente a partire dalle osservazioni condotte da John N. Langley (1852-1925), che dimostrò la similitudine degli effetti della stimolazione dei nervi simpatici e dell'iniezione di estratti di surrene. Pochi anni dopo, nel 1905, il fisiologo Thomas R. Elliott (1877-1961) sostenne che in seguito a un impulso nervoso i nervi simpatici liberavano minime quantità di sostanze simili a quelle dei surreni (epinefrina) che, venendo a contatto con l'organo effettore, lo stimolavano; per esempio, la stimolazione dei nervi simpatici che innervano il cuore produceva un'accelerazione del ritmo cardiaco. Egli notò anche che, se i nervi simpatici venivano tagliati, gli organi effettori continuavano a rispondere alle sostanze contenute negli estratti di surrene (che contengono l'adrenalina) e ipotizzò che, all'interno degli organi effettori, si trovassero 'sostanze recettrici' sensibili a molecole simili contenute nei nervi simpatici e nei surreni.
Mentre Elliott si concentrava sulla sezione 'simpatica' del sistema nervoso vegetativo, altri studiosi prendevano in esame la sezione 'parasimpatica' che esercita sull'organismo ‒ cuore, intestino, ghiandole ‒ effetti opposti a quelli del simpatico. In quegli stessi anni Dale notò infatti che una sostanza chimica, l'acetilcolina, produceva effetti del tutto simili all'azione del sistema nervoso parasimpatico e ne dedusse che riproduceva l'azione dei nervi del parasimpatico e che essa doveva essere rapidamente inattivata da un enzima ‒ l'acetilcolinesterasi ‒ che la idrolizzava in acido acetico e colina. Le osservazioni e le teorie di Dale furono messe alla prova dal fisiologo tedesco Otto Loewi (1873-1961) sul cuore isolato di rana, riuscendo a isolare una sostanza che egli definì con il termine Vagusstoff (sostanza vagale) e che dimostrò corrispondente all'acetilcolina. A seguito di questa e di altre ricerche, Dale dimostrò negli anni Trenta che l'acetilcolina era il mediatore del sistema nervoso parasimpatico (perciò detto 'colinergico') periferico, mentre Wilhelm Feldberg (1900-1993) confermò pochi anni dopo che anche a livello cerebrale esistevano neuroni colinergici e che pertanto la stessa spiegazione chimica valeva per la periferia come per il centro.
Negli anni Venti furono riprese le osservazioni originali condotte da Langley e da Elliott sul sistema simpatico: Walter B. Cannon (1871-1945) e J.E. Uridil postularono nel 1921 che il sistema simpatico contenesse una sostanza, la 'simpatina', i cui effetti sarebbero stati simili a quelli dell'epinefrina di origine surrenale, producendo, per esempio, un'accelerazione del ritmo cardiaco. Nel 1946 il fisiologo svedese Ulf Svante von Euler (1905-1983) identificò questa sostanza con la noradrenalina (o epinefrina demetilata) che fu isolata nei nervi simpatici, nei surreni (che contengono soprattutto adrenalina) e in seguito nei neuroni noradrenergici cerebrali; veniva perciò dimostrato che le stesse molecole ‒ o molecole molto simili come l'adrenalina e la noradrenalina ‒ erano contenute nei surreni e nei neuroni simpatici centrali e periferici. Anche in questo caso numerosi fisiologi preferirono continuare a chiamare questo mediatore nervoso 'epinefrina' ‒ a indicare la sua origine surrenalica e la prevalenza periferica ‒ anziché noradrenalina, termine più 'chimico' e quindi in qualche modo più favorevole a una concezione riduzionistica del cervello.
A partire dall'inizio degli anni Cinquanta furono isolati numerosi altri mediatori nervosi: nel 1946, a seguito degli studi pionieristici del farmacologo italiano Vittorio Erspamer (1909-1999) sulla cosiddetta 'enterammina', prodotta dalle cellule cromaffini dell'intestino, veniva definito il meccanismo d'azione di un nuovo mediatore, ribattezzato con il termine 'serotonina' ‒ o 5-idrossitriptammina ‒, alla cui scoperta hanno contribuito gli studi di Maurice Rapport. Da allora le ricerche sui mediatori nervosi (dopamina, GABA, amminoacidi, e così via) hanno conosciuto uno sviluppo senza precedenti e, grazie a complesse tecniche di biochimica, di istologia e di elettrofisiologia, è stato riconosciuto il ruolo critico che diverse molecole giocano nella neurotrasmissione a livello cerebrale; inoltre sono stati mappati i circuiti nervosi cerebrali formati da neuroni che producono un particolare mediatore nervoso.
Come si può notare, intorno agli anni Cinquanta la neuroanatomia, la neurofisiologia, la neurofarmacologia e la neurochimica avevano già affrontato alcuni snodi essenziali per comprendere la funzione nervosa. Queste discipline agivano però a livelli diversi e non avevano ancora tentato di fondere i loro approcci e le loro conoscenze con quelle relative al comportamento. Si aggiunga il fatto che negli Stati Uniti lo studio del comportamento era prevalentemente improntato al behaviorismo ‒ o comportamentismo ‒ che, sulla base delle teorie di Burrhus F. Skinner (1904-1990), teorizzava apertamente una separazione da quelle discipline che si rivolgevano allo studio dei meccanismi anziché alla valutazione delle variabili ambientali e allo studio delle 'leggi' del comportamento.
Particolare importanza per lo sviluppo delle neuroscienze moderne e la rottura dei confini disciplinari ha avuto il gruppo multidisciplinare riunito alla metà degli anni Cinquanta da David McKenzie Rioch ‒ psichiatra dotato di una notevole esperienza nel campo della neuroanatomia ‒ presso il Walter Reed Army Institute nel Maryland. Nel gruppo si fondevano competenze diverse, da quelle di neuroanatomia, rappresentate dal grande anatomista olandese Walle J. Nauta, a quelle di fisiologia (Robert Galambos e Michael Fuortes), e a quelle relative al comportamento (Murray Sidman e Joseph V. Brady). Del gruppo facevano parte anche diversi giovani studiosi, tra cui David H. Hubel che nel 1981 avrebbe ricevuto, insieme a Torsten N. Wiesel, il premio Nobel per la medicina o la fisiologia grazie alle ricerche sulla plasticità della corteccia visiva.
Tuttavia la prima pietra nella fondazione delle neuroscienze può essere considerato il Neuroscience Research Program (NRP) istituito nel 1962 presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) da Frank O. Schmitt (1903-1995), un biologo impegnato soprattutto nel campo della biofisica cui si deve anche la creazione del termine 'neuroscienze'.
Schmitt è stato uno studioso versatile che ha svolto le sue ricerche ai confini della bioingegneria e della biofisica, dedicandosi a tematiche disparate, dall'analisi della struttura del collagene agli studi di elettromicroscopia riguardanti la struttura dei muscoli striati, la conversione del fibrinogeno in fibrina e, infine, la struttura delle membrane cellulari e le macromolecole. La sua versatilità lo portò a dirigere, sotto gli auspici dei National Institutes of Health, una sezione per lo studio della biofisica, un settore ai suoi albori. Schmitt organizzò una celebre conferenza presso la University of Colorado a Boulder, che durò 4 settimane e raccolse gli interventi di ben 200 scienziati appartenenti a discipline diverse, dalla biologia alla chimica, alla fisica, alla psicologia e all'ingegneria. L'approccio interdisciplinare di quello che fu chiamato A study program in biophysical science e il successo di questo esperimento al di fuori dei confini disciplinari, indussero Schmitt a utilizzare la stessa strategia nel settore delle neuroscienze; su di esse aveva concentrato i suoi studi intorno alla metà degli anni Cinquanta quando aveva lavorato a Woods Hole, insieme allo zoologo inglese John Z. Young (1907-1997) ‒ in seguito attivo alla Stazione Zoologica di Napoli ‒ sulle caratteristiche dell'assone gigante del calamaro Dosidicus gigas, dotato di fibre nervose dello spessore di 3-4 millimetri, ideali per studiarne i fenomeni legati alla conduzione nervosa. Nel 1960 e nel 1961 vennero quindi organizzati due seminari multidisciplinari sui rapporti tra sistema nervoso e comportamento e si cominciò a parlare di neuroscienze. Alcuni dei partecipanti a questi incontri ritennero infatti che fosse giunto il momento per tentare un approccio al problema del cervello e della mente attraverso la mobilitazione di scienziati attivi in discipline diverse, come si era verificato per il Biophysical study program: nel 1962 si diede vita perciò a un consiglio direttivo con lo scopo di fondare l'NRP (Neuroscienes Research Program) che venne ospitato nella sede dell'American Academy of Arts and Sciences a Brookline, nel Massachusetts.
I ricercatori più anziani ricordano ancora una serie di piccoli quaderni monotematici, i bollettini dell'NRP che, a partire dal 1964 e sino al 1982, per un totale di 80, trattavano argomenti a cavallo tra neurofisiologia, neurochimica e comportamento. L'NRP non era soltanto un programma interdisciplinare ma anche interuniversitario di cui facevano parte ricercatori attivi in diversi settori: dalla chimica alla fisica, all'anatomia, all'immunologia, alla genetica, alla biologia molecolare. Il punto sulle ricerche nel settore delle neuroscienze e sulle possibili aree di convergenza veniva fatto attraverso una serie di workshop (oltre 200) e di scuole estive, tra cui quella che si teneva a Boulder, in Colorado, i cui risultati furono raccolti in quattro volumi, pubblicati rispettivamente nel 1967, nel 1970, 1974 e 1979. Nel 1963, in un rapporto interno dell'NRP Schmitt sosteneva che:
Questa nuova sintesi è un approccio per comprendere i meccanismi e i fenomeni mentali umani che sfrutta e applica i progressi rivoluzionari raggiunti dalla biologia molecolare nel periodo postbellico. Gli avanzamenti nel campo della genetica molecolare e dell'immunologia ‒ la decifrazione del codice genetico ‒ è dipesa dall'interazione produttiva tra fisica, chimica e biologia. Oggi simili raggiungimenti sembrano possibili nella comprensione della mente umana. Abbiamo a disposizione una massa di dati sulla mente grazie ai classici studi di tipo fisiologico e psicologico. Se utilizzeremo appieno questi diversi approcci accoppiandoli con le risorse concettuali e tecniche della fisica, chimica e biologia molecolare, si profileranno progressi enormi. (Swazey 1975, p. 246)
Contemporaneamente all'NRP di Schmitt, Stephen W. Kuffler (1913-1980), che ha legato il suo nome allo studio dei meccanismi che inibiscono la conduzione sinaptica, creava nel 1967 il primo Dipartimento di neurobiologia presso l'Harvard Medical School. Kuffler, che in precedenza dirigeva il Dipartimento di farmacologia, costituì un vasto gruppo di ricercatori di cui facevano parte quelli che vennero chiamati i due 'brain boys' (Hubel e Wiesel), i due 'membrane boys' (Edwin Furshpan e David Potter), l'enzimologo e biochimico Edward Kravitz, ed esperti di neuroanatomia e di comportamento. Il Dipartimento di neurobiologia fondato da Kuffler era il primo in cui le diverse discipline non erano separate da barriere e il primo che avviò corsi e iniziative a Woods Hole, nel Massachusetts, e al Salk Institute di San Diego, in California, due importanti centri di ricerca in campo biologico. Nel 1968 fu inoltre fondato il primo istituto di psicobiologia a opera di James L. McGaugh presso la University of California a Irvine.
I tempi erano quindi ormai maturi per dare vita a una società scientifica unitaria in cui confluissero quegli studiosi del cervello che fino a quel momento erano appartenuti a diverse società scientifiche come quella di anatomia, di biochimica o di psicologia. Nel 1968 lo psicologo Neil Miller, il biochimico Ralph Gerard e il neurofisiologo Vernon Mountcastle fondarono la Society for Neuroscience che tenne a Washington il suo primo convegno, al quale parteciparono 600 ricercatori, un numero ben scarso rispetto a quello dei soci attuali (oltre 28.000) che ogni anno si radunano in un congresso per discutere i recenti sviluppi in questo settore. Facendo seguito a questi sviluppi delle neuroscienze statunitensi, all'inizio degli anni Settanta nacque in Europa la European Neuroscience Association, forte di circa 3000 soci, e nel 1983 fu costituita la Società Italiana per le Neuroscienze.
Una delle più positive ricadute dell'NRP fu la fondazione, nel 1981, del Neuroscience Institute, diretto dal premio Nobel Gerald M. Edelman. Sponsorizzato dalla Neuroscience Research Foundation e da un contributo iniziale della Vincent Astor Foundation, l'istituto fu ospitato nel campus della Rockefeller University di New York sino al 1993 quando fu spostato a La Jolla, nella California del sud, in quanto si giudicò, giustamente, che esso potesse trarre maggior profitto dal vasto bacino scientifico costituito dalla University of California a San Diego, dallo Scripps Research Institute, dal Salk Institute, dal Burnham Institute e da numerose imprese attive nel campo delle biotecnologie farmaceutiche e della bioingegneria. La scelta di La Jolla si è dimostrata molto positiva e da allora il Neuroscience Institute costituisce un ponte tra le diverse discipline che si occupano di cervello, scienze del comportamento e filosofia della mente.