La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. La radiazione e il quanto
La radiazione e il quanto
I primi concetti quantistici emersero dallo studio di un problema che si collocava sulla linea di demarcazione tra due conquiste fondamentali della fisica del XIX sec., l'elettrodinamica e la termodinamica. La questione riguardava l'equilibrio termico che la radiazione elettromagnetica raggiunge, come già allora era noto, all'interno di un 'corpo nero', ossia all'interno di una cavità le cui pareti si trovino a una temperatura stabilita e in grado di assorbire qualsiasi radiazione proveniente dall'esterno.
Nel 1859 Gustav Robert Kirchhoff aveva dimostrato, ricorrendo al secondo principio della termodinamica, che lo spettro di corpo nero ha la notevolissima proprietà di essere una funzione universale della sola temperatura; nei successivi anni Ottanta Ludwig Boltzmann (1844-1906) e Wilhelm Wien (1864-1928), combinando tra loro elettromagnetismo e termodinamica, avevano posto alcuni vincoli sulla forma di tale funzione. Nel corso degli anni Novanta, gli spettroscopisti che lavoravano presso il Physikalisch-technische Reichsanstalt di Berlino, da poco istituito, misurarono tale spettro allo scopo di determinare un criterio universale per le misurazioni ad alte temperature; il teorico berlinese Max Planck (1858-1947) tentò, al contempo, di ricavare per via interamente teorica lo spettro di corpo nero. In Planck, formatosi a Berlino sotto la guida di Hermann von Helmholtz e di Kirchhoff, coesistevano l'attenzione per principî ordinatori di carattere generale, tipica del primo, e la predilezione per la fenomenologia del macroscopico piuttosto che per la speculazione atomistica, caratteristica del secondo. Egli attribuiva validità assoluta ai principî della sua scienza prediletta, la termodinamica, imputando alla teoria cinetico-teorica di Boltzmann di non fornire risultati originali e di restringere il secondo principio della termodinamica a una validità di carattere statistico. Planck riteneva che una più profonda spiegazione dell'irreversibilità termodinamica potesse essere fornita esclusivamente dalla dinamica di un continuum come l'etere elettromagnetico. Nel 1895 si dedicò quindi con un programma ambizioso alla ricerca di un fondamento elettromagnetico per la termodinamica; come risultato indiretto sperava di dedurre la forma dello spettro universale di corpo nero.
La realizzazione di questo programma si rivelò controversa e intricata. Planck discusse un sistema di risonatori microscopici che, idealmente, interagissero con la radiazione racchiusa all'interno di una cavità dalle pareti perfettamente riflettenti. Egli attribuì inizialmente l'irreversibilità alla diffusione delle onde elettromagnetiche da parte dei risonatori; tuttavia dovette ben presto concordare con Boltzmann sul fatto che la descrizione dell'irreversibilità richiedeva la nozione di stato disordinato. Persino più problematica si rivelò essere la derivazione dello spettro all'equilibrio. Il primo obiettivo raggiunto da Planck, una legge di tipo esponenziale già dimostrata teoricamente da Wien, apparve in contrasto con alcune nuove misurazioni ottenute all'estremità infrarossa dello spettro. La ricerca fu rivolta allora verso la più semplice forma di entropia per un risonatore, che fosse compatibile sia con l'estremità di alta frequenza sia con quella di bassa frequenza dello spettro. Nell'ottobre del 1900 Planck ottenne una nuova legge di corpo nero, che concordava perfettamente con i dati provenienti dal Reichsanstalt.
Prima della fine dell'anno ne annunciò una dimostrazione di importanza fondamentale, basata su una formula di Boltzmann che riconduceva l'entropia S di un insieme di risonatori, identici tra loro, al logaritmo del numero W di modi in cui uguali elementi di energia si distribuiscono tra i risonatori stessi. La dimostrazione formale richiedeva un valore ben stabilito per gli elementi di energia: h volte la frequenza propria dei risonatori, dove h rappresentava una nuova costante universale con le dimensioni di un'azione.
Se Planck si fosse attenuto rigidamente ai metodi seguiti da Boltzmann non avrebbe potuto fissare gli elementi di energia così come aveva fatto e sarebbe pervenuto a una legge assurda per un corpo nero: la cosiddetta formula di Rayleigh-Jeans, in base alla quale l'energia totale della radiazione sarebbe risultata infinita. Tuttavia non fu questa la strada che egli seguì e, allo scopo di salvaguardare la stretta validità della legge per la quale l'entropia aumenta (legge che continuò a difendere fino al 1914), assunse come valide alcune deviazioni dalla relazione che Boltzmann aveva stabilito tra la dinamica microscopica e i fenomeni macroscopici. Planck riteneva, in particolare, di poter fissare il valore degli elementi di energia h senza per questo contraddire la dinamica continua dei risonatori, a cui era ricorso nel derivare la relazione tra lo spettro di energia e l'energia media del risonatore.
Planck non sostenne mai di aver vincolato le energie dei suoi risonatori o della radiazione ad assumere esclusivamente valori discreti, ma considerò piuttosto l'introduzione della nuova costante fondamentale h come il proprio contributo più innovativo. Insistette anche sul fatto che la formula di Boltzmann S=klogW avesse significato di validità generale per la termodinamica e dovesse rappresentare un importante tramite tra la teoria dei gas e quella della radiazione. Planck si proponeva di unificare la fisica, non di stravolgerla. La prospettiva rivoluzionaria di scambi discontinui di energia si deve a un altro fisico teorico, ossia ad Albert Einstein.
A differenza di Planck, il giovane Einstein rimase subito colpito dalla termodinamica statistica di Boltzmann e guardò con favore alla violazione della legge dell'entropia, che essa introduceva. Oltre a condividere la concezione secondo la quale potevano avvenire fluttuazioni macroscopiche attorno allo stato di equilibrio, egli giunse a prevedere che in alcune situazioni sarebbe anche stato possibile osservare tali fluttuazioni, così come avviene per esempio nel moto browniano, e nella sua versione della teoria di Boltzmann l'entropia divenne una misura della probabilità delle fluttuazioni che rivelava la microstruttura del sistema.
Nell'articolo Über einen die Erzeugung und die Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt (Emissione e trasformazione della luce da un punto di vista euristico), pubblicato sugli ‟Annalen der Physik" del 1905, Einstein calcolò l'entropia di una radiazione di bassa densità prendendo a riferimento la regione dello spettro di corpo nero che obbedisce alla legge di Wien; grazie alla formula di Boltzmann, ne dedusse che la probabilità per cui una radiazione di frequenza è contenuta in una certa porzione del volume disponibile è descritta dalla stessa legge che si otterrebbe nel caso di un 'gas' costituito di quanti indipendenti tra loro. Egli trasse da questa analogia le estreme conseguenze e, assumendo che l'emissione e l'assorbimento di radiazione avvenissero sempre mediante tali quanti, riuscì a interpretare sia la legge di Stokes, secondo la quale nel fenomeno della fluorescenza la frequenza della luce incidente è sempre maggiore di quella emessa, sia la legge di dipendenza dalle frequenze caratteristica dell'effetto fotoelettrico, scoperto da Heinrich Rudolf Hertz circa due decenni prima.
Nella prima parte di quello stesso articolo Einstein dimostrò, contraddicendo implicitamente Planck, che, se si fosse applicata la termodinamica statistica a materia e radiazione in interazione reciproca secondo leggi classiche, si sarebbe ottenuta una legge di corpo nero che non trovava conferma nell'esperienza. Einstein congetturò che fosse necessaria un'ipotesi radicalmente nuova per la legge di Planck e l'anno seguente postulò che i risonatori di Planck potessero assumere soltanto valori discreti dell'energia, in accordo con la loro proprietà di assorbire ed emettere luce mediante quanti discreti: la legge di Planck si otteneva come naturale generalizzazione della teoria di Boltzmann al caso di risonatori quantizzati. Einstein nell'articolo Die Plancksche Theorie der Strahlung und die Theorie der spezifischen Wärme (La teoria di Planck sulla radiazione e la teoria del calore specifico), pubblicato nel 1907 sugli "Annalen der Physik", estese il procedimento alle oscillazioni degli atomi in un cristallo e spiegò così la diminuzione anomala dei calori specifici dei solidi alle basse temperature.
Il percorso verso l'accettazione dell'iniziale teoria quantica di Einstein ci porta a distinguerne vari aspetti, che l'autore stesso in realtà desiderava non tenere disgiunti: innanzi tutto la dimostrazione che l'elettrodinamica ordinaria era inadatta a descrivere la radiazione termica, quindi la quantizzazione dell'energia di certe entità materiali, la quantizzazione dell'interazione tra materia e radiazione e infine la struttura quantica della radiazione stessa; il tutto elencato secondo il grado decrescente di accettabilità riscontrato nella comunità scientifica.
Il punto di vista di Einstein secondo il quale l'elettrodinamica ordinaria doveva necessariamente condurre a una legge assurda per la radiazione di corpo nero si affermò gradatamente. Nel 1908 il teorico olandese Hendrik Antoon Lorentz, basandosi sulla meccanica statistica di Gibbs, confermò la validità delle conclusioni di Einstein; altrettanto fece in Inghilterra James Jeans avvalendosi di argomentazioni teorico-cinetiche. Planck stesso ammise che una modifica radicale delle teorie esistenti era divenuta ormai necessaria. Einstein riteneva che una delle modifiche esigeva che l'energia dei risonatori e di altre entità atomistiche fosse discreta, e in questa semplice ottica molti tra i primi teorici dei quanti si decisero a seguirlo. Planck però preferì dividere lo spazio delle configurazioni, che rappresentava la posizione e l'impulso delle molecole, in 'domini elementari di uguale probabilità' di dimensione pari a h3 e contati, ciascuno, come un unico stato nei calcoli di termodinamica statistica.
L'energia media di un insieme termalizzato di entità quantizzate differiva dal corrispondente valore classico in qualunque forma fossero presentate le ipotesi quantistiche, e così accadeva nella teoria dei calori specifici di Einstein. Intorno al 1910 Walther Hermann Nernst intuì una connessione con il terzo principio della termodinamica da lui stesso introdotto (principio il quale implica che alla temperatura dello zero assoluto l'entropia di una sostanza pura si annulli e riconduca le costanti dell'equilibrio chimico a misurazioni di calore) e, alla luce della teoria di Einstein, inaugurò un vasto programma di studio dei calori specifici a basse temperature. Nel 1911, grazie al finanziamento dell'industriale chimico Ernest Solvay, Nernst si fece promotore della Conferenza internazionale che si tenne a Bruxelles per discutere le nuove idee quantistiche. L'élite di scienziati che vi prese parte concordò sulla necessità di ricorrere alla discontinuità quantistica in fisica, tuttavia vi era disparità di giudizi su quali procedure seguire per introdurla e sulla possibilità o meno di ricondurla a leggi fisiche già note.
Tra gli esperti, molti giunsero ad accordarsi anche sul fatto che la nuova discontinuità quantistica dovesse produrre effetti sull'interazione tra la materia e la radiazione elettromagnetica: Planck acconsentì a considerare soglie di energia discontinue nei processi di emissione di radiazione, Arnold Sommerfeld pensò di limitare il valore dell'integrale d'azione, calcolato per la durata dell'interazione, a un multiplo intero della costante di Planck e Niels Bohr, nel 1913, formulò la famosa legge secondo cui la frequenza della radiazione emessa o assorbita è legata alla variazione di energia dell'emettitore o dell'assorbitore. Sempre più numerosi, tra i fisici, erano coloro che accettavano come fondata la relazione stabilita da Einstein per la fotoelettricità, in particolare dopo che, nel 1916, Robert A. Millikan ne ebbe fornito un'accurata conferma sperimentale.
Nessun fisico, nonostante ciò, approvò l'idea dei quanti di luce di Einstein. Le equazioni di campo di Maxwell rappresentavano il contributo alla fisica che meglio di qualunque altro aveva ricevuto conferma sperimentale e lo stesso Einstein si era sforzato, invano, di riconciliarle con gli aspetti corpuscolari della radiazione. Planck e Lorentz non ritenevano che la forma assunta dalle fluttuazioni fosse una prova convincente della struttura corpuscolare della radiazione e la interpretavano, piuttosto, come il possibile risultato di qualche complesso meccanismo di interazione tra materia e radiazione. Neppure l'esistenza, nell'effetto fotoelettrico, di una soglia legata alla frequenza vincolava a una spiegazione in termini di quanti di luce: Philipp Lenard (1862-1947) ipotizzò che fosse il bersaglio stesso a fornire l'energia necessaria ai fotoelettroni, mentre la frequenza della radiazione incidente avrebbe avuto il compito di innescare il processo di emissione. Anche quando, nel 1911, ulteriori indagini sperimentali contraddissero questa ipotesi più diffusa, la maggior parte dei fisici continuò a ignorare i quanti di luce, atteggiamento che perdurò fino ai primi anni Venti del Novecento.
Johannes Stark (1874-1957) rappresentò un'importante eccezione. Egli aveva dimestichezza con il comportamento corpuscolare mostrato dai raggi X in diversi esperimenti di laboratorio: molto suggestivo era il fatto che l'energia degli elettroni prodotti per ionizzazione dai raggi X rimaneva dello stesso ordine di grandezza di quella degli elettroni primari che avevano generato i raggi, indipendentemente da quanto il bersaglio fosse distante dalla sorgente. Nel 1907-1908, Stark propose come spiegazione che alcuni quanti di luce di altissima frequenza trasportassero l'energia dalla sorgente al bersaglio, in accordo con il punto di vista di Einstein. Inizialmente i raggi X erano considerati impulsi elettromagnetici, ma dopo che nel 1912 Max von Laue ne ebbe dimostrato con esperimenti di diffrazione la natura periodica, fu chiaro che era il quanto hν, corrispondente alla loro frequenza ν, a determinare l'energia degli elettroni secondari. La scoperta della natura ondulatoria dei raggi X divenne così l'occasione per dimostrarne la natura corpuscolare! Un numero sempre crescente di fisici ravvisò questa caratteristica paradossale dei raggi X ma passarono ancora dieci anni prima che in tale campo fosse comunemente attribuito un qualche valore di realtà ai quanti di luce.
Negli anni che seguirono la Conferenza Solvay del 1911, il quanto fu impiegato sostanzialmente in due modi diversi. Il primo metodo, seguito sia dai fisici berlinesi Einstein, Planck e Nernst, sia da Paul Ehrenfest, professore a Leida, consisteva in un'estensione del contesto al quale era stato originariamente applicato il quanto e coinvolgeva le proprietà termodinamiche della materia e la natura della radiazione. Spesso esso si esauriva in un approccio puramente teorico, che però superò il vaglio dell'esperienza nelle misurazioni termiche e nella fisica dei raggi X. Un risultato importante che maturò da questo orientamento fu la determinazione delle costanti chimiche dei gas da parte di Otto Sackur (1880-1914) e Hugo Martin Tetrode (1895-1931), i quali, in analogia con il procedimento seguito da Planck per quantizzare i risonatori, suddivisero lo spazio delle fasi delle molecole di un gas in celle quantiche di uguale volume, così da poter calcolare l'entropia del gas mediante un metodo combinatorio, che non richiedeva di eliminare il termine dipendente dalla dimensione delle celle, o costante chimica.
A differenza dei metodi statistici usati in precedenza, che fornivano l'entropia di una sostanza a meno di una costante additiva, la nuova teoria quantistica permetteva di calcolare il valore esatto dell'entropia di qualsiasi gas e, di conseguenza, anche la variazione di entropia che ha luogo in reazioni chimiche tra gas differenti, legata a sua volta alla costante di equilibrio mediante le leggi termodinamiche di Gibbs. Planck riconobbe in questo procedimento un'importante estensione dell'analogia, da lui introdotta nel 1900, tra la teoria dei gas e quella della radiazione: adesso erano sia la costante k sia la costante h a rappresentare un tramite tra i due tipi di teoria. Egli stesso tentò di riformulare la teoria di Sackur e di Tetrode in modo da tenere conto anche dell'indistinguibilità delle particelle; la teoria che ne derivò, pubblicata nel 1916, prevedeva in accordo con il teorema del calore di Nernst la degenerazione alle basse temperature (sebbene i risultati ottenuti e le stesse ipotesi alla base differissero dalla successiva teoria della degenerazione quantistica di Einstein). L'altro orientamento della teoria quantistica consisteva nell'applicare il concetto di quanto ad atomi e molecole singoli, aveva come centri di riferimento sociale Copenaghen, Monaco e Gottinga e faceva forte affidamento sui risultati spettroscopici provenienti da varie sedi, Berlino e Tubinga in primis tra quelle della Germania.
L'applicazione più semplice, non di natura termodinamica, della nuova teoria quantistica riguardava la rotazione di singole molecole e la vibrazione degli atomi che le costituivano: si trattava di moti abbastanza elementari perché se ne potesse facilmente individuare la procedura di quantizzazione e trarre conclusioni sui relativi spettri di emissione. Questa via fu inaugurata, su suggerimento di Nernst, dal fisico danese Niels Bjerrum; molti americani, tra i quali Edwin C. Kemble (1889-1984) e Robert S. Mulliken (1896-1986), assai prima che la meccanica quantistica nascesse si servirono della teoria come strumento di raccordo tra la struttura molecolare e gli spettri e raggiunsero alcuni dei principali risultati della moderna spettroscopia molecolare.
Il maggiore interesse di chi si cimentava con la 'costruzione' degli atomi era rivolto alla loro struttura interna. Nella famosa trilogia del 1913 Bohr, rielaborando il modello di Rutherford nel quale elettroni negativi ruotavano attorno a un nucleo carico positivamente, postulò che ogni atomo o molecola potesse trovarsi esclusivamente in una serie discreta di stati stazionari la cui stabilità violava le leggi ordinarie della meccanica e dell'elettrodinamica; l'emissione o l'assorbimento di radiazione implicava salti discontinui tra tali stati. In aggiunta Bohr avanzò l'ipotesi che, nel caso dell'atomo di idrogeno, per il moto dell'unico elettrone attorno al nucleo valesse la meccanica ordinaria e selezionò gli stati stazionari in base alla regola quantistica T=nhω/2, dove T è l'energia cinetica dell'elettrone, ω la frequenza del suo moto di rotazione e n un intero positivo. Egli impose allora che, per la frequenza della radiazione emessa durante la transizione tra due stati di energia, rispettivamente E1 ed E0, valesse la regola delle frequenze, cioè E1−E0=hν. Una tale condizione rappresentava una frattura nuova e radicale con l'elettrodinamica ordinaria: la frequenza della radiazione ν non coincideva più con la frequenza ω dell'oggetto che l'aveva emessa. Bohr mostrò tuttavia che per stati fortemente eccitati questa 'orribile' assunzione riproduceva lo spettro della radiazione ottenuto secondo le leggi classiche.
Numerosi furono gli esperimenti che, nell'arco di circa un anno, decretarono il successo della teoria di Bohr: fu verificata in modo molto spettacolare la previsione che la serie di Edward C. Pickering dell'idrogeno stellare fosse in realtà dovuta allo ione He+; l'identificazione, con Bohr, del numero atomico con la carica nucleare suggerì a Henry Moseley di classificare gli elementi chimici in base all'analisi dei loro spettri di raggi X; nel 1914 Walther Kossel, uno studente di Sommerfeld, applicò con successo gli stati stazionari e la regola delle frequenze per spiegare l'emissione e l'assorbimento dei raggi X. Nel 1915, per interpretare gli esperimenti di James Franck (1882-1964) e Gustav Hertz (1887-1975) sull'assorbimento di un fascio di elettroni da parte di vapori di mercurio, Bohr invocò salti quantici all'interno degli atomi di mercurio; egli, tuttavia, rimase scettico sul grado di generalità da attribuire alle proprie ipotesi, che reputava valide esclusivamente nella descrizione di sistemi periodici, mentre riteneva che né la regola delle frequenze né la meccanica ordinaria fossero adatte a descrivere sistemi più complessi. Si trattava di una prospettiva eccessivamente pessimistica, come fu presto evidenziato dai contributi che Einstein e Sommerfeld apportarono alla sua teoria.
Nel 1916 Einstein fece ricorso al concetto degli stati stazionari di Bohr per elaborare un nuovo approccio nella descrizione dell'equilibrio termodinamico tra materia e radiazione. Egli assegnò alle transizioni quantiche di Bohr determinate probabilità, descritte quantitativamente mediante tre coefficienti (nella terminologia usata poi da Bohr, coefficiente di 'emissione spontanea', di 'emissione stimolata' e di 'assorbimento'). Einstein chiarì che l'equilibrio cinetico tra gli atomi di Bohr e la radiazione poteva instaurarsi solamente nell'ipotesi che la regola delle frequenze di Bohr avesse validità generale, quindi la radiazione avrebbe obbedito alla legge di Planck; inoltre per poter conservare l'energia e l'impulso, era necessario interpretare le fluttuazioni che avvenivano nel processo di emissione in termini di quanti di luce. Era proprio l'esistenza dei quanti di luce che interessava maggiormente Einstein, mentre Bohr mise in risalto la validità generale della regola delle frequenze, che egli presto chiamò il 'secondo postulato', laddove il primo riguardava l'esistenza stessa degli stati stazionari.
Un ulteriore e fondamentale contributo alla teoria di Bohr giunse quello stesso anno a opera di Sommerfeld, professore a Monaco, il cui tirocinio a Gottinga lo aveva reso un maestro nella matematica applicata. Sommerfeld quantizzò i moti kepleriani relativistici mediante due numeri quantici (principale e azimutale) e ottenne così uno sdoppiamento nelle righe dell'idrogeno, che fu poi osservato nel caso dell'H+ da Friedrich Paschen a Tubinga. Seguendo la direzione da lui tracciata, Karl Schwarzschild (1878-1916) e Paul Epstein (1883-1966) descrissero lo sdoppiamento delle righe spettrali dovuto, nell'effetto Stark, a un campo elettrico, mentre Sommerfeld e Peter J.W. Debye (1884-1966) si occuparono dello sdoppiamento dovuto al campo magnetico nel fenomeno che prende il nome da Pieter Zeeman. Regole quantistiche potevano essere assegnate in qualsiasi sistema cosiddetto multiperiodico ed erano inoltre compatibili con il 'principio adiabatico' di Ehrenfest, che stabiliva alcune condizioni per la lenta deformazione di sistemi quantici. La validità della regola delle frequenze per qualsiasi transizione smentiva l'intuizione originaria di Bohr, ma ricevette rapida accettazione e fu prontamente ampliata da lui stesso mediante un nuovo principio, che a Copenaghen avrebbe svolto un insostituibile ruolo guida per le successive ricerche.
Sommerfeld, allo scopo di riprodurre gli spettri osservati, aveva introdotto ad hoc alcune regole di selezione che permettevano solamente alcune transizioni tra gli stati quantici. Nel caso dell'effetto Zeeman, per esempio, il numero quantico poteva variare esclusivamente di quantità pari a 0, +1 o −1. Bohr osservò che tali regole rispecchiavano una somiglianza tra lo spettro classico e quello quantistico, poiché le tre frequenze del moto perturbato (ω0, ω0+ωL e ω0−ωL, dove ω0 è la frequenza originale e ωL la frequenza di Larmor) corrispondevano alle possibili variazioni del numero quantico magnetico. Bohr assunse che, più in generale, tra le armoniche del moto in uno stato stazionario e le transizioni che a partire da questo stato erano possibili esisteva una connessione stretta, tale che, nel limite di alti numeri quantici e piccoli salti, lo spettro della radiazione emessa coincideva con lo spettro di Fourier che descriveva il moto dell'elettrone nello stato iniziale (come avveniva in elettrodinamica classica). È proprio in questa relazione tra moto atomico e radiazione che consisteva il 'principio di corrispondenza', considerato da Bohr uno strumento euristico essenziale per l'edificazione di una teoria quantistica (Bohr 1918). La derivazione delle regole di selezione fu la più immediata e ovvia applicazione del principio di corrispondenza, che però permise di realizzare ulteriori sviluppi: Bohr e il suo assistente olandese Hendrik A. Kramers (1894-1952) calcolarono approssimativamente le intensità delle righe spettrali, delinearono la teoria dei sistemi multiperiodici perturbati, ricavarono le proprietà generali degli spettri di atomi con molti elettroni e discussero la costituzione degli atomi. In quest'ultima applicazione, il principio di corrispondenza permetteva di selezionare quali fossero le possibili strade che, mediante successivi processi di cattura radiativa di elettroni da parte di un nucleo spoglio, avrebbero condotto alla formazione di un atomo. Bohr agì in parte in modo induttivo, basandosi su ciò che era noto degli spettri ottici e dei raggi X, in parte in maniera deduttiva, da un'analisi dei possibili moti a priori, e in questo progetto assai ambizioso sfruttò l'analogia con l'atomo di elio, l'unico per il quale Kramers aveva potuto affrontare i calcoli necessari.
La classificazione degli elementi alla quale egli pervenne, pubblicata nel 1921, suscitò forte impressione e l'anno successivo valse a Bohr il premio Nobel. Nel 1921 inoltre furono coronati gli sforzi di Bohr per fondare a Copenaghen un istituto di fisica teorica, con il quale egli si assicurò lo strumento per diffondere i propri metodi e promuovere collaborazioni internazionali, in modo particolare con gli studenti di Sommerfeld. Allo stesso tempo Sommerfeld, assieme ai suoi seguaci, ricorreva a differenti metodi per sviluppare la teoria atomica: se da una parte, ogni qualvolta un sistema non era multiperiodico (e già l'atomo di elio non lo era), Bohr tentava di stabilire i tratti generali del moto degli elettroni mediante un'abile applicazione del principio di corrispondenza, dall'altra Sommerfeld, i suoi prodigiosi studenti Werner Karl Heisenberg (1901-1976) e Wolfgang Pauli (1900-1958) e l'immaginoso professore di Tubinga Alfred Landé (1888-1975) sostituivano gli atomi con più semplici sistemi multiperiodici, ai quali fosse possibile applicare le note regole quantistiche.
Per esempio, un atomo alcalino era ricondotto a un nucleo rigido accoppiato all'elettrone esterno. Ove la caricatura non funzionava, ci si poteva concedere qualche libertà con le regole quantistiche: agli interi si sostituivano numeri semiinteri, o altrimenti ci si limitava a una pura fenomenologia dei numeri quantici e si ricercava la più semplice classificazione dei termini spettroscopici che si trovasse in accordo con gli spettri osservati. Simili strategie funzionavano bene per lo spettro dell'elio e per l'effetto Zeeman anomalo, sul quale Bohr non poteva addurre ulteriori argomentazioni; erano chiare e facilmente esportabili, laddove le sottili armonie dei moti del fisico danese si potevano apprendere solamente a Copenaghen. Tanto le eccellenti doti didattiche di Sommerfeld, quanto il suo manuale Atombau und Spektrallinien (Struttura atomica e linee spettrali, 1919) favorirono la diffusione dei suoi metodi.
Nel 1921 i teorici dei quanti avevano ottenuto alcuni risultati di rilievo: la versione quanto-teorica della meccanica statistica e una parziale teoria della struttura degli atomi e degli spettri. L'ultima poggiava su una strana corrispondenza di concetti classici (le orbite elettroniche) e di concetti quantistici (stati stazionari e salti quantici).
Per il principio di sovrapposizione e per analogie con processi psicologici, Bohr scorse una qualche armonia in un simile mescolarsi di continuo e discontinuo, e tuttavia non sapeva fin dove ci si sarebbe potuti spingere con la rappresentazione di elettroni orbitanti, né aveva alcuna idea di quale meccanismo, a prescindere dalla descrizione statistica di Einstein dei salti quantici, regolasse l'interazione tra atomi e radiazione.