La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Fisica e chimica dei raggi
Fisica e chimica dei raggi
Il tubo a raggi catodici fu nel suo tempo il principale strumento di ricerca in fisica come in seguito il ciclotrone. Questo strumento, che incorporava la più avanzata tecnologia allora disponibile, anticipò anche il ruolo poi assunto dal ciclotrone come fucina di premi Nobel e come acceleratore di particelle subatomiche. Quest'ultima similitudine, però, cela una differenza profonda: mentre i fisici del XX sec. costruirono il ciclotrone con l'esplicito scopo di accelerare le particelle, quelli del XIX sec. realizzarono ciò che fu in seguito chiamato tubo a raggi catodici allo scopo di studiare la scarica nei gas, senza immaginare il mondo subatomico in cui sarebbero stati presto trasportati dai loro esperimenti.
Quando una scarica elettrica attraversa un gas rarefatto contenuto in un tubo, compaiono in esso striature colorate; se si diminuisce ancora la pressione queste spariscono, e le pareti del tubo cominciano a diventare luminescenti. Tale apparato sperimentale, che prende spesso il nome dal suo inventore Heinrich Geissler (1815-1879), era costituito da un recipiente di vetro con elettrodi alle estremità, connessi a una bobina d'induzione. Tubi laterali mettevano l'apparato in comunicazione con una pompa, elemento di cruciale importanza. Nel 1850, le migliori pompe da vuoto potevano raggiungere 10−4 atm, mentre nel 1890 erano già in grado di arrivare a 10−8 atm. Tale progresso si doveva alle migliorie apportate a una pompa inventata da Geissler e notevolmente perfezionata nel 1865 dal fisico e chimico Hermann J.P. Sprengel (1834-1906), che sostituì il classico dispositivo a pistone con piccole gocce di mercurio mobili.
All'inizio queste pompe erano fragili, e anche pericolose, per la necessità di utilizzare vapori di mercurio; successivamente furono rese affidabili e sicure grazie all'impegno degli imprenditori nel settore dell'illuminazione elettrica. I filamenti delle lampade infatti duravano di più, ed erano più luminosi, in un vuoto generato da pompe a vapori di mercurio piuttosto che da pompe meccaniche. Thomas A. Edison (1847-1931) si dedicò con molto impegno a semplificare, automatizzare e rendere più robusta la pompa di Sprengel. William Crookes (1832-1919), nel quale si mescolavano in modo insolito il chimico romantico e lo scaltro uomo d'affari, realizzò un risparmio economico di un fattore dieci assumendo donne per la fabbricazione e la riparazione.
Oltre a pompe da vuoto convenienti e affidabili l'industria elettrica forniva le batterie, gli interruttori e gli isolanti per lo studio della scarica nei gas. Ad accelerare il moltiplicarsi delle scoperte connesse con tali ricerche contribuirono anche altre tecnologie commerciali e in particolare la fotografia. I raggi X vennero repentinamente alla ribalta con l'impressionante immagine della mano della signora Röntgen inviata nel 1895 con gli auguri di Natale da suo marito ai fisici di mezza Europa. La scoperta della radioattività da parte di Henri Becquerel (1852-1908), del resto, dipese dalla disponibilità di lastre fotografiche sensibili a basso costo.
Verso il 1870 l'attenzione dei fisici cominciò a essere attirata intensamente dalla fluorescenza che si produceva in prossimità del catodo in condizioni di alto vuoto. Nel 1869 Johann Wilhelm Hittorf (1824-1914), professore di fisica presso l'Università di Münster appena istituita, aveva posizionato il catodo a una estremità del tubo, rilevato la traccia fluorescente sull'estremità opposta del vetro, e dimostrato che un corpo solido interposto tra il catodo e la chiazza fluorescente eliminava quest'ultima. Nel 1876 Eugen Goldstein, che era stato uno studente di Hermann von Helmholtz (1821-1894), scoprì che lo stesso effetto di mascheramento si aveva in presenza di una sorgente estesa e che i raggi catodici, come li chiamò, sembravano propagarsi in linea retta, perpendicolarmente al catodo. In maniera analoga a Hittorf, Goldstein giunse alla conclusione che questi raggi erano un qualche tipo di luce.
Crookes arricchì lo studio dei raggi catodici introducendovi l'idea di un quarto stato della materia, sviluppato in precedenza per spiegare il comportamento del radiometro che lui aveva studiato. Come egli affermò nel 1879 in occasione della riunione della British Association for the Advancement of Science, in un gas tanto diluito da esibire l'effetto su cui si basa il radiometro "abbiamo davvero toccato il confine sul quale materia e forza sembrano fondersi l'una nell'altra, la zona d'ombra tra il noto e l'ignoto che ha sempre esercitato su di me una particolare seduzione". Crookes si affrettò a studiare questo quarto stato della materia, la "sede delle realtà ultime, sottile, feconda, magnifica". Egli fu anche membro molto attivo della Society for Psychical Research, che si occupava di spiritismo.
Allo scopo di includere i raggi catodici in questo quarto stato, Crookes li interpretò come molecole che si caricavano sul catodo e venivano da questo respinte. A causa della diluizione del gas, esse potevano attraversare il tubo senza urtare altre molecole. In questa situazione, egli affermò: "Sembra che abbiamo finalmente a portata di mano e sotto controllo le piccole particelle invisibili che si suppongono costituire le basi fisiche dell'Universo [...]. Arrivo a pensare che i maggiori problemi scientifici del futuro troveranno soluzione in questa terra di confine".
Crookes cambiò forma al tubo di Geissler, posizionò l'anodo di lato e, in una versione spettacolare, montò una croce di Malta di mica, mobile su una cerniera, lungo la traiettoria dei raggi catodici; risultò che il vetro non mostrava fluorescenza dove la croce impediva il passaggio. Analogo risultato ottenne deviando il percorso dei raggi con un magnete. In conclusione, tutte le prove raccolte da Crookes identificavano i raggi catodici come flussi di particelle cariche di dimensioni pari alle molecole del gas.
Vi erano però altre evidenze sperimentali. Heinrich Rudolph Hertz (1857-1894), che come Goldstein era uno studente di Helmholtz, nel 1882 e nel 1883 provò senza successo a deflettere i raggi per mezzo di un campo elettrico generato tra due piastre poste al di fuori del tubo, appoggiate al vetro. Questo risultato negativo sembrava sbarrare la strada a un modello coerente: mentre si credeva che il modello basato su entità materiali richiedesse particelle cariche inaccessibili al campo elettrico, per quello basato sulla luce si riteneva necessario avere onde elettromagnetiche che si deflettessero in un campo magnetico.
Nel 1886 inoltre Goldstein scoprì un altro tipo di raggi nel tubo a raggi catodici, praticando fori in un catodo abbastanza grande, in modo che qualsiasi cosa fluisse verso il catodo entrasse in uno spazio riservato, alle spalle di questo. Il risultato ottenuto da tale esperimento fu molto ricco: una luminescenza colorata dietro al catodo, provocata da quelli che egli chiamò 'raggi canale', che non cambiavano direzione in un campo magnetico.
L'anno seguente fecero la loro comparsa raggi di un altro tipo: le onde previste da James C. Maxwell, generate e osservate per primo da Hertz. Anche se l'analogia tra le onde hertziane (onde senza fili) e i raggi catodici era abbastanza remota, Hertz considerava entrambi come perturbazioni dell'etere elettromagnetico. Nei suoi ultimi esperimenti, completati nel 1893, egli dimostrò che i raggi catodici potevano attraversare fogli sottili di metallo, completamente impenetrabili alle molecole del gas. Nella prosecuzione di questi esperimenti a opera del suo assistente Philipp Lenard (1862-1947), si evidenziò ancora un altro tipo di raggi. Lenard, infatti, sostituendo una parte della parete del tubo opposta al catodo con una lamina d'alluminio sufficientemente sottile, poteva estrarre i raggi catodici dal tubo e studiarli in condizioni altrimenti impossibili all'interno dello stesso. Ben presto questi raggi, che Lenard riusciva a seguire in aria fino a 8 cm dalla finestra metallica, utilizzando uno schermo fosforescente, cominciarono a essere identificati con il suo nome. Le proprietà dei raggi di Lenard sembravano confermare il modello preferito da Hertz per i raggi catodici.
Hertz, come sempre molto attento, aveva notato che la luce proveniente dalla scarica usata per produrre le onde senza fili influenzava la lunghezza della scintilla che gli permetteva di rivelarle. Egli si convinse che la causa risiedesse nella componente ultravioletta dello spettro della scarica. In base a ricerche successive a opera di diversi fisici, tra cui Augusto Righi (1850-1920) e Lenard, si scoprì che la luce ultravioletta poteva liberare portatori di carica negativi da alcuni metalli (effetto fotoelettrico). Un magnete era in grado di deviare questi portatori di carica, e essi non sembravano essere costituiti da polvere metallica o particelle gassose; apparivano piuttosto simili ai raggi catodici.
Con il complicarsi della situazione, un uomo che apprezzava i modelli meccanici chiari si fece avanti e si mise alla testa dei fisici e dei chimici per condurli nella fertile terra di confine di Crookes. Questo Giosuè, Joseph J. Thomson (1856-1940), aveva approfondito la matematica nello stile di Cambridge, ed elaborato schemi sofisticati per rendere superfluo il concetto di carica elettrica, ma era anche disponibile a lavorare più umilmente su modelli semplici, in effetti a volte anche eccessivamente semplificati. Professore di fisica, e successore di Maxwell e John W. Strutt (lord Rayleigh, 1842-1919) nel ruolo di direttore del Cavendish Laboratory, Thomson concentrò la sua attività su misure precise degli standard elettrici. Egli non elaborò un vero e proprio programma di ricerca, a parte il fatto di stimolare l'interesse nei riguardi nella nuova teoria ionica dei liquidi, fino al 1895, quando l'università cominciò a consentire a studenti che non avevano studiato a Cambridge di condurvi comunque l'attività necessaria a conseguire un titolo di ricerca. Questa riforma determinò l'ingresso di diversi giovani brillanti, in particolare Ernest Rutherford, Charles T.R. Wilson, John S.E. Townsend e, per un breve periodo, Paul Langevin, grazie ai quali Thomson fu in grado di avviare la formazione di un forte gruppo di ricerca focalizzato sul problema dei raggi catodici.
Mentre la scuola di Helmholtz accumulava prove a favore del modello basato sulla luce, Arthur Schuster (1851-1934), professore di fisica all'Università di Manchester, provò a misurare alcune proprietà delle particelle dei raggi catodici. La curvatura in un campo magnetico B permetteva di misurare il rapporto e/m tra la carica e la massa delle particelle in questione, purché si potessero misurare il raggio di curvatura R dei raggi e la loro velocità v; quando il campo B è perpendicolare alla velocità si ha e/m=v/(BR). R si poteva misurare; per ottenere v, Schuster ipotizzò eV=mv2/2, dove V è la caduta totale di potenziale nel tubo, da cui si trova e/m=2V/(B2R2). Nel 1890 egli osservò che questa equazione forniva per l'azoto un valore di e/m uguale a circa 106 u.e.m. mentre, in base all'ipotesi che i raggi si muovessero alla velocità fornita dalla teoria cinetica dei gas, si sarebbe avuto e/m=103 u.e.m. Dal momento che questo valore più basso si accordava con la sua teoria sul carattere ionico delle particelle dei raggi catodici, Schuster l'accettò. La sua versione dell'ipotesi balistica lasciava aperto il problema del modo in cui le molecole di gas potessero attraversare la finestra di Lenard, e del motivo per il quale i raggi catodici non reagissero al campo elettrico.
Nel 1895 a Parigi un giovane fisico, Jean-Baptiste Perrin (1870-1942), comunicò di aver fatto un grande passo avanti nella soluzione del secondo problema, raccogliendo i raggi in un elettrodo cavo all'interno del tubo. In queste condizioni l'elettrodo accumulava elettricità negativa. Thomson identificò quindi la falla nell'esperimento di Hertz a proposito della deviazione elettrostatica nella presenza di una carica spaziale sul lato interno della parete del tubo, che schermava i raggi dal campo generato dalle piastre esterne. Thomson pose quindi le piastre all'interno del tubo e in questo caso i raggi si deflettevano. Egli regolò quindi il campo elettrico F in modo da annullare l'effetto del campo magnetico esterno B; in questo caso l'accelerazione elettrostatica di una particella dei raggi catodici, eF, era uguale a quella elettromagnetica evB: v=F/B, e/m=107 u.e.m., cioè circa 1000 volte il valore (e/m)H ottenuto dall'idrogeno negli esperimenti elettrolitici.
Thomson ipotizzò che la carica e dei corpuscoli, come ribattezzò le particelle dei raggi catodici annunciando la sua scoperta nel 1897, fosse uguale a eH. Dunque m=mH/1000, e Thomson interpretò ciò come indicazione del fatto che i corpuscoli fossero di dimensione mille volte minore rispetto all'atomo. Un oggettino così veloce e leggero poteva ben essere in grado di attraversare un metallo solido. La conclusione di Thomson, secondo cui i raggi catodici erano costituiti da particelle materiali molto più piccole degli atomi, ognuna delle quali dotata probabilmente di carica elettrica elementare, fornì la soluzione definitiva e sorprendente al problema dei raggi catodici e venne presto generalmente accettata. L'ipotesi successiva di Thomson, nello stile di Crookes, secondo cui questi corpuscoli costituivano tutta la materia, per quanto né corretta né generalmente accettata, si dimostrò immensamente utile.
Una conferma della grandiosa teoria di Thomson sulla natura corpuscolare della materia venne da una scoperta compiuta, con fortunato e straordinario tempismo, nel 1896, del tutto indipendente dalle ricerche sui raggi catodici, se non per una somiglianza nell'apparato sperimentale. Uno spettroscopista olandese, Pieter Zeeman (1865-1943), riuscì ad alterare la frequenza delle brillanti righe gialle nello spettro del sodio, applicando un intenso campo magnetico alla scarica attraverso i vapori di sodio. Il suo professore, decano dei fisici teorici europei, Hendrik Antoon Lorentz (1853-1928), aveva attribuito le righe spettrali a 'ioni' orbitanti in traiettorie circolari all'interno degli atomi o intorno a essi. Servendosi del modello di Lorentz, Zeeman poté determinare dalle sue misure il valore e/m dello ione irraggiante, che risultò circa 107 u.e.m. Nell'autunno del 1897, in un articolo pubblicato nella principale rivista di fisica britannica, il "Philosophical Magazine", Zeeman sostenne che lo ione di Lorentz non poteva essere nessuno degli ioni noti dall'elettrolisi.
Thomson colse al volo l'effetto magnetoottico di Lorentz e Zeeman come duplice conferma sia dell'ubiquità dei suoi corpuscoli sia dell'esistenza di una particella con un rapporto e/m un migliaio di volte più piccolo di quello dello ione idrogeno. Egli si oppose all'identificazione dei corpuscoli con gli ioni di Lorentz o con qualunque altra versione della teoria elettronica, poiché queste si basavano su ipotesi non necessarie per l'esistenza dei corpuscoli, e continuò a chiamare la sua creazione 'corpuscolo' anche quando la maggior parte dei fisici aveva adottato da tempo il termine 'elettrone' per identificare l'onnipresente particella dei raggi catodici, il portatore della fotocorrente, l'agente responsabile degli spettri atomici e la componente deflettibile dei raggi emessi dalle sostanze radioattive.
I raggi di Lenard contenevano molto di più di quello che lo stesso Lenard potesse immaginare. Verso la fine del 1895, Wilhelm Conrad Röntgen (1845-1923), alla ricerca di una nuova direzione di studio da seguire, dopo l'anno di incarico come rettore dell'Università di Würzburg, si rivolse a Lenard per un consiglio, e questi rispose inviandogli alcuni preziosi fogli di alluminio. Quel novembre Röntgen osservò ciò che lo avrebbe portato alla sua più importante scoperta: uno schermo su un tavolo esibiva una fluorescenza che andava oltre la portata dei raggi di Lenard. Questi nuovi raggi, o 'raggi X', non curvavano in un campo elettrico o magnetico, ma si propagavano in linea retta dalla chiazza fluorescente nel punto in cui i raggi catodici colpivano il vetro e non si potevano riflettere o rifrangere. Non sembravano quindi potersi classificare né come luce né come materia. Fatto ancor più sorprendente, erano in grado di penetrare all'interno di corpi solidi opachi alla luce, come il corpo umano.
Visto che l'apparato usato da Röntgen era un componente standard nei laboratori di fisica, i fisici poterono immediatamente confermare la scoperta e, come Lenard, ma con meno ragioni, si pentirono amaramente per aver perso questa occasione. La scoperta ebbe il seguito più importante a Parigi, dove il grande matematico Jules-Henri Poincaré si avventurò nella progettazione di esperimenti basati sulla provocatoria ipotesi che, oltre al vetro, altri corpi fluorescenti potessero dar luogo alla produzione di raggi X. Alcuni colsero entusiasticamente il suggerimento e proposero, tra gli altri, il solfuro di zinco e di bario ma soltanto uno funzionò in modo affidabile, un cristallo che conteneva uranio.
Questo notevole cristallo apparteneva a Becquerel, il quale lo aveva ereditato dal padre, che ne aveva scoperto la fluorescenza. Seguendo il suggerimento di Poincaré, Becquerel espose il suo cimelio di famiglia al Sole, lo mise su una lastra fotografica non esposta e quindi chiuse entrambi in un cassetto. Dopo lo sviluppo, la lastra mostrava il previsto oscuramento, che derivava ‒ come Becquerel stesso comunicò alla Académie des Sciences di Parigi ‒ da raggi stimolati dalla fluorescenza, e in grado di penetrare l'involucro protettivo della lastra.
Dopo una settimana in cui su Parigi non splendeva il Sole, Becquerel sviluppò la lastra, attendendosi di trovarla meno velata del solito, ma ne fu contrariato. Non sembrava esser necessaria alcuna esposizione al Sole: infatti il cristallo emetteva spontaneamente qualcosa di nuovo che, dopo averne identificata la sorgente, Becquerel chiamò 'raggi uranio', e altri 'raggi Becquerel'. Oltre alla loro capacità di penetrare gli involucri di carta, Becquerel scoprì che questi raggi potevano essere riflessi da superfici metalliche e rifratti da diverse sostanze, quindi non si poteva trattare di raggi X. Tutto questo era già acquisito entro la fine del 1896.
Marie Sklodowska (1867-1934), poi Curie ‒ avendo sposato nel 1895 Pierre Curie (1859-1906), professore di fisica alla école Municipale de Physique et Chimie Industrielles ‒, era allora una studentessa all'Università di Parigi, e scelse la scoperta di Becquerel come argomento di tesi. Utilizzando un metodo elettrico sviluppato presso il Cavendish Laboratory, dimostrò che un certo minerale di uranio chiamato pechblenda era tre o quattro volte più radioattivo (per usare il termine da lei coniato) dell'uranio stesso. Ne dedusse che la pechblenda di cui possedeva una tonnellata, immagazzinata nel laboratorio di Pierre, doveva contenere un irraggiatore intenso. Insieme i due separarono il minerale con mezzi chimici, e trovarono che una frazione risultava 400 volte più attiva dell'uranio. Chiamarono 'polonio' questo nuovo agente radioattivo sconosciuto, e altrimenti non rilevabile, dal paese nativo di Marie, la Polonia. All'inizio del 1899 i coniugi Curie erano in possesso di una sostanza, che denominarono 'radio', chimicamente simile al bario e 100.000 volte più attiva dell'uranio a parità di peso, da cui si attendevano che, come per il polonio, si sarebbe rivelata un nuovo elemento.
Il radio catturò immediatamente la fantasia popolare. Fu al pari dei raggi X fonte di meraviglia, in un'epoca non ancora stanca di meravigliarsi. Inoltre, sempre analogamente ai raggi X, il radio sembrava dotato della provvidenziale capacità di curare le malattie del XX secolo. Entrambi si usavano per trattare il cancro e i problemi della pelle, procurando spesso uguale danno al medico e al paziente. Mentre però i raggi X si potevano produrre con poca spesa e in grande abbondanza, e trovarono subito applicazione come strumenti diagnostici, il radio, prodotto chimico raro e costoso, veniva prevalentemente utilizzato per eradicare tumori gravi. Il suo prezzo, spinto dalla richiesta in ambito medico, ne rendeva difficile il reperimento per esperimenti di fisica; alcuni fortunati ne ricevevano campioni in dono da Marie Curie.
Tra questi vi fu Rutherford, che indirizzò la sua indagine allo studio dei raggi provenienti dalle sostanze radioattive dopo aver spostato la sua ricerca dalle onde hertziane ai raggi X. Thomson era giunto alla scoperta che i raggi X attraversando l'aria la rendevano conduttiva, e propose a Rutherford di unirsi a lui per continuare questo lavoro. Insieme progettarono un apparato in grado di misurare la frequenza con cui i raggi X scindono le molecole di un gas tra le armature di un condensatore. Quando il campo tra le armature risucchiava ioni con la stessa velocità con cui questi si formavano, la corrente attraverso un elettrometro attaccato a esse raggiungeva un valore massimo, ossia si saturava. Thomson e Rutherford assunsero la corrente di saturazione come una misura del potere di ionizzazione dei raggi.
Questa tecnica si poteva applicare a qualsiasi radiazione ionizzante (i Curie l'avrebbero applicata nello studio dell'attività delle frazioni di pechblenda). Rutherford la provò sui raggi uranio, dei quali Becquerel, in seguito alla scoperta di Thomson sui raggi X, aveva svelato la capacità di ionizzare l'aria. Rutherford mise un po' di polvere d'uranio su una delle armature di un condensatore, annotò la corrente di saturazione, e impilò quindi fogli di alluminio sopra l'irraggiatore. Con pochi strati la corrente diminuiva considerevolmente, mentre un maggior numero di strati la diminuiva soltanto ancora di poco. La conclusione fu che i raggi uranio erano costituiti da una componente facilmente assorbita, che Rutherford chiamò 'alfa', e da una componente più penetrante, la 'beta'.
Quando Rutherford pubblicò la sua scoperta nel 1899, questa suscitò grande interesse tra i pochi suoi colleghi che studiavano la radioattività. I Curie provarono che il polonio emette solo raggi alfa; Becquerel e altri verificarono la deflessione dei raggi beta in presenza di campi magnetici ed elettrici, dimostrando quindi, in base ai criteri stabiliti durante la disputa sui raggi catodici, che si trattava di un flusso di particelle; Thomson, seguendo la sua idea guida, misurò il rapporto e/m per le particelle beta che, entro gli abituali ampi margini di errore, risultò uguale a quello del suo corpuscolo; infine Paul Villard (1860-1934), collaboratore dei Curie, scoprì una radiazione più penetrante dei raggi beta nei raggi provenienti dal radio, che ovviamente chiamò 'gamma'.
Tutti questi risultati erano già acquisiti quando i fisici si diedero convegno in occasione del grande congresso organizzato durante l'Esposizione Internazionale di Parigi nel 1900. Becquerel e i Curie illustrarono la loro radioattività, mentre Thomson rivelò la struttura della materia, sottolineando la straordinaria coerenza tra i valori del rapporto e/m delle particelle dei raggi catodici, delle fotocorrenti e dei raggi beta, che mettevano tutti in luce uno stato corpuscolare della materia, il quarto stato della materia all'alba del XX secolo. I fisici e i chimici del 1900 non potevano in alcun modo sospettare che la loro caccia ai raggi non avrebbe mietuto più successi finché non avessero imparato molto di più sul micromondo. Nel loro entusiasmo però essi continuarono ad aggiungere raggi N, raggi magnetici e luce nera alla cornucopia che avevano scoperto nel precedente quarto di secolo.
I raggi alfa
Intorno al 1900 Becquerel riuscì a sopprimere l'attività di un sale di uranio con mezzi chimici. Quando tornò a esaminare lo stesso sale pochi mesi dopo risultò, però, che il materiale aveva riacquistato tutto il suo potere. Becquerel si rivolse a Crookes per verificare lo strano fenomeno, e questi ebbe immediatamente successo, estraendo da ognuno dei sali di uranio un prodotto radioattivo, l''uranio X', che risultava chimicamente diverso dall'uranio. A differenza dell'uranio, l'UX emetteva solo particelle beta, e perdeva gradualmente intensità; d'altra parte, mentre l'UX si spegneva, i sali di uranio da cui aveva avuto origine ridiventavano radioattivi: l'estinzione dell'estratto sembrava rivitalizzare la sua fonte.
Crookes riferì questi risultati a Rutherford, nel frattempo diventato professore di fisica presso l'Università McGill a Montreal. Rutherford era particolarmente interessato ai fenomeni di scomparsa dell'attività radioattiva, da quando aveva scoperto una emanazione a vita breve del torio insieme a R.B. Owens (1870-1940), professore di ingegneria elettrica temporaneamente in visita presso di lui. Quando venne a sapere delle novità di Crookes, Rutherford aveva appena iniziato a collaborare con un altro suo ospite temporaneo, appena laureato in chimica alla Oxford University, Frederick Soddy (1877-1956), con l'aiuto del quale sperava di chiarire la natura di quella emanazione. Rutherford e Soddy ripeterono l'esperimento di Crookes sul torio, ottenendo un torio inerte e un torio X emettitore beta. In quattro giorni il ThX aveva poi perso metà della sua intensità, mentre il torio inerte aveva riacquistato metà del suo potere iniziale. Alla fine del 1902 essi erano in grado di annunciare che un atomo di torio, o di uranio, si trasformano rispettivamente in ThX o UX quando emettono un raggio alfa, mentre questi si trasformano in un gas radioattivo (l'emanazione), con emissione di un raggio beta. Analogamente, le emanazioni, nel frattempo identificate come gas chimicamente inerti appartenenti alla famiglia dell'argon da poco scoperta, si liberano di depositi attivi che continuano poi il processo di decadimento radioattivo.
Dato che la chimica delle emanazioni era completamente diversa da quella dei loro progenitori, in base ai principî di organizzazione della tavola periodica degli elementi un atomo di ThX, per esempio, doveva avere un peso diverso da uno di Th. Poiché alcuni elementi emettevano solo raggi alfa, ne seguiva che questi dovevano essere composti da particelle. Rutherford riuscì a dimostrare la loro natura con un pezzo di radio circa 19.000 più attivo dell'uranio ricevuto da Marie Curie. Egli mise il radio alla base di una serie di sottili cilindri di metallo tra loro paralleli, con l'asse in verticale. In assenza di campo i raggi prodotti dal radio davano luogo a una corrente di saturazione i in un rivelatore posto appena al di sopra dei cilindri; in presenza di campo, i diminuiva a causa del fatto che alcuni raggi venivano deflessi sulle pareti dei cilindri.
Il valore approssimato di (e/m)α che Rutherford ricavò da questi esperimenti portava a ipotizzare eα=2e e mα=4mH. La scelta di questi valori al posto di altri possibili, per esempio eα=e e mα=2mH, derivava dal fatto che mHe=4mH, e nei minerali di uranio e torio si rinveniva elio. Nel 1908 Rutherford e il suo assistente Thomas Royds (1884-1955) confermarono l'ipotesi che la particella alfa è in effetti un atomo di elio a cui sono stati sottratti due elettroni. Essi racchiusero un campione di emanazioni da uranio in un recipiente con pareti sottili, all'interno di un tubo di scarica di vetro più grande, dal quale era stata rimossa ogni traccia di elio. In due giorni apparvero nel tubo esterno indicazioni spettrali della presenza di elio, risultanti dalla combinazione delle particelle alfa che attraversavano le pareti del tubo interno e degli elettroni vaganti trovati nel tubo esterno.
Coerentemente con le idee allora prevalenti sulla struttura atomica, Rutherford ipotizzò che le particelle alfa avessero le dimensioni di un atomo. Egli si liberò di questo equivoco quando, credendo di aver ormai compreso la loro natura, iniziò a usare le particelle alfa come strumenti, piuttosto che come oggetti di ricerca. Il risultato fu che, nel 1910, la particella alfa perse gli elettroni che si pensava avrebbero conferito alla sua struttura dimensioni atomiche e, insieme a tutti gli atomi di tutti gli elementi, acquistò un nucleo. Nel 1911 la particella alfa, partita come raggio alfa e materializzatasi in seguito come particella pesante di dimensioni atomiche, era diventata nel laboratorio di Rutherford a Manchester, ereditato da Schuster nel 1907, un nudo nucleo, portatore di due cariche elettriche.
Rutherford, insieme al suo assistente Hans Geiger (1882-1945), registrò l'emissione di particelle alfa provenienti dalla emanazione del radio, e contò il numero di particelle emesse per mezzo di un antesignano del contatore Geiger, ottenendo: eα=9,3×10−10 u.e.s. Se eα=2e, e=4,65×10−10 u.e.s., valore significativamente più alto di quello accettato all'epoca al Cavendish Laboratory, 3,1×10−10 u.e.s. Risultò però molto simile al valore ottenuto da Max Planck (1858-1947) dalla sua teoria del corpo nero, coincidenza questa che rafforzò molto agli occhi di numerosi fisici la credibilità delle idee di Rutherford sulla radioattività e l'approccio di Planck alla radiazione.
I raggi catodici e i raggi beta
I fisici impiegarono i raggi catodici e i raggi beta fin dal 1900. In questo ambito possiamo distinguere due linee di indagine. La prima, in ordine di tempo, utilizzava i raggi per verificare la variazione della massa con la velocità prevista da alcune delle teorie elettroniche in competizione tra loro. Walter Kaufmann (1871-1947) divenne il principale arbitro della questione. Assistente all'Università di Berlino, quando ancora Thomson non aveva introdotto il suo corpuscolo, Kaufmann aveva avviato misure del rapporto e/m per l'agente dei raggi catodici, che sospettava possedesse massa sia elettromagnetica sia materiale, o forse solo elettromagnetica.
Poiché la massa elettromagnetica μ cresce con la velocità v, l'identificazione delle particelle beta come elettroni aprì nuove possibilità per la verifica delle previsioni che le diverse teorie in competizione proponevano per la funzione μ(v). Kaufmann sviluppò un eccellente apparato sperimentale per la misura di μ(v) (grazie alla disponibilità di uno stato di vuoto singolarmente buono), e maturò anche una predilezione per la teoria di Max Abraham (1875-1922), suo giovane collega all'Università di Gottinga, dove si era trasferito nel 1899. Gli esperimenti, iniziati nel 1901 con raggi provenienti da un campione di radio fornito dai Curie, confermarono nel 1902 che μ era interamente di natura elettromagnetica, e si comportava secondo le previsioni della teoria di Abraham dell'elettrone rigido. D'altra parte vi erano altre teorie in competizione con quella di Abraham, in particolare quella di Lorentz, basata su un elettrone deformabile.
Nel 1906 Kaufmann annunciò che i suoi dati escludevano la teoria di Lorentz, e con essa la teoria della relatività appena proposta da Albert Einstein (1879-1955), dalla quale si arrivava, seguendo un diverso percorso, alla stessa funzione μ(v). I teorici però si sentivano ormai abbastanza forti da mettere in dubbio gli esperimenti. Sia Planck sia Einstein decisero che i dati di Kaufmann si potevano interpretare in modo tale da confermare la funzione μ(v) di Einstein-Lorentz. Come si dimostrava dalla teoria della relatività, la mera dipendenza della massa dalla velocità non implicava di per sé alcuna teoria sulla costituzione dell'elettrone, né alcuna presa di posizione sull'origine elettromagnetica della massa. I raggi catodici e i raggi beta, usati come strumenti di misura per l'elettrodinamica, dimostravano la dipendenza della massa dalla velocità, ma non potevano discriminare tra le diverse teorie dell'elettrone, finché i teorici non avessero preso posizione sulla versione prescelta.
Un risultato simile venne dall'uso dei raggi per lo studio della struttura atomica. Becquerel, Rutherford e altri avevano raggiunto la conclusione, sbagliata ma utile, che i raggi beta provenienti da un radioelemento omogeneo hanno tutti la stessa velocità iniziale, e vengono assorbiti esponenzialmente; avevano compiuto inoltre misure approssimate del coefficiente di assorbimento λ attraverso lamine metalliche. Thomson calcolò λ(n) partendo dall'ipotesi che l'assorbimento derivasse dalla diffusione del fascio di particelle beta a causa degli urti tra queste e gli n corpuscoli per atomo presenti nel foglio bersaglio. Confrontando λ(n) con i valori di λ(A) misurati per i raggi beta da Becquerel e per i raggi catodici da uno studente di Lenard, August Becker, Thomson trovò n≃2A, dove A è il peso atomico degli atomi bersaglio. Questo risultato si accordava molto bene con l'analisi della diffusione dei raggi X compiuta dallo stesso Thomson.
Ulteriori studi compiuti principalmente presso il Cavendish Laboratory sull'assorbimento dei raggi beta, persuasero Thomson che il processo non era esponenziale. Egli sviluppò a questo riguardo una nuova teoria, secondo la quale un fascio collimato incidente di particelle beta si allarga a causa di urti multipli sia con i corpuscoli bersaglio sia con la sfera di carica positiva che, nella sua teoria della struttura atomica, teneva uniti i corpuscoli. Gli esperimenti effettuati al Cavendish Laboratory da James A. Crowther (1883-1950) fornirono il risultato migliore, n=3A. Come nel caso dell'elettrodinamica, i raggi catodici e i raggi beta diedero un contributo di tipo semiquantitativo alla teoria della struttura atomica.
I raggi canale
La natura dei raggi canale di Goldstein rimase oscura fino al 1898, quando Wilhelm Wien (1864-1928) incominciò a occuparsene. Wien si era appena trasferito presso la Technische Hochschule Aachen dalla Physikalische-Technische Reichsanstalt a Berlino, dove aveva compiuto il suo importante lavoro sulla radiazione di corpo nero.
Riuscendo a deflettere i raggi canale, mediante un apparato sperimentale ereditato da Lenard, suo predecessore, Wien determinò che la velocità di propagazione dei raggi era un centesimo di quella della luce, che questi erano portatori di carica positiva, e che il loro rapporto (e/m)c era all'interno dell'intervallo misurato per gli ioni elettrolitici. Con una seconda misurazione più approfondita, completata nel 1902, egli determinò il valore massimo di (e/m)c in circa 104 u.e.m., lo stesso valore trovato per lo ione di idrogeno.
Nei dati di Wien spiccavano due particolarità. Lo schermo fluorescente sul quale incidevano i raggi deflessi brillava in una vasta regione continua e non a chiazze discrete corrispondenti ai diversi valori (e/m)c rappresentati all'interno del tubo di scarica; inoltre, l'estremità di questa regione corrispondeva a (e/m)H, indipendentemente dal fatto che il tubo contenesse o meno idrogeno. Wien accettò in proposito la spiegazione offerta da Johannes Stark (1874-1957), allora assistente all'Università di Gottinga, secondo cui un 'raggio' poteva variare molte volte la sua carica nell'attraversare i campi, catturando o perdendo elettroni negli urti contro il gas residuo. Per quanto riguardava la presenza costante di idrogeno, Wien l'attribuì alle persistenti impurità presenti nel campione di gas.
Nel 1905 Thomson intraprese lo studio dei raggi canale o, come li chiamava lui, dei raggi positivi, poiché apparivano la via più promettente per risolvere il problema della natura dell'elettricità positiva, che considerava quello più importante in fisica. Thomson sviluppò una versione perfezionata dell'apparato di Wien, in cui i raggi, dopo essere passati attraverso il catodo, entravano in una regione in cui il campo magnetico e il campo elettrico si sovrapponevano, orientati in modo da deflettere i raggi in direzioni tra loro perpendicolari, e perpendicolari alla direzione di propagazione dei raggi. Nella sua versione, particelle con lo stesso valore del rapporto (e/m)c, ma con diverse velocità v, colpivano uno schermo esterno ai campi e perpendicolare all'asse del tubo, lungo un arco di parabola.
Le prime prove di Thomson, effettuate come nel caso di Wien usando uno schermo fluorescente, produssero parabole chiare e ben separate, corrispondenti a H+ e He2+, mentre non ne apparve nessuna che indicasse altri elementi, indipendentemente dal gas contenuto nel tubo di scarica: "L'interpretazione più naturale di questi effetti ‒ scrisse Thomson nel 1907 ‒ mi sembra sia che sotto l'azione di campi elettrici molto intensi diverse sostanze emettono particelle cariche di elettricità positiva, e che queste particelle sono indipendenti dalla natura del gas dal quale traggono origine". Dove Wien vedeva impurità, Thomson percepiva un costituente fondamentale della materia.
Wien però aveva ragione, come lo stesso Thomson dimostrò in una splendida serie di esperimenti effettuati con l'aiuto di Francis Aston (1877-1945): i raggi positivi risultavano essere una miscela non solo di ioni di tipo differente, ma anche di atomi e di molecole dello stesso tipo, sebbene in diversi stati di carica. Per ridurne in qualche modo la varietà, Thomson impiegò un vuoto molto spinto, realizzato con l'aiuto di carbone raffreddato da aria liquida. Nel 1910 Thomson e Aston riuscivano già a ottenere le tracce paraboliche desiderate, per le quali una registrazione tipica richiedeva un'esposizione di un'ora e mezza o due. Queste tracce fornivano una prova inconfutabile del fatto che le masse atomiche avevano valori discreti.
Nel 1913 Thomson scoprì parabole corrispondenti ad A=20 e A=22, ottenute quando il tubo di scarica era occupato da neon. Il peso atomico del neon è 20,2; sembrava dunque che la parabola più densa, corrispondente ad A=20, appartenesse al neon. Thomson era incline a pensare che la parabola meno densa indicasse un elemento ignoto, per il quale però non c'era posto nella tavola periodica. La diffusione consentiva una separazione parziale della sostanza con A=22, ma il suo spettro risultò identico a quello del neon. Come Thomson riconobbe senza troppo entusiasmo, si doveva trattare di due sostanze con diverso peso atomico, ma indistinguibili dal punto di vista fisico e chimico. Si era imbattuto nel primo esempio di isotopia non legata alla radioattività.
I raggi X e gamma
Lo status dei raggi X era reso incerto dal fatto che non solo era impossibile defletterli mediante forze elettriche o magnetiche, ma non si poteva neanche rifletterli o rifrangerli. Le prime proprietà li qualificavano come onde nell'etere, mentre le seconde erano del tutto incompatibili con una natura ondulatoria. Secondo la visione più accreditata nel 1900, si trattava di scariche aperiodiche di energia elettromagnetica, create dalla rapida decelerazione dei raggi catodici nel tubo. Tale visione mutò grazie al lavoro di Charles G. Barkla (1877-1944), che aveva effettuato presso il Cavendish Laboratory le misure sulla diffusione dei raggi X che Thomson aveva utilizzato per stimare il valore di n.
Nel 1906 Barkla iniziò lo studio dei raggi X secondari generati da diversi metalli colpiti dai raggi X primari provenienti direttamente dal tubo di scarica. Esaminando la ionizzazione provocata dalla radiazione secondaria dopo il passaggio attraverso uno spessore standard di alluminio, Barkla poteva definire una gerarchia dei metalli, in base al potere penetrante della loro radiazione. Nell'ordine risultante, che seguiva quello dei pesi atomici, i metalli più pesanti generavano la radiazione più penetrante. Inoltre la radiazione secondaria, contrariamente a quella primaria, risultava omogenea. Studi ulteriori condotti con la collaborazione di uno studente, C.A. Sadler, dimostrarono che la radiazione primaria doveva possedere una componente di durezza almeno pari a quella della radiazione caratteristica secondaria per poterla stimolare, e che questi 'raggi X fluorescenti' non erano omogenei. Nel 1909 Barkla e Sadler ripeterono l'impresa di Rutherford con i raggi di Becquerel, riprendendone anche la nomenclatura: la radiazione caratteristica secondaria, o fluorescente, si presentava in due forme, una meno dura (A) e una più dura (B). Nel 1911 Barkla cambiò questa denominazione, adottando le lettere L e K oggi familiari, allo scopo di lasciare spazio sufficiente nell'alfabeto per radiazioni più dure della K o meno dure della L.
Queste importanti scoperte non furono sufficienti a liberare il cammino verso un'identificazione di tipo ondulatorio dei raggi X, poiché da altri punti di vista essi si comportavano come se fossero costituiti da particelle materiali, del tipo proposto da Einstein nel 1905 con la sua teoria euristica della luce. Einstein aveva attirato l'attenzione sulla peculiarità della luce ultravioletta, che era candidata in modo inequivocabile allo status di onda elettromagnetica, ma che sembrava capace di cedere tutta la sua energia a un elettrone nell'effetto fotoelettrico. Nel 1907 egli aveva utilizzato ancora questa ipotesi, nell'elaborare una spiegazione delle fluttuazioni di energia in uno spazio occupato dalla radiazione di corpo nero. I raggi X e a maggior ragione i più penetranti raggi gamma, sembravano ad alcuni esprimere un carattere particellare in modo anche più eclatante dei fotoni di Einstein. Per esempio, un corpuscolo espulso da un atomo dai raggi X poteva possedere un'energia cinetica quasi pari a quella della particella del raggio catodico che aveva prodotto quei raggi X. Questo fenomeno impressionò particolarmente William Henry Bragg (1862-1942), professore di fisica all'Università di Leeds, che con la tipica abilità britannica per le analogie meccaniche, lo paragonò a una situazione in cui un sasso, cadendo in un lago, genera un'onda che si propaga nell'acqua, e quando una porzione del fronte d'onda colpisce un sasso identico al primo, l'onda concentra su di esso tutta la sua energia, scagliando il secondo sasso alla stessa altezza da cui era caduto il primo. Una simile assurdità si commentava da sola. Bragg ne concluse che generalmente i raggi X (e i gamma) si comportavano come le particelle.
Ciò non era sempre vero, infatti vi erano già stati occasionali tentativi di ottenere una diffrazione dei raggi X utilizzando fenditure a forma di cuneo, che non avevano però dato risultati decisivi, quando nel 1912, su suggerimento di Max von Laue (1879-1960), ex allievo di Planck, due sperimentatori dell'istituto di Röntgen presso l'Università di Monaco, Walter Friedrich (1883-1960) e Paul Knipping (1883-1935), sostituirono alle fenditure un cristallo. Utilizzando le loro tecniche raffinate essi riuscirono a registrare una figura di diffrazione (le macchie di Laue) su una lastra fotografica dietro al cristallo. Questo esperimento, che avrebbe potuto essere realizzato in qualunque momento del decennio precedente, fu reso possibile grazie alla convergenza tra la competenza di Laue nella teoria della diffrazione, la sua possibilità di interagire con gli allievi di Röntgen e di usare il suo apparato, un profondo interesse per i reticoli cristallini da parte degli studiosi di mineralogia a Monaco e un recente riesame del vecchio esperimento della fenditura a cuneo a opera di un professore di fisica teorica di Monaco, Arnold Sommerfeld (1868-1951).
Questo felice esito non convinse Bragg, secondo il quale le macchie di Laue erano dovute a particelle dei raggi X che si propagavano nel cristallo lungo percorsi definiti dal reticolo di questo. Egli cambiò poi idea condizionato dal figlio, William Lawrence Bragg (1890-1971), allora studente al Cavendish Laboratory, il quale pensava di poter spiegare le macchie di Laue come frutto dell'interferenza tra le onde riflesse dai piani del cristallo. L'idea gli era venuta assistendo alle lezioni di Thomson sulla teoria a impulsi dei raggi X. Wilson, ancora a Cambridge, suggerì allora che i piani di sfaldatura del cristallo ricchi di atomi potessero generare effetti di interferenza per riflessione speculare. William Lawrence Bragg lasciò Cambridge per lavorare su questa idea con il padre a Leeds. I due dimostrarono rapidamente che i raggi fluorescenti omogenei di Barkla avevano una lunghezza d'onda caratteristica λ in accordo con la ben nota formula nλ=dsenθ, dove θ è l'angolo di riflessione speculare, d la distanza tra i centri di riflessione (in questo caso i piani cristallini paralleli alla superficie) e nλ la differenza tra le lunghezze d'onda per cui si ha l'interferenza.
Laue e i Bragg sembrarono dunque chiarire il problema della natura dei raggi X, e i premi Nobel del 1914 e 1915 attestarono il valore del loro lavoro. Altrettanto fece il successo di coloro che applicarono i raggi X appena compresi, con le loro lunghezze d'onda ora misurabili, allo studio della struttura atomica. I fisici avevano comunque molto ancora da imparare su questi enigmatici prodotti del tubo a raggi catodici.