La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Enrico Fermi: dalle statistiche quantistiche al decadimento beta
Enrico Fermi: dalle statistiche quantistiche al decadimento beta
Enrico Fermi (1901-1954) occupa un posto particolarmente importante nella storia della fisica del Novecento: la sua biografia scientifica è infatti straordinariamente ricca e seguirne, anche in modo sintetico, lo sviluppo è un'occasione per attraversare alcune fra le tappe cruciali che hanno portato alla comprensione delle statistiche quantistiche, della struttura del nucleo atomico e del decadimento β. Fermi è per molti versi una figura unica nel panorama della fisica contemporanea, essendo riuscito a primeggiare tanto in ambiti altamente teorici, quanto nel lavoro sperimentale e nell'organizzazione della ricerca. Per altri versi, invece, egli può essere considerato un rappresentante tipico del 'modo di fare fisica' che si affermò in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti, con la generazione che ebbe il compito di spingere la fisica quantistica verso nuovi traguardi, dopo i successi della fisica atomica ottenuti nella scuola di Niels Bohr e culminati negli anni 1925-1927 con l'avvento della meccanica quantistica nelle scuole di Copenaghen e di Gottinga, rappresentate da Bohr stesso e da Werner Heisenberg, Pascual Jordan, Max Born e Wolfgang Pauli.
Di fatto il giovane Fermi, già durante gli anni di studio presso la Scuola Normale di Pisa (1918-1922), si era distinto come uno dei pochi in Italia in grado di padroneggiare con sicurezza la teoria della relatività e la fisica quantistica, competenze che egli aveva acquisito da autodidatta. Si deve infatti considerare che i fisici italiani erano all'epoca, nella stragrande maggioranza, del tutto estranei, se non addirittura ostili, riguardo la relatività e la fisica dei quanti. Fu grazie all'interessamento di Orso Mario Corbino, direttore dell'Istituto di fisica di via Panisperna e personaggio influente della politica scientifica italiana ‒ il quale comprese subito il valore del giovane scienziato ‒ che Fermi, dopo la laurea, poté continuare a dedicarsi alla ricerca nei due anni successivi prima a Gottinga, nel 1923, quindi a Leida nel 1924. è interessante notare come l'incontro a Gottinga con Born e i giovani talenti Heisenberg e Jordan non spinse Fermi a interessarsi ai fondamenti della fisica quantistica che venivano dibattuti proprio a Gottinga e a Copenaghen. Questi dibattiti porteranno, come è noto, alla formulazione della meccanica delle matrici, al principio di indeterminazione e a quello di complementarità, ossia alla costruzione della meccanica quantistica e della cosiddetta 'interpretazione di Copenaghen'. Lo scarso entusiasmo dimostrato da Fermi per queste innovazioni è caratteristico della sua personalità scientifica; il fisico italiano, infatti, rimase alquanto diffidente nei confronti dell'astrazione matematica propria dell'algebra delle matrici, e conservò un deciso realismo che lo indusse a rimanere al di fuori dei dibattiti sui fondamenti e sull'interpretazione del formalismo matematico quantistico. Sembra che Fermi abbia considerato il formalismo matematico, che utilizzava con pragmatica sicurezza, uno strumento valido per la comprensione della natura del mondo microfisico, indipendentemente dalle ben note difficoltà che si incontrano quando se ne tenti un'interpretazione.
Nel dicembre del 1925 Fermi ottenne un risultato teorico di assoluta grandezza, relativo alla quantizzazione di un gas ideale monoatomico. Questo risultato avrà una notevole importanza nello studio del nucleo atomico. La teoria di Fermi era motivata dagli studi di Otto Sackur, Hugo Martin Tetrode e Otto Stern sulla termodinamica di un gas ideale. Fermi si rese conto che, per trattare statisticamente il gas ideale in condizioni di basse temperature o alte densità, era necessario considerare le particelle costituenti il gas come indistinguibili, secondo quanto avevava osservato Albert Einstein. Infatti, già nel 1924 Satyendranath Bose e lo stesso Einstein avevano derivato la formula di Planck per il corpo nero su basi puramente statistiche, assumendo l'indistinguibilità dei quanti di radiazione. Einstein, che aveva fatto pubblicare l'articolo di Bose, aveva esteso l'approccio del fisico indiano allo studio del gas ideale, ottenendo deviazioni significative per basse temperature (o per alte densità) rispetto alle previsioni basate sulla statistica di Maxwell-Boltzmann.
Nel suo studio sul gas monoatomico ideale Fermi coniugò l'approccio di Bose-Einstein (statistica basata sull'indistinguibilità delle particelle costituenti il gas) con il principio di esclusione che Pauli aveva enunciato pochi mesi prima. Per spiegare la struttura fine delle righe spettrali, Pauli aveva infatti introdotto il principio secondo il quale due elettroni in un atomo non possono avere gli stessi numeri quantici. Fermi partì dall'assunzione che le molecole del gas fossero soggette a una forza elastica centrale, sicché ciascuna di esse si comportava come un oscillatore armonico di frequenza ν. Come numeri quantici caratterizzanti lo stato della singola molecola Fermi pose s1, s2 e s3, dove l'energia totale della molecola è data da:
[1] w=hν(s1+s2+s3)=hνs
in accordo con le usuali condizioni di quantizzazione per un oscillatore armonico. Fermi osservò che questi numeri sono sufficienti a caratterizzare lo stato della molecola, dato che gli stati interni della molecola non sono rilevanti sotto l'assunzione che il gas sia monoatomico e che le singole molecole si trovino tutte nello stato fondamentale. è un esercizio di calcolo combinatorio elementare verificare che ogni stato di energia hνs può essere realizzato in
[2] (s+1)(s+2)/2
modi. Sicché, per esempio, l'energia 0hv può essere realizzata soltanto in un modo, l'energia hν in tre, l'energia 2hν in sei, e così via. Succede così che, allo zero assoluto, le molecole del gas di Fermi occupano livelli via via più alti di energia disponendosi, in accordo con il principio di esclusione di Pauli, in modo tale che non vi siano due molecole con gli stessi numeri quantici s1, s2 e s3. Si ha quindi nel caso del gas ideale una sorta di struttura a gusci analoga a quella descritta da Pauli relativamente agli elettroni di un atomo. Applicando a questa situazione tecniche di termodinamica statistica standard Fermi derivò l'equazione di stato per il gas, il calore specifico e il valore dell'entropia, che, come osservava, per le alte temperature concorda con quello di Stern, Sackur e Tetrode, mentre per le basse temperature e alte densità si ottengono deviazioni rispetto alle previsioni classiche diverse da quelle previste da Einstein: l'energia totale e la pressione in un gas di Bose-Einstein sono inferiori rispetto a quelle previste applicando la statistica di Maxwell-Boltzmann. Un fatto notevole è che, mentre per le statistiche di Bose-Einstein e di Maxwell-Boltzmann la pressione tende a 0 se la temperatura assoluta tende a 0, per la statistica di Fermi-Dirac la pressione tende a un valore finito e il calore specifico invece tende a 0.
è interessante confrontare la teoria di Fermi con un risultato analogo pubblicato da P.A.M. Dirac (1902-1984) pochi mesi dopo il lavoro di Fermi. Mentre quest'ultimo si muove all'interno di un paradigma proprio della old quantum theory (le condizioni di quantizzazione e il principio di esclusione sono imposti dall'esterno a un modello classico costituito da molecole in un campo di forze centrale elastico), Dirac adotta la prospettiva della nuova meccanica quantistica. Egli, infatti, prima di considerare il gas perfetto, adotta l'equazione di Schrödinger per un atomo con due elettroni, e denota con (m,n) lo stato in cui un elettrone è nello stato m, mentre l'altro è nello stato n. Se l'interazione coulombiana fra i due elettroni può essere trascurata, si può scrivere la soluzione come prodotto delle autofunzioni Ψm(r1,t) Ψn(r2,t)=Ψm(1) Ψn(2) per l'atomo con un solo elettrone, dove con m e n si indicano i sistemi di numeri quantici che caratterizzano in modo completo lo stato dell'elettrone e r1 e r2 sono le coordinate spaziali. Tuttavia, dato che i due elettroni sono indistinguibili, anche gli stati (m,n) e (n,m) dovrebbero essere indistinguibili. Dirac conclude che in generale per un atomo con due elettroni possono essere accettabili solo due soluzioni, quelle simmetriche e quelle asimmetriche, ossia:
[3] Ψ=2-1/2[Ψm(1)Ψn(2)±Ψn(1)Ψm(2)].
Solamente le soluzioni antisimmetriche portano al principio di esclusione di Pauli, in quanto si annullano se due elettroni hanno gli stessi numeri quantici m e n. Nel quarto paragrafo del suo lavoro Dirac considera la teoria del gas ideale. Egli dimostra che le soluzioni simmetriche portano alla statistica di Bose-Einstein (e sono quindi adatte a descrivere un gas costituito da quanti di radiazione), mentre quelle antisimmetriche corrispondono a una "nuova statistica, probabilmente corretta per le molecole di un gas". Sarà Fermi a far notare a Dirac che la "nuova statistica" era già stata pubblicata da qualche mese; Dirac, in effetti, era a conoscenza dell'articolo di Fermi, ma la procedura del fisico italiano era così diversa che egli non lo aveva notato. Effettivamente, nonostante la genialità dimostrata da Fermi nel suo articolo, le sue procedure erano antiquate rispetto a quelle di Dirac. Va notato che l'idea di Fermi e di Dirac di applicare il principio di esclusione di Pauli a particelle che non fossero elettroni, affermando quindi la generalità di un principio che era stato introdotto ad hoc per spiegare dati spettroscopici, costituisce un notevole salto concettuale. L'importanza della statistica di Fermi-Dirac venne presto riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale. I dati sperimentali concordavano nell'indicare che la statistica di Bose-Einstein è applicabile a particelle con spin intero, mentre quella di Fermi-Dirac a particelle con spin semidispari. La connessione fra spin e statistica fu dimostrata nell'ambito della teoria quantistica dei campi da Pauli nel 1940. La statistica di Fermi-Dirac trovò presto applicazioni nella fisica delle stelle nane bianche (Fowler nel 1926), nello studio del paramagnetismo (Pauli nel 1927), nel cosiddetto 'modello dell'atomo' di Thomas-Fermi (1927), ma soprattutto nello studio degli elettroni nei metalli (Sommerfeld nel 1927).
Nel 1926 Fermi ottenne la prima cattedra di fisica teorica italiana presso l'Università di Roma, dove iniziò a dirigere l'Istituto di fisica di via Panisperna. Qui si formò presto un gruppo di giovani talenti che includeva Franco Rasetti, Emilio Segré, Ettore Majorana, Edoardo Amaldi, ai quali si devono aggiungere Giulio Racah, Giovanni Gentile jr, Gilberto Bernardini, Bruno Rossi, Bruno Pontecorvo, Ugo Fano, Renato Einaudi, Leo Pincherle, Gian Carlo Wick. Molto è stato scritto sui 'ragazzi di via Panisperna' e sullo straordinario clima creativo e informale che si era creato a Roma sotto la direzione di Fermi. In questi anni la fisica italiana conobbe una fase di espansione e presto al gruppo di Roma si unirono i fisici del gruppo di Firenze (Rossi, Bernardini, Giuseppe Occhialini, Racah). La capacità di penetrazione del gruppo di Roma nell'establishment scientifico della fine degli anni Venti, favorito dall'interessamento di Corbino, ottenne un riconoscimento sia nel Congresso voltiano di Como del 1927 (fu qui che Bohr presentò il principio di complementarità) sia in quello di Roma del 1931 dedicato alla fisica nucleare, il settore di ricerca verso cui Fermi aveva deciso di indirizzare il gruppo di via Panisperna.
In effetti fu proprio l'applicazione della statistica di Fermi-Dirac al nucleo atomico a portare presto a risultati straordinari. Ricordiamo brevemente che intorno al 1930 prevaleva un modello nucleare secondo il quale il nucleo era pensato come composto da elettroni e protoni, le uniche particelle dotate di massa allora conosciute. La presenza di elettroni nucleari era richiesta, da un lato, per tentare di spiegare la stabilità del nucleo e, dall'altro, per descrivere il decadimento α e quello β come espulsioni di particelle preesistenti nel nucleo. Come aveva affermato Arnold Sommerfeld nel 1924: "Non vi è dubbio che i nuclei radioattivi contengano nuclei di elio ed elettroni che essi emettono come raggi α e β". In questa prospettiva, il nucleo dell'elio, che ha massa 4 (pari, cioè, a 4 nuclei di idrogeno) e carica pari a 2 (in unità pari al valore assoluto della carica dell'elettrone), era visto come costituito da 4 protoni e 2 elettroni, mentre il nucleo dell'azoto (massa pari a 14, carica pari a 7) come costituito da 14 protoni e 7 elettroni. L'idea era che la carica negativa degli elettroni 'nucleari' schermasse la repulsione coulombiana fra i protoni; non risultava però facile spiegare in questi termini la stabilità del nucleo.
Un problema ulteriore era costituito dal fatto che, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, enunciato nel 1927, gli elettroni confinati nel piccolo volume del nucleo avevano buone probabilità di possedere energie cinetiche troppo elevate: essi sarebbero sfuggiti dal nucleo o avrebbero potuto determinare la dissociazione del nucleo stesso. L'esistenza di elettroni nucleari era anche incompatibile, come fece osservare Ralph de Laer Kronig nel 1928, con i valori osservati dei momenti magnetici dei nuclei. Si ricorda che una particella di carica e, massa m e spin 1/2 ha un momento magnetico pari a eh/4πmc, dove c è la velocità della luce nel vuoto e h è la costante di Planck. Essendo la massa dell'elettrone circa 2000 volte più piccola di quella del protone, il momento magnetico del nucleo dovrebbe essere dominato dai momenti magnetici degli elettroni nucleari (sarebbe sufficiente un solo elettrone nucleare il cui momento magnetico non risultasse accoppiato in modo antiparallelo con un altro elettrone nucleare) e, di conseguenza, dar luogo a valori del tutto in disaccordo con gli spettri della radiazione emessa dagli atomi. Gli spettri della radiazione emessa dagli atomi sono influenzati sia dal momento magnetico del nucleo, sia dal fatto che alcuni nuclei sono bosoni (hanno spin intero e obbediscono alla statistica di Bose-Einstein), mentre altri sono fermioni (hanno spin semidispari e obbediscono alla statistica di Fermi-Dirac). Ora lo spin misurato per il nucleo dell'elio è 0, il che è compatibile con il modello del nucleo come composto da elettroni e protoni: si hanno infatti 4 protoni e 2 elettroni, che possono disporre nello stato fondamentale i propri spin in modo da dar luogo a uno spin totale pari a 0. Nel caso dell'azoto però le cose stanno diversamente. I risultati spettroscopici (ottenuti in particolare da Rasetti nel 1928-1930) indicano uno spin del nucleo di azoto pari a 1, ma 14 protoni e 7 elettroni non possono disporre i propri spin così da ottenere il valore misurato. In ogni caso la teoria dell'elettrone nucleare sembrava necessaria per spiegare il decadimento β.
Nel decadimento β vengono emessi elettroni e, in analogia con il decadimento α nel quale un nucleo di elio preesistente nel nucleo viene espulso dal nucleo instabile, si pensava che l'elettrone emesso nel decadimento β preesistesse nel nucleo. Grazie ai risultati raggiunti da Charles D. Ellis e William A. Wooster nel 1927 era ormai provato che lo spettro di emissione degli elettroni nel decadimento β era continuo, ossia gli elettroni erano espulsi con energie comprese in un intervallo continuo di valori. Ellis e Wooster erano stati in grado di confutare l'ipotesi di Lise Meitner secondo la quale gli elettroni β perdevano energia sotto forma di radiazione elettromagnetica durante il loro processo di espulsione dal nucleo; in effetti si pensava che se gli elettroni perdevano energia, questa avrebbe dovuto essere misurata da esperienze di calorimetria. Inoltre lo spettro continuo delle energie degli elettroni β era in contrasto con quanto avviene nei decadimenti α e γ, che sono caratterizzati da spettri energetici 'a righe'. Secondo la meccanica quantistica, nel decadimento radioattivo un nucleo passa da un livello energetico a un altro eseguendo quindi un salto quantico. Un decadimento a due corpi, in cui le particelle prodotte sono il nucleo finale e l'elettrone β, non può spiegare lo spettro continuo delle energie degli elettroni espulsi dal nucleo.
Fu Bohr ad avanzare, nella Faraday lecture tenuta alla British Chemical Society nel 1930, l'ipotesi che nel decadimento β fosse violata la legge di conservazione dell'energia. L'idea che a livello microfisico l'energia potesse non essere conservata, e che quindi la fisica quantistica rendesse necessario abbandonare un ulteriore caposaldo della fisica classica, non era nuova. Lo stesso Bohr con il modello di interazione fra radiazione e materia proposto con John C. Slater e Hendrik A. Kramers aveva già preso in considerazione questa ipotesi. Tuttavia anche Einstein, Walther Hermann Nernst, Charles G. Darwin e Sommerfeld avevano accennato a questa possibilità. Le idee rivoluzionarie di Bohr incontrarono inizialmente la simpatia di giovani fisici teorici, come George Gamow e Lev Davidovič Landau. Pochi mesi dopo la conferenza di Bohr, Pauli avanzava l'ipotesi dell'esistenza di una nuova particella neutra molto leggera presente nel nucleo; tale particella, di spin 1/2, che verrà poi battezzata da Fermi 'neutrino', avrebbe risolto il problema dello spin nucleare, della conservazione del momento angolare (in termini moderni, se un neutrone decade in un protone più un elettrone più un antineutrino è necessario attribuire a quest'ultimo spin 1/2 affinché sia conservato il momento angolare) e dello spettro continuo delle energie degli elettroni β.
In questo contesto, il nucleo dell'azoto sarebbe costituito da 14 protoni, 7 elettroni e 7 neutrini: gli spin si possono sommare dando 1 come spin totale. Inoltre il decadimento β viene descritto come emissione di due particelle, l'elettrone e il neutrino, e l'energia ‒ che è conservata nel processo ‒ può distribuirsi fra esse in modo tale da rendere possibile uno spettro energetico elettronico di tipo continuo. L'energia trasportata dal neutrino non era osservata dalle esperienze di calorimetria proprio perché il neutrino, leggero e neutro elettricamente, era visto da Pauli come portatore di una radiazione particolarmente penetrante. Nel 1934 Hans Bethe e Rudolf E. Peierls affermavano che non vi era praticamente alcuna possibilità di osservare il neutrino, ma questa previsione pessimistica verrà successivamente smentita grazie a esperienze condotte nel 1951 da Frederick Reines e Clyde L. Cowan jr.
Le difficoltà cui andava incontro la maggior parte dei modelli nucleari, e in particolare i paradossi legati all'esistenza di elettroni nucleari, furono riassunte nel 1931 nell'importante testo di Gamow The constitution of atomic nuclei and radioactivity. La scoperta nel 1932, da parte di James Chadwick, del neutrone, una particella neutra nucleare la cui massa era approssimativamente pari a quella del protone, cambiò drasticamente la situazione. Chiaramente il neutrone di Chadwick non era la particella neutra di Pauli, che doveva avere una massa molto leggera. Vennero formulate varie ipotesi. Secondo alcuni (per es., Dmitrij Ivanenko nel 1932), il neutrone era una nuova particella neutra. Ivanenko e Victor Amazaspovič Ambarzumian avevano già presupposto nel 1930 che l'elettrone β fosse creato durante il processo di decadimento; queste idee furono riprese da Fermi. Secondo altri (per es., Ernest Rutherford e Chadwick nel 1932), il neutrone era uno stato legato di un protone con un elettrone. Del resto la maggior parte dei modelli proposti nel biennio 1932-1933 era basata sull'idea che nel nucleo preesistessero le particelle massive emesse nel decadimento α e β. Per esempio, Francis Perrin e Pierre V. Auger proposero nel 1933 un modello del nucleo composto da protoni, neutroni (visti come stati legati protone-elettrone) e particelle α. Nel modello proposto da J. Robert Oppenheimer e Frank Carlson nel 1932, il nucleo diventò una struttura decisamente affollata di particelle: la particella neutra ipotizzata da Pauli, quella osservata da Chadwick, gli elettroni nucleari e i protoni erano assemblati in vari modi nella speranza di prevedere teoricamente le proprietà osservate dei nuclei, ossia la statistica, i momenti magnetici e lo spettro continuo di emissione β.
La VII Conferenza Solvay
La VII Conferenza Solvay tenutasi a Bruxelles nel 1933, alla quale partecipò Fermi, venne dedicata alla fisica del nucleo e fu un'occasione per discutere le grandi novità emerse nell'anno precedente, soprattutto la scoperta del neutrone da parte di Chadwick e del deuterio a opera di Harold C. Urey, Ferdinand Brickwedde e George Murphy. Il deuterio, l'isotopo di massa 2 dell'idrogeno (che ‒ secondo le conoscenze attuali ‒ possiede un nucleo costituito da un neutrone e da un protone, detto 'deutone') fu determinato spettroscopicamente osservando il lieve spostamento delle righe spettrali dovuto alla massa del nucleo, che è ovviamente doppia rispetto al nucleo dell'idrogeno. Rimanevano sul tappeto anche le ipotesi del neutrino di Pauli e quella della non conservazione dell'energia di Bohr per spiegare il decadimento β. I modelli nucleari, perlopiù basati sulla presenza di elettroni nucleari, generavano le difficoltà già messe in luce da Kronig nel 1928. La natura della forza nucleare, ovvero della forza responsabile della coesione dei costituenti del nucleo, era ancora del tutto ignota. Il deutone giocò un ruolo particolarmente importante in questo contesto, sia come il più semplice modello nucleare, sia come efficiente proiettile per generare reazioni nucleari.
Alla VII Conferenza Solvay, Bohr sostenne la sua teoria della non conservazione dell'energia nel decadimento β e fece riferimento a una teoria avanzata da Guido Beck e Kurt Sitte, secondo la quale l'elettrone emesso nel decadimento β non preesiste nel nucleo. Per Beck e Sitte l'intenso campo coulombiano del nucleo favorisce la creazione di coppie elettrone-positrone. Secondo questa prospettiva, un fotone gamma emesso dal nucleo si convertiva, in accordo con la recente teoria di Dirac, in una coppia elettrone-positrone e quest'ultimo veniva poi catturato dal nucleo: il nucleo così assorbiva una carica positiva scalando in avanti nella tavola periodica. Questa teoria aveva il vantaggio di non richiedere l'ipotesi di una nuova particella neutra e probabilmente non osservabile, ma non spiegava lo spettro continuo dell'energia degli elettroni β. La segnaliamo perché l'ipotesi di Beck e Sitte considerava gli elettroni β come creati nel processo di decadimento e non come preesistenti nel nucleo: un'idea fondamentale nella teoria che Fermi formulò poco tempo dopo.
Uno dei contributi più importanti alla VII Conferenza Solvay fu quello dato da Heisenberg, nel quale egli considerava la forza fra neutrone e protone come una forza di scambio simile a quella presente nello ione molecolare H2+. Heisenberg riteneva che il neutrone fosse uno stato composto da un protone e da un elettrone, e che la forza di scambio consistesse appunto nella condivisione di un elettrone fra protone e neutrone. La forza fra due neutroni, in questa prospettiva, sarebbe invece dovuta alla condivisione di due elettroni (una forza analoga a quella presente nella molecola H2). Il decadimento β avverrebbe a causa dell'emissione di uno di questi elettroni nucleari responsabili del legame fra neutroni e protoni. Heisenberg propose quindi di descrivere la forza fra neutrone e protone in termini di un'energia potenziale a breve raggio (da determinare sperimentalmente) e di un operatore che connette il protone e il neutrone visti come stati di una stessa particella (che verrà chiamata 'nucleone'). Si può riscontrare in nuce la presenza di molti elementi che caratterizzano il formalismo matematico della teoria quantistica dei campi. In termini moderni, protone e neutrone sono due stati del nucleone in uno spazio di isospin su cui agisce l'operatore che connette protone e neutrone; inoltre la forza fra nucleoni è vista come imputabile allo scambio di particelle (nel caso di Heisenberg, gli elettroni nucleari). La teoria del nucleo, elaborata da Heisenberg negli anni 1932-1933 e presentata a Bruxelles, aveva molti difetti; principalmente era ancora basata sull'idea dell'esistenza di elettroni nucleari e non diceva nulla sul decadimento β. Dato che gli elettroni nucleari violano il principio di indeterminazione di Heisenberg, questi arrivava a supporre che la meccanica quantistica, nonostante i successi ottenuti nel 1928 da Gamow, Ronald Gurney ed Edward Condon nello spiegare il decadimento α come effetto tunnel, fallisse al livello delle distanze tipiche del nucleo. In effetti, uno dei temi dibattuti a Bruxelles era proprio quello di un possibile fallimento della meccanica quantistica nello spiegare fenomeni su scale di distanze nucleari. Bohr parlava di una sospensione della legge di conservazione dell'energia. Già nel 1929 Walter Heitler e Gerhard Herzberg ipotizzavano che gli elettroni nucleari perdessero alcune loro proprietà (di spin e momento magnetico).
Tuttavia le cose si stavano evolvendo rapidamente: Beck e Sitte avevano proposto la loro teoria della produzione di coppie elettrone-positrone nel decadimento β; Ivanenko nel 1932 quella che il neutrone fosse una particella elementare e che nel decadimento β un elettrone venisse creato nel processo di decadimento stesso.
Fu Fermi, pochi mesi dopo la VII Conferenza Solvay, a trovare la soluzione con la sua teoria del decadimento β. Da diversi anni egli aveva indirizzato i suoi interessi verso la fisica nucleare (momenti magnetici dei nuclei determinati dall'osservazione della struttura iperfine delle righe spettrali) e nel 1931 aveva promosso un importante Congresso a Roma dedicato alla fisica del nucleo.
Fu in questa occasione che Pauli parlò informalmente a Fermi della sua ipotesi del neutrino, un'idea che il fisico italiano accolse subito con entusiasmo. Infatti, la teoria di Fermi pubblicata nel 1933 presuppone l'esistenza del neutrino, il che risolve il problema dello spettro continuo delle energie degli elettroni β. Inoltre Fermi assume che il nucleo sia costituito solo da protoni e da neutroni (particelle di spin 1/2 e dotate di un piccolo momento magnetico) e che non vi siano elettroni nucleari; il neutrone, infine, viene visto come una particella elementare. Nella teoria di Fermi il decadimento β viene descritto nel modo seguente: un neutrone decade in un protone emettendo un elettrone e un neutrino (oggi diremmo, un antineutrino) in modo esattamente analogo a quello in cui un fotone viene emesso in una transizione fra due orbite stazionarie nell'atomo di Bohr. Questa descrizione è quella ancora attualmente accettata.
Il formalismo matematico di cui Fermi si serve è in parte ispirato alla teoria del nucleo di Heisenberg e in parte all'elettrodinamica quantistica di Dirac. Infatti la teoria di Fermi è una teoria di campo in accordo con lo schema della cosiddetta 'seconda quantizzazione'. Si deve osservare che la fisica del nucleo e delle particelle fino ai giorni nostri si basa proprio sul formalismo della teoria quantistica dei campi e si può dire che la teoria del decadimento β di Fermi sia stata il modello seguito dalla fisica delle alte energie. Fermi (che aveva familiarizzato con la teoria dell'elettrodinamica quantistica di Dirac scrivendo un importante saggio nel 1932, Quantum theory of radiation, che diverrà per molti anni una lettura obbligata per i fisici teorici) usa operatori alla Dirac di creazione e annichilazione per descrivere la creazione della coppia elettrone-neutrino. Inoltre il neutrone e il protone, come aveva proposto Heisenberg, sono trattati come due stati della stessa particella connessi dai due possibili valori di una coordinata interna analoga allo spin (in seguito chiamata isospin). è in questi termini, e in analogia con il formalismo della QED (quantum electrodynamics), che Fermi poteva scrivere la hamiltoniana di interazione per il decadimento β in termini di una costante di accoppiamento G, che gioca un ruolo analogo alla carica dell'elettrone per l'elettromagnetismo, un operatore di isospin che connette il protone e il neutrone, e operatori di creazione e annichilazione dei campi del neutrino e dell'elettrone. Fermi era consapevole che la scelta della struttura matematica della hamiltoniana di interazione era aperta a varie possibilità; in effetti Pauli precedentemente aveva mostrato che esistevano solo cinque forme relativisticamente invarianti di interazione.
Nel lavoro del 1933, Tentativo di una teoria dell'emissione dei raggi 'beta', Fermi faceva riferimento al "metodo di Dirac-Jordan-Klein detto della seconda quantizzazione" e sosteneva che in analogia con il processo di emissione di un quanto di luce da un atomo eccitato nell'ordinario processo di irradiazione si dovesse ammettere che "elettroni e neutrini possano essere creati o distrutti". Ciò comportava un notevole salto concettuale rispetto alla teoria della creazione di coppie elettrone-positrone dell'elettrodinamica quantistica. Infatti osservava Fermi:
Il numero totale degli elettroni e dei neutrini non è necessariamente costante. Elettroni (o neutrini) possono essere creati o distrutti. Questa possibilità non ha per altro alcuna analogia con la possibilità della creazione o della distruzione di una coppia elettrone-positrone; se infatti si interpreta un positrone come un buco di Dirac, si può semplicemente considerare quest'ultimo processo come un salto quantico di un elettrone da uno stato di energia negativa a uno di energia positiva. (Fermi 1933, p. 492)
La teoria di Fermi si impose in primo luogo per il successo con cui prevedeva la fenomenologia del decadimento β. In effetti le previsioni della teoria si accordavano con i risultati sperimentali sulla forma dello spettro β, sulle costanti di decadimento e sul valore massimo dell'energia dello spettro ottenuti nel 1932-1933 da Berenice W. Sargent. L'idea di Bohr che l'energia non fosse conservata venne presto abbandonata e il neutrino iniziò a essere considerato una particella esistente, anche se probabilmente non osservabile. La forma matematica della hamiltoniana scelta da Fermi fu messa in discussione, essendo possibili alcune generalizzazioni. Si possono segnalare soprattutto i contributi di Gamow ed Edward Teller, i quali, nel 1936, proposero una modificazione della teoria di Fermi che consentiva decadimenti nei quali il momento angolare del nucleo iniziale e di quello prodotto dal decadimento può cambiare: nelle transizioni di Gamow-Teller il momento angolare totale è conservato perché il cambiamento del momento del nucleo è compensato dal momento angolare connesso alla coppia elettrone-neutrino.
La storia della teoria del decadimento β è affascinante; in un primo tempo si pensò che la teoria di Fermi potesse essere la base per uno studio delle forze nucleari; fu solo in seguito che ci si rese conto che nel decadimento β è coinvolta la forza debole, che tale forza non conserva la parità e che è distinta dalla forza forte responsabile dell'interazione fra nucleoni. Inoltre, gli sviluppi delle teorie di campo quantistiche misero presto in luce che la teoria di Fermi non è rinormalizzabile e che deve essere modificata in modo da includere delle particelle mediatrici della forza debole (più precisamente dei bosoni massivi di spin 1 che verranno osservati nel 1982 al CERN da un gruppo diretto da Carlo Rubbia).
Nel 1934 i coniugi Frédéric e Irène Joliot-Curie scoprirono la radioattività artificiale: essi infatti generarono nuclei radioattivi facendo incidere particelle α su nuclei di alluminio. Fermi comprese immediatamente che i neutroni potevano essere proiettili più efficienti per generare la radioattività artificiale, poiché a differenza delle particelle α possono avvicinarsi al nucleo senza essere respinti dalla forza coulombiana. Il gruppo di Fermi (Amaldi, Oscar D'Agostino, Segré, Rasetti, Pontecorvo) procedette quindi a bombardare con neutroni elementi di numero atomico crescente, osservando la produzione di nuclei radioattivi. L'osservazione casuale che l'efficacia del processo risultava aumentata notevolmente se i neutroni venivano fatti passare attraverso sostanze contenenti idrogeno fu interpretata come un aumento della probabilità di cattura del neutrone da parte del nucleo, dovuto al fatto che i neutroni erano rallentati nelle collisioni con i nuclei di idrogeno. Il gruppo di Fermi osservò che per i neutroni veloci sono possibili molte reazioni (n,p), (n,α), (n,γ); invece per i neutroni lenti, che, come Fermi capì, erano moderati fino a energie di pochi eV, il fenomeno più probabile è la cattura e quindi si osserva la reazione (n,γ). I neutroni lenti avevano dunque maggiori probabilità di essere catturati dal nucleo bersaglio. Il gruppo di Fermi notò anche la presenza di risonanze nella sezione d'urto per la reazione di cattura del neutrone. Fermi sviluppò in dettaglio una teoria matematica sul rallentamento dei neutroni e sulle risonanze dovute a cattura. Il gruppo di Fermi interpretò l'attività radioattiva generata dal bombardamento di uranio e di torio come segno della formazione di elementi transuranici.
Questa sensazionale notizia fu divulgata da Corbino senza il consenso di Fermi, che era ancora incerto su questa ipotesi. Il gruppo di Fermi non fu in grado di identificare la fissione del nucleo, anche se la chimica tedesca Ida Noddack aveva suggerito che il nucleo di uranio, in seguito alla cattura di un neutrone, venisse scisso in nuclei più leggeri. Fermi comunque fece riferimento a elementi transuranici prodotti irraggiando uranio e torio con neutroni ancora nel dicembre del 1938 nella sua lezione tenuta in occasione del conferimento del premio Nobel. Gli sforzi congiunti di fisici e chimici come Otto Hahn, Lise Meitner, Otto Robert Frisch, Fritz Strassman, Philip Abelson, Joliot-Curie, Pavel Savič portarono alla corretta interpretazione del fenomeno osservato in via Panisperna nel 1934. Come fu evidente dai risultati sperimentali che Hahn e Strassman inviarono a "Nature" nel dicembre del 1938, si trattava non della generazione di elementi transuranici, ma della fissione del nucleo.
Il periodo italiano di Fermi si stava avvicinando tragicamente alla fine; la guerra coloniale di Etiopia (1936), la morte di Corbino (1937), ma soprattutto le leggi razziali del 1938 resero il clima politico intollerabile per Fermi, la cui moglie Laura era di origini ebraiche. Come avvenne in Germania e in Austria, anche in Italia molti intellettuali si videro costretti a emigrare; l'occasione si presentò con il conferimento a Fermi del premio Nobel. In gran segreto il fisico e la sua famiglia si rifugiarono negli Stati Uniti, dove Fermi insegnò prima presso la Columbia University e poi a Chicago. L'attività scientifica di Fermi negli Stati Uniti fu strettamente legata alla costruzione del primo reattore nucleare a uranio naturale e grafite (1942), al Manhattan Project e alla realizzazione della bomba atomica (1945), e, nel dopoguerra, allo sviluppo degli acceleratori di particelle e dello studio dei pioni. Questi eventi proiettarono Fermi dalla dimensione della fisica teorica e della fisica sperimentale da tavolo praticata a Roma verso un'attività scientifica indirizzata alle applicazioni belliche e realizzata in collaborazioni che coinvolgevano un gran numero di scienziati e ingenti finanziamenti.
Dopo la guerra Fermi creò a Chicago una scuola di fisica di alto prestigio. Utilizzando un sincrociclotrone da 450 MeV installato a Chicago, con Anderson egli osservò, nel 1951, un picco nella sezione d'urto nello scattering di pioni su protoni interpretato come una risonanza nucleare.