La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Ristrutturazione
Ristrutturazione
Gli Stati Uniti divennero una grande potenza scientifica mondiale grazie al forte impegno delle istituzioni, al maturare della comunità scientifica americana e al contributo dei rifugiati ebrei negli anni tra le due guerre. In particolare, furono la Seconda guerra mondiale e la prima fase della guerra fredda a fare di questa nazione la grande potenza scientifica mondiale. I consistenti aiuti dello Stato, e in particolare del dipartimento della Difesa, consentirono agli scienziati americani di impegnarsi in progetti costosi, importando cervelli dall'estero ed esportando i metodi, la tecnologia e l'epistemologia statunitensi.
Benché considerazioni e vincoli di natura nazionale, politica o comunque non scientifica possano influire sull'assegnazione dei premi Nobel, tali riconoscimenti forniscono un indicatore abbastanza preciso del potenziale scientifico delle singole nazioni. La Tav. I, che riporta la distribuzione percentuale dei vincitori dei premi Nobel per nazione di cittadinanza per la fisica, la chimica, la medicina o fisiologia negli anni dal 1901 al 2002 evidenzia chiaramente l'estensione della supremazia scientifica americana nel periodo postbellico.
Nel biennio 1963-1964, la spesa americana nel settore ricerca e sviluppo fu di oltre 21 miliardi di dollari, quasi tre volte e mezzo gli investimenti di Gran Bretagna, Germania occidentale, Francia, Giappone e Canada messi insieme (6211 miliardi di dollari), come mostra la Tav. II. La stessa tavola indica l'esistenza di una stretta relazione tra la spesa di una nazione per la ricerca e il personale, da una parte, e la conquista dei premi Nobel, dall'altra.
Le statistiche sul numero di pubblicazioni scientifiche prodotte nelle diverse nazioni confermano quanto appena detto. Nel 1973 furono pubblicati negli Stati Uniti 103.780 articoli, a fronte di 25.005 in Gran Bretagna, 24.418 in Unione Sovietica, 16.408 in Germania, 15.102 in Francia, 14.265 in Giappone, 11.907 in Canada, 6880 in India, 5341 in Australia e 4691 in Italia. Almeno nei primi cinque casi, la posizione nella graduatoria riguardante il numero di pubblicazioni scientifiche corrisponde a quella nella classifica dei premi Nobel assegnati nel periodo 1955-1973. I dati evidenziano anche l'accelerazione di una tendenza emersa già prima della Seconda guerra mondiale, ossia il passaggio dal tedesco all'inglese quale lingua più utilizzata per questo tipo di pubblicazioni; il 64,1% del totale degli articoli comparsi nei dieci paesi più importanti, infatti, è concentrato nelle quattro nazioni di lingua inglese ‒ Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Australia. Il predominio effettivo di questa lingua era senza dubbio ancora più netto, dal momento che molti autori di altre nazioni sceglievano di pubblicare in inglese.
La disparità di risorse tra gli Stati Uniti e le altre nazioni era particolarmente evidente nel campo della fisica delle particelle ad alta energia. Nel 1946 i fisici australiani avevano stabilito di sviluppare la produzione di acceleratori lineari di elettroni, per evitare di entrare in competizione con gli americani nella produzione di ciclotroni, molto più dispendiosi; tuttavia ben presto si accorsero di dover affrontare anche in questo settore una dura concorrenza: a fronte dei 200 impianti radar di seconda mano che si aspettavano di ottenere con i finanziamenti del governo, il gruppo di Luis W. Alvarez a Berkeley ne acquistò 3000 dall'esercito americano, potendo disporre di fondi operativi di gran lunga superiori a quelli del gruppo australiano. Il programma australiano per la produzione di acceleratori fu abbandonato alla fine degli anni Quaranta a favore della radioastronomia, in cui gli scienziati australiani giocarono un ruolo determinante nella scoperta del legame tra rumore solare e attività delle macchie. Allo stesso modo i fisici italiani, costretti a confrontarsi con la scarsità dei fondi a loro disposizione, si dedicarono con
grande successo all'attività di ricerca sui raggi cosmici, relativamente a buon mercato, seguendo le orme del fisico italiano ebreo Bruno Rossi, emigrato negli Stati Uniti nel periodo fascista.
Tra i paesi europei, la Gran Bretagna era quello in cui i ricercatori potevano disporre di maggiori risorse e si erano aggiudicati il maggior numero di premi Nobel, un primato da attribuire presumibilmente alla grande tradizione scientifica del paese, ai danni relativamente ridotti subiti durante la guerra e ai suoi stretti rapporti di collaborazione con gli Stati Uniti. Nel maggio 1948, in un'ottimistica relazione rivolta ai suoi colleghi americani, il fisico inglese Nevill F. Mott poteva così affermare sul primo numero della rivista "Physics today" che "in Inghilterra lavoriamo in un'atmosfera serena, in cui non scarseggiano né il denaro né gli uomini, né l'entusiasmo, né il talento". Lo stesso Mott doveva tuttavia riconoscere la difficoltà di ottenere nuove attrezzature, edifici e laboratori "in un mondo in cui vi è penuria di tutto". Nel dopoguerra, i maggiori successi degli scienziati inglesi furono ottenuti nei settori della ricerca sui raggi cosmici e della fisica dello stato solido e delle basse temperature. Nel 1977 il premio Nobel per la fisica fu assegnato, ex aequo, a Mott per le sue ricerche sulla struttura elettronica dei solidi, condotte negli anni Sessanta.
In Giappone, le distruzioni causate dalla guerra e la politica di occupazione americana limitarono molto lo sviluppo della ricerca. Verso la fine del 1945 l'esercito americano distrusse tutti i ciclotroni giapponesi, gettandone i resti in mare. L'azione, che fu in seguito sconfessata dai vertici militari, sollevò proteste in tutto il mondo. Karl T. Compton, presidente del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che aveva da poco completato una missione di informazione scientifica in Giappone, denunciò l'accaduto con particolare veemenza. Nei primi anni del dopoguerra le limitazioni imposte dalla politica di occupazione contribuirono a orientare gli scienziati giapponesi in direzione della ricerca applicata piuttosto che della ricerca di base, come del resto era nella tradizione scientifica del paese. Di conseguenza, se si eccettuano i rari casi di eccellenza individuale ‒ come quelli di Hideki Yukawa, primo giapponese a ricevere nel 1949 il Nobel per la fisica per la sua teoria sul mesone del 1934, di Sin-Itiro Tomonaga, premio Nobel nel 1965 per le ricerche sull'elettrodinamica quantistica nel dopoguerra, e di Leo Esaki, premio Nobel nel 1973 per la scoperta dei fenomeni di tunneling nei semiconduttori realizzata nei laboratori Sony negli anni Cinquanta ‒ nel complesso la scienza giapponese ricevette in ritardo le dovute attenzioni, sia all'interno del paese sia sul piano internazionale. Per esempio, il Laboratorio nazionale per la fisica delle alte energie (KEK) fu creato ufficialmente solo nel 1971.
L'Unione Sovietica era in competizione con gli Stati Uniti nell'assegnare risorse a molte importanti aree di ricerca scientifica. Secondo lo storico Loren Graham, essa destinava al sostegno della scienza e della tecnologia una quota di bilancio superiore a quella di ogni altra nazione industrializzata
e favorì la nascita della più vasta comunità scientifica del mondo. Negli anni della guerra fredda, l'Unione Sovietica realizzò all'interno del blocco socialista una rete di scambi di informazioni scientifiche che includeva i paesi dell'Europa orientale e la Cina. L'alleanza strategica con la Cina indusse i sovietici ad attuare negli anni Cinquanta un gigantesco trasferimento tecnologico verso questo paese nei campi dell'ingegneria chimica e meccanica, dell'aeronautica, dell'idraulica e della tecnologia militare. In patria, i fisici sovietici si attribuirono il merito di molte importanti conquiste a livello mondiale, come le brillanti ricerche di Lev Davidovič Landau (1908-1968) sull'elio liquido e la scoperta indipendente del maser e del laser, entrambe premiate con il Nobel. Tuttavia le interferenze politiche, le persecuzioni di scienziati e l'interruzione delle comunicazioni scientifiche con l'Occidente impedirono alla scienza sovietica di sviluppare appieno il suo potenziale.
Il Paperclip Project
Prima e dopo la resa della Germania nel maggio del 1945, gli Stati Uniti inviarono nel paese unità speciali con il compito di sorvegliare e catturare gli scienziati e gli ingegneri tedeschi e di spiare gli impianti e le tecnologie dell'apparato militare e industriale tedesco. All'inizio del 1945 la missione Alsos del Manhattan Project fu incaricata di valutare i progressi compiuti dalla Germania nella produzione della bomba atomica. Il gruppo Alsos, guidato dal fisico Samuel Goudsmit, interrogò e fece internare molti scienziati nucleari tedeschi, tra cui Werner Heisenberg, che aveva lavorato al progetto della bomba atomica tedesca. La missione non si concluse con il trasferimento di scienziati tedeschi negli Stati Uniti: Heisenberg e i suoi colleghi furono trattenuti in Gran Bretagna per circa un anno e poi lasciati liberi di tornare in Germania. Il gruppo Alsos passò le informazioni di cui era entrato in possesso ad altri progetti, dotati di più espliciti compiti di 'sfruttamento'. Nati allo scopo di utilizzare le tecnologie tedesche nella guerra contro il Giappone, ben presto questi progetti si trasformarono in operazioni di 'diniego' (denial), volte cioè a negare ai russi l'accesso alle risorse e al personale specializzato tedesco, nel clima della nascente guerra fredda. L'Unione Sovietica portò avanti, nella sua zona d'occupazione, la propria versione di questa specie di imposizione di 'riparazioni di guerra' tecnologiche ai tedeschi, come fecero nelle loro rispettive zone, anche se in misura minore, gli inglesi e i francesi.
Il più celebre progetto di sfruttamento americano fu forse il Paperclip ('progetto graffetta'), così chiamato per i fermagli che contrassegnavano i fascicoli dei tecnici selezionati. Questo progetto, sostenuto dai militari, catturò e trasferì negli Stati Uniti centinaia di scienziati e ingegneri tedeschi, insieme a una grande quantità di documenti tecnici relativi a tecnologie e impianti dell'apparato militare e industriale tedesco, per un periodo di oltre dieci anni dopo la fine della guerra.
Il Paperclip Project e altre politiche di occupazione degli Alleati contribuirono all'americanizzazione della scienza, limitando notevolmente i progressi della Germania. Nei primi anni del dopoguerra, in Germania era proibito qualunque settore di ricerca con potenziali applicazioni in campo militare. Per esempio, la fisica delle particelle ad alta energia, oggetto di notevole attività di ricerca negli Stati Uniti, era interdetta agli scienziati tedeschi, a causa delle sue presunte connessioni con le armi nucleari e dei costi molto elevati. Anche l'esclusione degli scienziati tedeschi dalla comunità scientifica internazionale contribuì a rallentare i progressi scientifici della Germania. All'impatto dell'emigrazione coatta degli scienziati e degli ingegneri coinvolti nel Paperclip Project si aggiunse, nel corso del processo di denazificazione, la destituzione di migliaia di altri scienziati tedeschi.
La ricostruzione della scienza in Europa e in Giappone
Nell'immediato dopoguerra perfino i mutamenti istituzionali interni degli Stati Uniti avevano un rilevante impatto internazionale. Per esempio, l'Office of Naval Research creò proprie succursali a Londra e a Tokyo per promuovere la ricerca in Gran Bretagna e in Giappone e trarne vantaggio. Allo stesso modo, la National Science Foundation avviò alcuni progetti scientifici internazionali, come l'IGY (International geophysical year), e contribuì alla stesura del trattato Antartico del 1959, che destinava quel continente alla ricerca scientifica e pacifica. Istituita nel 1947, l'Atomic Energy Commision (AEC) ereditò dal Manhattan Project numerosi centri di ricerca di importanza nazionale, come quello di Los Alamos, e presto ne creò molti altri, come il Brookhaven National Laboratory di Long Island; alcuni furono riservati alla ricerca di base e divennero luoghi di collaborazione, ma anche di rivalità, fra i membri della comunità scientifica internazionale. Nel 1952 i ricercatori di Brokhaven ospitarono un gruppo di colleghi del CERN per metterli generosamente al corrente del nuovo principio di focalizzazione forte nella progettazione degli acceleratori di particelle, che avrebbe condotto a rivoluzionarie scoperte su entrambe le sponde dell'Atlantico.
L'AEC avviò con la Gran Bretagna anche numerose iniziative di collaborazione scientifica, che comprendevano la condivisione di segreti atomici, fino a quando, alla fine degli anni Quaranta, il Congresso non le proibì in seguito alle rivelazioni delle attività spionistiche svolte da cittadini britannici a favore dell'Unione Sovietica. Dopo lo choc causato nel 1957 dal lancio dello Sputnik, tuttavia, la politica di collaborazione con la Gran Bretagna e gli altri paesi europei fu ripresa e ampliata. Il timore del sorpasso sovietico portò anche alla formazione di una commissione presidenziale per la consulenza scientifica presso la Casa Bianca, attraverso il quale gli scienziati americani furono in grado di influenzare la politica scientifica e militare degli Stati Uniti favorendo gli scambi scientifici internazionali e promuovendo la creazione della NASA, che avrebbe finanziato una quota crescente della ricerca scientifica nazionale e degli scambi scientifici con le altre nazioni.
Il progetto 'Atomi per la pace'
Poche iniziative del governo degli Stati Uniti nei primi anni della guerra fredda influirono sulle sue relazioni internazionali quanto l'Atoms for Peace Project. Nel 1953 il presidente Dwight D. Eisenhower avanzò davanti alle Nazioni Unite la proposta che le nazioni nuclearizzate (gli USA, l'Unione Sovietica e la Gran Bretagna) fornissero uranio e altro materiale fissile a un'apposita International Atomic Energy Agency dell'ONU (IAEA). L'agenzia si sarebbe poi incaricata di distribuirli ad altre nazioni non nuclearizzate per la costruzione di centrali atomiche per usi civili. Come per altre attività scientifiche internazionali patrocinate da uno Stato, lo scopo principale dell'Atoms for Peace Project non era scientifico, ma politico, anche se fu accolto con grande favore dalla comunità scientifica. Eisenhower sperava che il progetto servisse a sottrarre materiale fissile alla costruzione di armi atomiche, a stabilire un precedente di collaborazione Est-Ovest dopo una serie di fallimenti nei negoziati per il disarmo, a offrire al mondo un motivo di ottimismo nella nuova epoca delle bombe all'idrogeno e a contribuire a mantenere le nazioni non nuclearizzate al di fuori del ristretto club atomico.
Il progetto prese una direzione diversa da quella immaginata in origine da Eisenhower. Dopo un iniziale periodo di resistenza, nel 1956 l'Unione Sovietica accettò di fondare insieme agli Stati Uniti e ad altri paesi la IAEA, che peraltro non era più concepita come una banca nucleare ma come una barriera contro la distrazione clandestina di materiale fissile dagli usi civili a quelli militari. Le nazioni partecipanti, non appartenenti al blocco sovietico, ricevettero dagli Stati Uniti i materiali, la tecnologia e i finanziamenti necessari alla costruzione e al funzionamento di reattori nucleari e centri di ricerca, attraverso una serie di accordi bilaterali resi possibili dall'Atomic energy act del 1954. Nella sola estate del 1955, sedici governi firmarono accordi bilaterali di questo tipo: Turchia, Israele, Taiwan, Libano, Spagna, Colombia, Portogallo, Venezuela, Danimarca, Filippine, Italia, Argentina, Brasile, Grecia, Cile e Pakistan. Nel 1961 il numero dei paesi firmatari era salito a trentotto. Gli Stati Uniti favorirono inoltre lo sviluppo dell'energia atomica per fini civili e il processo di integrazione europea, concedendo pieno appoggio all'Euratom, che si proponeva un programma di collaborazione tra i paesi europei.
Gli storici hanno cominciato solo di recente a interessarsi alle profonde conseguenze dell'Atoms for Peace Project, in particolare per i paesi non appartenenti all'Europa Occidentale. Si trattava del più vasto programma di assistenza tecnica a paesi stranieri condotto dagli Stati Uniti dai tempi del programma Point Four varato dal presidente Harry S. Truman nel 1949. In Spagna, paese privo di una solida tradizione nel campo della fisica, gli accordi bilaterali basati sull'Atomic energy act consentirono nel 1958 la costruzione del primo reattore di ricerca. Lo sviluppo dell'energia atomica per usi civili divenne così parte del tentativo del regime franchista di stringere una solida relazione strategica con gli Stati Uniti e di legittimare il proprio potere. Per altri paesi, come il Giappone, l'esistenza di questi accordi bilaterali consentì a un gran numero di scienziati e tecnici nucleari di seguire corsi di addestramento negli Stati Uniti. In molti casi le iniziative legate a questo progetto servirono a stimolare l'interesse dell'opinione pubblica per la scienza, in precedenza piuttosto scarsa. A Taiwan, per esempio, il progetto di un reattore di ricerca costituì il nucleo di un nuovo programma di intervento pubblico a favore della scienza e della tecnologia in generale.
L'International Centre for Theoretical Physics (ICTP), inaugurato a Trieste nel 1964 sotto gli auspici della IAEA, offrì a molti scienziati del Terzo mondo l'occasione di entrare in contatto con le tendenze più innovative della fisica mondiale guidate dagli Stati Uniti. Questo centro di ricerca è stato la prima istituzione delle Nazioni Unite dedicata esclusivamente all'educazione e alla ricerca scientifiche, costituendo un modello per analoghe iniziative successive. Tra il 1964 e il 1980, sotto la guida del suo primo direttore, Abdus Salam, e grazie al sostegno economico della IAEA e del governo italiano, il centro di Trieste ospitò 6000 fisici e matematici di paesi in via di sviluppo, che ebbero l'opportunità di incontrare i loro colleghi dei paesi industrializzati e di collaborare con loro. Nel 1983 Salam partecipò alla fondazione dell'Accademia delle Scienze del Terzo mondo, affidandone la segreteria al Centro di Trieste. L'azione congiunta del Centro e dell'Accademia ridusse notevolmente l'isolamento degli scienziati dei paesi in via di sviluppo e favorì gli scambi scientifici tra il nord e il sud del Pianeta.
La Conferenza di Ginevra
Nel 1955 si riunì a Ginevra sotto l'egida delle Nazioni Unite la prima conferenza internazionale sugli usi pacifici dell'energia atomica. La genesi, la formazione e gli effetti di questa conferenza illustrano un altro importante aspetto dell'internazionalismo scientifico sotto il patrocinio statale negli anni della guerra fredda: gli scienziati adattavano la loro tradizionale rete di scambi al nuovo contesto politico. Il primo ad avanzare l'idea di una conferenza scientifica internazionale sull'energia atomica per usi civili era stato il presidente dell'AEC Lewis Strauss dopo il discorso di Eisenhower sull'Atoms for Peace Project, ma fu Isidor Isaac Rabi, il presidente del comitato di consulenza generale dell'AEC, a metterla in pratica in Europa e altrove sfruttando la sua estesa rete di contatti scientifici.
Nell'estate del 1954 Rabi si recò per due volte in Europa allo scopo di promuovere la conferenza internazionale. Inizialmente gli scienziati europei si mostrarono piuttosto scettici sulla realizzabilità del progetto, dato che fino ad allora la fisica e la tecnologia nucleare erano rimaste avvolte dal più fitto segreto. Secondo Rabi era invece proprio questa la principale ragione d'essere della conferenza: essa avrebbe costretto i governi a ridurre le misure di sicurezza per le attività scientifiche. Dalle sue consultazioni con gli scienziati americani ed europei emerse l'idea di svolgere nella conferenza un riesame approfondito e completo di tutti gli aspetti della scienza nucleare, invece di limitarsi a uno sterile dibattito sulla creazione di una banca nucleare. La proposta non tardò a ottenere il favore del presidente Eisenhower e dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Inaugurata nell'agosto del 1955 sotto la presidenza del fisico indiano Homi Jehangir Bhabha, la Conferenza di Ginevra ottenne un successo superiore alle aspettative dello stesso Rabi. Grazie anche alla ferma posizione assunta da Eisenhower e dagli scienziati americani, l'AEC e i sovietici resero infatti di pubblico dominio grandi quantità di documenti sino ad allora gelosamente custoditi. Durante i lavori della conferenza, che attrasse oltre 3600 partecipanti da 73 nazioni di ambedue i blocchi, furono ascoltate 1132 relazioni, riguardanti la fisica, l'ingegneria, la chimica e la medicina nucleari. Entusiasmati dalla possibilità di incontrarsi di nuovo dopo gli anni della guerra fredda, gli scienziati americani e sovietici non mancarono di manifestare la loro reciproca stima per la qualità dei contributi offerti alla conferenza. Le Nazioni Unite organizzarono altre tre Conferenze di Ginevra: la seconda nel 1958, quando il governo americano abolì il segreto di Stato su tutte le ricerche riguardanti la fusione nucleare, la terza nel 1964 e la quarta nel 1971. Malgrado i suoi rapporti con i programmi di armamento nucleare dell'India, del Pakistan e di Israele siano ormai noti, l'Atoms for Peace Project contribuì in modo significativo alla riapertura delle relazioni scientifiche tra i paesi dei due blocchi, interrotte dalla guerra fredda, e al progresso scientifico di molte nazioni del Terzo mondo.
La ristrutturazione postbellica non si esaurì nel processo di americanizzazione della scienza internazionale, ma diede luogo a un processo parallelo di internazionalizzazione della scienza americana. Le conferenze di Shelter Island e di Rochester sulla fisica delle particelle, negli anni dal 1947 al 1950 riservate agli scienziati americani, furono aperte nel 1952 ai loro colleghi stranieri. L'evento più dirompente nel processo di trasformazione della composizione etnica della comunità scientifica americana fu probabilmente l'immigrazione di molte migliaia di scienziati e di tecnici cinesi negli Stati Uniti, in seguito allo scoppio della rivoluzione comunista cinese del 1949. Sin dall'inizio del secolo gli Stati Uniti costituivano la meta preferita degli studenti cinesi di materie scientifiche e tecniche, grazie anche al benevolo appoggio di entrambi i governi; tuttavia, per diversi motivi ‒ l'ideologia nazionalista, la politica discriminatoria verso gli immigrati, la mancanza di posti di lavoro ‒ fino alla Seconda guerra mondiale la maggior parte di essi rientrava in patria una volta terminati gli studi. Benché con la revoca durante la guerra del Chinese exclusion act fosse divenuto più facile per gli scienziati cinesi fermarsi a lavorare negli Stati Uniti, un numero molto elevato di studenti continuava a scegliere il ritorno a casa. Dopo la vittoria comunista del 1949 e soprattutto dopo lo scoppio della guerra di Corea nel 1950, gli studenti e i borsisti cinesi presenti negli Stati Uniti si trovarono in grave imbarazzo.
Negli anni Cinquanta e Sessanta un terzo gruppo di scienziati e tecnici cinesi giunse negli Stati Uniti per motivi di studio da Taiwan, l'isola nella quale si era rifugiato il governo nazionalista dopo la sconfitta nella guerra civile. Facevano parte di questa nuova ondata di immigrati Samuel Chao Chung Ting, uno degli scopritori della particella J/ψ, insignito nel 1976 del premio Nobel per la fisica, e Chang-Lin Tien, un ingegnere meccanico che divenne il primo americano di origine asiatica eletto alla guida di una delle grandi università di ricerca degli Stati Uniti: la University of California di Berkeley. L'immigrazione di scienziati e tecnici originari di altre nazioni ‒ come il Giappone, l'India e l'Italia ‒ contribuì ulteriormente a modificare la composizione etnica della comunità scientifica americana, anche se è innegabile che questa 'fuga di cervelli' abbia danneggiato i loro paesi di origine. Tale fenomeno rafforzò inoltre quella feconda fusione di stili e approcci diversi, nata con l'arrivo dei primi rifugiati europei nel periodo tra le due guerre.
Le iniziative assunte dal governo americano nel dopoguerra non sempre andarono però a favore dell'internazionalismo. Il maccartismo dei primi anni Cinquanta non solo rappresentò una minaccia per le libertà civili degli scienziati americani, ma ostacolò in vari modi gli scambi scientifici, negando per esempio il visto agli scienziati stranieri in visita negli Stati Uniti o ritirando il passaporto agli scienziati americani. Il diffondersi del maccartismo spinse il fisico David Bohm all'esilio, prima in Brasile e poi in Israele e in Inghilterra. Il dipartimento di Stato rifiutò a Michael Polanyi, il celebre fisico chimico della University of Manchester in Gran Bretagna e severo censore della politica scientifica sovietica, il permesso di lavorare negli Stati Uniti perché, paradossalmente, aveva accettato di discutere le sue tesi con esponenti di gruppi britannici di sinistra. L'ombra dell'anticomunismo si estese anche sulla Conferenza di Ginevra, quando Hermann Joseph Müller, il più importante esperto americano degli effetti genetici delle radiazioni, fu espulso dalla delegazione americana a causa di 'informazioni diffamanti' contenute nel dossier preparato su di lui dall'FBI. Un altro incidente di grande risonanza coinvolse Linus C. Pauling, il pioniere della chimica quantistica del California Institute of Technology (Caltech) e critico dei test nucleari statunitensi, al quale fu proibito di recarsi a Londra per partecipare a un convegno scientifico dove avrebbe potuto ottenere le informazioni necessarie per decifrare la struttura molecolare del DNA. Il caso più assurdo fu quello di Hsue-Shen Tsien, l'ingegnere aerodinamico americano di origine cinese del Caltech. Accusato di essere comunista, rischiò di essere espulso come sovversivo dal Servizio immigrazione e naturalizzazione e di essere trattenuto in ostaggio dal Pentagono. Alla fine Tsien fu scambiato con alcuni prigionieri della guerra di Corea e tornò in Cina a dirigere il programma missilistico.
Malgrado questi ostacoli, l'internazionalizzazione della comunità scientifica americana proseguì nei decenni che seguirono la fine del conflitto mondiale. La flessibilità e il dinamismo del sistema di istruzione e di ricerca americano, costituito da università, laboratori industriali e centri di ricerca pubblici, continuò ad attirare talenti da tutto il mondo. L'interesse del governo statunitense a disporre di personale tecnico qualificato ne facilitò l'inserimento nel mondo produttivo. Secondo una ricerca effettuata sull'argomento, dei 114 cittadini americani vincitori di un premio Nobel tra il 1945 e il 1984, 36 (il 32%) erano nati all'estero. La presenza di immigrati era notevole anche tra gli ingegneri americani, a tutti i livelli. Questi scienziati e tecnici emigrati negli Stati Uniti contribuirono anche al processo di americanizzazione della scienza e della tecnologia, influendo su molte scelte politiche dei loro paesi d'origine in campo scientifico ed educativo.
La Seconda guerra mondiale e i primi anni della guerra fredda produssero cambiamenti strutturali che, per un verso, condussero a un'americanizzazione della scienza e, dall'altro, modificarono profondamente le pratiche e la composizione della stessa comunità scientifica americana. L'elemento forse più significativo di questo processo di ristrutturazione fu il ruolo preminente assunto dagli Stati, e in particolare dagli Stati Uniti, non solo nelle scelte nazionali di politica della scienza ma anche nella riorganizzazione della scienza internazionale. Gli episodi del Paperclip Project e dell'Atoms for Peace Project indicano fino a che punto i cambiamenti di strategia del governo americano abbiano influito sugli sviluppi delle attività scientifiche, negli Stati Uniti e all'estero. Le politiche adottate dagli Stati nel contesto della guerra fredda da una parte ostacolarono sotto forma di maccartismo, dall'altra favorirono con le riforme delle norme sull'immigrazione il movimento internazionale degli scienziati. Il tema dell'americanizzazione della scienza nelle altre nazioni, e in particolare in quelle extraeuropee, e il modo in cui queste hanno contribuito ai successi della scienza americana attraverso gli immigrati e si sono adeguate al prevalere delle pratiche scientifiche americane restano ancora da approfondire.