La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Reazioni internazionali
Reazioni internazionali
La collaborazione scientifica internazionale è il risultato di un'azione sociale. La sua fisionomia a livello locale è determinata dalle caratteristiche specifiche dell'ambiente scientifico e sociale nel quale si sviluppa. Il tipo di collaborazione internazionale che si è sviluppato nei campi della fisica durante la guerra fredda, nel periodo qui preso in esame, deve molto a fattori diversi e specifici. La fisica emerse dalla Seconda guerra mondiale allo stesso tempo colpevolizzata e trionfante: era sostenuta dai governi, perché forniva le conoscenze fondamentali necessarie ad accrescere la potenza militare, ad alimentare le reti energetiche, i sottomarini e i mezzi spaziali e per diagnosticare e curare gravi patologie. La fisica divenne presto simbolo di modernità e d'indipendenza nonché, nel rapporto fra le superpotenze, strumento di una rivalità in cui era insito il rischio di un annientamento nucleare nel caso si fosse interrotto il dialogo tra i blocchi contrapposti.
Nella fisica l''internazionalismo' doveva fare i conti con la volontà delle singole nazioni di acquisire ciascuna una propria abilità indipendente in questo campo e con le esigenze di sicurezza nazionale. Esisteva una tensione costante tra la volontà di accumulare sapere specializzato dietro una cortina di segretezza e quella di condividere esperienze di scienziati e informazioni con gli alleati. Di contro, la scelta di rivelare alcuni risultati a chiunque fosse interessato, nemici inclusi, alimentava la speranza che uno sforzo congiunto in nome di un nobile scopo avrebbe da un lato fatto progredire il programma scientifico nazionale e, dall'altro, contribuito alla pacificazione internazionale.
Gli Stati Uniti uscirono dalla Seconda guerra mondiale come la maggiore potenza politica e militare del mondo. Il loro prodotto interno lordo era aumentato durante il conflitto dai 209 miliardi di dollari nel 1939 ai 355 miliardi del 1945 (calcolati sul potere d'acquisto nel 1958); di quest'ultima cifra, il 38,5% era impiegato per la difesa. L'America produceva quasi la metà dei beni e dei servizi di tutto il mondo e consumava quasi la metà della produzione mondiale di energia elettrica; inoltre, era la nazione più progredita nel settore scientifico-tecnologico, grazie alle conoscenze e all'esperienza acquisite dalle migliaia di scienziati e di ingegneri impiegati sia negli impianti costruiti per la produzione di materiale per la bomba atomica sia nei laboratori impegnati nella progettazione e nell'assemblaggio di una serie di armi nuove ed estremamente potenti. L'Europa, al contrario, era devastata dalla guerra, la popolazione soffriva la fame e il freddo, i laboratori erano distrutti e molti fra i migliori scienziati, specialmente fisici, si erano trasferiti stabilmente negli Stati Uniti.
Nel giugno del 1947 il segretario di Stato americano, George C. Marshall, presentò il famoso European Recovery Program (ERP), il progetto di aiuti per la ricostruzione economica dell'Europa che porta il suo nome. Nel giro di quattro o cinque anni il Congresso autorizzò, nell'ambito del piano Marshall, aiuti per la somma di 13 miliardi di dollari. Lo scopo di tale piano era la creazione di una sorta di 'Stati Uniti d'Europa' (dal punto di vista economico) che, mediante un mercato unico sostenuto dalla produzione di massa, avrebbero garantito una crescente prosperità, annientato l'attrazione verso il comunismo e dissolto le tensioni di classe. L'obiettivo principale era ricostruire 'il Vecchio Mondo a immagine del Nuovo' e lo slogan del piano recitava: 'Anche tu puoi diventare come noi'. Questa iniziativa politica ed economica fu affiancata, nel 1949, dalla fondazione di un'alleanza militare sotto direzione americana, vale a dire la North Atlantic Treaty Organization (NATO), organizzata ‒ come ebbe a dire ripetutamente il suo primo segretario generale ‒ per "tener fuori i russi, contenere i tedeschi e tener dentro gli americani".
La scienza e la tecnologia non erano state esplicitamente prese in considerazione dai responsabili della redazione del piano Marshall; le necessità economiche dominavano la loro visione dell'Europa che, nel 1947, era totalmente paralizzata dal problema della sua sopravvivenza. Nell'ambito della scienza e della tecnologia, tuttavia, fu intrapreso molto rapidamente un gran numero di iniziative perfettamente coerenti con gli obiettivi generali del piano Marshall e, soprattutto, con lo scopo ultimo di costruire un'Europa unica, allineata ideologicamente con gli Stati Uniti e con i valori della democrazia occidentale. Tali iniziative si concretizzarono essenzialmente nella creazione di organismi intergovernativi o sovranazionali, che coordinavano scienziati, ingegneri, amministratori scientifici e politici provenienti da differenti nazioni, mettendoli in condizione di organizzare insieme risorse umane e materiali, nello sforzo comune di fornire i mezzi migliori per lo sviluppo della ricerca scientifica. La scienza e la tecnologia divennero parte integrante della ricostruzione postbellica di un'Europa collocata saldamente nell'alleanza atlantica.
Il CERN, originariamente Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire, è uno dei maggiori laboratori al mondo di fisica delle particelle, dotato di un complesso di acceleratori e rilevatori estremamente potenti. Il CERN è attualmente sovvenzionato da venti nazioni europee, molte delle quali sono gli Stati divenuti nuovamente indipendenti dell'Europa orientale. Questi governi coprono collettivamente i costi del laboratorio, che si aggirano mediamente sui 700 milioni di euro all'anno.
Il CERN fu fondato nel 1954 sia per arrestare la 'fuga dei cervelli' fornendo ai fisici europei gli strumenti di ricerca di cui disponeva la controparte americana, sia per promuovere la causa dell'unificazione europea. I fisici americani giocarono un ruolo importante nel varo del piano e nell'aiutare i colleghi europei nella progettazione e realizzazione del loro primo, grande acceleratore. Benché gli Stati Uniti non facessero parte del CERN, i fisici americani fecero largo uso delle sue straordinarie risorse, lavorando con colleghi di tutto il mondo, in collaborazioni multi-istituzionali e multinazionali (1500 persone ca. a quel tempo) per studiare sempre più a fondo la struttura fondamentale della materia.
Il fisico americano Isidor Isaac Rabi, eminente figura del panorama scientifico, diede una spinta notevole al futuro CERN. Nel giugno del 1950 infatti, in occasione della conferenza generale dell'UNESCO tenutasi a Firenze, egli riuscì a far approvare una risoluzione che impegnava il direttore generale a sostenere e promuovere la formazione di centri di ricerca e di laboratori regionali nei settori in cui lo sforzo delle singole nazioni dell'area interessata non era sufficiente per raggiungere l'obiettivo. In una successiva dichiarazione alla stampa Rabi chiarì che l'area che avrebbe dovuto essere interessata dal progetto era l'Europa occidentale e che le nazioni cui stava pensando comprendevano la Germania occidentale e l'Italia, insieme con la Francia, l'Olanda, il Belgio e la Svizzera. Egli puntualizzò anche che lo studio della fisica per mezzo degli acceleratori di particelle era un possibile campo di ricerca da inserire nel programma. Il suo modello, aggiunse, era il Brookhaven National Laboratory, un centro di ricerca attrezzato con reattori e acceleratori, fondato nel 1946 a Long Island da un consorzio di nove università della costa orientale americana (fra cui la Columbia University, dove lavorava lo stesso Rabi). Nel caso del CERN i governi avrebbero preso il posto delle università come enti finanziatori.
Prima di proporlo, Rabi si preoccupò di discutere il suo progetto con gli scienziati europei, in particolare con Edoardo Amaldi (1908-1989), l'erede di Enrico Fermi come capo della comunità dei fisici italiani, e con Pierre V. Auger (1899-1993), un fisico che si occupava dei raggi cosmici e che divenne successivamente direttore del dipartimento di scienze naturali ed esatte dell'UNESCO. Inoltre, egli illustrò nei dettagli la sua proposta al dipartimento di Stato a Washington: il progetto doveva essere in linea con gli interessi degli Stati Uniti nella regione ‒ Rabi pensò persino di cercare di finanziarlo con fondi di contropartita provenienti dal piano Marshall ‒ e, allo stesso tempo, doveva configurarsi come un'impresa che gli Stati Uniti avrebbero sorvegliato con attenzione e aiutato quando possibile, senza imporsi. Del resto non c'era alternativa: le difficoltà sorte in occasione della nomina del primo direttore generale del CERN, lo svizzero-americano Felix Bloch, della Stanford University, mostrarono che il laboratorio rischiava di venire affossato sul nascere dall'opposizione francese al primo tentativo di dirigerlo da parte degli Stati Uniti.
Auger e Amaldi riuscirono abilmente a trasformare l'idea di Rabi in un progetto scientifico e istituzionale attuabile, con l'appoggio attivo della maggioranza dei fisici e dei governi europei. Gran parte della 'vecchia guardia' si oppose però al progetto, in particolar modo Niels Bohr in Danimarca, James Chadwick in Inghilterra, Hendrik A. Kramers in Olanda e Irène Joliot-Curie in Francia, scienziati abituati a lavorare su piccola scala e con risorse limitate, che perciò vedevano malvolentieri l'Europa impiegare risorse in un progetto ingegneristico enorme, che avrebbe prodotto risultati per la fisica soltanto dopo dieci anni. Essi temevano che esso avrebbe assorbito le risorse nazionali al punto da indurre a trascurare le impellenti esigenze per lo sviluppo della fisica nelle università e nei centri di ricerca nazionale.
A livello politico erano soprattutto gli inglesi a opporsi; avendo messo a punto per conto proprio un importante programma per la costruzione di un acceleratore di particelle nazionale, reagivano istintivamente contro l'istituzione di nuove organizzazioni internazionali o europee, non riuscendo a vedere in questa impresa alcun vantaggio né in campo scientifico né in politica estera. La loro resistenza fu piegata dalla determinazione di un gruppo di giovani ingegneri specializzati in acceleratori, capeggiati da John Adams, che lavorava a Harwell presso l'Atomic Energy Research Establishment, e incoraggiati dal loro direttore John Cockcroft, convinto assertore della collaborazione europea. La scoperta, avvenuta in America presso il Brookhaven National Laboratory, di un nuovo principio di focalizzazione per il grande sincrotrone dei protoni aggiunse la motivazione scientifica. Con l'aiuto degli americani, l'energia prevista per il maggiore acceleratore del CERN venne aumentata (da 10 a 30 GeV), lasciando agli scienziati inglesi ben poche alternative rispetto a quella di partecipare al progetto, se avessero voluto cogliere l'occasione di lavorare all'acceleratore che tra il 1959 e il 1960 fu il più potente del mondo.
Il riferimento esplicito di Rabi alla Germania era il segno della sua speranza di veder accantonate le precedenti divisioni all'interno della comunità scientifica europea nell'interesse dell'unità. La sua devozione all'internazionalismo scientifico peraltro andava nella stessa direzione della politica estera americana. Come membro del Consiglio per le relazioni internazionali egli era ben cosciente di come fosse mutato l'atteggiamento del dipartimento di Stato verso la Germania alla fine degli anni Quaranta, quando l'esigenza di tenerla sotto controllo e di comminare punizioni aveva lasciato spazio a quella di contenerla e di reintegrarla. Una Germania economicamente forte e allineata politicamente con l'Occidente era considerata un alleato essenziale nella sfida della guerra fredda contro il comunismo. Per i fisici, specialmente in Francia, non fu cosa facile da accettare, poiché molti dei loro maggiori esponenti erano politicamente orientati a sinistra e avevano preso parte alla resistenza contro l'occupazione nemica. Inoltre, dopo aver partecipato attivamente al saccheggio dei laboratori tedeschi dopo la guerra, essi si erano opposti all'impiego di ricercatori tedeschi nei loro laboratori in Francia (preferendo controllarne l'attività da lontano, inviando scienziati francesi in Germania) e guardavano con sospetto ogni progetto centralizzato di ricostruzione e riorganizzazione della scienza tedesca. La proposta di Rabi appariva loro come il tentativo degli Stati Uniti di imporre una reintegrazione della Germania a persone che si sentivano profondamente risentite per la rapida legittimazione di un regime che le aveva umiliate. Peggiorava la situazione il fatto che ciò avvenisse con lo scopo di costruire un fronte unico contro l'Unione Sovietica, per la quale molti di essi nutrivano ancora un profondo rispetto. Non è un caso che i fautori francesi del progetto del CERN fossero Auger e Lew Kowarski, entrambi fisici che avevano passato il periodo della guerra in America Settentrionale ai quali, perciò, era stata risparmiata la mortificazione quotidiana dell'occupazione straniera; non è del resto casuale che il primo fisico tedesco ad avere un incarico di prestigio nel laboratorio fosse Wolfgang Gentner (1906-1980), esperto nella costruzione di ciclotroni. Benché posto nominalmente a capo del laboratorio Frédéric Joliot-Curie, presso il Collège de France a Parigi, durante la guerra Gentner si era comportato più come un collega scienziato che come un rappresentante del regime repressivo e aveva finto di non cogliere gli atti di ostilità al regime manifestati sotto la sua direzione. La sua ricompensa fu un impiego importante al CERN.
I francesi non erano i soli a opporre difficoltà alla reintegrazione dei loro colleghi tedeschi nella comunità scientifica europea. Bohr, che ne era il membro più prestigioso, era rimasto anch'egli segnato profondamente, non soltanto dall'occupazione del suo paese ma anche dalla collaborazione di scienziati come Werner Heisenberg e Carl Friedrich von Weizsäcker con il regime nazista. L'enorme sforzo che egli dovette affrontare nel 1961 per accettare il pieno significato della drammatica visita di Heisenberg a Copenaghen vent'anni prima (recentemente divenuta soggetto di un'opera teatrale), rivela l'immagine di un uomo che si era sentito tradito da uno studente e collega per il quale nutriva un'altissima stima intellettuale ma che aveva tutelato gli interessi degli occupanti nella capitale danese come altrove. Un collega che era sembrato capace di fare qualsiasi cosa per promuovere gli interessi della fisica agli occhi del regime nazista e che era completamente insensibile ai valori politici cari a Bohr. La sua profonda sfiducia per i capi della fisica tedesca postbellica potrebbe essere stata una delle ragioni che lo indussero a essere tanto restio a promuovere il progetto di Auger e di Amaldi, preferendo invece un centro con obiettivi più modesti istituito a Copenaghen sotto il suo controllo.
Il progetto del CERN non aveva come unico scopo il reinserimento degli scienziati tedeschi in una più ampia comunità europea ma anche quello di consentire all'Europa di essere in grado di contribuire all''agenda setting' degli Stati Uniti. Rabi sosteneva che la comunità scientifica americana avesse bisogno di un interlocutore in Europa. Nel 1950 l'argomento più discusso negli Stati Uniti erano i mesoni (particelle nucleari di massa intermedia tra quella del protone e quella dell'elettrone) e l'eccezionale capacità di produrli del ciclotrone da 184 pollici di Ernest O. Lawrence (1901-1958), entrato in funzione nel 1946. Lo studio controllato della struttura nucleare, reso possibile dai ciclotroni di potenza sempre maggiore, sembrava aggiungere ogni settimana nuovi elementi allo 'zoo delle particelle'. Per rimanere in contatto con le frontiere della ricerca, che si spostavano rapidamente, e perché i loro dibattiti con i colleghi americani non si riducessero a pure speculazioni o a vacue chiacchierate, gli europei dovevano avere a disposizione gli stessi strumenti tecnologici ed essere messi a conoscenza delle stesse tecniche dei loro colleghi d'oltreoceano. Un acceleratore, con annessi rilevatori, a Ginevra avrebbe contribuito a definire uno standard condiviso per le procedure di lavoro tra le due comunità ai due lati dell'Atlantico, rendendo omogenei i loro programmi di ricerca e mettendoli in condizione di contribuire al comune sforzo intellettuale.
Coinvolgere gli europei nella fisica degli acceleratori sarebbe stato utile indirettamente anche per la difesa dell'Occidente; infatti, mentre alcuni fisici americani esaltavano il fascino della ricerca sui mesoni, altri invitavano i loro colleghi ad abbandonare l'eccitante ricerca di nuove particelle e a partecipare piuttosto al progetto della bomba H. Il presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman con un ordine segreto del 10 marzo 1950 impegnò il proprio paese nella produzione di massa di bombe all'idrogeno. Egli aveva ceduto alle pressioni giunte soprattutto da Edward Teller (1908-2003) dopo l'esplosione della prima bomba atomica sovietica nell'agosto del 1949 e la scoperta dell'attività di spionaggio di Klaus Fuchs nel febbraio 1950. Teller era estasiato: "La nostra comunità scientifica ha terminato la sua luna di miele con i mesoni. La vacanza è finita" scrisse, invitando i suoi colleghi a tornare nei laboratori dove si producevano armi. Lo stesso Rabi non riusciva a nascondere il suo piacere nell'apprendere che Lawrence e il suo laboratorio avevano deciso di mobilitare Berkeley per lavorare al nuovo ordigno e dichiarò che era bello vedere ricomposta la squadra originaria: "Amici, sono quattro anni che vi divertite a giocare con i vostri ciclotroni e i nuclei, è proprio ora di tornare al lavoro". Disponendo anch'essi del 'giocattolo', gli europei potevano partecipare alle ricerche di fisica dei mesoni, che era completamente pubblica, liberando risorse a favore dei colleghi americani impegnati nel lavoro segreto di costruzione della bomba.
Nel 1959 Amaldi e Auger, forti del successo del CERN (il cui sincrotrone gigante per i protoni era stato appena autorizzato), avanzarono la proposta di costituire un'agenzia spaziale europea sul modello del laboratorio di Ginevra. I due fisici erano stati spinti all'azione da forti pressioni che venivano all'epoca esercitate all'interno della NATO per fondare un'agenzia spaziale europea che utilizzasse per i lanci missili NATO. Una tale impresa avrebbe collocato il settore spaziale europeo sotto la tutela degli americani, dando a esso una connotazione militare che Auger e Amaldi volevano assolutamente evitare. I due scienziati furono incoraggiati da Sir Harrie Massey, il capo della comunità scientifica britannica per le scienze spaziali. Il suo governo aveva intenzione di salvare il missile chiamato Blue Streak, ormai datato, privandolo delle sue caratteristiche militari e per avere la possibilità di riciclarlo come vettore per il lancio dei satelliti in collaborazione con altre nazioni europee. La loro speranza di creare una singola organizzazione che sviluppasse sia i vettori di lancio sia i satelliti fu infine disattesa, perché i costi e le implicazioni politico-militari spaventarono molte delle nazioni europee più piccole e neutrali. Nel 1964 vennero perciò istituite due organizzazioni, la European Space Research Organization (ESRO) per lo sviluppo dei satelliti scientifici e la European Launcher Development Organization (ELDO).
L'ESRO ebbe un'esistenza travagliata, soprattutto a causa dell'esigua entità del suo bilancio, fissato sin dall'inizio in 300 milioni di dollari per un periodo di otto anni. Tale situazione rifletteva l'immaturità della scienza spaziale europea, un'ancora giovane, piccola e disorganizzata comunità di scienziati che non era abituata a esercitare pressioni per far valere i propri interessi; essa intendeva persino risparmiare alcune risorse per le collaborazioni internazionali. Nel marzo del 1959 gli Stati Uniti annunciarono che la National Aeronautics and Space Administration (NASA) era disposta a effettuare nello spazio anche esperimenti proposti da scienziati di altre nazioni; essi potevano consistere in un singolo e non esclusivo esperimento o invece rappresentare l'intero carico di un lancio. Nel primo caso gli scienziati sarebbero stati invitati a lavorare in un laboratorio americano per la costruzione, la messa a punto e l'installazione degli apparati; nel secondo gli ingegneri della NASA avrebbero fornito consigli sul progetto, la realizzabilità e la costruzione della strumentazione e avrebbero collaborato nelle prove ambientali precedenti il lancio. Per gli europei, ancora alle prime armi, si trattava di un sistema vantaggioso non soltanto per colmare rapidamente le lacune nelle loro conoscenze ma anche dal punto di vista finanziario: almeno all'inizio i lanci sarebbero stati gratuiti. Non sorprende che molti scienziati e governi europei fossero attratti dall'idea di lavorare con gli americani, persino a costo di operare congiuntamente. Il misero bilancio dell'ESRO era sintomo e conseguenza di questo atteggiamento.
L'ESRO si scontrava inoltre con ulteriori difficoltà, dovute all'eterogeneità degli interessi degli scienziati nel settore spaziale, costituito da gruppi scientifici distinti che si occupavano di astronomia solare, della Luna, di pianeti e di comete, di astronomia stellare, atmosfera, ionosfera, raggi cosmici e di radiazione 'intrappolata'. La lotta per accaparrarsi le scarse risorse era feroce, tanto più che tra l'ideazione e il lancio di un satellite e della sua strumentazione scientifica potevano passare anche più di dieci anni (e talvolta il satellite andava in fiamme con il razzo o cessava di funzionare quando era ancora in orbita per mancanza di rifornimenti energetici a bordo).
I fisici tuttavia riuscirono a mettere a frutto le opportunità offerte dall'ESRO. Uno dei successi più notevoli fu il satellite COS-B, lanciato nel 1975. Molto del merito di quest'impresa deve essere attribuito all'esperienza e al carisma di Giuseppe Occhialini (1907-1993), un celebre fisico dei raggi cosmici, e a sua moglie Connie Dilworth, che lavoravano a Milano. La coppia collaborava con gruppi di studiosi in Francia e Germania per costruire un rivelatore di raggi gamma costituito da camere a scintilla controllate da contatori Cerenkov e scintillatori plastici. La strumentazione relativamente semplice, già testata nella fisica delle alte energie e ben nota al gruppo di collaborazione, fornì un importante contributo all'astronomia dei raggi gamma, consentendo di estendere enormemente la mappa delle sorgenti celesti. Il disastroso fallimento del Large Astronomical Telescope (LAS) mostra appunto quanto potesse rivelarsi importante questo approccio tecnologico 'conservativo'.
Il progetto del LAS era stato sostenuto da astrofisici e astronomi desiderosi di studiare i corpi celesti che emettevano radiazione ultravioletta, la maggior parte della quale viene assorbita dall'atmosfera terrestre. Il progetto di uno spettrometro costoso ad alta risoluzione, che rappresentava il punto centrale dei programmi originari dell'ESRO, era stato avanzato poiché costituiva una ragione valida per promuovere la collaborazione internazionale nelle scienze spaziali. I realizzatori del LAS, in gran parte fisici, erano determinati a raggiungere lo stesso livello del più sofisticato di una serie di strumenti di questo tipo sviluppati nell'ambito dell'American Orbiting Astronomical Project. Ignorando la violenta opposizione degli astronomi, essi pretesero livelli eccezionalmente elevati della risoluzione dello spettrometro (0,1 angstrom) e della precisione del puntamento della navicella (0,1 secondi d'arco). I costi crebbero in modo esponenziale e vennero avanzati seri dubbi sulla capacità dell'industria europea di costruire un congegno con le caratteristiche che venivano richieste. Il progetto fu cancellato nel 1968, rivelando anche troppo chiaramente che per lavorare in maniera indipendente nel settore spaziale gli scienziati europei dovevano concentrarsi su nicchie sperimentali finanziariamente e tecnologicamente modeste non ancora occupate dai gruppi di ricerca statunitensi (come era accaduto con COS-B). In alternativa essi potevano accettare un ruolo di secondo piano nelle imprese di collaborazione con i colleghi d'oltreoceano, poiché non erano ancora in grado di competere sullo stesso livello con gli Stati Uniti, a causa delle scarse risorse economiche e di una esperienza scientifica e industriale ancora troppo limitata.
L'idea di generare quantità considerevoli di energia a partire da un plasma confinato e composto di ioni idrogeno ed elettroni fu avanzata originariamente dagli scienziati dei paesi che stavano sviluppando il progetto della bomba H negli anni Cinquanta, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica principalmente, e la Gran Bretagna. A questo gruppo si unirono presto la Francia e la Germania. Lo sforzo degli americani negli anni Cinquanta fu inizialmente concentrato nei laboratori per gli armamenti di Los Alamos e di Livermore e presso la Princeton University, dove lavorava John Wheeler, convinto sostenitore del progetto della bomba H; egli considerava la produzione di energia per fusione come un programma civile accademicamente stimolante e complementare al lavoro sugli armamenti. Fino al 1953, quando Lewis Strauss fu nominato a capo della commissione statunitense per l'energia atomica, furono disponibili solo pochi fondi. Strauss collocò la ricerca sulla fusione nucleare nel contesto di un programma ben organizzato, pretese la segretezza sul lavoro (imponendo il principio della 'necessità di conoscere' tra i vari gruppi di ricerca americani) e aumentò di sei volte i fondi disponibili in quattro anni, fino ad arrivare a quasi 11 miliardi di dollari nel 1957. Per lui la fusione non costituiva soltanto una nuova tecnologia per gli armamenti e una promettente fonte di energia, era anche uno strumento di rivalità tra le superpotenze. Irritato dal successo propagandistico del lancio sovietico dello Sputnik nell'ottobre del 1957, agli scienziati americani egli chiese con insistenza (e finì per ottenere) uno sfoggio spettacolare dei dispositivi al plasma in occasione della Conferenza Atoms for peace che si sarebbe tenuta a Ginevra nel 1958.
A Ginevra anche gli inglesi erano presenti per mostrare un congegno proveniente dal loro stabilimento di ricerca per le armi atomiche ad Aldermaston, ma rimasero nell'ombra. In quello stesso anno Cockcroft e i suoi collaboratori a Harwell avevano dichiarato pubblicamente di essere certi al 90% di essere riusciti a confinare il plasma. La stampa britannica ebbe parole di elogio per il progresso che gli scienziati inglesi avevano ottenuto con un budget veramente esiguo rispetto a quello degli americani e rimproverarono agli Stati Uniti la scarsa disponibilità a condividere un numero maggiore di informazioni. Si parlò di realizzare reattori a fusione nucleare per la produzione di energia nel giro di dieci o vent'anni. Analisi più approfondite rivelarono tuttavia che il flusso che gli scienziati di Harwell avevano misurato era un effetto secondario e che la temperatura del plasma era di gran lunga inferiore a quella che essi avevano stimato. Mortificati, furono costretti a ritirare il loro annuncio. Gli scienziati americani dovettero a loro volta ridimensionare alcuni risultati promettenti, sui quali non avevano però fatto annunci ufficiali.
La fusione avviene quando il plasma è sufficientemente caldo e denso e quando viene confinato per un tempo abbastanza lungo. In quegli anni il confinamento era il punto cruciale del problema. Per poter essere utilizzato, un plasma alla temperatura di milioni di gradi Celsius deve essere mantenuto stabile in un recipiente per il vuoto, intrappolandolo per mezzo di un campo magnetico. Già nel 1954 Teller aveva cercato di smorzare l'entusiasmo di alcuni mettendo in evidenza il fatto che le linee di forza del campo magnetico si comportano come fasce elastiche; provare a ottenere il confinamento di una pressione elevata per mezzo di fasce elastiche non era quindi la cosa migliore da fare: le bande elastiche avrebbero finito con il rompersi e il gas sarebbe fuoriuscito. Molti ignorarono i suoi avvertimenti, ma dieci anni di ricerca quasi completamente infruttuosa confermarono le sue intuizioni. Adams, che aveva lasciato il CERN per mettersi a capo del tentativo di realizzare la fusione a Culham, ribadì nel 1963 che il primo ostacolo per una vantaggiosa produzione di potenza dal processo di fusione nucleare controllata era il comportamento ingestibile del plasma ad alte temperature, che si agita, si frange e fuoriesce con movimenti scomposti dalle trappole magnetiche costruite per trattenerlo. Inoltre nuovi studi mettevano in luce altre instabilità.
La Conferenza di Ginevra del 1958 segnò un punto di svolta nella storia della ricerca sulla fusione nucleare. In un clima internazionale via via più disteso e di fronte a problemi scientifici che si dimostravano insolubili, le parti coinvolte decisero di eliminare il segreto di Stato sulle loro ricerche: tutti capirono immediatamente che nessuno aveva realizzato grandi progressi. Cominciò a costituirsi una comunità internazionale di scienziati per evitare inutili sovrapposizioni e condividere i risultati delle ricerche. Entro il 1959 gli scienziati che lavoravano sulla fusione divennero 320 in Inghilterra, Francia e Germania e 120 negli altri paesi europei. Gli Stati Uniti avevano approssimativamente lo stesso numero di ricercatori ma spendevano il triplo degli europei (38 milioni di dollari a fronte degli 11,9 in Europa). Adams, che era affezionato al 'modello CERN', era convinto che gli sforzi europei fossero dispersi in modo irragionevole e che il solo modo di mettere a punto un programma fattibile era di riunire le risorse in un laboratorio comune europeo per la fusione nucleare. I governi si mostravano incerti, continuando a coltivare la speranza che il plasma potesse presto essere controllato per divenire una sorgente di energia pienamente gestibile, fonte di vantaggi commerciali per l'industria nucleare. Gli scienziati, dal canto loro, tennero una posizione defilata perché non volevano che fossero sottratte risorse ai programmi nazionali e perché non sembrava esistere una soluzione tecnica per il confinamento che si rivelasse migliore delle altre; tutte le numerose configurazioni degli apparati per il vuoto e dei campi magnetici sperimentate fino a quel momento erano ugualmente deludenti.
I diversi tentativi nazionali furono coordinati con grande abilità negli anni Sessanta dal fisico palermitano Donato Palumbo nell'ambito del programma quadro Euratom. L'Euratom nasceva dal trattato di Roma, entrato in vigore il 1° gennaio 1958, con cui veniva istituito il Mercato Comune Europeo dei 'Sei', ed era stato concepito originariamente come la pietra angolare di un programma europeo per l'energia nucleare. Il dominio statunitense del mercato dei reattori, l'importanza commerciale dell'energia nucleare e le pressioni degli enti energetici nazionali limitavano considerevolmente il campo d'azione delle attività dell'Euratom; uno dei suoi obiettivi era lo sviluppo di un programma di fusione europeo.
La politica di Palumbo fu di incoraggiare il decentramento: differenti gruppi nazionali avrebbero seguito la programmazione di ricerca tecnica che preferivano con un finanziamento da parte sia dell'Euratom sia dei propri governi. La prima convenzione fu stipulata con il CEA, il commissariato francese per l'energia atomica, che ottenne un sito a Fontenay-aux-Roses, per il quale il governo si caricò di un terzo dei costi e l'Europa dei due terzi. Si aggiunse poi il laboratorio di Frascati vicino a Roma, in subappalto alla CEA.
Palumbo inserì nel programma il Max Planck Institut für Plasma Physik (IPP) presso Garching (frutto delle idee di Heisenberg), cui si aggiunse nel 1962 un secondo laboratorio a Jülich vicino a Düsseldorf. Altri gruppi nazionali vennero cooptati in Olanda (1962), in Belgio (1969) e anche in Danimarca e Gran Bretagna, quando entrarono a far parte del Mercato Comune Europeo nel 1973.
Nell'agosto del 1968 gli scienziati che lavoravano all'istituto Kurčatov a Mosca annunciarono di avere ottenuto un aumento di un ordine di grandezza nella temperatura del plasma, come pure il confinamento, nel reattore tokamak, che utilizzava un campo magnetico toroidale. I loro risultati furono accolti con scetticismo, frutto di una combinazione dei sospetti tipici della guerra fredda e della conoscenza dei limiti delle tecniche di indagine sovietiche. Un gruppo di scienziati inglesi di Culham trascorse quattro mesi a Mosca per misurare le proprietà del plasma con grande accuratezza utilizzando la tecnologia laser più avanzata a disposizione. Gli scienziati inglesi confermarono i risultati dei sovietici, indicandoli come un ulteriore e significativo passo in avanti sulla strada della fusione termonucleare controllata. Non tutti furono convinti e continuarono a essere sviluppate altre configurazioni per il confinamento. Disponendo di una tecnologia che sembrava offrire più speranze della maggior parte delle altre, di strumenti di indagine via via più potenti e di una maggiore comprensione della teoria del confinamento del plasma, era però finalmente possibile formulare un progetto per un centro di ricerca nell'ambito della collaborazione europea. Il Joint European Torus (JET), costruito presso Culham, fu inaugurato dalla regina Elisabetta nel 1984.
I tre casi qui evidenziati suggeriscono alcune considerazioni di carattere generale riguardo la natura della collaborazione europea in campo scientifico e tecnologico e sul ruolo svolto dagli Stati Uniti. La collaborazione internazionale non è il modo spontaneo con cui scienziati e governi di diverse nazioni lavorano insieme, in quanto normalmente si preferisce mantenere il controllo intellettuale e finanziario sulle proprie ricerche. Le collaborazioni implicano una parziale perdita di sovranità: la programmazione scientifica e i budget di laboratorio sono il risultato di un compromesso con comunità di ricerca e amministrazioni di altri paesi che potrebbero avere obiettivi differenti e disporre di diversi livelli di risorse. Cosa ancora più importante, una volta inserito in una organizzazione intergovernativa come il CERN, l'ESRO o il JET, un governo o un gruppo di ricerca viene a trovarsi vincolato al progetto dal punto di vista sia scientifico sia diplomatico, rendendo estremamente difficile, se non inattuabile, la possibilità di rinunciarvi. Perché la collaborazione risulti accettabile questi costi devono essere bilanciati dai vantaggi che essa è in grado di garantire.
La condivisione delle risorse, vale a dire la possibilità di riunire e mettere in comune denaro, scienziati e ingegneri, è il vantaggio più ovvio della collaborazione. L'equipaggiamento complesso e costoso della 'grande scienza' è sempre stato un collante importante per la tenuta della collaborazione. Il CERN aveva il suo punto di forza nell'acceleratore, l'ESRO nei satelliti, il JET nel tokamak. Per questo motivo, in assenza di chiare necessità di grandi attrezzature, i progetti di collaborazione incontravano molte difficoltà. L'allettante possibilità di un'alternativa presso la NASA finì con il limitare il budget dell'ESROJET, che dovette aspettare l'individuazione di una tecnologia superiore alle altre.
La necessità da parte di ogni nazione di tutelare l'attività delle proprie università e dei propri centri di ricerca ha sempre costituito un grosso ostacolo nel momento in cui si propone un laboratorio internazionale, persino quando le attrezzature necessarie si trovano nel proprio territorio nazionale. In assenza di una forte base a livello nazionale, un paese non avrebbe mai potuto trarre vantaggio dalle agevolazioni internazionali e, ancor peggio, avrebbe subito un'emorragia di denaro e cervelli dalla periferia al centro. Questa era una delle preoccupazioni di Bohr riguardo al CERN. I ricercatori delle scienze spaziali si domandavano quale sarebbe stato, da un punto di vista economico e tecnologico, il destino delle strumentazioni fabbricate nei loro paesi se fossero state imbarcate sui costosi e poco testati satelliti europei, mentre la NASA metteva a loro disposizione parte del carico in alcuni lanci. Gli scienziati non volevano rischiare di impegnarsi in un centro di ricerca comune per la fusione finché non avessero consolidato le loro competenze a livello nazionale e non fosse stato raggiunto un accordo, sulla base di una riflessione matura, sulla strumentazione da collocare nell'apparato. La stessa sorte toccò nei primi anni Sessanta ai tentativi di John C. Kendrew di istituire un laboratorio europeo di biologia molecolare, perché i suoi colleghi insistettero sul fatto che era necessario sviluppare questo ambito di ricerca prima nelle proprie nazioni di origine, ed egli riuscì a realizzare il suo progetto soltanto alla metà degli anni Settanta, più o meno contemporaneamente al JET.
I fautori del CERN respingevano sempre questo genere di argomentazioni, ricordando quanti stimoli avesse ricevuto la fisica nei singoli paesi dal mastodontico centro di Ginevra. Trascuravano di mettere in evidenza che molti governi utilizzavano per il CERN i fondi del ministero degli Esteri, senza perciò sottrarre risorse alla ricerca scientifica. In questo modo la collaborazione internazionale costituiva una fonte di finanziamenti per la ricerca scientifica complementare e non concorrenziale, nessun fisico avrebbe dunque sollevato obiezioni. La Gran Bretagna rappresentava l'eccezione che confermava la regola. I suoi finanziamenti per il CERN furono sempre prelevati dai fondi per la ricerca, e questo rende ragione della lentezza con la quale prese parte al progetto e delle sue ripetute rimostranze per i costi.
La collaborazione scientifica e tecnologica è legata a filo doppio al progetto postbellico della costruzione di un'Europa economicamente e, per alcuni, anche politicamente unita. Nel momento in cui vengono coinvolti i governi, la ricerca diviene una questione di politica estera, che comporta le stesse, complicate contrattazioni sulla sovranità che mettono alla prova i governi nazionali nei settori economico, politico e militare.
L'identificazione delle risorse militari con la forza e il prestigio di una nazione rende estremamente difficile la collaborazione in questo campo; non è una coincidenza che, nei tre casi qui considerati, le ricerche svolte venissero ritenute molto lontane dall'interesse militare. Questa è, presumibilmente, la ragione per cui la definizione del CERN venne modificata in Laboratorio europeo di fisica delle particelle: la costante associazione, nelle opinioni di molti, del nucleare con la produzione di armi danneggiava la sua definizione come laboratorio civile, situato in un paese neutrale.
Le rivalità nazionali prevalgono sulla collaborazione europea non solo nelle questioni attinenti alla sfera militare, ma hanno un peso considerevole anche quando sono in gioco interessi commerciali importanti. Il CERN, l'ESRO e il JET ebbero successo perché erano una fonte di conoscenze fondamentali e ancora lontane dagli interessi del mercato. La conoscenza del cammino di decadimento dei mesoni, delle sorgenti dei raggi gamma spaziali e del comportamento incontrollabile del plasma non attira particolarmente le industrie, con la possibile eccezione di alcune delle tecnologie necessarie a ottenere informazioni su questi fenomeni. Scienziati e governi furono per contro molto riluttanti a condividere le loro conoscenze scientifiche e tecnologiche con altri non appena realizzarono che la fusione era una preziosa sorgente di energia sia per riscaldare gli edifici per distruggerli.
Gli Stati Uniti furono sempre molto presenti nelle questioni scientifiche e tecnologiche europee. In generale, il dipartimento di Stato ha sostenuto dal punto di vista politico il progetto degli 'Stati Uniti di Europa', esportando all'estero un modello che aveva funzionato bene in patria. Un'Europa forte e coordinata e saldamente ancorata all'Occidente veniva vista come un baluardo contro il comunismo e un utile alleato degli Stati Uniti, determinandone l'atteggiamento positivo nei confronti del processo di formazione di competenze nei settori scientifico e tecnologico da parte dell'Europa. Tuttavia tale politica non era priva di contraddizioni, poiché un'Europa troppo forte e indipendente, particolarmente nei settori di importanza strategica, avrebbe potuto cominciare ad agire contro gli interessi americani. Gli Stati Uniti si occuparono sempre dello sviluppo di tecnologie come i reattori e i missili, trovandosi costretti a destreggiarsi tra il rispetto per l'autonomia europea e la paura che i loro alleati si comportassero in modo tale da recare danno alla loro supremazia o da allontanarsi dai loro interessi.
Molti scienziati, specialmente quelli che in Francia erano orientati politicamente a sinistra, manifestavano insofferenza per il ruolo che gli Stati Uniti rivestivano nelle questioni europee tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, nutrendo pesanti sospetti nei confronti di un sistema di produzione e consumo di massa ai quali si associavano l'ideologia del livellamento e la depoliticizzazione (e democratizzazione). La loro disapprovazione si estendeva anche alle procedure scientifiche. Jacques Monod, il famoso biochimico, rese esplicito questo collegamento dopo aver visitato Cold Spring Harbor nel 1946. Come scrisse alla moglie a Parigi, l'idea che 350 biologi stessero lavorando in quel luogo; che accumulassero osservazioni; che portassero a termine esperimenti, misure, pesature; che utilizzassero apparati di Warburg, centrifughe e microtomi, mentre producevano una pila enorme di articoli, "tutto questo ha una sorta di effetto deprimente su di me. Io pensavo che il mio lavoro fosse qualcosa di non comune […] di altamente personale, qualcosa che io avessi quasi inventato". Monod metteva in relazione in modo denigratorio la produzione di massa delle conoscenze del laboratorio con il consumo di massa di divertimenti nei pressi di James's Beach, da lui definito come uno di quegli enormi e squallidi parchi di divertimento con giganteschi stabilimenti balneari, strade asfaltate, altoparlanti, gelati, bagnini vestiti come marinai in una recita, 50.000 automobili e 500.000 persone a sudare al caldo.
I fisici che visitarono il laboratorio di Lawrence a Berkeley negli anni Trenta manifestarono lo stesso disprezzo per quella che a loro sembrava una mancanza di individualità e per l'ossessione per i componenti dei macchinari. Secondo Maurice Nahmias, uno degli studenti degli Joliot-Curie: "Hanno una vera e propria mania per i gadget e un gusto postinfantile per i giochi scientifici e meccanici. Qui ci sono centinaia di sperimentatori che si divertono come bambinoni con i loro strumenti e passano il loro tempo a perfezionarli sempre più, senza ricavarci niente". Sir Massey, un po' a disagio, pensava che la costruzione di un satellite completamente inglese fosse da preferire all'integrazione della strumentazione nei carichi della NASA, che avrebbe comportato l'esigenza di conformarsi in grande misura ai progetti americani. Tutto ciò avrebbe recato danni all'approccio tipicamente inglese ai problemi scientifici che prevedeva qualcosa di unico, frutto di lunga tradizione ed esperienza. Persino i teorici erano convinti che il modo di lavorare degli americani fosse soffocante e che producesse quantità a scapito della qualità. Heisenberg, esprimendo il suo giudizio su un'accesa discussione che aveva da poco avuto a Bruxelles, confidò a Bohr nel 1961 che i giovani fisici rimanevano molto sorpresi da questo modo di fare, poiché forse si erano abituati all'idea che bastasse piazzare un numero sufficientemente grande di fisici davanti a macchinari altrettanto grandi per ottenere risultati. Per la vecchia guardia questa era la razionalità tecnocratica americana nella sua forma peggiore, una produzione di massa di conoscenze, guidata dagli apparati sperimentali e totalmente priva di creatività intellettuale e immaginazione.
Questo tipo di atteggiamento non esiste più. Con l'aiuto di fondazioni come quella di Ford e di Rockefeller, del comitato scientifico della NATO e della NASA, i fisici europei hanno metabolizzato e adottato gradualmente le pratiche e le norme dei loro colleghi americani. Unita dall'interesse comune di raggiungere traguardi scientifici e tecnologici la comunità scientifica ha accantonato questioni di politica e di nazionalismo. Costruire apparati sperimentali e ottenere risultati è oggi quello che conta. Lo 'spirito dell'internazionalismo' ha finito per trionfare, ma nei termini in gran parte fissati da una globalizzazione che segue i dettami di un leader mondiale.