La seconda rivoluzione scientifica: matematica e logica. La scuola di geometria algebrica italiana
La scuola di geometria algebrica italiana
Le origini della scuola di geometria algebrica italiana si possono collocare intorno alla metà del XIX sec. con Luigi Cremona (1830-1903). Nei primi decenni dell'Ottocento la scuola francese e quella tedesca avevano gettato le basi della moderna geometria algebrica, introducendo l'uso sistematico della geometria proiettiva per lo studio di enti algebrici notevoli. L'opera di Cremona chiude il periodo pionieristico della geometria proiettiva, che egli eleva a scienza, giungendo a fondare una 'nuova algebra geometrica'; un carattere, questo, che resterà tipico della scuola di geometria algebrica italiana.
Il fondamentale merito scientifico di Cremona è stato forse quello di aver intrapreso, a partire dal 1863, lo studio sistematico delle 'trasformazioni birazionali' del piano e dello spazio ‒ poi denominate, in suo onore, 'trasformazioni cremoniane' ‒, un concetto che generalizza quello classico di trasformazione lineare o 'proiettività'. Si tratta di trasformazioni esprimibili, in termini di coordinate cartesiane, mediante funzioni razionali e generalmente invertibili con trasformazioni dello stesso tipo. Cremona propone una definizione rigorosa del concetto di trasformazione birazionale, mettendone in evidenza vari significati geometrici e algebrici: tra questi, la fondamentale proprietà di mutare funzioni razionali in altre funzioni razionali. Egli utilizzò poi il nuovo concetto nello studio delle 'superfici razionali', cioè le superfici birazionali al piano, contemporaneamente intrapreso anche da Rudolf Friedrich Alfred Clebsch (1833-1872), matematico tedesco con il quale mantenne per anni una vivace corrispondenza scientifica. In queste ricerche che segnarono una svolta nella geometria algebrica, Cremona fu probabilmente influenzato dai lavori di Riemann, il quale appunto aveva studiato le curve algebriche (superfici di Riemann) a meno di trasformazioni birazionali.
A Cremona va attribuito il merito indiscusso di avere creato una scuola di geometria algebrica in Italia, un obiettivo che rientrava nel più vasto disegno postrisorgimentale di fondare una scuola matematica italiana che si ponesse in relazione e al passo con le più avanzate tendenze europee. Negli anni 1860-1880 Cremona seppe realizzare ampiamente questo disegno; tra i suoi allievi spiccano le figure di Giuseppe Veronese (1854-1917) ed Eugenio Bertini (1846-1933).
I fondamentali risultati di Riemann degli anni 1850-1857 facevano seguito alle ricerche di Carl Gustav Jacob Jacobi (1804-1851) e Niels Henrik Abel (1802-1829) sull'integrazione dei differenziali di funzioni algebriche, che Riemann interpretò geometricamente introducendo il concetto di 'genere'. Il genere è il 'numero dei manici' della curva, vista come superficie topologica orientabile compatta. Riemann dimostra che questo fondamentale invariante topologico coincide con un invariante funzionale altrettanto importante introdotto da Abel, cioè il massimo numero dei differenziali olomorfi linearmente indipendenti sulla curva. Egli prova, inoltre, che il genere g entra nella determinazione del massimo numero r di funzioni razionali linearmente indipendenti sulla curva con n poli assegnati, dimostrando che r≥n−g+1, un teorema completato nel 1864 da Gustav Roch (teorema di Riemann-Roch). Infine, Riemann introduce il concetto di trasformazione birazionale tra curve di genere g e suddivide i campi di funzioni razionali su curve, ossia le curve di genere g a meno di trasformazioni birazionali, in classi, dipendenti da un certo numero di parametri continui o 'moduli', da lui valutati in 0 se g=0 (curve 'razionali', cioè birazionali alla retta proiettiva), 1 se g=1 (curve 'ellittiche') e 3g−3 se g≥2.
Dopo Riemann, in modo particolare per merito di Clebsch e Paul A. Gordan (1866) si sviluppano applicazioni e interpretazioni geometriche della sua teoria.
Tali applicazioni geometriche conducono naturalmente allo sviluppo di un approccio algebrico-geometrico alla teoria di Riemann. Questo complesso programma viene portato a compimento negli anni Settanta del XIX sec. da Max Noether (1844-1921) e da Alexander Wilhelm von Brill (1842-1935). Questi due autori, nella storica memoria del 1873, Über die algebraischen Functionen und ihre Anwendung in der Geometrie (Le funzioni algebriche e il loro impiego nella geometria), traducono la teoria analitica di Riemann nel linguaggio geometrico delle 'serie lineari' su una curva algebrica. Una serie lineare è una famiglia di 'gruppi di punti' (oggi detti 'divisori'), tagliati sulla curva, immersa in uno spazio proiettivo, dalle ipersuperfici di un sistema lineare, fuori di eventuali punti base sulla curva. È evidente lo stretto legame tra questo concetto, le applicazioni razionali della curva in spazi proiettivi e l'esistenza di funzioni razionali sulla curva con dati poli. Riferendosi a opportuni modelli piani delle curve, Brill e Noether provano per via algebrico-geometrica, mediante l'uso delle curve aggiunte, il teorema di Riemann-Roch, che dal nuovo punto di vista è un'asserzione sulla dimensione di serie lineari.
Allo stesso periodo risalgono importanti contributi di Clebsch e Noether alla fondazione della teoria delle superfici e allo studio, sulla scia dei lavori di Cremona, di particolari classi notevoli di superfici, come quelle razionali. Per esempio, Clebsch, nel 1868, aveva definito il 'genere' di una superficie come il massimo numero p di 2-forme olomorfe linearmente indipendenti sulla superficie. Noether l'anno seguente, in analogia con il caso delle curve, legava questo concetto con quello di 'superfici aggiunte' a opportuni modelli nello spazio tridimensionale. La ricerca condotta da Noether, dell'analogo per le superfici della formula del genere di Clebsch, condusse a trovare, accanto al genere ‒ che egli chiama 'genere geometrico' e indica con il simbolo pg ‒ un nuovo invariante birazionale, il 'genere aritmetico' pa, sempre non maggiore di pg. La quantità q=pg−pa venne denominata 'irregolarità' della superficie.
Verso la fine degli anni Ottanta del XIX sec. l'attività di Noether e della sua scuola si affievolisce. La sua eredità verrà raccolta dalla nascente scuola italiana, che si svilupperà accentuando sempre più il suo carattere geometrico e intuitivo. A creare un tramite tra le due scuole furono soprattutto Veronese, Bertini e, infine, Corrado Segre (1863-1924).
Giuseppe Veronese
Veronese, intorno al 1880, in Germania presso Felix Christian Klein (1849-1925), era stato propugnatore dell'approccio gruppale ai fondamenti della geometria. L'ambiente matematico tedesco dell'epoca era pervaso dalle tecniche algebrico-geometriche, che facevano largo uso della geometria proiettiva. Ciò suggerì a Veronese l'idea della famosa memoria Behandlung der projectivischen Verhältnisse der Räume (Trattazione dei rapporti proiettivi degli spazi, 1882) in cui la geometria proiettiva di uno spazio a un numero qualunque di dimensioni viene esposta in modo sistematico. In questo, come anche in altri successivi articoli, Veronese applicò i metodi proiettivi da lui sviluppati allo studio delle 'varietà algebriche', cioè i luoghi di zeri di polinomi, legando il concetto di serie lineare a quello di immersione in uno spazio proiettivo e interpretando da un punto di vista birazionale lo studio di operazioni proiettive elementari quali proiezioni e sezioni.
Eugenio Bertini
Bertini fu personalità importante sia per i notevoli risultati ottenuti nelle sue ricerche sia per il suo contributo alla diffusione delle idee matematiche. Nel famoso lavoro del 1894, La geometria delle serie lineari sopra una curva piana secondo il metodo algebrico, egli perfezionò e diffuse in Italia l'approccio alla teoria delle curve di Brill e Noether. Le sue lezioni di geometria proiettiva iperspaziale e di geometria delle varietà presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, raccolte nel volume Introduzione alla geometria proiettiva degli iperspazi del 1906, hanno costituito per circa mezzo secolo uno dei testi base per la preparazione dei geometri algebrici italiani. L'impostazione sintetica della scuola algebrico-geometrica italiana è qui corroborata dall'uso di teoremi di algebra.
Corrado Segre
Nello scenario creato da Veronese e Bertini, i quali per riprendere un pensiero di Francesco Severi puntavano a geometrizzare l'algebra piuttosto che a considerare la geometria come una finzione dell'algebra, emerge la figura di Corrado Segre, laureatosi a Torino nel 1883 sotto la guida di Enrico D'Ovidio, e che a Torino svolse la sua carriera accademica.
Il primo periodo dell'attività scientifica di Segre è dedicato a ricerche di geometria proiettiva. Ben presto il suo orizzonte si allarga alla geometria birazionale, in particolare delle curve. È Segre, insieme a Bertini e al giovane Guido Castelnuovo (1865-1952), a fare per primo tesoro della lezione di Brill e Noether, portandone molto avanti il programma, geometrizzandone ulteriormente la trattazione e pervenendo così a dimostrazioni semplicissime di risultati riposti. È per esempio notevole il metodo, ideato da Segre e completato e perfezionato da Castelnuovo, per la dimostrazione del teorema di Riemann-Roch. Tale metodo si basa sull'uso di formule numerative che descrivono le mutue relazioni di due serie lineari su una curva, un'idea ripresa molti anni dopo da André Weil (1906-1998) per la dimostrazione dell'analogo dell'ipotesi di Riemann per le curve. Questi sviluppi, svoltisi nel corso del decennio 1883-1893, sono riassunti nella fondamentale memoria del 1894, Introduzione alla geometria sopra un ente algebrico semplicemente infinito, coeva di quella, già menzionata, di Bertini.
Nel frattempo Segre, proseguendo le ricerche di Pasquale Del Pezzo e Veronese, si dedica negli anni 1886-1889 allo studio delle superfici rigate degli spazi a più dimensioni. L'innovativo metodo di Segre consiste nel legare la classificazione delle rigate all'esistenza, al numero e al grado di curve unisecanti il sistema delle rette generatrici. La tecnica, essenzialmente ancora usata, gli consente di descrivere in modo esauriente le rigate su curve razionali ed ellittiche e di ottenere risultati profondi anche per rigate di genere superiore.
Dallo studio delle rigate a quello delle varietà descritte da famiglie di spazi proiettivi il passo è breve. È questo un argomento ricorrente nelle ricerche del periodo più maturo, dal 1910 in poi, che viene affrontato sviluppando ardite tecniche di geometria proiettivo-differenziale. Le idee che Segre introduce consistono nella determinazione di proprietà globali di varietà, dedotte da proprietà differenziali di natura locale. Esse si ricollegano a classici studi sull'analisi geometrica delle equazioni differenziali di Jean-Gaston Darboux (1842-1917), in quegli anni sviluppata dal punto di vista geometrico-differenziale da Eugenio Elia Levi (1883-1917) e Luigi Bianchi (1865-1928) a Pisa. Da queste idee e da altre che in quegli anni elaborava, pure a Torino, Guido Fubini (1879-1943), prende il via la scuola italiana di geometria differenziale proiettiva, che annovera tra i suoi maggiori esponenti Gino Fano, Alessandro Terracini e Beniamino Segre, allievi diretti di Corrado Segre, e inoltre Eugenio Giuseppe Togliatti ed Enrico Bompiani.
L'approccio numerativo allo studio delle curve algebriche fu approfondito da Corrado Segre nelle ricerche sulle rigate e sulle varietà luoghi di spazi. L'origine dei problemi numerativi si ricollega al concetto di 'corrispondenza algebrica' tra varietà. Segre trovò necessario per le sue ricerche approfondire tale nozione, ai suoi tempi ancora vaga. A lui si deve la rigorosa definizione come sottovarietà del prodotto cartesiano di due varietà; anzi è il primo a provare che il prodotto di spazi proiettivi, e dunque di varietà proiettive, è una varietà proiettiva ('varietà di Segre').
Si ricollega agli studi di natura numerativa anche l'analisi (1898) delle proprietà della 'molteplicità di intersezione', nozione basilare che Segre contribuisce a chiarire dal punto di vista concettuale e a rendere più agile e duttile per le applicazioni. Queste ricerche sono legate a un argomento che egli ha intensamente coltivato nel periodo 1893-1897, ossia lo 'scioglimento delle singolarità' delle superfici algebriche. Segre sperava di poter contribuire in modo essenziale alla teoria delle superfici che nasceva in quegli anni in Italia, dimostrando il fondamentale teorema, già affermato, ma non provato, da Noether, sull'esistenza di un modello birazionale liscio per ogni superficie algebrica. Questo ambizioso progetto non fu però portato a compimento. Segre si limitò a pubblicare un lavoro dal titolo Intorno ad una mia memoria: sulla scomposizione dei punti singolari delle superfici algebriche (1897) in cui estendeva alle superfici alcune idee di Noether sulla nozione di punti singolari 'infinitamente vicini' per curve piane e studiava il comportamento di un punto singolare di una superficie per una trasformazione birazionale dello spazio. Questa memoria, benché non conclusiva, ebbe notevole influenza sulle successive trattazioni della questione, dovute principalmente a Beppo Levi (1875-1961), un allievo di Segre, e a Oscar Chisini (1889-1967).
Come si può intuire da questi brevi cenni, l'impatto di Segre sull'ambiente geometrico italiano fu notevole, per non dire fondamentale. Vanno però segnalati anche i limiti di questa importante figura, poiché, come ebbe a sottolineare Castelnuovo, mentre egli si impegnava ad aprire nuove vie all'indagine geometrica, non ne evidenziava le ricche potenzialità. Tuttavia lo stesso Castelnuovo riconosceva a Segre il merito di alcune importanti scoperte nella teoria delle superfici, come per esempio quella di un fondamentale invariante, il cosiddetto 'invariante di Zeuthen-Segre', legato alla caratteristica di Euler-Poincaré topologica, ma definito per via puramente algebrica.
Guido Castelnuovo e Federigo Enriques
Castelnuovo, laureatosi con Veronese a Padova nel 1886 e perfezionatosi con Cremona a Roma nel 1887, diviene successivamente assistente di D'Ovidio a Torino, dove incontra Corrado Segre. In questo primo periodo della sua attività egli contribuisce a formare l'indirizzo italiano alla teoria delle curve che segue le vedute di Clebsch, Brill e Noether. Nella sua memoria del 1889 Ricerche di geometria sulle curve algebriche viene portato a compimento il programma di Segre e viene proposta una dimostrazione del teorema di Riemann-Roch mediante l'uso di relazioni numerative. Castelnuovo è attratto soprattutto dall'analisi delle interazioni tra fenomeni algebrici, relazioni numerative e geometria proiettiva delle curve. Fondamentale in questo ordine di idee è la formula del massimo genere di una curva di dato grado in uno spazio proiettivo di dimensione r≥3 e la relativa classificazione delle curve di genere massimo, che egli ottiene estendendo precedenti analoghi risultati (1883) di Noether e Georges-Henri Halphen (1844-1889) per il caso r=3. A lui si devono anche alcune importanti idee sull'uso di tecniche di degenerazione in geometria numerativa iperspaziale. Sono inoltre importantissimi alcuni lavori sui sistemi lineari di curve piane, nei quali si trovano in embrione molte delle idee che successivamente saranno sviluppate nella teoria delle curve su superfici diverse dal piano proiettivo.
In questo ordine di idee si colloca anche un più tardo lavoro dal titolo Le trasformazioni generatrici del gruppo cremoniano nel piano (1901) che contiene la prima dimostrazione rigorosa del fondamentale teorema che ogni trasformazione cremoniana del piano è prodotto di trasformazioni proiettive e quadratiche. Segnaliamo infine la dimostrazione (1894) di un teorema enunciato da Leopold Kronecker (1823-1891), il quale afferma che una superficie dello spazio ordinario ha un sistema bidimensionale di sezioni piane riducibili se e solo se è rigata o è la proiezione della 'superficie di Veronese' di grado 4 dello spazio a 5 dimensioni: un risultato che, benché sembri risolvere una questione di portata limitata, gioca invece un ruolo notevole nella geometria delle superfici.
Dal 1891 egli è a Roma come professore ordinario e la sua attività si rivolge decisamente allo studio e alla classificazione delle superfici. Proprio all'inizio del suo periodo romano, avvenne l'incontro di Castelnuovo con il giovane Federigo Enriques (1871-1946) che, laureatosi alla Normale di Pisa nel 1891, si era recato a Roma per seguire i corsi di Cremona. Enriques, alquanto deluso dagli insegnamenti di quest'ultimo, si rivolse a Castelnuovo, che portava nell'ambiente romano le nuove idee di geometria iperspaziale e della geometria delle curve maturate alla scuola di Veronese e Corrado Segre. Nel giro di pochissimi mesi infatti, dalle conversazioni tra i due geometri maturò un nuovo approccio alla teoria delle superfici algebriche che, traendo profitto dalle idee originarie di Clebsch e Noether, le inglobava in un quadro più completo. Innanzi tutto fu chiarito che lo studio di una superficie algebrica consiste nello studio delle famiglie di curve che giacciono su di essa. Tra queste si evidenziano i 'sistemi lineari', analoghi delle serie lineari sulle curve, che dal punto di vista proiettivo si possono riguardare come le famiglie di curve 'tagliate sulla superficie' da sistemi lineari di ipersuperficie di uno spazio proiettivo, fuori di eventuali curve fisse. Vengono estesi i teoremi di Bertini sulle singolarità della generica curva in un sistema lineare; inoltre vengono studiati i sistemi continui di curve che non sono lineari, come, per esempio, il sistema delle rette di una rigata a curve sezioni di genere positivo. Si considerano le intersezioni tra le curve sulla superficie. A tal riguardo si prende in esame la serie lineare tagliata da un dato sistema lineare su una assegnata curva, e in particolare si introduce la nozione, che risale a Segre, di 'serie caratteristica' di un sistema lineare: si tratta della serie lineare tagliata su una curva del sistema dalle altre curve del sistema stesso. Inoltre, il concetto di curva viene arditamente esteso, pervenendo al concetto di 'curva virtuale', o 'divisore' secondo una più moderna terminologia, cioè una combinazione lineare formale a coefficienti interi di un numero finito di curve effettive sulla superficie. Anche a questa nozione più generale di curva si estende la teoria dell'intersezione e la nozione di serie caratteristica: in particolare viene definito il 'numero di intersezione' A∙B di due divisori A e B su una superficie, che, nel caso A=B prende il nome di 'autointersezione' o 'grado' di A, ed è il grado della serie caratteristica. La nozione di genere geometrico è data come il massimo numero di curve canoniche linearmente indipendenti sulla superficie e sono introdotti nuovi invarianti, i 'plurigeneri' Pi, che sono il massimo numero di curve i-canoniche (cioè curve che stanno in uno stesso sistema lineare con i multipli secondo l'intero i delle curve canoniche) linearmente indipendenti. Lo studio delle superfici viene ridotto a quello di modelli particolarmente semplici, che oggi chiamiamo 'modelli minimali', ossia il piano, le superfici rigate e le superfici su cui le curve canoniche hanno intersezione non negativa con ogni curva effettiva. Viene infine risolto in molti casi il problema di Riemann-Roch, che consiste nel calcolare le dimensioni dei sistemi lineari di curve su una superficie. Tutto ciò è esposto in due fondamentali memorie di Enriques del 1893 e del 1896 (Ricerche di geometria sulle superficie algebriche e Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche), in cui l'influenza di Castelnuovo è notevole, e nella successiva memoria del 1901 in collaborazione tra i due, Sopra alcune questioni fondamentali nella teoria delle superficie algebriche. A Castelnuovo si deve la prima dimostrazione del teorema di Riemann-Roch per le superfici (1896). L'importanza di queste ricerche è evidente: esse forniscono il quadro di riferimento non soltanto per la teoria delle superfici ma anche per lo studio di varietà di dimensione superiore; lo studio fu intrapreso in quegli stessi anni da Fano e dallo stesso Enriques.
Il punto di vista di Castelnuovo ed Enriques risulta vincente. Nel corso della serrata e appassionata corrispondenza intrattenuta tra i due geometri, emerge un famoso esempio, trovato nel 1894 da Enriques, di superficie con q=0, pg=0 e P2≠0. Esso mette in chiaro che la condizione q=pg=0 non basta, come aveva congetturato Noether, per asserire che la superficie sia razionale. Tuttavia Castelnuovo riesce a dimostrare nel 1896 il fondamentale 'criterio di razionalità': una superficie è razionale se e solo se q=P2=0. Questo teorema fornisce, tra l'altro, la risposta al 'problema di Lüroth' per le superfici. Il problema consiste in generale nel chiedersi se una varietà di dimensione n 'unirazionale' (cioè tale che esista un'applicazione razionale di uno spazio proiettivo sulla varietà) è anche 'razionale' (cioè birazionale a uno spazio proiettivo). Per le curve la risposta è affermativa; il criterio di Castelnuovo dà risposta affermativa alla questione anche per le superfici. Enriques, inoltre, caratterizza le superfici razionali o rigate come quelle per cui si annullano tutti i plurigeneri. Questi risultati mettono in evidenza l'importanza dei plurigeneri nella classificazione, che di qui prende avvio. Il metodo seguito da Enriques è quello che egli stesso chiama 'euristico', secondo il quale una superficie, o classe di superfici, è data solo se ne sono dati modelli proiettivi che ne mettano in luce le più riposte proprietà birazionali. Le superfici sono suddivise, a seconda dei valori dei plurigeneri, in quattro grandi classi, all'interno delle quali vengono effettuate ulteriori esaustive ripartizioni in sottoclassi; vengono studiate tutte le superfici delle classi più rilevanti. A questo monumentale lavoro, che si svolge principalmente nel primo ventennio del XX sec. ma che prosegue ancora con notevoli contributi fino a tutti gli anni Quaranta, partecipa gran parte della scuola di geometria algebrica italiana.
È notevole che Castelnuovo interrompa, con poche eccezioni, la pubblicazione di articoli di geometria algebrica intorno al 1906, senza però tralasciare il magistero didattico e il contributo alla creazione di una florida scuola. Da allora egli si dedicò attivamente ad altri settori di ricerca come il calcolo delle probabilità, della cui scuola in Italia fu uno dei fondatori. Per contro, Enriques fu sempre appassionatamente impegnato nella ricerca in geometria algebrica. Egli pubblicò tra l'altro i due fondamentali testi Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche (1915-1934) e Le superficie algebriche (1949). Il primo, in collaborazione con il suo allievo Oscar Chisini, è un'opera monumentale in quattro volumi che esercitò un'enorme influenza su tutta la matematica italiana della prima metà del secolo. La seconda opera fu pubblicata postuma. Essa riprende ed estende una prima edizione del 1934 redatta in collaborazione con un altro allievo, Luigi Campedelli, e riassume lo sviluppo della teoria delle superfici secondo le vedute della scuola italiana.
L'opera non fu accolta con molto calore e fu presto dimenticata; soltanto a partire dagli anni Settanta, di fronte al rinato interesse dei geometri algebrici per la scuola italiana, ha avuto il successo che meritava. Va infine ricordato che, come è ben noto, la figura di Enriques fu di grande rilievo anche in altri campi della cultura, come la storia della scienza, la filosofia e l'epistemologia.
Francesco Severi
La triade dei grandi maestri della scuola algebrico-geometrica italiana è completata da Francesco Severi (1879-1961), allievo di Corrado Segre a Torino, dove si laureò nel 1900, e successivamente assistente di Enriques a Bologna (1902) e di Bertini a Pisa (1903). Da Segre e Bertini Severi mutuò l'interesse per la geometria proiettiva e per la geometria numerativa.
A questioni di geometria numerativa è legata la sua tesi di laurea e soprattutto una memoria sulle varietà di Grassmann, Sulla varietà che rappresenta gli spazi subordinati di data dimensione, immersi in uno spazio lineare (1915), in cui Severi dimostra, tra l'altro, che le sole ipersuperfici di queste varietà sono intersezioni con ipersuperfici dello spazio ambiente. Da questo fatto, come, nel 1949, rilevò lo stesso Severi, discende la possibilità, resa esplicita da Wei-Liang Chow (1911-1995) e Bartel Leendert van der Waerden (1903-1996) negli anni Quaranta e Cinquanta, di rappresentare le varietà algebriche di dati grado e dimensione di uno spazio proiettivo come punti di una opportuna varietà, offrendo così una prima rigorosa formulazione del concetto di 'famiglie di varietà', usato, ma mai chiarito, prima di allora.
Nello stesso ordine di idee rientrano anche importanti ricerche sulla geometria delle ipersuperfici in uno spazio proiettivo di dimensione quattro (1901-1902). Per esempio, Severi dimostra che queste ultime, se sono lisce, contengono soltanto superfici che sono intersezioni complete con altre ipersuperfici dello spazio. Questo teorema esprime un'importante e riposta proprietà topologica delle varietà algebriche, come fu rilevato nel 1921 da Solomon Lefschetz (1884-1972) che ne diede, usando metodi analitici, un'ampia estensione alle varietà a intersezione completa.
L'incontro con Enriques, dapprima collaborativo e successivamente conflittuale, fu comunque decisivo per Severi, in quanto ne orientò gli interessi sui molti problemi aperti nella teoria delle superfici. Sebbene la classificazione fosse già stata delineata da Enriques e Castelnuovo nei primi anni del secolo, restavano tuttavia molti problemi irrisolti nello studio di importanti classi di superfici. A essi Severi diede fondamentali contributi. Per esempio, in una importante memoria scritta in collaborazione con Enriques nel 1907, Intorno alle superfici iperellittiche, viene delineata la classificazione delle superfici irregolari in cui tutti i plurigeneri valgono zero o uno, poi perfezionata e completata in un ampio lavoro del 1909, dal titolo Le nombre ϱ0 de M. Picard pour les surfaces hyperelliptiques et pour les surfaces irrégulières de genre zéro, da Giuseppe Bagnera (1865-1927) e Michele De Franchis (1875-1946). Questi studi proseguono importanti ricerche delle scuole tedesca e francese della fine del XIX sec.; si tratta di studiare e classificare le cosiddette 'superfici abeliane', ossia superfici con una struttura di gruppo compatibile con la struttura analitica, e i loro quozienti per gruppi di trasformazioni birazionali. Dal punto di vista analitico ciò coincide con la classificazione delle 'superfici iperellittiche' che sono parametricamente rappresentate da funzioni meromorfe quadruplamente periodiche di due variabili complesse, le cosiddette 'funzioni iperellittiche'. L'origine del concetto più generale di 'varietà abeliana' risale a Jacobi e a Riemann, cui si deve l'aver associato a ogni curva algebrica una varietà abeliana di dimensione uguale al genere, la 'varietà jacobiana' della curva. Lo studio delle varietà abeliane, quozienti di Cn per un reticolo massimale di rango 2n, e delle relative funzioni meromorfe, che risultano multiplamente periodiche su Cn ed esprimibili con opportuni sviluppi in serie di Fourier, le cosiddette 'funzioni theta', era stato intrapreso alla fine del secolo scorso da vari autori tra cui Paul Appell (1855-1930), Wilhelm Wirtinger (1865-1945) e Georges-Marie Humbert (1859-1921). Quest'ultimo in particolare aveva studiato negli anni 1898-1902 il caso delle superfici, senza però pervenire a una loro completa classificazione, problema risolto da Enriques-Severi e Bagnera-De Franchis. Ulteriori studi sulle varietà abeliane furono condotti da Severi in tutto l'arco della sua attività di ricerca.
Uno dei lavori iniziali di Severi sulla geometria delle superfici è quello del 1903 dal titolo Sulle superfici che rappresentano le coppie di punti di una curva algebrica (coevo di un analogo articolo di De Franchis) dedicato alla superficie prodotto di una curva per sé stessa, il cui studio equivale a quello delle corrispondenze sulla curva. Per quanto l'argomento fosse apparentemente di interesse limitato, il lavoro è, per dirla con Beniamino Segre, "di grande importanza […] perché ivi già trovansi in germe la teoria della base e una prima fusione fra le vedute algebrico-geometriche e quelle topologico-trascendenti, ossia due fra gli apporti più caratteristici del Severi" (Segre 1962, p. 115). La 'teoria della base', elaborata da Severi prima per le superfici e poi estesa a varietà di dimensione più alta, in vari lavori che si susseguono nel periodo centrale della sua attività scientifica, consiste nello studio di equivalenze meno fini di quella lineare per le curve su superfici. Per esempio, Severi dimostra che le curve di una superficie, modulo l'omologia topologica (o, equivalentemente, l'equivalenza algebrica), formano un gruppo abeliano finitamente generato.
Dal citato lavoro del 1903 prende origine l'interesse di Severi per lo studio delle famiglie di curve su superfici irregolari. Si deve alla scuola francese la prima ricerca del legame tra la nozione di irregolarità, l'esistenza di sistemi continui, non lineari, di curve su una superficie e aspetti topologico-analitici. Humbert aveva dimostrato nel 1893 che l'esistenza di sistemi continui non lineari comporta che esistano 1-forme olomorfe non nulle sulla superficie. D'altra parte Enriques, nel 1899, aveva dimostrato che l'esistenza degli stessi sistemi comporta che q≠0 e, nel 1901, aveva invertito il teorema di Humbert, provando che esistono sistemi di curve continui non lineari su una superficie se e solo se sulla superficie esistono 1-forme olomorfe non nulle. Nel frattempo Castelnuovo, nel 1897, legava il concetto di irregolarità a proprietà della serie caratteristica dei sistemi lineari di curve sulla superficie, provando che se q≠0 tale serie è incompleta per sistemi 'abbastanza grandi', per esempio quelli somma del sistema canonico con il sistema delle sezioni iperpiane della superficie. Si poneva pertanto il problema di invertire il teorema di Enriques, provando che q≠0 comporta l'esistenza di famiglie q-dimensionali, e non più ampie, di sistemi continui non lineari di curve. Una dimostrazione algebrico-geometrica di questo teorema, detto 'teorema fondamentale delle superfici irregolari', proposta nel 1904 da Enriques, era basata su un ingegnoso procedimento di degenerazione di curve su una superficie detto 'principio di spezzamento'. Essa fu accettata dalla comunità matematica, e su questa base Castelnuovo e Severi indipendentemente provarono, nel 1905, che q coincide con il massimo numero di 1-forme olomorfe indipendenti sulla superficie. La dimostrazione di Castelnuovo introduce, per ogni superficie S, una varietà abeliana di dimensione q, che Castelnuovo chiama 'varietà di Picard' di S, i cui punti rappresentano i sistemi lineari completi di curve di data classe omologica su S.
Tali risultati diedero grande prestigio alla scuola italiana. Purtroppo la dimostrazione di Enriques del teorema fondamentale era sbagliata. Di ciò si avvide Severi solo nel 1921, proponendo a sua volta una nuova dimostrazione. Anche questa risultò però errata; l'articolo di Severi fu anzi all'origine di una lunga e accesa polemica nella quale si inserì anche Beniamino Segre, che pure propose un suo approccio. Nel frattempo Jules-Henri Poincaré (1854-1912) aveva provato nel 1910, usando perlopiù tecniche analitiche, che l'irregolarità q si può interpretare come il massimo numero di 1-forme olomorfe linearmente indipendenti su una superficie, come la metà del primo numero di Betti della superficie, e come la massima dimensione di sistemi continui di curve non linearmente equivalenti. Sul tentativo di dimostrare questo teorema per via algebrico-geometrica la scuola italiana fallì, non riuscendo a venire a capo della questione per mancanza di tecniche adeguate. La prima dimostrazione algebrico-geometrica rigorosa del teorema è stata proposta da David B. Mumford solo nel 1966, usando il concetto di 'deformazione infinitesima' di una curva su una superficie e interpretandolo in modo coomologico. Tuttavia, come riconosce il matematico giapponese Kunihiko Kodaira (1915-1997), furono Severi e la sua scuola ad avvicinarsi più di altri alla soluzione, introducendo idee e tecniche che furono utili anche in dimensione superiore (Kodaira 1987). Un capitolo importante dell'attività scientifica di Severi fu lo studio di questioni fondazionali della geometria delle varietà algebriche di dimensione superiore, della definizione dei generi, dell'estensione del teorema di Riemann-Roch, di teoremi di regolarità, che oggi si interpretano come teoremi di annullamento di coomologia, e così via. Pur con notevoli intuizioni, Severi incorse in grossolani errori che, difesi spesso con ostinazione, gli alienarono e, per riflesso, a tutta la scuola italiana, parte della considerazione internazionale conquistata in precedenza.
Infine, alla teoria delle curve Severi diede un'impronta che ne ha segnato lo sviluppo fino ai nostri giorni. Superando un punto morto cui tale teoria era giunta alla fine del XIX sec., Severi indicò nuovi e vitali temi di ricerca sui quali essa si sarebbe dovuta orientare e cioè: studio di famiglie di curve in uno spazio proiettivo, spazi di moduli, degenerazioni di curve. In questi settori egli introdusse tecniche innovative e ottenne risultati importanti, molti dei quali raccolti nel suo libro del 1921, Vorlesungen über algebraische Geometrie (Lezioni di geometria algebrica) che, con quello di Enriques e Chisini già menzionato, sarebbe stato il testo base per generazioni di geometri algebrici fino agli anni Cinquanta.
Dopo gli sviluppi fin qui descritti, le tematiche e tecniche di ricerca si stabilizzarono nella scuola italiana per un lungo periodo, cioè fino a tutti gli anni Quaranta del XX secolo. In questo arco di tempo la scuola italiana produsse una notevole mole di risultati e di figure di prestigio accanto a quelle dei grandi maestri. Tra queste abbiamo già ricordato Fano, a Torino, che si occupò principalmente di problemi di classificazione per varietà di dimensione superiore; De Franchis, a Palermo, che ha fornito contributi essenziali alla teoria delle varietà abeliane e delle superfici irregolari; Comessatti, allievo di Severi e poi professore a Padova, al quale va il merito particolare di aver coltivato con gran successo il difficile campo della geometria algebrica sui numeri reali; Scorza, personalità di grande cultura e di vaste esperienze, che ha il merito di aver gettato le basi, insieme a Carlo Rosati (1876-1929), di una moderna teoria aritmetica delle varietà abeliane; Beniamino Segre, allievo di Corrado Segre e di Severi, che ha contribuito a tutte le branche della geometria algebrica, fondando anche la scuola italiana di geometria combinatoria.
La sede più importante fu Roma, che divenne il vero centro mondiale della geometria algebrica. In questa città, oltre alla stabile presenza di Castelnuovo, tornò Enriques all'inizio degli anni Venti dopo un lungo periodo passato a Bologna, sede della sua prima cattedra, e fu chiamato anche Severi, che aveva trascorso i primi anni come professore ordinario in varie sedi. A Roma furono anche professori ordinari, nell'arco del periodo di cui trattiamo, Scorza, Bompiani, Fabio Conforto (1909-1954) e Beniamino Segre. Altre sedi molto attive furono Torino, dove oltre a Corrado Segre, vanno ricordati Fano, Terracini e Fubini; Palermo, con De Franchis e Bagnera (Palermo fu anche sede del famoso Circolo matematico, che pubblicava una delle riviste più prestigiose dell'inizio secolo, fondata da Giovanni Battista Guccia (1855-1914) e successivamente diretta da De Franchis); Milano, con Chisini; Padova, con Comessatti e Ugo Morin (1901-1968); Pisa, con Giacomo Albanese (1890-1947), altro allievo di Severi, poi emigrato in Brasile; Pavia, con Luigi Berzolari (1863-1949); Firenze, con Edgardo Ciani (1864-1942), allievo di De Paolis e di Bertini, e poi con Campedelli.
Ai rapporti con la scuola francese abbiamo già fatto cenno. Dopo la scomparsa di Noether, nel 1921, si affievoliscono invece quelli con la scuola tedesca. Questo periodo vede la nascita intorno a Lucien Godeaux, allievo di Enriques a Bologna negli anni 1912-1914, di una scuola belga, che fu in stretto contatto con quella italiana. Gli sviluppi della geometria algebrica italiana ebbero seguito in Gran Bretagna, ambiente in cui si inserì Beniamino Segre, che trascorse in questo paese il periodo del suo allontanamento dall'insegnamento a seguito delle leggi razziali (1938-1946). Intorno agli anni Venti vi furono contatti con la scuola statunitense per merito di Lefschetz, che visitò Roma in quel periodo ed ebbe profondi scambi di vedute con Castelnuovo e con altri geometri della scuola italiana. è da sottolineare che negli anni Venti si laureò a Roma, con relatore Castelnuovo, il giovane Oscar Zariski (1899-1986), uno dei fondatori dell'algebra commutativa e della geometria algebrica moderna.
Curve algebriche e varietà abeliane curve
Abbiamo già ricordato l'importante risultato di Castelnuovo, del 1893, sul massimo genere delle curve in uno spazio proiettivo. L'analisi di Castelnuovo, geniale ma di sorprendente semplicità, consiste nel ricostruire le proprietà della curva da quelle della sua generica sezione con un iperpiano. La descrizione delle curve C di genere massimo ne mette in evidenza sia proprietà geometriche sia riposte caratteristiche algebriche. Tra queste, la 'funzione di Hilbert' dell'ideale dei polinomi che si annullano sulla curva C, ossia la dimensione hC(d), per ogni intero positivo d, dello spazio vettoriale dei polinomi omogenei di grado d che si annullano su C. Queste ricerche furono proseguite da Fano, nel 1894, nella sua dissertazione di laurea, con lo studio delle curve di genere vicino al massimo.
Tra le curve di genere massimo sono comprese le curve canoniche. I risultati di Castelnuovo implicano un teorema già enunciato da Noether e cioè che le curve canoniche sono 'proiettivamente normali', ossia le ipersuperfici di ogni grado tagliano su di esse serie lineari complete. Un altro risultato fondamentale, in quest'ordine di idee, è quello di Enriques, nel 1919, che afferma che le curve canoniche di genere g≥4 sono intersezioni di quadriche, con la sola eccezione delle curve 'trigonali', ossia rivestimenti tripli della retta proiettiva, e delle curve piane lisce di grado 5. La dimostrazione di Enriques, semplice ed elegante, era però incompleta e fu precisata nel 1939 dall'inglese D.W. Babbage. Questo teorema ha una lunga storia ed esercitò una profonda influenza sullo sviluppo della geometria algebrica. Esso fu ripreso nel 1922 da Karl Petri, uno degli ultimi allievi di Noether, il quale dimostrò, utilizzando tecniche agebriche, un risultato che implicava quello di Enriques. Il teorema di Petri non ebbe all'epoca la giusta risonanza e una ragione di ciò risiede probabilmente nel fatto che la gran parte dei geometri algebrici in quel periodo, influenzati dalla predominante scuola italiana, non era particolarmente interessata a risultati di natura algebrica. Va considerato che, dopo circa mezzo secolo di autonomo sviluppo, la scuola italiana aveva affinato sempre più il suo gusto per un approccio geometrico-proiettivo. Per contro, i tedeschi erano rimasti interessati ad analisi di tipo algebrico, già presenti in Brill e Noether, per le quali i metodi proiettivi della scuola italiana non erano sempre del tutto adeguati.
Una probabile motivazione di ciò fu l'influenza della grande tradizione di studi algebrici presso la scuola tedesca, che non ebbe uguale in Italia. In ogni caso negli anni Venti le due scuole divergevano, nei metodi e nei gusti, al punto da lavorare sugli stessi argomenti senza più un'effettiva comunicazione e comprensione reciproca. Tali segnali della perdita di contatto della scuola italiana con altre scuole sono un fenomeno che si aggraverà con il tempo e condurrà, verso la fine degli anni Quaranta, a una profonda crisi, dovuta anche all'isolamento cui fu indotta la scuola dalle tendenze autarchiche del regime fascista. Bisogna attendere il 1950, con un lavoro sulle curve proiettivamente normali dello spazio ordinario di Federico Gaeta, un allievo spagnolo di Severi, perché compaiano nella geometria algebrica italiana metodi di algebra omologica e commutativa.
Altro argomento centrale presso la scuola italiana è lo studio dello 'spazio dei moduli' Mg delle curve di genere g, una varietà i cui punti rappresentano le classi di isomorfismo birazionale delle curve di genere g. Lo spazio dei moduli Mg era stato introdotto per via topologica nel 1859 da Riemann, che ne valutò la dimensione. Inoltre Klein aveva provato nel 1882, sempre con metodi topologici e analitici, che Mg è irriducibile.
Il primo approccio algebrico-geometrico allo studio di Mg si deve a Enriques, che nel 1912 ne propose la seguente costruzione: si consideri una famiglia di curve proiettive in cui siano contenute 'tutte' le curve di genere g e la si 'quozienti' per gli isomorfismi tra tali curve. Enriques considera la famiglia Vd,g delle curve piane di dato grado d e genere g con soli nodi: come era stato osservato da Brill e Noether, per opportuni valori di d e g tale famiglia contiene tutte le curve di genere g. In questo ordine di idee è naturale chiedersi se Vd,g risulti irriducibile, in quanto una risposta affermativa implicherebbe una dimostrazione algebrico-geometrica dell'irriducibilità di Mg.
Sia Enriques sia Severi si cimentarono nella dimostrazione di questo risultato, ambedue con argomenti basati su ingegnose tecniche di degenerazione. Tuttavia entrambe le dimostrazioni sono incomplete e la questione della irriducibilità di Vd,g, conosciuta come 'problema di Severi', è rimasta insoluta fino al 1985, quando è stata risolta positivamente da Joe Harris con tecniche di degenerazione che, benché più raffinate, ricordano quelle di Enriques e Severi. In ogni caso, il concetto stesso di spazio dei moduli non fu mai ben definito dalla scuola italiana. Una rigorosa costruzione algebrico-geometrica di Mg è dovuta a Mumford che, nel 1965, riprende l'idea di Enriques, ma parte da altre famiglie di curve, come le curve pluricanoniche, e usa tecniche di teoria geometrica degli invarianti risalenti a David Hilbert.
Nel 1915 Severi affrontò l'importante questione della struttura birazionale di Mg. Partendo dalla rappresentazione delle curve come curve piane con nodi, egli fornì un argomento sostanzialmente corretto per dimostrare che Mg è unirazionale per g≤10. Basandosi su ciò Severi congetturò che Mg fosse unirazionale per ogni g, congettura smentita da Harris e Mumford nel 1982.
Grande attenzione fu dedicata dalla scuola italiana allo studio di interessanti famiglie di curve che posseggono serie lineari notevoli, per esempio famiglie di curve di dati grado e genere in un fissato spazio proiettivo, oppure famiglie di curve di dato genere che sono rivestimenti di un certo ordine d di una retta proiettiva, le cosiddette 'curve d-gonali'. I problemi studiati sono la riducibilità o irriducibilità delle famiglie considerate, la determinazione del numero di parametri da cui esse dipendono, quale ne è l'immagine nello spazio dei moduli, e così via. La questione sulla irriducibilità di Vd,g è di questo tipo. Severi si occupò di questi problemi negli anni 1915-1921 e raccolse il frutto di queste sue ricerche nel trattato Vorlesungen über algebraische Geometrie (1921), che va considerato come l'ultimo tentativo sistematico di affrontare le questioni più importanti della teoria delle curve algebriche con i metodi della geometria classica. Tra gli obiettivi perseguiti da Severi vale la pena di citare lo studio delle serie lineari sulle curve a moduli generali. Già Brill e Noether si erano occupati della questione, suggerendo che su ogni curva di genere g le serie lineari di grado n e dimensione r dovessero dipendere da ϱ(g,r,n)= g−(r+1)(g−r+n) parametri, e congetturando che su una curva 'sufficientemente generale' esse dipendessero esattamente da ϱ(g,r,n) parametri. Severi, poggiando su suggestivi metodi di degenerazione a curve spezzate in rette, le cosiddette curve 'poligonali', credette di poter stabilire un risultato anche più completo: egli affermò infatti che la famiglia delle curve di genere g e grado n in uno spazio proiettivo di dimensione r è irriducibile se ϱ(g,r,n)≥0 e ha la 'giusta dimensione' pari a 3g−3+ϱ(g,r,n)+r2+2r. Purtroppo le affermazioni di Severi sono talvolta errate (per es., lo è l'ultima proposizione citata) e le sue dimostrazioni sono quasi tutte incomplete, e tali apparvero già ai geometri dell'epoca. Si è fatto ritorno alle questioni trattate da Severi soltanto dagli anni Settanta in poi con nuovi e più raffinati strumenti ed è stato sorprendente scoprire che numerosi risultati enunciati da Severi erano veri e che la loro dimostrazione poteva essere ottenuta con idee non molto distanti dalle sue originali.
È impossibile concludere questi cenni agli sviluppi della teoria delle curve senza fare riferimento ai risultati sulle corrispondenze tra curve. Un approccio analitico a questa teoria era stato proposto negli anni 1886-1888 da Adolf Hurwitz (1859-1919) e seguito in Germania e in Francia da Paul Painlevé (1863-1933), Hermann Amandus Schwarz (1843-1921) e Humbert, anche in vista delle sue relazioni con la teoria delle varietà abeliane. Infatti Hurwitz osserva che dare una corrispondenza della curva C nella curva C′ equivale a dare un omomorfismo della jacobiana J(C) di C in quella J(C′) di C′. Pertanto lo studio delle corrispondenze si lega a quello degli omomorfismi tra varietà abeliane e degli effetti che essi hanno sulle relative funzioni theta.
Abbiamo già accennato all'assetto algebrico-geometrico dato alla teoria delle corrispondenze dagli italiani a partire da Segre, che vede le corrispondenze tra due curve come curve della superficie prodotto delle due. Si può così trarre profitto, anche in questro campo, dalle tecniche sviluppate per lo studio di curve su superficie. In un elegantissimo lavoro di De Franchis del 1903 appare per la prima volta l'idea assai fruttuosa di mettere in relazione alcuni caratteri numerativi delle corrispondenze su una curva C con la teoria della intersezione delle corrispondenti curve sulla superficie C×C. Così De Franchis ottiene in modo semplicissimo importanti risultati, raggiunti prima di lui con faticose tecniche analitiche: per esempio, il teorema di Schwarz, che afferma che una curva di genere g≥2 possiede solo un numero finito di automorfismi. Questo approccio numerativo fu più volte utilmente ripreso. Il risultato forse più famoso in questo ambito è la cosiddetta 'disuguaglianza di Castelnuovo-Severi' che dà un limite superiore per l'autointersezione di una curva sulla superficie C×C′prodotto di due curve C e C′. Essa è alla base della dimostrazione di Weil dell'analogo dell'ipotesi di Riemann per le curve. In questo filone si collocano importanti ricerche di Castelnuovo, Comessatti, Rosati, Severi e Ruggiero Torelli (1884-1915), un allievo di Severi prematuramente scomparso durante la Prima guerra mondiale.
In quest'ordine di idee, la scuola italiana ha contribuito in modo essenziale alla teoria delle varietà abeliane e dei relativi omomorfismi, spostando l'accento dall'approccio analitico delle scuole francese e tedesca a uno essenzialmente algebrico e aritmetico. Risultati molto originali si devono a Scorza. Questi rielabora, negli anni che vanno dal 1913 in poi, la teoria delle varietà abeliane, ponendone alla base il concetto di 'matrice di Riemann', una matrice n×2n le cui colonne generano il reticolo massimale per cui va quozientato Cn onde ottenere la varietà abeliana. Scorza si occupa infine delle algebre degli endomorfismi delle varietà abeliane e ciò lo porta nei suoi ultimi studi a dedicarsi alla teoria astratta delle algebre, seguendo un filone di ricerche poco coltivato in Italia prima di allora ma molto in voga presso la scuola anglosassone. Nello stesso ordine di idee Rosati si era occupato dello studio degli endomorfismi di jacobiane, introducendo alcuni concetti fondamentali, tra i quali la cosiddetta 'involuzione di Rosati' nell'algebra degli endomorfismi di una jacobiana. Le ricerche di Scorza e Rosati segnavano un notevole punto di contatto tra algebra, aritmetica e geometria e avrebbero potuto favorire l'interesse in Italia per lo sviluppo dell'algebra astratta. Purtroppo la cosa non avvenne e le idee di Scorza e Rosati ebbero in verità maggiore risonanza fuori dall'Italia e particolarmente negli Stati Uniti. Infatti Lefschetz ebbe modo di apprenderle e apprezzarle durante il suo periodo di permanenza a Roma, e di diffonderle all'estero. Da un punto di vista algebrico questi studi furono proseguiti negli Stati Uniti da Abraham A. Albert (1905-1972), fondatore di un'importante scuola di algebra, cui si deve, nel 1934, la classificazione delle algebre di divisione di rango finito sui razionali. Questo teorema di classificazione è alla base dei fondamentali risultati sulle famiglie di varietà abeliane con endomorfismi non banali ottenuti dal matematico giapponese Goro Shimura nel 1963.
Superfici algebriche
La classificazione delle superfici è forse il contributo più originale e importante della scuola italiana. L'idea è quella di classificare le superfici a seconda del comportamento dei rispettivi modelli canonici o pluricanonici. In tal modo si ripartiscono le superfici in quattro classi.
1) Superfici con tutti i plurigeneri nulli, che, in virtù dei già citati risultati di Castelnuovo ed Enriques (1896), sono razionali se q=0, e rigate irrazionali se q≠0.
2) Superfici per cui i plurigeneri sono 0 o 1. La classificazione di queste superfici si completa intorno al 1909. Esse si suddividono in quattro classi: (a) superfici regolari con pg=0 e P2=1, dette 'superfici di Enriques', classificate da Enriques con un geniale procedimento di degenerazione nel 1906; (b) superfici regolari con tutti i plurigeneri uguali a 1, modernamente dette 'superfici K3', studiate e classificate indipendentemente da Enriques (1908) e Severi (1909); (c) superfici irregolari con tutti i plurigeneri uguali a 1, che si caratterizzano come 'superfici abeliane'; (d) superfici irregolari con pg=0 e P2=1, modernamente dette 'superfici biellittiche'; la classificazione dei due ultimi tipi di superfici si deve, come più volte accennato, a Enriques-Severi (1907) e Bagnera-De Franchis (1907-1909).
3) Superfici, dette 'ellittiche', i cui modelli pluricanonici sono punti o curve; queste vengono caratterizzate come superfici possedenti un sistema unidimensionale privo di punti base (detto 'fascio') di curve di genere 1. La loro classificazione fu effettuata da Enriques negli anni 1898-1914. Su di essa Enriques tornò varie volte per raffinarla e semplificarla: per esempio, nel già citato volume di lezioni in collaborazione con Campedelli (1934) e in Le superficie algebriche del 1949.
4) Superfici per cui qualche modello pluricanonico è una superficie, modernamente dette 'superfici di tipo generale'. Lo studio di queste superfici inizia con un famoso articolo di Castelnuovo (1891) nel quale si discutono vari esempi e si dimostrano alcune disuguaglianze fondamentali tra i caratteri. Esso fu poi continuato da Enriques per un arco di tempo di mezzo secolo.
Questa classificazione oggi corrisponde alla suddivisione delle superfici in relazione alla 'dimensione di Kodaira' κ=−∞, 0,1,2. Essa, già delineata alla fine del XIX sec., è completata nei primi quindici anni del Novecento, e si trova esposta da Enriques in una nota lincea del 1914. A partire da allora inizia un lungo periodo di raffinamento della classificazione, con lo studio di famiglie particolari di superfici.
Di lunga durata, da parte di Enriques e della sua scuola, fu lo studio delle superfici di tipo generale. Si trattava di analizzare le proprietà dei relativi modelli canonici o pluricanonici; tale analisi fu effettuata basandosi sulla costruzione di una larga messe di esempi da cui estrapolare proprietà generali. Tra questi esempi occorre citare quelli trovati da Godeaux (1931) e Campedelli (1932), di superfici di tipo generale con pg=0, tuttora oggetto di studio da parte degli specialisti. Se si pensa alla congettura di Noether del 1875, che pg=0 dovesse caratterizzare le superfici rigate o razionali, si capisce quali sorprese avesse riservato la teoria delle superfici ai suoi cultori in cinquant'anni di sviluppi.
Il risultato principale di Enriques per le superfici di tipo generale è alquanto tardo (Enriques 1949): esso afferma che per una superficie S con q=0 e pg>0 il modello tricanonico è birazionale a S con due eccezioni completamente descritte, mentre quello n-canonico per n≥4 è sempre birazionale a S. Il teorema fu, nel 1949, esteso da Alfredo Franchetta, ultimo allievo di Enriques, alle superfici irregolari. Si tratta di un risultato fondamentale: per esempio, esso consente la costruzione di uno spazio dei moduli delle superfici di tipo generale. La sua dimostrazione si basa sul cosiddetto 'teorema di regolarità dell'aggiunto', che calcola la dimensione del sistema lineare somma di un dato sistema lineare di curve sulla superficie con il sistema canonico. Il teorema, stabilito per via analitica da Picard nel 1905 sotto varie condizioni restrittive, era stato dimostrato nella massima generalità e per via algebrico-geometrica da Franchetta, ricorrendo a una nozione tecnica, quella di 'aritmetica connessione' di curve su una superficie. Questa nozione si è rivelata basilare anche nell'approccio moderno allo studio delle superfici di tipo generale e dei loro modelli pluricanonici, inaugurato da Enrico Bombieri nel 1973.
Per quanto concerne le superfici irregolari, il risultato forse più importante si deve a De Franchis nel 1905. Esso assegna le condizioni necessarie e sufficienti affinché una superficie contenga un fascio non lineare di curve: per ciò è necessario e sufficiente che o sia q=1 oppure che la superficie contenga due 1-forme olomorfe linearmente indipendenti, ma una funzione dell'altra. Il teorema è noto come 'teorema di Castelnuovo-De Franchis', in quanto nello stesso anno Castelnuovo ne trae la notevole conseguenza che ogni superficie per cui pg≥2(pa+2) possiede un fascio non lineare di curve.
Altra scoperta fondamentale è quella dell'esistenza, in relazione a una superficie irregolare, di una seconda varietà abeliana, oltre alla varietà di Picard introdotta da Castelnuovo. Si tratta di una naturale generalizzazione del concetto di jacobiana di una curva, e viene introdotta nel 1913 da Severi per via analitica. Stranamente essa venne denominata 'varietà di Albanese', forse perché questo allievo di Severi la usò in alcuni suoi lavori del 1934 dedicati alle corrispondenze tra superfici. La costruzione delle varietà di Picard e di Albanese fu estesa da Severi alle varietà di dimensione superiore nel 1942.
Concludiamo questa rassegna sulle superfici citando le ricerche sul 'numero dei moduli' M delle superfici, il cui embrione si trova già in Noether, che suggerisce nel 1888 la formula M≥10(pa+1)−2K2, fornendo un argomento di plausibilità basato sul computo dei parametri dai quali dipende una famiglia di superfici dello spazio a tre dimensioni con singolarità ordinarie. La questione fu riconsiderata da Enriques che cercò a più riprese (1908-1912) di perfezionare e rendere rigoroso l'argomento di Noether, ricorrendo tra l'altro alla rappresentazione delle superfici come 'piani multipli', cioè come rivestimenti multipli del piano, diramati lungo opportune curve dotate di nodi e cuspidi. È da ricordare che Enriques (1923) aveva caratterizzato le curve con nodi e cuspidi che sono di diramazione per un piano multiplo, caratterizzazione tradotta in termini topologici da Zariski (1935).
L'idea di Enriques era di contare il numero dei moduli delle superfici contando il numero di parametri da cui dipende una famiglia di curve piane con nodi e cuspidi. Il caso delle curve con soli nodi era stato esaminato da Severi, e su questa falsariga Enriques propose un approccio anche al caso delle curve con nodi e cuspidi. La presenza delle cuspidi però complica notevolmente la questione, ponendo problemi simili a quelli concernenti le famiglie di curve su superfici irregolari, ossia relativi alla presenza di 'curve ostruite'. Ciò fu segnalato da Zariski. Dunque le ricerche della scuola italiana sui moduli hanno lo stesso carattere di scarso rigore e inconclusività di quelle sul teorema fondamentale delle superfici irregolari, in quanto alla base di entrambe vi è il concetto di deformazione infinitesima e della sua interpretazione coomologica estranea ai classici. Per contro, con tecniche moderne di 'teoria della deformazione', introdotte da Kodaira (1958) in ambiente analitico e da Grothendieck (1961) in ambiente algebrico-geometrico, la disuguaglianza di Noether sui moduli si prova in modo semplice e rigoroso, e così pure vari risultati di Enriques e Segre possono essere giustificati.
Classificazione birazionale e proiettiva delle varietà
Il problema della classificazione birazionale delle varietà si è presentato ai geometri italiani come la naturale estensione in dimensione superiore dei risultati relativi alle curve e superfici. La questione incontrata per prima in questo ambito fu il già citato problema di Lüroth. Si deve a Fano (1907-1908) ed Enriques (1912) la prima dimostrazione che questo problema ha per varietà di dimensione tre risposta negativa, provando che l'intersezione completa di una quadrica e di una cubica di uno spazio a cinque dimensioni è unirazionale (Enriques) ma non razionale (Fano). Tale dimostrazione è poi risultata incompleta e una corretta è stata fornita solo nel 1971 da Vasilij Alekseevič Iskovskih e Jurij Manin. Le implicazioni di questa scoperta sono evidenti: per le varietà di dimensione superiore a due non è vero che l'annullarsi dei plurigeneri comporti, come per le superfici, che la varietà sia 'rigata', cioè birazionale a un prodotto di uno spazio proiettivo per una varietà di dimensione inferiore. In particolare non è possibile dare un semplice criterio di razionalità, come quello di Castelnuovo per le superfici, basato sull'annullarsi di alcuni invarianti birazionali.
Sul problema di Lüroth e sulle sue implicazioni nella classificazione birazionale delle varietà si sono a lungo concentrati gli sforzi della scuola italiana. In particolare furono studiate e classificate speciali classi di varietà con i plurigeneri nulli, allo scopo di determinarne l'eventuale razionalità o unirazionalità o unirigatezza (una varietà si dice 'unirigata' se esiste un'applicazione di una varietà rigata su di essa).
Molto significativa in questo ambito è l'opera di Fano. A parte i contributi al problema di Lüroth, a lui si deve un primo tentativo di classificazione di varietà con tutti i plurigeneri nulli, o, più in particolare, di quelle in cui l'opposto del sistema canonico è ampio (un sistema lineare si dice 'ampio' se esistono modelli proiettivi lisci della varietà su cui gli iperpiani dello spazio ambiente tagliano divisori del sistema o multipli di essi). Queste varietà vengono oggi dette 'varietà di Fano' e, almeno nel caso di dimensione tre, se ne ha una dettagliata classificazione che ne pone in evidenza importanti ed eleganti proprietà. Tale classificazione, risalente a Fano, fu precisata dal geometra russo Iskovskih (1978), e successivamente è stata, ed è tuttora, oggetto di ulteriori approfonditi studi. I lavori originali di Fano, ricchi di idee geometriche fantasiose, sono ancor oggi fonte di ispirazione.
Si può ben dire che la classificazione birazionale delle varietà algebriche di dimensione superiore a due fu tentata dagli autori che abbiamo citato con vero spirito pionieristico, e con strumenti tecnici sovente inadeguati. A tale mancanza i geometri italiani supplivano con ardite costruzioni proiettive che, riprese in tempi recenti alla luce di più affinate e rigorose tecniche, si sono dimostrate assai utili. Esse sono state coltivate soprattutto dalle scuole russa e giapponese. Molti esponenti di quest'ultima hanno ripreso il punto di vista dei geometri italiani; in particolare il giapponese Shigefumi Mori (1990) ha concepito e realizzato un programma poliennale di ricerca sulla classificazione delle varietà a più dimensioni che, basato sullo studio delle varietà di Fano e degli esempi classici, è culminato nella dimostrazione dell'esistenza dei 'modelli minimali' e dell'analogo del teorema di Castelnuovo: una varietà tridimensionale è unirigata se e solo se ha tutti i plurigeneri nulli. Il programma di Mori conferma la sostanziale validità del punto di vista di Castelnuovo ed Enriques, basato sullo studio dei sistemi pluricanonici, dei quali costituisce un'audace estensione.
In relazione ai problemi fondazionali connessi con la teoria delle varietà di dimensione superiore, abbiamo già citato varie ricerche di Severi tra cui la teoria della base. A esse contribuirono pure, indipendentemente, vari altri autori, e principalmente Albanese (negli anni Venti-Trenta), Beniamino Segre e De Franchis (negli anni Trenta-Quaranta). Queste ricerche furono superate negli anni Cinquanta dall'introduzione dei metodi coomologici, che chiarirono i termini, talvolta fumosi, delle questioni trattate, riducendo sovente a poche righe le dimostrazioni di complicati teoremi o congetture che parevano inattaccabili. In particolare la scuola italiana non riuscì mai a dimostrare, per varietà di dimensione qualunque, il teorema di Riemann-Roch che, in linguaggio moderno, fornisce la relazione tra invarianti topologici di un fascio localmente libero su una varietà (ossia le sue 'classi di Chern', dal nome del matematico cino-americano Shiing-Shen Chern che le introdusse nel 1953) e la sua coomologia: tale generalizzazione, a lungo ricercata da Severi e Beniamino Segre, fu finalmente dimostrata da Friedrich Ernst Peter Hirzebruch nel 1954 e da Grothendieck negli anni Sessanta.
Vanno ancora ricordate le importanti ricerche sullo scioglimento delle singolarità. Il caso delle superfici fu trattato più volte in seno alla scuola italiana già da Del Pezzo e Corrado Segre e, successivamente, da Beppo Levi (1897), Severi (1914), Chisini (1921), Albanese (1924). Come rilevato da Zariski (1971), nessuna delle dimostrazioni proposte da questi autori è del tutto soddisfacente. Il problema fu risolto nel 1935 per le superfici da Robert J. Walker e dallo stesso Zariski (1939-1942). Lo scioglimento delle singolarità per una varietà di dimensione qualunque si deve a Heisuke Hironaka nel 1962.
Lo studio della geometria birazionale delle varietà si è sovente intrecciato con quello delle loro proprietà proiettive, essendo anzi la geometria proiettiva, presso la scuola italiana, strumento essenziale per la dimostrazione e interpretazione di proprietà birazionali. Si è detto dell'impulso allo studio delle proprietà proiettive delle varietà dato da Corrado Segre e dalla sua scuola. Da un punto di vista metodologico è rilevante in questo ambito l'applicazione di tecniche differenziali nello studio di proprietà globali di varietà. Segre mutuò queste idee dall'analisi, applicandole all'ambiente proiettivo, estendendole alle varietà di dimensione superiore, inventando così una nuova branca della geometria algebrica detta 'geometria proiettivo-differenziale'. I risultati più rilevanti in questo campo riguardano lo studio di varietà notevoli (grassmanniane, varietà di Veronese, varietà di Segre e così via) e di loro sottovarietà (per es., famiglie di sottospazi di uno spazio proiettivo) e lo studio di 'fenomeni patologici': per esempio, varietà le cui varietà di spazi secanti o tangenti oppure la cui 'varietà duale' hanno dimensione minore dell'ordinario. Si deve peraltro a Severi la dimostrazione del bel teorema il quale afferma che la superficie di Veronese di grado quattro in uno spazio a cinque dimensioni è l'unica superficie liscia la cui varietà delle corde non ha dimensione cinque, teorema poi ripreso e ampiamente esteso nel 1980 dal matematico russo Fëdor L. Zak con tecniche assai vicine a quelle della scuola italiana.
Geometria numerativa
Agli inizi del XX sec. la geometria numerativa viveva una seria crisi metodologica. Infatti gran parte dei suoi eccitanti sviluppi, a partire dall'inizio del XIX sec. fino a Schubert, erano basati su tecniche di specializzazione o di degenerazione stabilite per via euristica, cui non era mai stato dato un rigoroso fondamento. Esse erano riconducibili al cosiddetto 'principio di continuità' o 'principio di conservazione' del numero di Jean-Victor Poncelet (1788-1867) che, in breve, afferma che se un sistema di equazioni algebriche dipendente da parametri ha, per valori generici dei parametri, n soluzioni, allora per ogni particolare valore dei parametri o ha infinite soluzioni oppure continua ad avere un numero finito n di soluzioni, pur di contare opportunamente le eventuali molteplicità. Questo principio consentiva, nell'affrontare problemi numerativi generali, di ridurne la soluzione a casi particolari spesso molto più semplici. Gravi obiezioni erano però state sollevate alla fine del XIX sec. da Eduard Study (1862-1930), che aveva fornito alcuni semplici esempi in cui il principio apparentemente non valeva. Questa critica, che minava alle fondamenta la geometria numerativa, era stata raccolta da Hilbert che al Congresso internazionale dei matematici di Parigi del 1900 aveva segnalato come un problema aperto (XV problema di Hilbert) quello di dare una dimostrazione rigorosa del principio di conservazione del numero.
Severi si occupò della questione a varie riprese, contribuendo al chiarimento delle condizioni di validità del principio e alla nozione di molteplicità di intersezione. Tuttavia anche i tentativi di sistemazione di Severi, basati sulla 'teoria dell'eliminazione' di Kronecker e su metodi proiettivi, offrirono il fianco a varie critiche e suscitarono lunghe polemiche.
Altre polemiche, nel corso degli anni Trenta e Quaranta, opposero Severi prima a Enriques e poi, quale rappresentante della scuola italiana e dei suoi metodi, a Oskar Perron (1880-1975) e a van der Waerden, circa la validità stessa del principio e delle tecniche usate per stabilirlo. In realtà i metodi proiettivi erano insufficienti ad affrontare problemi spesso tecnicamente assai intricati, e le critiche erano ben motivate. Esse hanno giocato un ruolo essenziale nella revisione metodologica che si accompagna al declino della scuola italiana. Solo recentemente, con più raffinati strumenti algebrici a disposizione, si è data alla geometria numerativa una solida base, vari problemi affrontati dai classici sono stati riconsiderati e risolti, molte delle loro vedute sono stare riprese e ne sono stati messi in luce gli elementi di validità che sono stati accolti nelle trattazioni moderne.
Con la caduta del fascismo e la fine della guerra si apre un momento molto delicato per la matematica italiana e, in particolare, per la scuola di geometria algebrica. Essa era infatti vissuta nel precedente ventennio in un autarchico isolamento, in parte impossibilitata per i ben noti motivi politici ad avere i naturali contatti con altre scuole, in parte rifiutando, per scelta e volontà di affermazione del primato dei suoi metodi, di prendere atto di nuove realtà, quali la nascita della moderna topologia algebrica, dell'algebra commutativa, della geometria aritmetica. Con il cadere dei presupposti politici che motivavano tale isolamento, la scuola viene esposta in modo nuovo e inaspettato al naturale confronto critico con altri ambienti matematici e ciò è causa di un notevole disagio.
Intorno alla fine degli anni Quaranta scompaiono alcune tra le figure più notevoli, come Castelnuovo, Enriques, Fano. Ciò mette in evidenza, per la mancanza di altrettanto autorevoli continuatori dell'opera dei grandi maestri, la decadenza già in atto da vari decenni. Come adombrato infatti dalla nostra esposizione, il periodo di maggiore creatività della scuola italiana termina intorno alla fine degli anni Venti, e gli spunti più interessanti e originali del periodo che va dagli anni Trenta ai Cinquanta sono da attribuirsi più a contributi di autori considerati 'minori', che non ai grandi nomi.
Severi, che era stato durante il periodo fascista, anche per l'importante ruolo ricoperto nell'ambito del regime, uno dei protagonisti delle citate scelte autarchiche, sopravvive alla scuola che aveva contribuito a creare. Egli appare però sempre più isolato dalle nuove correnti di pensiero matematico che si vanno sviluppando all'estero, chiuso in un polemico dogmatismo e in una ostinata, e talora patetica, difesa del punto di vista 'classico'. L'atteggiamento di Severi, che godette in Italia fino alla morte di prestigio e autorità indiscussi, costituì un freno all'auspicabile rinnovamento della scuola, che infatti avvenne con eccessiva lentezza.
Purtroppo la crescente consapevolezza dei propri mezzi si era con il tempo trasformata presso la scuola italiana in un eccessivo ripiegamento sui suoi metodi e problemi. Ciò aveva comportato il trascurarne un'analisi critica, che avrebbe potuto portare alla constatazione della loro insufficienza ad affrontare alcuni tra i problemi trattati e, dunque, allo sviluppo di nuove tecniche. In particolare è da giudicare negativamente la scarsa considerazione e comprensione per coloro che, postisi in atteggiamento critico, perseguivano già dagli anni Trenta la rifondazione della geometria algebrica. L'esigenza era quella di creare per questa disciplina un nuovo linguaggio, più articolato di quello proiettivo, che ne rendesse maggiormente evidenti i contenuti algebrici, topologici, analitici, aritmetici e più facili le interazioni con altri settori della matematica. Ciò richiedeva una profonda revisione dei fondamenti della scienza, la quale mise in evidenza varie lacune nei ragionamenti classici, considerati perciò dagli innovatori, forse un po' troppo sbrigativamente, del tutto inattendibili. La scuola italiana per contro, invece di accogliere di buon grado le nuove istanze, adeguandosi ai nuovi livelli di rigore e al nuovo linguaggio, guardò con fastidio alle innovazioni proposte, giudicandole sovente come inutili 'astruserie'. In questa chiave, per esempio, fu vista la proposta di rifondazione di Weil, autore del famoso trattato Foundations of algebraic geometry (1949) nel quale viene definito in modo rigoroso il concetto di varietà algebrica, di dimensione, di punto generico, e così via, facendo uso degli strumenti dell'algebra commutativa che si erano andati sviluppando con Emmy Noether (1882-1935), con il suo allievo van der Waerden e con Zariski. Le Foundations di Weil vanno riguardate come un importante tentativo di dare solide basi alla disciplina in vista di applicazioni, per esempio, alla teoria dei numeri, primario oggetto di interesse di Weil.
I nuovi indirizzi si affermano in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta con una certa lentezza, salvo poche eccezioni. Tra queste citiamo la scuola di Pisa, ricreatasi negli anni Sessanta attorno ad Andreotti, uno degli ultimi allievi di Severi, e a Bombieri, i cui importanti contributi alla teoria dei numeri e alla geometria algebrica gli sono valsi il conferimento della medaglia Fields nel 1974. Gli argomenti trattati da Bombieri evidenziano una ripresa, con nuovi strumenti, dei temi classici già a partire dalla fine degli anni Sessanta. La ripresa di questi temi, alla luce di nuove, più potenti e adeguate tecniche, si accentua sempre più a partire dagli anni Settanta. Nel corso dei paragrafi precedenti abbiamo già più volte menzionato recenti ricerche che a essi si ispirano, e non è qui il caso di ritornarvi ancora. Basti dire che anche in Italia si è assistito, negli ultimi trent'anni, a una rifioritura della scuola di geometria algebrica motivata, oltre che da nuove tematiche, anche da una riesplorazione di problemi che la scuola di Castelnuovo, Enriques e Severi aveva sollevato e discusso.