La seconda rivoluzione scientifica: matematica e logica. La scuola di Leopoli-Varsavia
La scuola di Leopoli-Varsavia
La singolare vicenda intellettuale divenuta nota come 'Scuola di Leopoli-Varsavia' comincia nell'autunno, del 1895 quando Kazimierz Twardowski (1866-1938) lascia Vienna, dove ha da poco conseguito la libera docenza, per andare a occupare una cattedra di filosofia a Leopoli, all'estrema periferia nord orientale dell'Impero. Allievo di Robert von Zimmermann, al quale Bernhard Bolzano aveva affidato in punto di morte i propri lavori incompiuti sui fondamenti della matematica, ma soprattutto di Franz Brentano (1838-1917), nel suo saggio Sulla teoria del contenuto e dell'oggetto delle rappresentazioni (1894) aveva cercato, appoggiandosi a Bolzano, di sciogliere le ambiguità presenti nel concetto brentaniano di oggetto intenzionale. Il suo stile di pensiero, a un tempo limpido e puntuale, la ricchezza dei suoi interessi, la radicale novità delle sue tematiche attirarono ben presto attorno a lui giovani di grande qualità. Infaticabile organizzatore, Twardowski creò un istituto di filosofia con annesso un laboratorio di psicologia secondo il modello di quello creato a Graz da Alexius Meinong (1853-1920). Il suo primo importante allievo fu Jan Łukasiewicz (1878-1956), nativo di Leopoli, che egli guidò fino alla nomina a professore straordinario (1911). Fu dalle lezioni di Twardowski che Łukasiewicz trasse le sue prime informazioni sulla logica matematica e, a loro volta, fu dalle sue lezioni che generazioni di polacchi impararono la logica. Tra i molti altri allievi si segnalano Tadeusz Kotarbiński, Stanisław Leśniewski e Kazimierz Ajdukiewicz. La riconquista dell'indipendenza polacca e la riapertura dell'Università di Varsavia, dove Łukasiewicz e di lì a poco anche Leśniewski e Kotarbiński si trasferirono, segnano l'inizio di una nuova, diversa fase nella quale, per quanto riguarda più strettamente la logica, decisivo risulta il grande credito di cui i due maggiori rappresentanti di questo tipo di interessi, pur se entrambi di formazione schiettamente filosofica, godettero presso i matematici. Sia Łukasiewicz sia Leśniewski insegnarono nella facoltà di scienze; per il secondo fu addirittura creata la cattedra di filosofia della matematica. Insieme a Zygmund Janiszewski, Stefan Mazurkiewicz e Wacław Sierpiński fondarono nel 1920 i ‟Fundamenta mathematicae". Attorno a loro accorsero ben presto molti giovani, i cui nomi sono entrati nella storia della logica. Il primo di essi fu Alfred Tarski, già docente dal 1926, poi seguirono Mordechaj Wajsberg, Adolf Lindenbaum, Mojzesz Presburger, Stanisław Jaśkowski, Bolesław Sobociński, Jerzy Słupecki e, più tardi, anche, Andrzej Mostowski e Czesław Lejewski.
In questa scuola, per quanto attiene alla logica, affiorano ben presto due anime: l'una, facente capo a Leśniewski, impegnata in una prospettiva fondazionalistica, l'altra, facente capo a Łukasiewicz e poi anche a Tarski, animata invece da intenti più propriamente logici, in certi momenti addirittura, verrebbe da dire, dall'idea della 'logica per la logica'. Di queste due anime, quella vincente che raggiunse rinomanza mondiale e fu anzi per lungo tempo uno dei poli di orientamento della ricerca logica mondiale fu la seconda. Privi, a differenza della maggior parte dei loro colleghi nel mondo, della preoccupazione istituzionale di dover dimostrare che la logica matematica serve o alla matematica o alla filosofia, i membri di quella scuola si dedicarono talvolta con passione quasi maniacale anche a obiettivi che, come quello della riduzione del numero e della configurazione degli assiomi, in particolare degli assiomi logico-proposizionali, appaiono piuttosto curiosità che non vere e proprie conoscenze.
Quando nel 1911 arrivò a Leopoli, Leśniewski aveva già alle spalle un'esperienza intellettuale e umana piuttosto complessa. Cresciuto in Siberia, dove il padre, ingegnere ferroviario, lavorava alla realizzazione della transiberiana, aveva fra l'altro studiato a Monaco con Hans Cornelius. Come molti polacchi dopo di lui, si avvicinò alla logica tramite il volume Sul principio di non contraddizione di Aristotele (1910) di Łukasiewicz. Attraverso un processo intellettuale assai travagliato, maturò l'idea che le difficoltà cui erano andate incontro le diverse teorie che a vario titolo e in forme differenti (da quella logicizzante di Frege a quella matematizzante di Cantor) avevano affrontato il problema della trattazione sistematica e rigorosa dei concetti indicati via via da termini come classe, insieme, aggregato, collezione, e altri, scaturissero dal fatto che in esse venivano mischiate e confuse due concezioni profondamente diverse: quella di totalità collettiva e quella di totalità distributiva. Si impegnò così (fra il 1914 e il 1917) in un grande sforzo di ripensamento del concetto di totalità collettiva, pervenendo a una sistemazione che chiamò dapprima teoria generale degli insiemi, ma poi, meno equivocamente, mereologia o teoria delle parti. Di qui, a ritroso, risalì a una teoria delle classi distributive che chiamò ontologia e poi ancora, nel tentativo di dare al tutto un assetto rigorosamente formale, a una teoria generale della proposizionalità che chiamò prototetica. Il lavoro di Leśniewski si inquadra in una teoria generale delle categorie semantiche, rielaborazione in base all'idea husserliana di Bedeutungskategorie come raggruppamento di espressioni linguistiche sensate intersostituibili in altre espressioni sensate conservandone la sensatezza, e all'idea russelliana di tipo come riflesso ineludibile ‒ pena la contraddittorietà ‒ di una irriducibile gerarchizzazione ontologica degli oggetti. Per Leśniewski vi sono due categorie fondamentali, quella delle proposizioni e quella dei nomi; ogni altra è derivata e costituita da funtori (cioè 'nomi di funzioni'). Si hanno così la categoria dei funtori proposizionali monadici (fra cui la negazione), diadici (fra cui la congiunzione, il condizionale, ecc.), poi i funtori da questi funtori a proposizioni o da questi funtori ad altri funtori, e così via; analogamente funtori da nomi a nomi, da coppie di nomi a nomi, da nomi a proposizioni, da funtori a funtori, e così via. Caratteristica della concezione di Leśniewski è la visione 'procedurale' dei sistemi logici. Questi si sviluppano a partire da certi assiomi attraverso l'applicazione di regole (le 'direttive') che ci indicano come, in ogni dato momento, possiamo estendere il sistema: o 'dimostrativamente', cioè attraverso l'aggiunta di un nuovo teorema (una 'tesi') relativo a concetti già disponibili; o 'definitoriamente', ossia attraverso l'aggiunta di una definizione che introduce un nuovo concetto appartenente a categorie già disponibili oppure un nuovo concetto appartenente a una nuova categoria ottenibile a partire da quelle già disponibili. La prototetica è ora la teoria delle leggi logiche che governano gli enti delle categorie ottenibili a partire dalla sola categoria delle proposizioni. Già Bertrand Russell (1903) sapeva che, disponendo della quantificazione universale sulle proposizioni, si poteva prendere come unico connettivo primitivo il condizionale →, perché si poteva definire il falso ⊥ come ∀p(p) e poi la negazione ¬p come p¬⊥.
Tarski nella sua tesi del 1923 provò che, disponendo di ∀ sui funtori proposizionali, fosse sufficiente il bicondizionale →. Per il ruolo che ha → nelle definizioni e quello che hanno le definizioni nella sua teoria, Leśniewski attribuì grandissima importanza a questo risultato. Di fatto, come si vide in seguito, l'intera prototetica può svilupparsi applicando le 'direttive prototetiche' a partire da quest'unico assioma: ∀pq{[p→q]→∀f[f(p,f(p,∀r(r)))→∀s(f(q,s)→(q→p))]}.
La teoria delle leggi logiche che governano le entità appartenenti anche alle categorie comprendenti quella dei nomi è l'ontologia. Intuitivamente parlando, i 'nomi' dell'ontologia sono pensati in modo tradizionale, ossia come dotati di un'estensione che può essere vacua, singolare o plurale ‒ riferentisi cioè, a nessuno, a uno solo, a più oggetti ‒ e quindi tali che i rapporti fra essi risultano di fatto assimilabili a quelli di un'algebra di classi, ossia a un'algebra di Boole completa e atomica. Per la trattazione formale di questi rapporti, Leśniewski preferiva, alla consueta inclusione, l'inclusione singolare, che notava con 'ε' e leggeva 'jest :: è', ossia, informalmente parlando, la relazione che sussiste fra il nome 'a' e il nome 'b' se e solo se l'estensione di 'a' è singolare e inclusa nell'estensione di 'b' (ossia se e solo se l'oggetto cui si riferisce 'a' è fra quelli cui si riferisce 'b'). Il famoso assioma unico dell'antologia è la presentazione formale di quest'idea: ∀ab{αεb→[∀c(cεa→cεb)∧∃c(cεa)∧∀cd(cεa∧dεa→cεd)]}.
Gli oggetti cui, intuitivamente parlando, si riferiscono i nomi, possono risultare aggregati di altri oggetti che ne costituiscono le parti, anzi, come Leśniewski preferiva affermare, ne sono "ingredienti". La mereologia, che non è proprio una teoria logica quanto piuttosto teoria generale della struttura degli oggetti che presuppone sia la prototetica sia l'ontologia, si occupa delle leggi che governano questa composizione. Siccome, sul piano formale, gli oggetti sono rappresentati dai nomi singolari, ossia dai nomi soddisfacenti la condizione aεa , la relazione di ingredienza dovrà essere presentata come relazione fra questi. Ciò può realizzarsi, per esempio, attraverso l'introduzione di un funtore 'ingr' da nomi a nomi che, informalmente parlando, associa a ogni nome singolare 'a' il nome 'ingr(a)'che si riferisce a tutti e soli gli oggetti che sono parte dell'oggetto designato da 'a'; che l'oggetto designato da 'a' sia parte di quello designato da 'b' trova dunque la sua espressione formale in 'aεingr(b)'. Opportuni assiomi assicureranno ora che questa relazione goda delle proprietà desiderate. Leśniewski, che accettava che il nulla fosse un concetto (l'esistenza cioè di un nome vacuo) ma non un oggetto, pensò alla relazione di ingredienza come a un'algebra di Boole completa bensì priva dell'elemento minimo. La presentazione formale di questa idea richiese un lungo lavorio. Il rigore maniacale con il quale Leśniewski sviluppò le sue teorie (nei suoi articoli si incontrano decine di pagine di formule senza alcuna parola), unitamente alle opzioni filosofiche da cui quello traeva la sua giustificazione, non sono certo le ultime ragioni del fatto che molte delle sue idee non abbiano avuto un seguito o che, qualora lo abbiano avuto, ciò sia avvenuto in ambiti concettuali e modi di pensare assai diversi da quelli entro i quali erano state originariamente concepite; non va dimenticato però che tutti 'i polacchi', da Tarski a Mostowski, considerarono sempre Leśniewski, assieme a Łukasiewicz, il loro grande maestro.
Fra i fenomeni che hanno reso il 1930 una data fondamentale nella storia della logica vi fu, accanto alla pubblicazione dei teoremi gödeliani di completezza e compattezza della logica elementare e della sistemazione formale a opera di Arend Heyting delle idee brouweriane, l'autentico insediamento sulla scena internazionale della 'seconda anima polacca' attraverso una serie di memorabili memorie in tedesco. Nella memoria pubblicata sui ‟Monatshefte für Mathematik und Physik" proprio di seguito a quella di Kurt Gödel, Tarski così efficacemente presenta la tematica generale caratteristica della scuola di Varsavia:
Le discipline deduttive costituiscono l'oggetto della metodologia delle scienze deduttive, che oggi, seguendo Hilbert viene solitamente detta 'metamatematica', più o meno nello stesso senso in cui le entità spaziali costituiscono l'oggetto della geometria o gli animali quello della zoologia. Naturalmente non tutte le discipline deduttive sono presentate in modo adatto a divenire oggetto di indagine scientifica. Non lo sono, per esempio, quelle che non riposano su una base logica definita, che non hanno regole di inferenza precise e i cui teoremi sono formulati nei termini solitamente ambigui e imprecisi del linguaggio colloquiale: in una parola, quelle che non sono formalizzate. Di conseguenza le indagini metamatematiche devono limitarsi alla discussione delle discipline deduttive formalizzate. (Tarski 1986, I, p. 347)
Anche l'atteggiamento caratteristico di questa 'seconda anima', l'idea della 'neutralità fondazionale' della logica viene indicato con la consueta lucidità un paio di pagine dopo: "In conclusione bisognerebbe osservare che in questo lavoro non viene presupposto alcun particolare punto di vista a proposito dei fondamenti della matematica" (ibidem, p. 349). Nella prima delle quattro memorie comparse invece nei "Comptes rendus" della Società di Scienze e Lettere di Varsavia e che costituisce una sorta di compendio del più ampio lavoro sopra citato, Tarski, con la concisione e l'eleganza che sempre contrassegnarono il suo modo di pensare e di esporre, illustra i contenuti concettuali essenziali di questa 'metodologia delle teorie deduttive' presentando i postulati e le definizioni che caratterizzarono addirittura un'epoca della logica del Novecento. Stabilito che l'insieme S delle proposizioni doveva essere 'al massimo numerabile', fissò che l'operazione ℂ che assegna a ogni sottoinsieme M di S il sottoinsieme ℂ(M) di S costituito dalle sue conseguenze, doveva soddisfare le condizioni:
esiste α∈S per cui ℂ({α})=S.
Egli fissò poi il concetto di 'sistema deduttivo' chiamando così ogni M⊆S tale che ℂ(M)=M e stabilì che M,N⊆S sono logicamente equivalenti quando determinano lo stesso sistema deduttivo, ossia quando si ha: ℂ(M)=ℂ(N). Fissò un'altra serie di concetti, identificando, in particolare, gli insiemi di proposizioni consistenti con gli M⊆S non logicamente equivalenti a S, ossia tali che ℂ(M)≠S, e quelli completi con gli M⊆S logicamente equivalenti a ogni loro estensione consistente, ossia tali che se e M⊆N e ℂ(N)≠S, allora ℂ(M)=ℂ(N) e presentò fra l'altro il fondamentale teorema di Lindenbaum secondo cui ogni insieme consistente di proposizioni può essere esteso a uno consistente e completo. Introdusse vari altri concetti, fra i quali quelli di insieme di proposizioni indipendente e finitamente assiomatizzabile. Oltre alla teoria generale della relazione di conseguenza sviluppò, sempre in forma astratta, il caso speciale in cui le teorie deduttive considerate dispongano del calcolo proposizionale. Richiesta la chiusura di S sotto le operazioni di negazione ¬α e di condizionalità α→β, richiese per → la validità dei principî di separazione e deduzione [α→β∈ℂ(M) implica β∈ℂ(M∪{α}); β∈ℂ(M∪{α}) implica α→β∈ℂ(M)]; per ¬ richiese ℂ({α})∩ℂ({¬α})=ℂ(0) e ℂ({α,¬α})=S; il tutto segnalando le ovvie cautele relative alla eventuale presenza di variabili libere e con l'indicazione di alcuni fatti basilari che valgono nella nuova situazione. Alla più specifica problematica della logica proposizionale è dedicata la seconda memoria, le Untersuchungen über den Aussagenkalkül (Ricerche sul calcolo proposizionale), che raccoglie risultati ottenuti (in generale indipendentemente l'uno dall'altro), non solo dai titolari del lavoro (Łukasiewicz e Tarski) ma anche da Lindenbaum, Sobociński e Wajsberg. Definito l'insieme S delle proposizioni come il più piccolo insieme contenente le variabili proposizionali p,q,… e chiuso rispetto alla formazione di condizionali α→β e negazioni ¬β, si mostra come, per dato M⊆S, il più piccolo sottoinsieme di S che include M ed è chiuso rispetto a sostituzioni e separazioni è un sistema deduttivo. Nello studio delle proprietà di questi sistemi deduttivi si introduce il concetto di matrice logica ‒ una quadrupla costituita da due insiemi disgiunti A e B e di valori (B contiene i valori designati) e due funzioni su A∪B, una binaria c e una unaria n ‒ e si mostra come, data una matrice normale (una in cui x∈B e y∈A implicano c(x,y)∈A), l'insieme delle proposizioni che ottengono sempre un valore designato quando alle loro variabili vengano assegnati valori in A∪B e si interpretino → sulla funzione c e ¬ sulla funzione n, costituiscono un sistema deduttivo, anzi (Lindenbaum) che vale anche il viceversa, ossia che ogni sistema deduttivo è caratterizzato da una matrice normale (contabile). Il primo esempio di sistema considerato è quello della logica proposizionale classica, caratterizzato dalla matrice binaria. Al riguardo si presentano organicamente nel nuovo quadro concettuale le principali conoscenze acquisite a Varsavia; tra queste, l'assiomatizzazione di Łukasiewicz costituita dai tre assiomi: (p→q)→((q→r)→(p→r)); (¬p→q)→p; p→(¬p→q); nonché una vasta gamma di raffinamenti concettuali relativi ai concetti di assioma e di assiomatizzabilità. Segue una succinta ma densa presentazione delle conoscenze accumulate sulle logiche polivalenti di Łukasiewicz. La logica di Łukasiewicz a n valori, Ln, è l'insieme delle proposizioni caratterizzate dalla matrice
Se si generalizza questa procedura e, tenendo ferme le equazioni che definiscono c e n, si va a prendere l'insieme di tutti i razionali dell'intervallo reale chiuso [0,1], o più in generale (Lindenbaum) un qualsiasi sottoinsieme infinito di quell'intervallo purché chiuso rispetto a c e n, si ottiene la 'logica di Łukasiewicz a infiniti valori'. Nel lavoro si presentano vari risultati concernenti queste logiche; da parte sua Łukasiewicz avanza fra l'altro anche l'ipotesi, poi risultata corretta, che la logica a infiniti valori sia assiomatizzata da p→(q→p); (p→q)→((q→r)→(p→r)); ((p→q)→q)→((q→p)→p); ((p→q)→(q→p))→(q→p); ¬p→¬q)→(q→p). Sia Chang sia Meredith mostrarono nel 1958 che il quarto assioma è superfluo.
Il terzo esempio di sistemi trattati è costituito da quello che chiamano il 'calcolo proposizionale ristretto', ossia il calcolo proposizionale puramente implicativo, primo esempio sistematico di quello che con il nome di 'sistemi parziali' diverrà in seguito un vasto terreno di ricerche. Il lavoro si conclude con alcuni risultati concernenti il calcolo proposizionale esteso, ossia il calcolo proposizionale del secondo ordine (primo scalino, per così dire, della prototetica), in cui cioè è ammessa la quantificazione sulle variabili proposizionali.
La terza di quelle memorie, le Philosophische Bemerkungen zu mehrwertigen Systemen des Aussagenkalküls (Osservazioni filosofiche sui sistemi polivalenti del calcolo proposizionale), è di Łukasiewicz e illustra le motivazioni e, più in generale, le vicende attraverso cui è pervenuto alle sue logiche polivalenti; in particolare l'origine e la valenza 'modali' delle sue idee, arrivando fra l'altro a un'affermazione assai interessante che peraltro più tardi (1953), almeno in parte e indirettamente, sconfessò.
Menzione separata ma importante meritano, in questa memoria, i fitti riferimenti storici, in particolare quelli relativi alla logica degli stoici. Sviluppati, approfonditi, organizzati, questi spunti troveranno poi posto nella memoria Zur Geschichte der Aussagenlogik (Per la storia della logica proposizionale), che, comparsa su "Erkenntnis" nel 1935, può considerarsi, malgrado qualche altro apprezzabile contributo precedente, come il vero e proprio atto di nascita della nuova storiografia logica e della riscoperta della logica stoica.
Nella quarta memoria, Über die Grundlagen der Ontologie (Sui fondamenti dell'ontologia), Leśniewski, spinto dagli amici e colleghi tentò, apparentemente senza grande successo, di far conoscere parte delle proprie idee.
In quello stesso 1930 Tarski, nel contesto della problematica della 'definibilità', comincia a presentare le linee portanti di quella che diverrà poi universalmente nota come 'semantica tarskiana'. L'idea è quella di spingere il tipo di trattazione matematica 'senza restrizioni', così felicemente applicato sino a quel momento, al di là dei confini della problematica proposizionale, rivolgendo l'attenzione a quel ben più complesso oggetto logico che sono le proposizioni strutturate non solo in connettivi, ma anche in soggetti, predicati e quantificatori. Dice Tarski:
La diffidenza dei matematici verso il concetto di definibilità si rafforza attraverso l'opinione corrente che questo concetto stia fuori dai confini propri della matematica [...] appartenga a un altro ramo della scienza: la metamatematica. In questo articolo cercherò di convincere il lettore che l'opinione testé menzionata non è affatto corretta. Senza dubbio il concetto di definibilità com'è solitamente concepito è di natura metamatematica. Credo tuttavia di aver trovato un metodo che [...] ci consente di ricostruire questo concetto nel dominio della matematica. Questo metodo è anche applicabile a certi altri concetti di natura metamatematica. (ibidem, pp. 519-520)
L'allusione è a concetti come quello di 'verità' o di 'validità universale' e sebbene il richiamo alla matematica abbia in questo contesto una valenza specifica (si tratta di trasformare le operazioni attraverso cui si costituiscono le formule in operazioni sugli insiemi di successioni che le soddisfano), tuttavia dalle considerazioni di Tarski ben traspare il progetto generale: trasformare il discorso sui linguaggi formali, sulle strutture di cui questi parlano e sui rapporti attraverso cui appunto quei linguaggi parlano di quelle strutture, in un capitolo della teoria degli insiemi. La presentazione compiuta di queste sue idee, dapprima, nel 1933 in polacco e poi, nel 1935, nel celeberrimo Der Wahrheitsbegriff in den formalisierten Sprachen (Il concetto di verità nelle lingue formalizzate) segnò un'altra tappa fondamentale nella storia della logica del Novecento.
Il successo fu enorme; a parte i chiarimenti che esso recava al concetto di verità con la sua profonda analisi e discussione dei fenomeni antinomici (che molto deve a Leśniewski), nonché i particolari risultati che presentava, esso offriva un armamentario concettuale di grande potenza e semplicità entro il quale trovava immediata, spesso elegantissima formulazione gran parte di quei risultati, concetti e metodi che costituivano di fatto il patrimonio di informazioni accumulate in un modo o nell'altro da figure come Löwenheim, Skolem e Gödel sul versante 'non-finitista' della logica. Fu questo armamentario quello che negli anni che seguirono si impose.
Fu esso, fra l'altro, che rese del tutto inefficace la proposta avanzata l'anno prima da Rudolf Carnap. Nel tentativo di delineare consapevolmente e sullo sfondo di una visione filosofica coerente il sistema e le prospettive di ricerca della logica postgödeliana, questi aveva infatti proposto, nella sua Logische Syntax der Sprache (Sintassi logica della lingua), una liberalizzazione radicale dei metodi ammessi per l'indagine metamatematica, conservando però l'ottica linguistico-formalistica propria della metamatematica hilbertiana e cercando, fra l'altro, di inglobare nella trattazione sintattica una vasta gamma di concetti ricollegabili a problemi di significato. Malgrado la grande ricchezza dei contenuti, anche tecnici, e l'elevata qualità della loro trattazione, il libro non ebbe fortuna. Letto e discusso nell'immediato (la versione inglese, sensibilmente ampliata, è del 1937), passò presto fra i libri che nessuno legge ed è spesso ricordato solo per l'abusato principio di tolleranza della sintassi: il nostro compito non è di imporre divieti ma di arrivare a convenzioni.