La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. La biomedicina
La biomedicina
La nascita e l'affermazione della biomedicina ha rappresentato uno degli sviluppi più importanti e significativi del secolo che va dal 1870 al 1970. Tale periodo è stato contraddistinto da un continuo intreccio tra le scienze biologiche e quelle mediche, con importanti ‒ se non rivoluzionarie ‒ implicazioni per la pratica di queste ultime. Il processo ha comportato l'ideazione di strumenti concettuali, metodologici e tecnici innovativi, per incrementare le conoscenze biologiche e mediche che hanno determinato, nelle società occidentali, la creazione di nuove istituzioni pubbliche e private e il crescente coinvolgimento di interventi di sostegno di natura filantropica.
La biomedicina ha ottenuto l'appoggio dello Stato, acquisendo un valore di tipo politico e attirando sempre maggiore attenzione ‒ perlopiù entusiastica ma non priva di valutazioni anche critiche ‒ da parte dell'opinione pubblica. Nella seconda metà del XX sec. la biomedicina, unita alla biotecnologia, ha costituito con la tecnologia elettronica e con quella dell'informazione una delle principali forze trainanti di una nuova economia basata sulla conoscenza. Le conseguenze di questi sviluppi sono state rilevanti e molteplici e hanno permesso una più approfondita conoscenza degli organismi viventi e delle malattie, una sempre più efficace capacità diagnostica e di cura per una vasta gamma di patologie e di disturbi e inoltre la trasformazione dell'agricoltura e dell'allevamento.
Negli anni Settanta dell'Ottocento la teoria dell'evoluzione per selezione naturale di Charles Darwin stava rapidamente diventando il paradigma biologico dominante. A distanza di oltre un secolo, essa rimane fondamentale per spiegare il cambiamento evolutivo ma risulta arricchita e rafforzata dai nuovi sviluppi della genetica sperimentale e di quella delle popolazioni, due conseguenze della riscoperta, nel 1900, dell'opera di Gregor Mendel. Negli stessi anni in cui si diffondevano le idee darwiniane la biologia diventava una scienza sperimentale e di laboratorio, con una trasformazione che consentì l'identificazione di virus e batteri e che portò alla nascita della teoria microbica delle malattie. Molti ricercatori tentarono, spesso con successo, di ricondurre i fenomeni vitali alla chimica e alla fisica, fondando in tal modo una nuova visione molecolare della vita, che ha profondamente modificato lo studio dei fenomeni biologici e medici sia nei loro aspetti normali sia in quelli patologici. La biochimica ha caratterizzato un numero strabiliante di componenti chimici e di reazioni, contribuendo a spiegarne il ruolo nel definire la diversità strutturale dei sistemi viventi e la loro organizzazione funzionale a livello cellulare. La fisica e la chimica fisica hanno consentito di comprendere il modo in cui le informazioni genetiche vengono immagazzinate, replicate, trasmesse ed espresse. La ricerca molecolare ha aperto nuove prospettive per la batteriologia, la virologia, l'immunologia, l'endocrinologia e la neurobiologia.
Il programma molecolare è stato enormemente favorito dall''importazione', nel campo della biologia, di strumenti concepiti nell'ambito della ricerca chimica e fisica. La biologia moderna non fa eccezione alla regola per cui gli strumenti di indagine vanno annoverati tra i risultati più importanti della ricerca scientifica, distinti dalla produzione della conoscenza scientifica di base tuttavia, per molti versi, a essa comparabili per l'impatto esercitato. Tra gli strumenti che svolgono ormai un ruolo imprescindibile nella medicina si possono elencare gli apparati per i raggi X, l'ultracentrifuga, l'elettroforesi, il ciclotrone, i microscopi elettronici, le tecniche di clamping per misurare l'attività elettrica a livello delle membrane cellulari, i microscopi a scansione e a effetto tunnel, la tecnologia tomografica e quella a risonanza magnetica per l'imaging. Molti di tali strumenti, commercializzati dai loro stessi ideatori, hanno sancito la nascita di comunità di scienziati e di tecnici dedite al loro perfezionamento, diventando quegli stessi strumenti oggetto di ricerca. L'uso dei computer in biomedicina è soltanto l'ultima espressione di questa tendenza oramai storicamente consolidata.
A partire dalla fine del XIX sec. la ricerca di base in settori come la genetica, la microbiologia e la fisiologia è stata finalizzata sempre più a scopi pratici. Le scienze della vita sono state utilizzate per migliorare la produzione degli alimenti e per modificarne la qualità, tenendo conto della produttività, degli aspetti nutritivi, della commercializzazione e delle preferenze dei consumatori. La biomedicina, continuamente impegnata nella battaglia contro la malattia, è stata potenziata grazie all'introduzione di una ingente quantità di strumenti diagnostici, vaccini e farmaci. La teoria microbica delle malattie infettive ha indotto l'adozione di una serie di provvedimenti di salute pubblica e ha aperto la porta alla produzione di medicinali e all'elaborazione di terapie di vario genere. Nuovi metodi di diagnosi e di trattamento hanno reso sempre più efficace la lotta alle patologie croniche e degenerative.
Negli ultimi anni si è molto dibattuto sugli effetti dei provvedimenti di sanità pubblica ‒ che hanno avuto come risultato un miglioramento della dieta, dell'igiene e della qualità della vita ‒ da una parte e quelli dei trattamenti terapeutici consentiti dai progressi delle conoscenze biomediche ‒ soprattutto rispetto alla lotta contro le malattie infettive ‒ dall'altra. Questa disputa ha prodotto una situazione di stallo ideologico che ha impedito di stabilire quale sia l'arma più importante per combattere le malattie infettive: se il potere della scienza o un'equa organizzazione sociale. In realtà, sono entrambe necessarie, in quanto si sostengono a vicenda. Non c'è tuttavia alcun dubbio che i progressi della biomedicina hanno accelerato il declino delle malattie infettive nel mondo industrializzato e consentito di migliorare anche la comprensione e il trattamento delle malattie croniche e degenerative. Tali progressi sono stati peraltro facilitati dal rapporto sempre più stretto che lega ospedali e università per quanto riguarda la ricerca e la formazione dei medici; particolarmente importante è stato anche il contributo da parte della chimica e della microbiologia alla ricerca farmaceutica.
Seguendo le tendenze più generali delle società industrializzate, nel XX sec. la biomedicina ha finito per stringere legami sempre più forti con la politica, con l'industria e con lo Stato.
Un importante stimolo in questa direzione è derivato dai conflitti bellici; nel corso della Seconda guerra mondiale, soprattutto, era stato possibile salvare molte vite umane ‒ che sarebbero state altrimenti esposte al rischio di shock o alle infezioni, come in precedenza ‒ grazie agli interventi diretti sui campi di battaglia, principalmente con i sostituti del sangue e con la penicillina. Un ruolo rilevante ha avuto anche la nascita dello stato sociale, caratterizzato dall'assunzione da parte pubblica della responsabilità della sanità.
Questo intreccio di rapporti ha assunto forme diverse a seconda dei programmi di ricerca, delle circostanze e dei contesti nazionali, pur tendendo sempre a configurarsi come una combinazione di finanziamenti provenienti dalle istituzioni pubbliche, dai donatori privati e dalle industrie. Dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti e la Gran Bretagna incrementarono enormemente il sostegno statale alla ricerca di base e alla formazione attraverso, rispettivamente, i National Institutes of Health e il Medical Research Council. Entrambe queste istituzioni incoraggiavano lo sviluppo di rapporti tra i loro laboratori, le università e il settore industriale. L'industria farmaceutica si specializzava soprattutto nella ricerca applicata, aiutando lo Stato nella produzione delle conoscenze di base e nella formazione del personale di cui aveva bisogno. Negli anni Settanta, dopo la nascita dell'industria biotecnologica, le stesse università cominciarono a commercializzare i frutti delle ricerche effettuate nei loro laboratori.
Gli esperimenti di guerra chimica condotti nel corso del primo conflitto mondiale avevano un po' offuscato l'immagine della chimica come scienza benefica in grado di generare prodotti sintetici superiori a quelli naturali. La biologia e la medicina, invece, con il loro contributo all'agricoltura, all'ambiente e alla salute pubblica, avevano continuato a godere di grande rispetto fino agli anni Sessanta, quando anche la biomedicina cominciò a essere oggetto di indagini critiche. La diffidenza nei suoi confronti fu la conseguenza soprattutto del fatto che, negli esperimenti, venivano spesso utilizzati esseri umani senza preoccuparsi di chiederne il consenso, delle accuse rivolte alle compagnie farmaceutiche di contribuire a far aumentare i costi della medicina, della scoperta dei danni ambientali prodotti da pesticidi come il DDT e del crescente coinvolgimento della biomedicina accademica nel settore commerciale.
I progressi della genetica molecolare e la nascita dell'ingegneria genetica scatenarono quindi il timore di un ritorno all'eugenica, il tentativo di migliorare la razza umana manipolandone il patrimonio genetico, che era stato compiuto all'inizio del XX sec. e che era stato utilizzato per giustificare il razzismo, l'eutanasia e, infine, l'Olocausto.
Negli anni Sessanta, sulla scia della democratizzazione e delle lotte per i diritti delle donne, delle minoranze e dei gruppi a basso reddito, emerse anche un movimento per i diritti dei pazienti, che sfidò l'autorità assoluta dei medici nelle decisioni concernenti le scelte terapeutiche. A questo si accompagnò una sempre più determinata insistenza, da parte dell'opinione pubblica, perché i medici e gli ospedali si assumessero la responsabilità dei propri errori e fosse loro impedito di abusare del nuovo potere della biomedicina. Negli Stati Uniti questi movimenti produssero un numero crescente di cause per negligenza; nelle università sia europee sia americane essi favorirono altresì, grazie all'intervento di esperti di religione, di filosofia e di diritto, la formulazione di riflessioni di bioetica ‒ in seguito elaborate in forma di norme e applicate anche negli ospedali e nei laboratori ‒ e una progressiva affermazione dei diritti e dell'autonomia dei pazienti in tutta la medicina occidentale.
La migliore e più significativa espressione di tale nuova richiesta di controllo pubblico delle scienze biomediche è stata la polemica esplosa negli anni Settanta intorno al DNA ricombinante. I biologi molecolari prefiguravano la possibilità di produrre nuovi alimenti, farmaci e terapie mediante la tecnologia della ricombinazione genica. Molti profani temevano però che la ricerca di queste innovazioni mettesse in pericolo l'equilibrio della Natura e che gli scienziati potessero arrivare alla presunzione di sostituirsi a Dio; per i non addetti ai lavori la biologia stava diventando pericolosa e costituiva una minaccia per l'ambiente e per la dignità umana. La richiesta di un maggiore controllo sulla scienza e di un'imposizione di limiti alla ricerca spinse molti di quelli che la praticavano e dei loro sostenitori a dichiarare che l'Occidente stava attraversando un periodo di transizione culturale da un''ideologia del progresso' a un''ideologia del limite', per citare le parole dell'epistemologo Gerald Holton.
Alcuni scienziati hanno abbracciato l'idea della responsabilità sociale della scienza. Circa trent'anni prima, i fisici nucleari avevano operato la stessa scelta, ritenendo fosse loro dovere contribuire alla sconfitta delle potenze dell'Asse all'epoca della Seconda guerra mondiale e garantire la sicurezza dell'Occidente durante la guerra fredda. I biologi molecolari hanno interpretato la loro responsabilità sociale come necessità di astenersi dal portare avanti ricerche potenzialmente pericolose. L'invenzione del DNA ricombinante fu seguita dalla richiesta ‒ da parte degli stessi ricercatori protagonisti di quell'innovazione ‒ di una moratoria sulle ricerche, fino a quando non fossero stati stabiliti i rischi che esse potevano comportare. La richiesta si rivelò di fatto poco avveduta perché, placata la polemica, i non addetti ai lavori rimasero comunque diffidenti nei confronti sia dell'ingegneria genetica sia della medicina molecolare. Nella speranza di sdrammatizzare la situazione, alcuni scienziati hanno cominciato a interpretare la responsabilità sociale come necessità di istruire il pubblico sui benefici della scienza per la società. Per molti versi, però, questo tentativo si è rivelato maldestro, perché il sospetto nei confronti della scienza non sempre si basava sull'ignoranza, derivando invece sovente proprio dalla conoscenza e dalla preoccupazione per i rischi che essa poteva comportare per l'ambiente, per la salute umana e per la sicurezza. Alcune delle critiche più aspre rivolte alle scienze biomediche, soprattutto per quanto riguarda la medicina e i rischi ambientali, sono state lanciate proprio da membri della comunità scientifica stessa.
Queste dichiarazioni risalgono, paradossalmente, proprio al momento in cui la biotecnologia e la nuova industria biotecnologica cominciavano a uscire dai laboratori e a placare le apprensioni dei profani con la promessa di meravigliosi prodotti terapeutici. Le restrizioni imposte alla ricerca nel campo della biologia molecolare ben presto si ridussero, arrivando praticamente a scomparire alla fine degli anni Settanta. I biologi molecolari, tuttavia, memori della polemica sul DNA ricombinante, hanno fatto il possibile per evitare di suscitare nuovamente la diffidenza dell'opinione pubblica nei confronti della scienza e, in particolare, delle branche sempre più coinvolte nella manipolazione genetica della vita.
La realtà è che negli anni Sessanta era iniziato il processo di democratizzazione, probabilmente irreversibile, della gestione della scienza. Oggi anche i non addetti ai lavori partecipano alle decisioni sulle politiche scientifiche adottate dagli ospedali, dai laboratori, dalle università pubbliche e private e dalle agenzie governative.
Tale democratizzazione rende tanto più necessario che le informazioni sulla biomedicina e sulle sue pratiche siano affidabili; altrettanto importante è, da parte della comunità biomedica, una migliore comprensione dell'atteggiamento del pubblico nei confronti della ricerca e dei suoi rischi. La conoscenza della storia della biomedicina può servire a entrambi questi scopi, spiegando il processo che ha condotto a tale rivoluzione e che ha consentito a questo settore scientifico di assumere una posizione di crescente rilievo nella società contemporanea. A prescindere da tutto ciò, la storia della biomedicina a partire dal 1870 merita comunque attenzione, perché ricca e complessa quanto la vita stessa, che fonde in sé una lunga serie di trasformazioni del pensiero, delle pratiche scientifiche, dei valori culturali e delle strutture socioeconomiche.
I capitoli che compongono tale sezione sulle scienze biomediche raccontano questa storia in tutti i suoi aspetti, trattando dello sviluppo della biologia e della medicina in quanto tali e di come esse hanno influito sui cambiamenti politici, economici, culturali e sociali, dai quali sono state al tempo stesso influenzate. Molti dei capitoli hanno come tema centrale lo studio degli organismi viventi e illustrano i metodi, gli strumenti e i risultati di questa ricerca, poiché nel campo della biologia e della medicina l'acquisizione delle conoscenze tecniche è alla base di ogni progresso; altri, invece, delineano il più ampio contesto storico che ha reso possibili e ha saputo valorizzare tali progressi tecnici.
La sezione biomedica si interrompe all'inizio dell'era del genoma. La ricostruzione della sequenza del genoma di diversi organismi ha consentito l'importante scoperta che essi presentano una struttura genetica molto simile. Da questo punto di vista si è avuta la conferma di una tesi ‒ quella dell'unità della vita ‒ affermata dalla biologia e dalla medicina fin dai tempi della teoria darwiniana dell'evoluzione e la sua applicazione anche alla specie umana, avvenuta all'inizio del periodo preso in considerazione in questa sezione. Nella prima parte di quel periodo il tema trovò espressione nell'emergere di specializzazioni di vasta portata come l'embriologia, la genetica, l'immunologia ‒ lo studio di processi e comportamenti comuni a varie specie, inclusa la nostra ‒ per poi divenire ancora più potente con la nascita della biologia e della medicina molecolare, le quali hanno rivelato aspetti comuni tra le varie specie a ogni stadio della vita ‒ dal concepimento alla nascita, dalla crescita alla malattia, dall'invecchiamento alla morte. Per quanto disparati siano i loro temi, tutti i capitoli contenuti in questa sezione riguardano, almeno implicitamente, il modo in cui a partire dal 1870 le scienze biomediche hanno evidenziato in maniera sempre più chiara l'unità della vita.