La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. L'innovazione istituzionale
L'innovazione istituzionale
Fino agli anni Settanta del XIX sec. le principali sedi istituzionali della ricerca chimica e fisica furono le accademie, i laboratori privati (inclusi quelli dei farmacisti), gli osservatori astronomici e le università. All'epoca molti governi occidentali avevano inoltre iniziato a finanziare progetti che prevedevano l'intervento di chimici e fisici in diversi campi, come, per esempio, l'agricoltura, l'agrimensura e la triangolazione, lo sviluppo degli armamenti, la determinazione dei primi campioni di misura e in alcuni settori della (nascente) produzione industriale, come quello della manifattura della porcellana.
Dopo il 1870 si possono individuare quattro processi che favorirono l'innovazione delle istituzioni chimiche e fisiche: (1) lo sviluppo, in Germania, di un sistema universitario basato sulla ricerca che portò alla creazione di grandi istituti dotati di laboratori didattici e di ricerca; (2) la successiva costruzione di laboratori didattici in altri paesi; (3) il verificarsi di una 'seconda rivoluzione industriale' imperniata sulla chimica, sull'elettrotecnologia e sull'ottica di precisione che condusse alla creazione di laboratori industriali, così come allo sviluppo di istituti politecnici destinati alla formazione di ingegneri e di esperti di chimica e fisica applicate; (4) infine, il rafforzamento degli Stati nazionali che determinò l'aumento della domanda di chimici e fisici da parte delle istituzioni statali, sia da quelle già esistenti sia da quelle di più recente formazione, come per esempio i primi laboratori nazionali. Tra il 1870 e il 1920 il processo di sviluppo delle istituzioni scientifiche fu condizionato soprattutto dal rapporto (che spesso dava luogo a profonde tensioni) tra ricerca pura e applicazioni industriali. La chimica e la fisica applicate erano molto richieste non soltanto in campo industriale, agricolo, medico e militare, ma anche nel settore dei servizi di pubblica utilità che iniziavano a trasformare profondamente molti aspetti fondamentali della vita quotidiana: l'elettricità, l'illuminazione pubblica, la distribuzione dell'acqua, i nuovi sistemi di riscaldamento, la telegrafia, la telefonia e i sistemi di trasporto, incluse le ferrovie e i tram elettrici. L'esercizio della professione medica era legato all'esistenza dei laboratori di fisica, che fornivano strumenti di misurazione, come il termometro, e diagnostici, come i raggi X, e dei laboratori di chimica, che provvedevano alla preparazione di rimedi terapeutici e di prodotti farmaceutici. Benché in gran parte destinati alla ricerca (o, più spesso, alla formazione nelle tecniche della ricerca pura), in alcuni casi i laboratori di chimica delle università stabilirono un legame diretto con il mondo dell'industria: quello dell'Università di Gissen, per esempio, entrò in contatto con una serie di industrie chimiche, grazie agli sforzi di Justus von Liebig e dei suoi allievi, e quello di Jena iniziò a operare a stretto contatto con l'industria dell'ottica di precisione, grazie al lavoro svolto da Ernst Abbe e Carl Zeiss.
In Francia, tra il 1900 e lo scoppio della Prima guerra mondiale, i legami tra la fisica e il mondo dell'industria si rafforzarono (portando, tra l'altro, all'accentuazione dell'influenza esercitata da quest'ultimo sul contenuto dei programmi di studio), mentre quelli con il governo centrale si allentarono. In generale i laboratori universitari non erano in grado di far fronte al gran numero di nuove richieste ‒ nei campi della scienza applicata e della sperimentazione ‒ provenienti dall'industria e dallo Stato. La sfera d'azione e i limiti dell'innovazione istituzionale in campo fisico in questi anni sono illustrati dallo sviluppo di quattro aree chiave: gli istituti politecnici, i laboratori industriali, gli istituti di ricerca indipendenti e i laboratori nazionali.
Dopo il 1870, con l'inserimento della formazione teorica e di laboratorio nei loro programmi di studio, gli istituti politecnici (che in gran parte si ispiravano al modello dell'école Polytechnique, fondata nel 1794) iniziarono a offrire ai chimici e ai fisici impegnati nella ricerca vantaggiose prospettive di carriera e a elevare il proprio status di istituzioni educative fino a renderlo equiparabile, o quasi, a quello delle università. Benché discendessero da una tradizione artigianale legata all'architettura, al commercio, alla silvicoltura, all'agricoltura e ad altre discipline applicate, le Technische Hochschulen tedesche, in particolare, tentarono di elevarsi al rango di istituzioni d'élite. La tendenza a includere la teoria, l'astrazione e la formazione di laboratorio nell'istruzione professionale risale alla prima metà del secolo, quando alcuni celebri professori, come, per esempio, Ferdinand Redtenbacher, della Höheren Industrieschule di Zurigo e della Polytechnischen Schule di Karlsruhe, e Gotthilf Heinrich Hagen, dell'Accademia di Architettura di Berlino, si schierarono a favore dell'inserimento nel programma di studi di esercizi pratici fondamentali per la ricerca.
In un primo momento, le scienze chimiche e, in particolare, la chimica inorganica e la chimica-fisica, che del resto divennero discipline di importanza strategica con l'avvicinarsi della Prima guerra mondiale, beneficiarono di questo cambiamento più della fisica. Solamente dopo gli anni Ottanta dell'Ottocento, con i primi corsi di studio approfonditi di elettrotecnica, anche la fisica andò incontro a un processo di innovazione. Nel 1881 Ernst Werner von Siemens, studioso di fisica e titolare della ditta di prodotti elettrici Siemens & Halske di Berlino, sottolineò la necessità di dotare tutti gli istituti di studi tecnici superiori di una cattedra di elettrotecnica. Creata presso il politecnico di Darmstadt, la prima di queste cattedre fu assegnata a Erasmus Kittler che si era specializzato sotto la guida del fisico Friedrich Wilhelm Georg Kohlrausch.
Il modello di istruzione tecnica adottato in Europa fu preso a esempio in altre nazioni: il governo argentino favorì la formazione di legami diretti tra la chimica e la fisica da un lato, e le forze militari dall'altro, invitando alcuni scienziati tedeschi, ai quali fu affidata la formazione di una nuova generazione di scienziati e di ingegneri militari. Il primo programma di studi di cui la scienza di laboratorio entrò a far parte fu quello della Scuola di Ingegneria Militare argentina, riorganizzata nel 1904 come Scuola di Scienza e Tecnica annessa alla Scuola di Guerra e dove, nel 1909, l'elettrochimico tedesco, Emil Hermann Bose (1874-1911) supervisionò i lavori di costruzione di un nuovo laboratorio. Come si può facilmente immaginare, gli esercizi di laboratorio ‒ costituiti da delicate misurazioni chimiche, ottiche e acustiche ‒presentavano un diretto interesse per le operazioni militari.
Nonostante gli sforzi intrapresi per essere considerati su un piano di parità con le università, gli istituti politecnici continuarono a svolgere un ruolo di secondo piano. I legami con il mondo dell'industria del Massachusetts Institute of Technology di Boston offuscavano in qualche modo la sua reputazione, squalificandolo rispetto alle altre istituzioni esistenti in quell'area. In Germania, neppure con il diritto di rilasciare un titolo di specializzazione ‒ diritto che ottennero a partire dal 1899 grazie al sostegno del kaiser ‒ le Technische Hochschulen riuscirono a godere dello stesso prestigio delle università: introdotto nel 1901, il titolo di Doktor-Ingenieur non era molto ambito. Tra il 1904 e il 1921, per esempio, la Technische Hochschule di Aachen rilasciò appena 37 diplomi di specializzazione in ingegneria meccanica, solo tre dei quali in elettrotecnica. Il titolo di dottore in studi tecnici non era particolarmente ambito neppure in Svizzera, nell'Impero austroungarico e in altre regioni europee, dove le istituzioni professionali rimanevano legate ai vecchi modelli di certificazione di abilità esclusivamente pratiche.
Un altro limite era costituito dal tipo di formazione di laboratorio che gli istituti politecnici fornivano. Benché destinati alla ricerca, in pratica i laboratori tecnici si dedicavano prevalentemente alla verifica dei materiali, a esercizi di metrologia, alla calibrazione e a misurazioni di routine, utilizzabili in seguito, per esempio, dalle amministrazioni governative. Solamente all'inizio del XX sec., l'attività svolta in questi laboratori comincerà ad assomigliare a quella degli istituti di ricerca ‒ come la determinazione della composizione elettrochimica, quella dei campioni di misura elettrici e delle variazioni di lettura della corrente di misuratori diversi ‒ e soltanto a questo punto la formazione professionale chimica e fisica si avvicinerà a quella accademica.
Furono i chimici a definire il modello dei diversi laboratori industriali creati in questo periodo, così come quello del rapporto tra università e industria. Nel 1856, due eventi segnarono la nascita dei laboratori industriali di chimica. In primo luogo, nel corso di quell'anno, Henry Bessemer mise a punto un processo per la trasformazione del ferro in acciaio che, in seguito, Alfred Krupp pose alla base dell'attività della sua fonderia di Essen. Colpito dalle potenzialità di questo metodo, l'industriale creò il primo laboratorio industriale di ricerca destinato allo studio della produzione dell'acciaio, dove ben presto fu possibile occuparsi del controllo dei materiali, così come dello sviluppo del prodotto e del controllo della sua qualità. Nel 1900, centinaia di fonderie inglesi e americane furono dotate di laboratori chimici destinati alla ricerca e allo sviluppo. Inoltre, nel 1856, la produzione accidentale del colorante 'malveina' (violetto d'anilina) da parte dello studioso inglese di chimica organica William H. Perkin (1838-1907) aprì la strada all'industria dei coloranti all'anilina. Nel tentativo di studiare la struttura molecolare del chinino ‒ allora l'unico rimedio conosciuto contro la malaria ‒ Perkin estrasse dal carbone questo colorante per mezzo di un composto organico basico, l'anilina. I chimici dell'Accademia ritenevano che lo studioso avesse ceduto alle lusinghe del mondo dell'industria (dal quale peraltro ben presto Perkin si allontanò), ma il successo dell'industria dei coloranti sintetici fu sufficiente a convincere gli industriali di tutte le regioni europee a finanziare laboratori e istituti di chimica. A partire dagli anni Ottanta, il rapido sviluppo dell'industria dei coloranti sintetici determinò il consolidamento di una serie di ditte e di laboratori che operavano nel campo della chimica, mentre, a causa della concorrenza, le società meno solide sparirono; alla fine soltanto un numero esiguo di grandi imprese si trovò a controllare questo settore dell'industria. Così, anche ditte che producevano prodotti farmaceutici, materiali fotografici e sostituti sintetici di beni naturali iniziarono a dotarsi di laboratori di ricerca.
I primi laboratori industriali di fisica, invece, erano orientati non tanto all'innovazione quanto alla verifica dei prodotti. Uno dei primi esempi di questo tipo di indagini è costituito dal lavoro svolto da Henri-Victor Regnault (1810-1878) che, nel verificare la sicurezza e l'efficienza dei motori a vapore, giunse alla determinazione dei calori specifici. Lo scienziato intraprese le sue misurazioni di precisione, pubblicate tra il 1847 e il 1870, all'interno della fabbrica statale di porcellane di Sèvres, grazie al sostegno del ministro delle Opere pubbliche. Un altro esempio degno di nota è fornito dalla telegrafia, un campo in cui furono intraprese indagini di laboratorio sui segnali telegrafici allo scopo di ridurre il fenomeno del ritardo.
L'attività dei laboratori industriali di fisica si intensificò soltanto dopo il 1870, soprattutto nell'area dell'elettrotecnica e dell'ottica di precisione, settori industriali di importanza strategica per i fisici, tanto che, alla fine della Prima guerra mondiale, le strutture industriali di entrambi i settori non avrebbero potuto sopravvivere senza avere alle loro dipendenze un certo numero di questi specialisti.
Un celebre esempio di integrazione di fisica accademica e tradizione artigianale fu quello dei laboratori dell'industria ottica di precisione che Zeiss dirigeva a Jena dove, nel 1873, Abbe, un fisico formatosi a Gottinga sotto la guida di Eduard Friedrich Wilhelm Weber, di Carl Friedrich Gauss, di Georg Friedrich Bernhard Riemann e del celebre costruttore di strumenti di precisione Moritz Meyerstein, formulò una teoria del microscopio che diede luogo alla creazione di un laboratorio industriale di ricerca basato sull'uso di tecniche di precisione. La ricerca e lo sviluppo nel campo della costruzione di strumenti ottici registrarono un notevole progresso quando Zeiss incorporò nella sua società l'officina di produzione di lenti di Otto Schott (1851-1935), per studiare il persistente e apparentemente insormontabile problema dell'aberrazione cromatica. Negli anni Ottanta e Novanta, Zeiss seguitò ad assumere fisici e chimici che importarono nella sua industria gli usi della cultura accademica propria dei laboratori universitari, incluso quello di tenere sedute di lettura nel corso delle quali veniva passata in rivista la recente letteratura scientifica ‒ una tradizione didattica dell'università locale ‒ favorendo l'adozione delle più recenti tecniche di misurazione di precisione. Grazie soprattutto ai prodotti realizzati nel loro laboratorio industriale di ricerca, le officine Zeiss continuarono a prosperare anche durante la depressione economica (1873-1896). Oltre all'ultramicroscopio (caratterizzato da un potere risolutivo di gran lunga superiore a quello del microscopio in campo chiaro), queste officine produssero molti strumenti fondamentali per la misurazione di una serie di proprietà ottiche, come, per esempio, la distanza focale, gli indici di rifrazione e lo spessore delle lenti.
Dopo il 1881, anno in cui si tenne il Congresso internazionale dell'elettricità, i laboratori industriali di elettrotecnica iniziarono ad apparire anche in altri centri tedeschi e negli Stati Uniti. Svoltosi a Parigi, il Congresso era accompagnato da un'esposizione delle nuove tecnologie riguardanti l'energia, la luce, il suono e i sistemi di trasporto. Quando, negli anni Novanta, fece la sua comparsa la tecnologia della corrente alternata, la produzione di voltaggi più alti per la trasmissione dell'energia a lunga distanza divenne un obiettivo di primaria importanza.
Nel periodo precedente la Prima guerra mondiale, i chimici e i fisici utilizzavano i laboratori industriali per conseguire nuovi obiettivi tecnici relativi alla trasmissione elettrica, ai macchinari elettrici e alla produzione e all'analisi dei materiali. Lo statunitense Charles M. Hall (1863-1914) mise a punto un processo elettrochimico per la produzione dell'alluminio e nel 1888 costituì con Alfred E. Hunt la Pittsburgh Reduction Company (conosciuta, a partire dagli anni Novanta del XX sec., con il nome di Alcoa). In elettrotecnica, un altro importante centro di ricerca e sviluppo era rappresentato dalla ditta Siemens & Haske di Berlino che negli anni Settanta disponeva di 3000 impiegati, 50.000 km di linee telegrafiche, 1200 telegrafisti e decine di fisici che gestivano i laboratori. Anche la riforma del diritto dei brevetti, strettamente legata all'innovazione elettrotecnica, creò molte opportunità di lavoro per i fisici e per i chimici: Albert Einstein, per esempio, lavorò per un certo periodo in un ufficio brevetti, dove esaminava progetti di attrezzature elettrotecniche.
Il lavoro svolto nei primi laboratori elettrotecnici statunitensi e tedeschi inizialmente si limitò alla verifica, al controllo della qualità e alla determinazione dei campioni di misura ‒ operazioni che dipendevano da misurazioni di precisione di carattere fisico e chimico ‒ e non alla ricerca e allo sviluppo di nuovi prodotti. Fino al 1900, le industrie elettrotecniche mostrarono un atteggiamento ambivalente nei confronti delle indagini di fisica applicata, che si pensava potessero essere condotte con maggior profitto nei laboratori universitari. In un primo momento, si procedette di regola a una verifica in condizioni reali piuttosto che in condizioni ideali. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, tuttavia, con l'espansione di prodotti innovativi dalle tecnologie dell'illuminazione alle altre forme di radiazione elettromagnetica, i progetti di ricerca e di sviluppo acquisirono una maggiore importanza per l'industria elettrotecnica. L'American Telephone and Telegraph Company, per esempio, realizzò al suo interno un istituto di ricerca, i Bell Telephone Laboratories, dove negli anni Venti lavoravano migliaia di scienziati, di tecnici e di costruttori di strumenti di precisione.
Tra gli anni Sessanta del XIX sec. e la Prima guerra mondiale, i laboratori industriali di chimica e fisica si moltiplicarono, fornendo un contesto istituzionale favorevole allo sviluppo di nuovi prodotti, alla cooperazione tra scienziati e ingegneri, alla fusione della cultura universitaria con quella industriale e a una produttiva ricerca interdisciplinare. Essi inoltre contribuirono in molti modi fondamentali alla trasformazione della nozione di impresa scientifica. Soggetti alle leggi della concorrenza e del mercato, questi laboratori incoraggiarono una 'versione capitalistica' della scienza e misero in luce l'importanza, per l'economia locale e statale, di forme specializzate di conoscenza tecnica. Necessariamente, i laboratori industriali contribuirono alla burocratizzazione della scienza e della tecnologia e, in particolare, alla definizione di un terreno d'incontro tra scienza, tecnologia e diritto attraverso il crescente livello di complessità dei sistemi di rilascio dei brevetti adottati nel mondo industrializzato.
In Europa, l'espansione dei laboratori universitari e i pressanti compiti pedagogici loro assegnati portarono, dopo il 1870, i chimici e i fisici, soprattutto tedeschi, a prendere in considerazione l'aspetto produttivo della ricerca. Inoltre, la depressione economica, seguita dalla crisi finanziaria del 1907-1910, determinò una drastica riduzione dei fondi erogati dagli Stati a favore della ricerca. I ministri dell'Istruzione degli Stati europei guardavano con invidia allo sviluppo del sostegno privato alla ricerca scientifica che aveva avuto luogo negli Stati Uniti, in un primo momento con la creazione della Carnegie Institution e poi con quella della Rockefeller Foundation. Il prussiano Friedrich Alhoff, ministro dell'Istruzione fino al 1907, tentò di amministrare gli scarsi fondi devoluti alla ricerca in modo estremamente oculato e di mantenere il vantaggio competitivo acquisito a livello internazionale, creando centri regionali di ricerca di grande prestigio. Tuttavia i suoi sforzi non furono sufficienti a compensare lo scontento suscitato tra gli scienziati tedeschi dalla politica adottata dal governo nei confronti della ricerca. I chimici, in particolare, sottolineavano apertamente la necessità di creare istituti di ricerca non legati alle università. Le discussioni su questo tema nel primo decennio del secolo culminarono nella fondazione di una serie di istituti indipendenti, di cui la Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft, creata nel 1911, costituiva un caso esemplare. Questa società era composta da diversi istituti, i Kaiser-Wilhelm-Instituten, dedicati ad aree di ricerca di diretta rilevanza per lo Stato, pur essendo finanziati prevalentemente da imprese e industrie private.
I Kaiser-Wilhelm-Instituten erano espressione di una profonda trasformazione della struttura istituzionale della scienza. Diretti da un comitato composto da industriali, da figure di primo piano del mondo della finanza, da funzionari statali e da scienziati accademici, essi pur rivendicando una completa indipendenza intellettuale dallo Stato e da altri centri di potere, finirono per promuovere obiettivi di interesse nazionale, sociale e militare. Misero a disposizione della ricerca uno spazio non vincolato a doveri didattici e amministrativi, abituarono le imprese e le industrie private all'idea di finanziare la ricerca scientifica, e contribuirono all'espansione delle basi sociali della scienza che dalla Bildungbürgertum (la classe media colta) si estesero alla Großbürgertum (in parole povere, le masse). Creati nel 1912, i primi due Kaiser-Wilhelm-Instituten erano dedicati alla chimica e alla chimica fisica; il primo, diretto da Fritz Haber (1868-1934), fu ben presto adattato allo sforzo bellico e divenne un importante centro di sviluppo di armi chimiche, compresi i gas. Con la collaborazione degli altri Kaiser-Wilhelm-Instituten, l'istituto guidato da Haber sviluppò anche un meccanismo di allarme per il gas combustibile, alcuni combustibili sintetici, diverse terapie sperimentali e un certo numero di sostituti artificiali di risorse naturali. Posto sotto la guida di Einstein, il Kaiser-Wilhelm-Institut dedicato alla fisica, esistette solo sulla carta nel periodo qui preso in esame.
Dopo il 1870, i finanziamenti statali a favore delle scienze naturali aumentarono notevolmente per tre ragioni. In primo luogo, i governi vedevano nel raggiungimento di un alto livello di competenza scientifica un simbolo di potere; a livello internazionale, le nazioni entrarono in concorrenza tra loro allo scopo di accrescere il proprio prestigio scientifico, soprattutto alla vigilia delle esposizioni internazionali, inaugurate verso la metà del secolo. Negli anni immediatamente successivi al 1900, in Spagna, per esempio, i politici liberali, nel tentativo di rinnovare il sistema dell'istruzione, inviarono gli scienziati all'estero per approfondire i loro studi e aumentarono i finanziamenti destinati alla ricerca scientifica. Da questi sforzi nacque l'Istituto Nazionale delle Scienze Fisiche e Naturali, creato nel 1910, da cui dipendeva il Laboratorio per le Indagini Fisiche di Madrid, diretto da Blas Cabrera (1878-1945).
Il secondo fattore alla base del sostegno governativo va ricercato, soprattutto per quanto riguarda le scienze fisiche, nell'aumentata rapidità, dopo il 1870, del processo di standardizzazione e regolazione nel campo dei pesi e delle misure e in quello dei servizi pubblici (elettricità, gas, acqua, telegrafia e sistemi di trasporto): entrambi i settori erano strettamente legati alle misurazioni di precisione. La maggior parte delle istituzioni preposte alla standardizzazione era nazionale o locale, come, per esempio, il Laboratoire Central d'Electricité di Parigi (1888), un laboratorio di verifica dei campioni di misura che coordinava i risultati ottenuti nei laboratori provinciali di Grenoble, Nancy, Lille e Tolosa. Molti problemi di metrologia, tuttavia, trascendevano i confini nazionali. Tra i comitati internazionali per la standardizzazione in cui i chimici e i fisici svolsero un ruolo di primo piano, sono da menzionare l'International Telegraph Bureau (1865), l'International Bureau of Weights and Measures (1875), l'International Metric Union (1878) e l'International Electrical Congresses (a partire dal 1881).
Il terzo fattore, concernente specificamente la Germania, riguardava la qualità dei prodotti di alta tecnologia e la mole di lavoro di ricerca necessaria alla loro realizzazione che veniva o poteva essere effettuata nei laboratori universitari. Nella Germania degli anni Settanta, fu avanzata da più parti la proposta di creare un laboratorio nazionale destinato alla ricerca di base e al perfezionamento delle misurazioni di precisione riguardanti l'industria, il commercio, i trasporti e altri aspetti della vita pubblica e privata. La missione del laboratorio nazionale doveva essere quella di promuovere la sicurezza nazionale, la salute pubblica, la tutela dei consumatori e il benessere dello Stato e dell'economia, soprattutto sui mercati stranieri, dove i prodotti tedeschi non erano considerati affidabili. Fondato a Berlino nel 1887 con lo stanziamento di 3,5 milioni di marchi, il Physikalisch-Technische Reichsanstalt era un istituto ibrido con divisioni tecniche e scientifiche che promuovevano gli interessi del Reich. Nel 1893 aveva alle sue dipendenze 65 impiegati e disponeva di un budget di oltre 250.000 marchi, mentre nel 1903 poteva già contare su 139 impiegati e su un budget di 670.000 marchi.
Lo scopo del Physikalisch-Technische Reichsanstalt era quello di promuovere sia la ricerca pura sia le applicazioni industriali. Tuttavia, il lavoro delle sue divisioni tecniche e scientifiche si risolveva in gran parte in un'attività di routine, costituita dalla verifica e dalla certificazione di strumenti in uso nell'industria, nei servizi pubblici e in campo scientifico e medico; dalle misurazioni dei calori specifici volte al perfezionamento della benzina e dei motori a vapore e dalla determinazione di campioni di misura per l'illuminazione e l'elettricità. Tra il 1887 e il 1918, l'istituto percepì 1,6 milioni di marchi per i lavori di verifica svolti. Nonostante la grande enfasi posta sulla metrologia e sulla misurazione di precisione, la sezione scientifica portò a termine un rivoluzionario lavoro sperimentale sulla radiazione del corpo nero, i cui risultati costituivano la base empirica della teoria quantistica e permisero a Wilhelm Wien nel 1911 e a Max Planck nel 1918 di ottenere il premio Nobel per la fisica. Il credito scientifico dei direttori del Physikalisch-Technische Reichsanstalt era eccezionale ‒ i primi titolari di questo incarico furono Hermann von Helmholtz, Friederich Wilhelm Georg Kohlrausch ed Emil Warburg ‒ e l'istituto disponeva di uno staff che includeva esperti chimici e fisici formatisi nelle migliori università tedesche. Con il passare degli anni, però, il lavoro dell'Istituto divenne un'attività di routine; già nel periodo precedente lo scoppio della Prima guerra mondiale, infatti, le condizioni economiche offerte dagli istituti universitari erano migliorate, al punto che il Physikalisch-Technische Reichsanstalt riuscì a stento a conservare il suo staff scientifico.
Il Physikalisch-Technische Reichsanstalt simboleggiava il potere della Germania imperiale e servì da modello ad altri laboratori nazionali, come, per esempio, il National Physical Laboratory inglese (1900), il National Bureau of Standards statunitense (1901) e l'Istituto di ricerca fisica e chimica giapponese. La nascita del National Physical Laboratory fu una risposta alle richieste di alcuni fisici, tra cui Oliver J. Lodge (1851-1940) dello University College di Liverpool, che avevano posto il problema di un maggior livello di accuratezza e affidabilità. Come il Physikalisch-Technische Reichsanstalt, il National Physical Laboratory ricavava una parte del suo budget operativo da lavori riguardanti la verifica di campioni di misura elettrici e di strumenti, le misurazioni termiche e gli studi di aerodinamica nel campo dell'ingegneria strutturale.
Le quattro principali innovazioni istituzionali introdotte tra il 1870 e il 1920 ‒ istituti politecnici, laboratori industriali, istituti di ricerca indipendenti e laboratori nazionali si incentravano sull'importanza della misurazione di precisione nella ricerca chimica e fisica pura e applicata, sulla definizione di campioni di misura nel campo della metrologia e della produzione industriale, sull'introduzione del controllo della qualità e di misure a tutela della sicurezza pubblica e sull'affidabilità di un'ampia gamma di servizi pubblici nuovi per l'epoca ‒ dimostravano la sempre maggiore importanza sociale, politica ed economica della chimica e della fisica per lo sviluppo della nazione. Esse anticiparono la burocratizzazione non soltanto della metrologia, ma della scienza stessa. Nella scelta del personale, nella struttura organizzativa, nei budget, negli stili di management, nelle amministrazioni e nelle burocrazie, così come nelle dimensioni dei loro progetti, queste nuove istituzioni dedicate alla chimica e alla fisica rappresentano i primi stadi del fenomeno in seguito divenuto noto con il nome di Big science.
Tavola I - L’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA IN CHIMICA E FISICA TRA IL 1870 E IL 1920
Negli ultimi decenni del XIX sec. le iscrizioni universitarie aumentarono considerevolmente un po’ in tutti i paesi. All’University College di Liverpool, per esempio, gli studenti dei corsi di fisica di Sir Oliver J. Lodge (1851-1940) furono in media 189 tra il 1880 e il 1885, 320 tra il 1886 e il 1891, 550 tra il 1892 e il 1894.
Per il 1900, le diverse statistiche nazionali mostrano, riguardo ai corsi di fisica, un andamento di crescita piuttosto simile; nei corsi teorici e in quelli sperimentali, rispettivamente, nell’Impero britannico gli studenti furono 2500 e 3000; in Francia, 1600 e 4000; in Germania, 2500 e 5000; negli Stati Uniti, 4000 e 8000. Sempre nel 1900, i laureati in fisica furono 130 nell’Impero britannico, 60 in Francia, 100 in Germania e 275 negli Stati Uniti. Anche i corsi di chimica attiravano molti studenti universitari: negli Stati Uniti, per esempio, nel 1901 essi erano 22.440, suddivisi nei settori di chimica inorganica (59%), chimica analitica (24%) e chimica organica, fisica e agricola (17%).
A livello universitario, la Germania era la nazione leader indiscussa per la preparazione alle lauree in chimica e fisica. I metodi didattici in essa adottati erano imitati dagli altri paesi, che mantenevano comunque forti le loro tradizioni locali. In Inghilterra prevalevano i fisici della Cambridge University, ma la loro istruzione non era finalizzata tanto al dottorato, bensì al superamento di un esame superiore nella stessa Università che richiedeva una preparazione di alto livello nelle tecniche matematiche della fisica classica. Nemmeno l’apertura del Cavendish Laboratory, nel 1874, riuscì a cambiare in modo significativo la tradizione di Cambridge, che d’altra parte non suscitava approvazione ovunque: Lodge, per esempio, rifiutava l’approccio attraverso i metodi analitici, preferendo le tecniche sperimentali largamente in uso in Germania, dove egli era solito indirizzare i suoi studenti.
Negli Stati Uniti la prima istituzione a rilasciare il Ph.D. in fisica fu la Yale University, che ne assegnò due negli anni Sessanta del XIX sec.; fino al 1914, quasi tutti i dottorati in fisica erano rilasciati da cinque università: Johns Hopkins, Cornell, Yale, Harvard e Chicago. Nel XIX sec. i fisici americani erano pochi: 35 dottorati furono rilasciati tra il 1840 e il 1889, 32 tra il 1890 e il 1900. Nel 1920, negli Stati Uniti furono assegnati 31 dottorati in fisica e nel decennio successivo 729; in quest’ultimo decennio si registrò inoltre un importante cambiamento nell’ambito dell’istruzione: in precedenza di natura puramente sperimentale, essa acquisì un carattere teorico di pari importanza.
Il numero dei laureati e specializzati era in realtà troppo elevato e di conseguenza non tutti trovarono un impiego nel loro campo di studi; in particolare la percentuale assorbita nelle università era veramente modesta; negli Stati Uniti, per esempio, soltanto in 64 intrapresero la professione di fisico tra il 1895 e il 1906.
In Germania il numero di cattedre universitarie in chimica crebbe da 29 nel 1873 a 52 nel 1920; in fisica da 25 a 39; altrove la crescita fu più lenta. In Italia, tra il 1871 e il 1926, il numero di professori universitari di chimica crebbe soltanto da 17 a 18, mentre quello dei professori di fisica da 13 a 20. Nello stesso periodo, sempre in Italia, il numero complessivo dei fisici aumentò da 38 a 126. La situazione dei chimici non universitari era migliore: negli Stati Uniti, il loro numero su 10.000 lavoratori raddoppiò per ogni decennio successivo al 1870, soprattutto grazie allo sviluppo dell’industria chimica. Per quanto riguarda i fisici, in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia e Giappone, almeno fino al 1900, la crescita tenne il passo con quella della popolazione: il numero di fisici e di studenti in fisica pro capite era approssimativamente lo stesso per ogni nazione.
Tavola II - LUOGHI DELLA RICERCA E COSTRUTTORI DI STRUMENTI
Negli anni compresi tra il 1870 e il 1920 gli istituti di chimica e fisica dell’Europa, dell’America Settentrionale e del Giappone divennero le principali sedi nelle quali chimici e fisici svolgevano la propria attività e utilizzavano gli strumenti. Gli istituti di chimica iniziarono a essere costituiti all’interno degli edifici per la formazione superiore dopo il 1830; quelli di fisica prevalentemente dopo il 1860. Alla base di tali iniziative vi erano diverse ragioni: la maggiore enfasi posta sull’osservazione e sulle misurazioni; l’emergere della chimica e della fisica grazie alle loro applicazioni alla produzione agricola e industriale; infine, l’aumento del numero degli studenti iscritti.
Tali istituti erano, in primo luogo, le sedi nelle quali veniva impartito l’insegnamento. Per quanto riguarda la ricerca, mentre al loro interno si svolgevano pressoché tutte le ricerche di fisica, già intorno alla metà del XIX sec. i chimici avevano iniziato a occupare un numero significativo di posti di lavoro nell’industria chimica.
Intorno al 1870 gli istituti di chimica e di fisica possedevano alcune caratteristiche comuni: una grande aula principale e, nella maggior parte dei casi, anche una o più aule di minori dimensioni; uno o più laboratori; strumenti e apparecchiature utilizzate principalmente a scopo dimostrativo e, occasionalmente, di ricerca; un’officina in cui si provvedeva alla fabbricazione, alla manutenzione e alla riparazione degli strumenti; un direttore che controllava gli ambienti lavorativi e l’attrezzatura dell’istituto; uno staff subordinato di chimici o fisici dediti alla ricerca; un seminario e un colloquio che si tenevano a scadenze regolari per discutere gli sviluppi della ricerca; infine, un bilancio economico annuale.
Sebbene gli istituti di chimica e quelli di fisica condividessero molte attrezzature, una basilare differenza tra gli strumenti utilizzati nelle due discipline li distingueva: gli strumenti della fisica miravano a ottenere un grado di precisione molto più elevato nelle misurazioni. Per questa ragione, gli edifici destinati agli istituti di fisica erano costruiti in modo da minimizzare, se non eliminare, i fattori di disturbo esterni e interni. L’effettuazione di misurazioni di precisione con strumenti scientifici estremamente sensibili, installati e azionati in ambienti ben protetti, divenne uno dei caratteri distintivi della ricerca fisica moderna.
Gran parte degli istituti di fisica era inoltre realizzata in mattoni, e molti utilizzavano per l’interno materiali non magnetici nella speranza di eliminare effetti elettromagnetici. Gli istituti disponevano di un’ampia rete di tubature per l’acqua e per il gas che si snodava per tutto l’edificio, con diramazioni collegate ai tavoli da lavoro. Dopo il 1880, i nuovi sistemi di illuminazione elettrica furono installati negli istituti di nuova concezione, o aggiunti ai vecchi; impianti idrici, del gas ed elettrici, oltre a una varietà di ulteriori fonti di energia (per es., motori, batterie di accumulatori e dinamo), erano necessari ad azionare strumenti e altre attrezzature. Molti istituti di fisica costruiti prima del 1900 erano inoltre dotati di una torre posta al centro dell’edificio, concepita principalmente per effettuare osservazioni meteorologiche e astronomiche, studi gravitazionali e di caduta libera, studi di precisione con pendoli e manometri. Anche gli scantinati avevano un loro impiego: spesso ospitavano laboratori per l’analisi chimica e per quella dei gas, la sala delle batterie, una stanza a temperatura costante, una stanza magnetica, la residenza del custode e l’officina.
I costruttori di strumenti
Fino alla metà dell’Ottocento le aziende costruttrici di strumenti erano perlopiù di carattere locale, spesso di proprietà di un singolo artigiano, coadiuvato magari da uno o due apprendisti, e dipendevano dalle richieste degli scienziati del luogo. Con l’ampliarsi delle necessità degli istituti di chimica e fisica, e con il crescere dell’industrializzazione dopo il 1850, il volume d’affari del settore della costruzione degli strumenti crebbe; le aziende mostrarono una vocazione all’espansione, alla specializzazione e alla modernizzazione che rispondesse alle necessità didattiche e all’esigenza di precisione e accuratezza sempre maggiori.
Nel 1881 Horace Darwin (1851-1928; figlio minore di Charles), insieme a un socio, aprì la Cambridge Scientific Instrument Company che forniva un’ampia gamma di apparecchiature al Cavendish Laboratory della Cambridge University, e ad altri laboratori universitari locali. Durante questo periodo, l’azienda lavorava in stretta collaborazione con i direttori del Cavendish, John W. Strutt (lord Rayleigh, in carica dal 1880 al 1884) e Joseph J.Thomson (in carica dal 1885 al 1919), nonché con i loro assistenti di laboratorio e i meccanici dell’officina. Due assistenti incaricati di condurre il laboratorio introduttivo di fisica sperimentale, Richard T. Glazebrook e WilliamN. Shaw, compilarono un libro di testo, Practical physics (1886), concepito specificamente per l’attività didattica di laboratorio al Cavendish. Testi simili erano già apparsi altrove, come l’assai popolare manuale Leitfaden der praktischen Physik (Manuale di fisica pratica, 1870) di Friedrich Wilhelm Georg Kohlrausch, e altri ne sarebbero apparsi in seguito mano a mano che le esercitazioni pratiche introduttive in laboratorio divennero gradualmente una consuetudine, tanto per gli studenti di chimica quanto per quelli di fisica. Il libro di Glazebrook e Shaw, come quelli dei loro concorrenti, si occupava dei più svariati argomenti e tecniche: le misurazioni fisiche, la meccanica degli stati fisici della materia, l’acustica, il calore (termometria e calorimetria), l’ottica (esperimenti con specchi e lenti, lunghezze d’onda e spettri), il magnetismo, l’elettricità (proprietà delle correnti elettriche e come misurarle), e così via.
In un annuncio pubblicitario inserito nel manuale, la Cambridge Scientific Instrument Company dichiarava di essere in grado di fabbricare o fornire tutti gli strumenti necessari all’attività di laboratorio descritti nel libro stesso. Inoltre, l’azienda costruiva anche strumenti personalizzati, o parti di essi, per i ricercatori avanzati, compreso lo stesso Thomson. Tra i fornitori del Cavendish Laboratory figuravano anche Elliott Brothers di Londra, Ernst Leitz di Wetzlar, Pistor & Martins di Berlino e Hartmann & Braun di Francoforte sul Meno, nonché altri costruttori che fornivano attrezzature didattiche e di ricerca. Rudolf Karl König (1832-1901), un costruttore tedesco di strumenti di precisione la cui ditta aveva sede a Parigi dal 1858, diversamente da Darwin, non era legato ad alcuna università locale e, pur non avendo un’istruzione scientifica formale, possedeva l’eccellente abilità manuale necessaria a costruire strumenti acustici altamente sensibili.
Dal momento che Parigi, insieme a Londra e Berlino, era uno dei principali centri per la costruzione di strumenti scientifici, König riceveva regolarmente nella sua piccola bottega, scienziati oppure loro agenti provenienti da tutta Europa e dall’America Settentrionale. König, come tutti i costruttori di strumenti, diffondeva cataloghi dei suoi strumenti e li esibiva nelle grandi esposizioni internazionali, come quelle di Londra (1876), Chicago (1893) e Parigi (1900). Egli divenne il principale produttore di diapason, risonatori e tonometri, sia prodotti in serie, per l’insegnamento, sia realizzati appositamente per la ricerca.
Un terzo costruttore di strumenti operante nello stesso periodo è Carl Zeiss. Nel 1846 egli fondò un’officina per la costruzione di strumenti ottici e meccanici a Jena. Come König, Zeiss aveva scarsa istruzione scientifica formale e quindi, per realizzare la sua ambizione di creare i migliori microscopi e mantenere competitiva la sua piccola azienda, nel 1866 assunse Ernst Abbe. Questi trasformò la microscopia scientifica e con essa la bottega di Zeiss; durante il decennio successivo sviluppò una teoria rivoluzionaria sulla formazione delle immagini; si rese conto che per incrementare il potere risolutivo degli obiettivi doveva avvalersi della luce diffratta (oltre a quella assiale), impiegò un’illuminazione obliqua, insieme a obiettivi grandangolari. Abbe inoltre abbandonò il metodo per tentativi nella produzione di lenti e si assicurò invece che tutti i microscopi e gli altri strumenti ottici della bottega di Zeiss rispondessero ai requisiti previsti dalle sue analisi teoriche sui sistemi di lenti.
A partire dai primi anni Settanta dell’Ottocento, l’azienda di Zeiss iniziò a produrre e a commercializzare i migliori microscopi e strumenti ottici, come condensatori ottici, rifrattometri, misuratori di apertura numerica, sistemi di lenti a immersione in acqua e in olio, focometri, spettrometri, sferometri e comparatori ottici. Infine, Abbe trasformò ulteriormente le strumentazioni ottiche cercando un nuovo tipo di vetro da usare per le lenti e per altri componenti ottici. Sapeva di poter sviluppare appieno le strumentazioni ottiche in base alle sue teorie soltanto riuscendo a migliorare la composizione chimica e la qualità del vetro (crown e flint) allora utilizzato per le lenti. Ciò presupponeva il fatto di riuscire a trovare un mezzo per eliminare o ridurre i ben noti difetti dell’aberrazione cromatica e sferica, soddisfacendo al tempo stesso i requisiti della sua teoria dell’immagine.
Nel 1879 Abbe ricorse all’aiuto di un chimico, Otto Schott (1851-1935), il quale, dopo quasi sette anni di tentativi e molti investimenti, creò i cosiddetti vetri al borosilicato. Nel 1885, la Zeiss iniziò a impiegare i nuovi tipi di vetro creati da Schott nei sistemi di obiettivi apocromatici di Abbe che, insieme ai nuovi oculari compensatori e a proiezione, sempre di Abbe, eliminavano praticamente ogni aberrazione cromatica e sferica. Questi sistemi apocromatici costituirono la sua principale conquista nel campo della strumentazione microscopica; la loro insuperata qualità d’immagine raggiungeva i limiti del potere risolutivo. L’azienda controllava ora ogni aspetto della costruzione degli strumenti ottici e dopo il 1886 era padrona incontrastata nella produzione di microscopi, in termini di quantità e di qualità, sia in Germania sia all’estero. Riforniva non solo chimici e fisici, ma ogni tipo di scienziati (specialmente medici e biologi), come pure il grande pubblico.
Di norma gli strumenti per la chimica, molti dei quali erano identici a quelli per la fisica, erano meno costosi di questi ultimi, in massima parte perché richiedevano una minor precisione. Soltanto dopo la Prima guerra mondiale, quando la spettrometria di massa e la cromatografia divennero attrezzature standard negli istituti di chimica, gli strumenti chimici cominciarono a diventare dispendiosi. Nel frattempo, le nuove attrezzature per la fisica sviluppate tra il 1890 e il 1920, come le macchine per l’aria liquida (per gli esperimenti alle basse temperature), gli oscillografi e gli spettrometri di massa, si rivelarono costose da realizzare o, in seguito, da acquistare. In effetti, l’articolo forse più costoso in ogni laboratorio di chimica o fisica era il radio, che nel 1902, poco dopo la sua scoperta, costava soltanto 10 marchi al milligrammo, ma già nel 1914 aveva raggiunto un prezzo che andava da 350 a 400 marchi al milligrammo.
Per poter riuscire a pagare questi articoli, i chimici e i fisici facevano ricorso non solamente al loro bilancio annuale, la maggior parte del quale, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, spesso proveniva dalle tasse d’iscrizione pagate dagli studenti, ma, assai frequentemente, anche a speciali sovvenzioni una tantum universitarie o governative. Molti chimici e fisici, allo scopo di poter acquistare nuovi strumenti e attrezzature, beneficiavano, in qualche misura, sia della filantropia dei privati sia del conferimento di borse di studio oppure di premi in denaro, incluso, in casi fortunati, il premio Nobel di recente istituzione (1901). (D. Cahan)