Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La seconda guerra mondiale ha il suo avvio con l’occupazione della Polonia, il 1° settembre 1939, ma le fasi più rilevanti si manifestano a metà dell’anno successivo, con la sconfitta e l’occupazione della Francia, preceduta di poco dall’ingresso in guerra dell’Italia fascista; nel corso del 1941, dopo avere inutilmente tentato di indurre alla resa l’Inghilterra, il governo nazista tedesco attacca l’Unione Sovietica. Nel frattempo il teatro di guerra si è esteso anche ai Balcani, al Nord Africa e agli oceani. Il carattere mondiale del conflitto diviene manifesto in seguito all’attacco giapponese agli Stati Uniti e, dopo la firma della Carta atlantica, all’intervento americano in Europa contro l’Asse nazifascista. Il 1942 risulta l’anno decisivo per l’offensiva delle potenze totalitarie che non riescono a raggiungere i loro obiettivi; l’anno successivo si avvia una nuova fase del conflitto mondiale in cui sono ora le potenze democratiche, alleate con l’Unione Sovietica, a iniziare una lunga controffensiva, che le porterà, in Europa alla conquista dell’Italia e della penisola balcanica a sud, mentre si apre un secondo fronte con lo sbarco in Normandia da parte degli alleati angloamericani. La tenaglia si chiude con la conquista militare della Germania e il suicidio di Hitler. Nel contempo anche in Estremo Oriente di fronte alla resistenza delle isole nipponiche, il presidente americano Truman decide l’uso della bomba atomica, che determinerà la resa giapponese.
La guerra in Europa
La seconda guerra mondiale che inizia il 1° settembre 1939 con l’invasione tedesca della Polonia non assume immediatamente la drammaticità della prima. L’esercito polacco è troppo debole per potere resistere all’offensiva avversaria, che per di più possiede tecnologia bellica e abilità strategiche inimmaginabili per un Paese povero com’è la Polonia di fine anni Trenta. Il fior fiore delle sue armate è costituito ancora dalla cavalleria, che pateticamente si lancia in un ultimo attacco suicida contro le divisioni corazzate tedesche. La sconfitta rapida dell’esercito polacco ha tuttavia qualche attenuante: Inghilterra e Francia, che pure hanno dichiarato guerra alla Germania in seguito all’attacco alla Polonia, non compiono alcuna azione militare, per cui tutta la pressione tedesca si esercita a oriente. Sembra quasi che le due potenze occidentali, in un ultimo sussulto di appeasement, siano restie a fare sul serio. D’altra parte, il governo di Mussolini (1883-1945) – che non è neppure stato informato in anticipo dell’inizio delle operazioni e che ha fatto presente al Führer lo stato di impreparazione delle forze armate italiane, i cui arsenali sono semivuoti dopo gli sforzi bellici in Etiopia e in Spagna – dichiara la “non belligeranza”, una formula ambigua che è equidistante sia dalla neutralità che dall’intervento in guerra. Anche l’Unione Sovietica, che sulla base del patto con la Germania è pronta a entrare in azione per procedere a un’ennesima spartizione della Polonia, per il momento non si muove. In quindici giorni il Paese non esiste più come Stato indipendente e solo allora la Russia penetra con le sue truppe, annientando qualche sacca di resistenza, nella Polonia orientale che il patto con Hitler (1889-1945) le ha assegnato.
Sul fronte occidentale continua la “strana guerra” che vede i Franco-Inglesi schierati in attesa dietro la linea Maginot ritenuta insuperabile da qualunque offensiva nemica, in una sorta di anticipata guerra di trincea, che è nelle previsioni dei massimi strateghi dell’esercito francese. La “vera guerra” vede protagoniste le nuove potenze russa e tedesca in una nuova accoppiata. La Russia dichiara guerra alla Finlandia, in una campagna militare irta di difficoltà per le caratteristiche del territorio, che le porta ampliamenti e un protettorato sullo Stato finnico. La brutta figura rimediata dall’Armata Rossa rafforza la convinzione hitleriana che l’URSS sia militarmente debole, a causa delle purghe staliniane che hanno prodotto vuoti notevoli tra i quadri più esperti dell’esercito regolare. Poi la Russia si annette la triade degli Stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), mentre la Germania, dopo avere occupato la Danimarca, si procura in Norvegia una portaerei naturale da cui poter lanciare attacchi contro la Gran Bretagna. La neutralità della Svezia risulta favorevole ai Tedeschi, che si assicurano i grandi giacimenti di ferro del Paese, e resta intatta, assieme a quella Svizzera, per l’intero conflitto mondiale.
A questo punto Hitler decide l’attacco sul fronte occidentale. Invade i Paesi Bassi, violandone la neutralità, si assicura che i Franco-Inglesi si muovano per parare l’invasione dal nord, mentre l’esercito tedesco li stringe in una morsa attraverso le Ardenne poi, aggirando la linea Maginot, dilaga verso sud e verso Parigi. In meno di un mese, tra maggio e giugno del 1940, l’esercito franco-inglese è stato messo in scacco dalla superiorità strategica tedesca. La guerra moderna, insegnano sul campo i Tedeschi, è uso integrato di divisioni corazzate e aviazione militare, formidabile capacità di gestione e movimento di armate di milioni di uomini.
Prima che la Francia si arrenda, Mussolini porta l’Italia in guerra (10 giugno), temendo che rimanga assente dal tavolo della pace, che ritiene imminente. L’esercito italiano attacca la Francia da sud, ma appare impacciato e incontra gravi difficoltà, ottenendo risultati territorialmente assai scarsi. L’armistizio chiesto dal governo francese retto da Henri Pétain (1856-1951) alla Germania e all’Italia ferma le operazioni militari.
Mentre l’esercito francese si dissolve o viene fatto prigioniero, quello inglese viene rinchiuso nella sacca di Dunkerque (sul canale della Manica). Una flotta inglese composta da un numero elevatissimo di grandi e piccoli mezzi navali, anche civili, riesce a portare in patria gran parte delle truppe. Grazie a questa operazione l’Inghilterra ha ancora un esercito, ma ha soprattutto un leader in Winston Churchill (1874-1965), un anziano conservatore chiamato a sostituire Chamberlain, di cui era stato critico durissimo, cogliendo nella politica dell’ appeasement una minaccia mortale per la democrazia e per l’impero britannico. Il primo ministro inglese chiede al governo francese di unirsi politicamente alla Gran Bretagna per continuare la guerra; ma la classe dirigente francese accetta il trattato di pace dettato da Hitler, che smembra la Francia in due parti, riservandone i due terzi, con Parigi, all’occupazione diretta tedesca, mentre a sud, con una finzione di autonomia, nasce il governo di Vichy (10 luglio 1940), che ha tra i suoi leader Pierre Laval (1883-1945), l’uomo politico francese che, in nome dell’anticomunismo, è pronto ad accettare il nazismo.
Hitler ha intanto approntato i dettagli dell’invasione delle isole britanniche: è l’operazione “Leone Marino”. Essa prevede una accurata preparazione aerea, con bombardamenti a tappeto su Londra e sui maggiori centri industriali del Paese, per fiaccare la resistenza della popolazione e indebolire le strutture difensive. L’Inghilterra tuttavia possiede un’aviazione tecnologicamente più avanzata di quella tedesca. Ogni qual volta le formazioni aeree tedesche si accingono a passare la Manica, sono individuate dai radar britannici, che ne seguono da lontano la rotta, mobilitando in anticipo la difesa aerea della regione minacciata. La RAF abbatte così nella “battaglia d’Inghilterra” (agosto-novembre 1940) almeno 3000 aerei tedeschi; per quanto formidabile sia l’apparato militare germanico, esso non è in grado di sostituire materiali e soprattutto piloti da gettare nella fornace britannica. Hitler deve rinunciare ai suoi progetti.
I fronti in Africa e nei Balcani e l’operazione contro l’Unione Sovietica
Altri scenari del conflitto vedono protagonisti l’Italia di Mussolini, che avvia una guerra parallela nel Mediterraneo e in Europa per dare corpo ai progetti imperialistici del fascismo italiano. In Africa orientale, un corpo di spedizione comandato dal duca d’Aosta, Amedeo II di Savoia, penetra, con qualche successo, nel Sudan e nella Somalia britannica. Presto tuttavia la controffensiva inglese riduce a malpartito l’esercito italiano e le colonie conquistate in sessant’anni di presenza in questa parte dell’Africa sono tutte irrimediabilmente perdute. A questo punto non resta che il corpo di spedizione in Libia, che peraltro è in difficoltà sotto l’incalzare delle truppe anglo-egiziane. Il fascismo vuole tuttavia rilanciare la sua immagine internazionale, scossa dalle vicende africane. Muovendo dall’Albania, annessa nel 1939, Mussolini ordina all’esercito di “spezzare le reni alla Grecia”. Si tratta di una campagna militare difficilissima, sia per la resistenza dell’esercito greco, sia per l’aiuto militare che a esso fornisce l’esercito britannico; gli Italiani si trovano in grave difficoltà, tanto che la loro stessa base di partenza albanese viene minacciata. La Germania è costretta a intervenire in entrambi i teatri di guerra, per impedire la sconfitta dell’alleato italiano.
Un corpo di spedizione tedesca comandata dal feldmaresciallo Rommel (1891-1944) viene inviato in Africa settentrionale (febbraio 1941) per aiutare gli Italiani. Le truppe italo-tedesche in poche settimane sconfiggono gli Inglesi, che arretrano fino a cento chilometri da Alessandria. La caduta della città segnerebbe un’importante vittoria per le truppe dell’Asse, con il controllo sul canale di Suez e sui rifornimenti che attraverso di esso passano, provenienti dall’Estremo Oriente e diretti in Inghilterra. Contemporaneamente, Hitler decide un intervento nei Balcani. Qui la Jugoslavia, dopo avere stipulato un trattato di alleanza con la Germania, ha ribaltato la sua politica estera firmando un trattato con l’Unione Sovietica. Il governo tedesco, che si è già posto l’obiettivo di un attacco preventivo alla Russia, decide di tagliare il nodo jugoslavo e la resistenza greca. Un corpo di spedizione tedesco conquista la Jugoslavia e subito dopo, assieme agli Italiani, conduce una rapida e vittoriosa offensiva contro la Grecia.
Nell’estate del 1941 Hitler ha già deciso di stracciare il patto di non aggressione con la Russia di Stalin (1879-1953). Non essendo riuscito a costringere alla resa la Gran Bretagna, Hitler deve prevenire il pericolo di un’alleanza tra quest’ultima e l’URSS, che finirebbe per schiacciare il terzo Reich, da qui l’esigenza di una guerra rapida contro l’Unione Sovietica, che consenta alla Germania di impossessarsi delle enormi risorse minerarie e petrolifere di questo Paese e di eliminare per sempre il bolscevismo dalla scena politica mondiale.
Stalin da parte sua, pur avendo avuto informazioni sui preparativi tedeschi, non crede fino all’ultimo che Hitler voglia attaccare l’URSS. Il dittatore comunista ha adempiuto con scrupolo alle clausole del trattato russo-tedesco ed è giunto al punto di pensare a un’alleanza militare con le forze dell’Asse; la propaganda comunista ha perciò ribaltato i suoi temi politici e, attraverso i partiti della terza Internazionale, sostiene ora le responsabilità dei Franco-Inglesi in una guerra imperialistica da loro voluta per il controllo dei mercati mondiali.
Il 22 giugno un esercito composto da 3 milioni di uomini, in gran parte tedeschi, ma anche finlandesi, romeni, ungheresi e italiani, con 10mila carri armati e 3mila aerei attacca l’Unione Sovietica. Entro ottobre i successi tedeschi appaiono enormi, poiché gli aggressori hanno conquistato gran parte dell’Ucraina, i Paesi baltici, la Bielorussia e la Crimea settentrionale e sono entrati in profondità nella Russia Bianca; gli obiettivi ultimi sono Leningrado e Mosca. L’esercito russo ha perduto milioni di uomini e una quantità enorme di materiali bellici, tuttavia il maresciallo Zukov lo riorganizza e l’armata rossa salva Mosca dalla conquista; contemporaneamente blocca l’avanzata tedesca e in dicembre è in grado di lanciare una controffensiva, costringendo i Tedeschi ad arretrare di un paio di centinaia di chilometri. A quel punto il fronte si stabilizza fino a primavera. All’inizio della buona stagione, nel 1942, le armate tedesche attaccano in direzione del Don e del Volga meridionale, del Caucaso e del Mar Caspio. L’obiettivo è quello di impadronirsi delle riserve petrolifere della regione e di tagliare i rifornimenti che da sud gli Stati Uniti e, in minor misura, l’Inghilterra fanno pervenire all’esercito sovietico. Ancora una volta le armate tedesche conquistano ampi territori ma sono fermate presso Stalingrado (luglio 1942) e nella città inizia un battaglia durissima, casa per casa, in cui è perduta una quantità enorme di uomini sia da parte tedesca, che russa. Stalingrado diventa il simbolo della resistenza antifascista.
Nel corso del 1942, dunque, la potenza nazista ha raggiunto in Europa la sua massima espansione territoriale. Il perno del suo impero è costituito dalla Grande Germania, un Paese di cento milioni di uomini cui il governo tedesco è in grado di offrire, nonostante la guerra, condizioni di vita incomparabilmente migliori di quelle di tutti gli altri popoli d’Europa. Ma la guerra-lampo è finita e Hitler deve adeguare l’economia di guerra del suo Paese alle nuove esigenze di un conflitto che ha assunto il carattere di guerra di usura di uomini e di mezzi materiali. Da qui un nuovo programma economico, fondato sulla drastica riduzione dei beni di consumo, la cui produzione viene trasferita nei territori occupati dall’esercito tedesco e alimentata con le risorse economiche sottratte ai popoli di questi territori. In Germania, invece, vengono concentrate le industrie belliche il cui tasso di sviluppo assume un andamento elevatissimo, più che triplicando tra il 1942 e il 1944. Poiché il Reich non ha la manodopera e le risorse materiali sufficienti per questo enorme sforzo bellico, lo Stato tedesco organizza un sistema di sfruttamento generalizzato di tutte le risorse economiche dei Paesi occupati, che sono praticamente a costo zero per l’industria tedesca; quanto alla manodopera il ministro Sauckel, a partire dal marzo 1942, programma il reclutamento forzato di lavoratori in tutti i Paesi occupati e il loro trasferimento coatto in Germania. Si calcola che il programma sia riuscito a portare in Germania almeno cinque milioni di lavoratori in gran parte russi, polacchi, ma anche francesi, italiani ecc. Se l’esercito tedesco, colpendo inesorabilmente ogni sia pur larvata forma di opposizione, rispetta tuttavia i popoli dell’Occidente e ad alcuni di loro (Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Francia di Vichy ecc.) riserva il privilegio di autogovernarsi, ottenendo senza alcuno sforzo le risorse necessarie alla Germania attraverso governi collaborazionisti, ai popoli slavi, invece, sulla base del razzismo ariano, sostanza del nazismo, riserba il trattamento riservato ai subuomini. I massacri non si contano e non hanno spesso spiegazione militare; ma c’è ancora, nell’impero hitleriano, un ulteriore e più basso gradino. È quello riservato agli Ebrei e, sullo stesso livello, ai comunisti (categoria in cui vengono compresi tutti i prigionieri di guerra russi) e antifascisti in genere. Per costoro il governo tedesco organizza la “soluzione finale”, quella che eliminerà per sempre un’umanità considerata responsabile dei mali del mondo in genere, e di quelli tedeschi in specie. Una rete di campi di concentramento, dislocata nelle zone della Germania e della Polonia dove più elevato si presenta il numero degli Ebrei, raccoglie, per il momento, milioni di prigionieri, provenienti da tutta l’Europa.
Il nuovo ruolo degli Stati Uniti e la guerra nel Pacifico
Anche senza le notizie, tenute nascoste, sulla sorte riservata agli Ebrei e ai nemici del Reich, lo spettacolo che l’Europa offre all’esterno è tuttavia chiarissimo. La modificazione che le vittorie tedesche hanno prodotto nell’Europa occidentale preoccupano profondamente l’opinione pubblica e il governo americano, che pure allo scoppio del conflitto ha assunto una posizione di neutralità. Ma la sconfitta francese e la prospettiva di una prossima invasione dell’Inghilterra provoca un cambiamento di rotta. Nel novembre del 1940, alle elezioni presidenziali, contro ogni tradizione precedente, Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) si presenta per la terza volta e viene rieletto nel segno della continuità della politica americana in un momento drammatico per la vita del mondo. La rielezione segna la messa in soffitta definitiva della politica isolazionista. Agli inizi del 1941 con la legge “affitti e prestiti”, gli Stati Uniti diventano l’arsenale della democrazia, poiché enormi quantità di materiali e tecnologia bellica vengono donati all’Inghilterra con impegni assai dilazionati di pagamento. Nel corso dell’anno, dopo l’attacco tedesco alla Russia, mettendo in disparte ogni pregiudiziale ideologica, gli USA riforniscono allo stesso modo lo sforzo bellico sovietico. Il 14 agosto 1941, Roosevelt e Churchill si sono incontrati al largo di Terranova, firmando la Carta atlantica, un documento che sostanzialmente richiama i 14 punti con cui Wilson aveva portato gli USA nella prima guerra mondiale e proclama che quella attuale è una guerra contro il nuovo ordine nazifascista. L’intervento in guerra degli Stati Uniti è tuttavia anticipato dall’attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941.
Le conseguenze della guerra in Europa sono state altrettanto rilevanti nei continenti in cui le potenze europee hanno grandi possedimenti coloniali. La sconfitta della Francia e la nascita del governo di Vichy, lasciano in mano a quest’ultimo, a norma del trattato di pace con la Germania, l’impero coloniale francese. Ma in Estremo Oriente, il Giappone che nel settembre 1940 è entrato nel patto tripartito assieme a Germania e Italia e, agli inizi dell’anno successivo, ha stipulato un patto di non aggressione con l’URSS, approfitta delle difficoltà militari dei Franco-Inglesi per lanciare una grande offensiva contro i loro possedimenti coloniali. Tra la fine del 1940 e il luglio dell’anno successivo il Giappone attacca e conquista l’Indocina francese, mentre continua il lungo conflitto tra Giappone e Cina nazionalista. L’imperialismo giapponese tuttavia, analogamente a quello hitleriano, provoca la reazione degli Stati Uniti, che nel maggio del 1941 estendono la legge “affitti e prestiti” anche alla Cina nazionalista, inviando altresì consiglieri militari, mentre, dopo il completamento dell’occupazione militare dell’Indocina, Roosevelt sospende i rifornimenti petroliferi di cui il Giappone ha estremo bisogno. A questo punto il governo giapponese del principe Konoe (1891-1945) apre trattative diplomatiche con il governo americano, che tuttavia falliscono di fronte alla richiesta americana che venga riconosciuta l’indipendenza della Cina nazionalista e il Giappone ritiri le sue truppe dal Paese. Il fallimento delle trattative determina la caduta del moderato Konoe e l’avvento al potere del generale Tojo (1884-1948), fautore di una soluzione militare. Secondo la tradizione della potenza giapponese, viene predisposto segretamente un piano in grado di distruggere a Pearl Harbor la flotta americana del Pacifico, che viene colta di sorpresa dalla formazione aereonavale giapponese comandata dall’ammiraglio Yamamoto (1884-1943).
Nel corso del conflitto si viene precisando la consistenza e il valore del nuovo ordine proposto nel Pacifico dall’impero nipponico. I Giapponesi si presentano agli asiatici con una credenziale politica di notevole valore propagandistico. L’Asia agli asiatici è infatti un idea guida, di matrice nipponica, che gode di notevoli simpatie presso le opinioni pubbliche e i partiti nazionalisti di tutto il continente. Il progetto giapponese di “coprosperità” assume, inoltre, un carattere antimperialista ponendo come obiettivi del conflitto la liberazione dell’Asia dalla presenza del colonialismo inglese, francese e olandese e, nel Pacifico, di quello statunitense. In effetti nella fase di massima espansione dell’impero nipponico, esso presenta caratteristiche di un certo interesse per alcuni Paesi che vengono liberati dalla colonizzazione europea. Esso infatti prevede l’assoggettamento diretto al Giappone di Hong-Kong, Singapore, Borneo, Nuova Guinea e Timor; la Malesia e l’Indonesia, pur usufruendo di una certa autonomia, sono sotto la tutela militare ed economica del governo nipponico; formalmente indipendenti, pur con legami politici e militari assai stretti, il Manchukuo, la Cina, il Siam, la Birmania, l’Indocina, le Filippine. D’altra parte i principi guida di questa alleanza, almeno formalmente, sono quelli della fratellanza fra le nazioni asiatiche, dello sforzo comune per lo sviluppo economico, della lotta alle discriminazioni razziali, che vengono codificati in una conferenza internazionale tra gli Stati alleati del Giappone svoltasi a Tokyo nel novembre del 1943. È vero che tra questi principi e la realtà dell’occupazione militare giapponese di un Paese come la Cina, passano differenze assai rilevanti, tanto che sia i nazionalisti che i comunisti cinesi aderiscono alla lotta contro l’imperialismo giapponese; ma è vero altresì che il colonialismo europeo in Estremo Oriente è fortemente screditato, per i valori non certamente umanitari che l’avevano caratterizzato in passato e che continuano a contraddistinguerlo in certe aree asiatiche.
Per tutto il primo semestre del 1942 la flotta nipponica è all’offensiva e gli obiettivi di guerra giapponesi si fanno sempre più ambiziosi tanto che ormai mirano alla conquista del continente australiano. Proprio in vista dello sbarco in questa area, un grande convoglio di truppe viene intercettato e distrutto dagli Americani nel mar dei Coralli; un mese dopo, nel giugno di quell’anno, una nuova grande battaglia navale presso le Midway frena l’espansione nipponica. Ma è a partire dal luglio che si svolge la battaglia più importante a Guadalcanal, che è stata conquistata dai Giapponesi e che gli Americani considerano di notevole importanza strategica. Dopo sei mesi di scontri durissimi gli Americani riescono a prevalere.
Alla fine dell’anno l’apparato industriale americano ha completamente riassorbito le perdite inferte alla flotta nell’attacco di sorpresa dell’anno prima e all’inizio del 1943 è in grado di assicurare al Paese una superiorità schiacciante dal punto di vista degli armamenti. L’ammiraglio Nimitz (1885-1966) e il generale MacArthur (1880-1964) devono scegliere a questo punto la strategia militare più opportuna per aprire la fase offensiva nelle operazioni belliche contro i Giapponesi. Scartata la possibilità di una riconquista isola per isola delle posizioni tenute dai giapponesi, perché nel Pacifico esse sono migliaia e costerebbero un prezzo in vite umane che il governo americano non è disposto a pagare, la scelta più opportuna appare quella del cosiddetto “salto dei montoni”. Si tratta cioè di individuare alcune basi strategiche importanti nel sistema difensivo nipponico, di procedere alla loro conquista con grande spiegamento di mezzi e di uomini, per poi “saltare” dalla base occupata a quella successiva, senza preoccuparsi delle miriadi di guarnigioni giapponesi abbandonate nel Pacifico. Tra la fine del 1943 e la fine dell’anno successivo le forze dell’ammiraglio Nimitz attaccano le Marshall, Saipan nelle Marianne, Guam. Poi le formazioni americane sotto il comando di MacArthur attaccano la Nuova Guinea settentrionale e infine dopo mesi di lotta le Filippine con la capitale Manila. Ora la marina e l’aviazione statunitense possono bombardare per la prima volta le isole giappponesi e colpire la stessa capitale Tokyo (novembre 1944).
Il cambio di rotta sui fronti europei e in Africa
La fine del 1942 si rivela un momento di estrema importanza anche sul fronte europeo e mediterraneo; all’origine di questa nuova fase del conflitto va posto l’ingresso in guerra degli Stati Uniti contro le potenze dell’Asse. Nel Nord Africa, l’esercito inglese del generale Montgomery, già ridotto a malpartito da Rommel, riceve importanti rinforzi e alla fine di ottobre torna all’offensiva; ai primi di novembre si svolge la battaglia di El Alamein, decisiva per le sorti del conflitto in quest’area vitale per le comunicazioni mondiali. Le truppe italo-tedesche sono nettamente battute e sono costrette a ritirarsi nelle basi libiche. A pochi giorni di distanza il generale Dwight Eisenhower (1890-1969), al comando di un corpo di spedizione alleato (di cui fanno parte sia Anglo-americani, che Francesi, organizzati dal generale de Gaulle (1890-1970) in un governo in esilio, sotto la denominazione Francia Libera) sbarcano in Marocco e in Algeria, iniziando l’avanzata verso Tunisia e Libia. Assieme alle truppe di Montgomery (1887-1976), che muovono dalla direzione opposta, stringono in una morsa le truppe dell’Asse rimaste in Africa costringendole ad arrendersi il 12 e 13 maggio 1943.
El Alamein è tuttavia solo la prima di una serie di sconfitte del nazifascismo. A Stalingrado è in corso un’altra delle battaglie che decide il corso del conflitto europeo. I Tedeschi lanciano nella lotta per la conquista della città il meglio dei loro reparti sul fronte orientale, ma la resistenza russa è durissima, alla fine di novembre i Sovietici sono in grado di lanciare una controffensiva e i Tedeschi sono costretti a indietreggiare. Hitler ordina personalmente al maresciallo comandante le sue truppe a Stalingrado di resistere a oltranza, ma il 2 febbraio 1943 von Paulus (1880-1957) firma la resa e le forze armate tedesche sono in rotta al di là del Don. Assieme a loro un corpo di spedizione italiano di 220 mila uomini, male armati e peggio equipaggiati che il governo fascista ha inviato al seguito tedesco fin dal giugno del 1941. La metà dei soldati italiani non torneranno mai più in patria.
Il successo di Stalingrado ha enormemente elevato il prestigio dell’armata Rossa in tutto il mondo, il dittatore comunista è in grado di spendere la grande notorietà che gliene è derivata chiedendo agli Alleati di aprire un secondo fronte in Europa che costringa i Tedeschi a combattere su due fronti, diminuendo le proprie forze sul fronte orientale. Gli Alleati ritengono più prudente mettere piede sul continente a partire dalla regione peggio difesa dalle truppe dell’Asse e predispongono lo sbarco in Sicilia. Nel giugno viene conquistata l’isola di Pantelleria, il 10 luglio un corpo di spedizione alleato sbarca in Sicilia, a metà agosto essa è tutta in mano agli invasori. La debole resistenza italo-tedesca sottolinea la bontà della scelta strategica di Eisenhower.
Il conflitto in Italia
L’Italia è la prima delle potenze dell’Asse a essere costretta a chiedere l’armistizio e ciò conferma la debolezza militare del Paese, che per tutto il corso del conflitto si è manifestata in maniera indubbia, tanto da relegare la presenza italiana nelle diverse aree della guerra in una posizione di second’ordine, non dissimile da quella di altri Paesi alleati della Germania. La popolazione italiana ha subito un netto peggioramento delle condizioni di vita, dovuto alla chiusura dei mercati di approvvigionamento di materie prime, di cui la sua economia ha tradizionalmente bisogno. Le conseguenze della guerra sono peraltro assai gravose sulla popolazione civile, poiché le città italiane, soprattutto quelle, come Napoli, situate sulla costa, diventano bersaglio di bombardamenti ripetuti da parte delle squadre aeronavali britanniche. Quando sopraggiungono i rinforzi americani, gli Alleati adottano la tattica di far precedere le loro azioni di sbarco da pesanti bombardamenti su obiettivi civili e militari. Conseguentemente, soprattutto nel corso della primavera-estate del 1943, la popolazione si riduce a vagare per la campagna alla ricerca di un rifugio contro le incursioni e di generi alimentari per la sopravvivenza. Nel corso del conflitto, la produzione agricola si dimezza tra il 1939 e il 1945, quella industriale, di fronte alla crisi della vita urbana, subisce un tracollo ancora più radicale e diminuisce del 70 percento. Di fronte a queste cifre bisogna porre quelle del numero degli iscritti al Partito Fascista, che nel giugno del 1943 sfiora i cinque milioni di persone. L’iscrizione è divenuta durante la guerra strumento di modesto privilegio sociale, in virtù del quale si possono ricevere quei vantaggi, alimentari e nei servizi pubblici, che rendono un po’ meno disagiata la vita nell’età dell’economia delle tessere e del mercato nero. Non stupisce, perciò, che dopo la notizia dell’arresto di Mussolini a opera del sovrano Vittorio Emanuele III (1869-1947) e della sua sostituzione con il generale Pietro Badoglio (1871-1956), il Paese manifesti il suo antifascismo, o quanto meno scompaiano improvvisamente i simboli che hanno dominato per vent’anni la vita del Paese.
In realtà la maggior parte degli Italiani compie un errore di valutazione, poiché scambia la caduta del fascismo e la cattura di Mussolini, che non ha determinato in alcun modo, con la fine della guerra e dei travagli e lutti ad essa connessi. La destituzione di Mussolini è invece una vicenda interna all’oligarchia dirigente del Paese. A sollecitarla è in primo luogo lo stesso vertice del PNF, il Gran Consiglio, che Mussolini ha trasformato nel 1923 in un organismo semipubblico di collegamento tra il partito e il vertice dello Stato. Il 24 luglio 1943, dopo lunghe consultazioni tra i maggiori gerarchi del partito, coscienti che dopo lo sbarco alleato in Sicilia e il fallimento dei modesti tentativi di respingerli in mare, la guerra per il Paese è irrimediabilmente perduta, viene presentato al voto un ordine del giorno redatto da Dino Grandi, con il quale sostanzialmente si individua nella dittatura di Mussolini la responsabilità della sconfitta del Paese, per cui si chiede il ritorno allo Statuto, l’abolizione delle strutture dello Stato totalitario e la riassunzione da parte del re delle sue prerogative costituzionali. Votato dal Gran Consiglio con una maggioranza schiacciante (diciannove sì contro solo sette no), il documento diviene la base dell’azione della monarchia, che tuttavia, una volta proceduto il giorno seguente all’arresto di Mussolini e alla formazione del governo Badoglio, tralascia qualunque rapporto con i gerarchi del PNF.
Il nuovo governo rassicura immediatamente gli alleati tedeschi che l’Italia non ha intenzione di uscire dal conflitto, ma questi non si fidano né del re, né di Badoglio e organizzano un piano per garantirsi il controllo militare della penisola, in caso di “tradimento” italiano. Nello stesso tempo un loro reparto armato riesce a liberare Mussolini, tenuto prigioniero sul Gran Sasso d’Italia. Gli spazi di manovra del re e di Badoglio si presentano perciò ristrettissimi, tanto più che nei primi contatti segreti presi con i rappresentanti delle truppe alleate ricevono la richiesta della resa senza condizioni, rafforzata da un’intensificazione dei bombardamenti sulle città italiane. Le manifestazioni di giubilo della popolazione per la caduta del fascismo coincidono con il riemergere dalla clandestinità dei partiti antifascisti, ma il governo, timoroso che questo possa minacciare l’azione delicatissima del governo e, in prospettiva, trasformarsi nella delegittimazione della monarchia sabauda (che nel giudizio degli antifascisti viene quasi concordemente indicata come corresponsabile della guerra assieme al fascismo) adotta una politica di dura repressione del dissenso antifascista. Nel frattempo, mentre i Tedeschi portano a termine l’invio in Italia di alcune divisioni, il governo e i rappresentanti alleati firmano a Cassibile, in Sicilia, l’armistizio, fissando per l’8 settembre la data in cui verrà reso noto. Il governo, nel tentativo di mantenere il segreto fino all’ultimo, lascia senza alcuna direttiva le autorità locali, i comandanti delle truppe al fronte, i responsabili dell’ordine pubblico. Il trapasso all’armistizio diviene perciò un fatto traumatico per le strutture statali, che quel giorno si dissolvono, e per l’esercito. Mentre il 9 settembre il re e il governo Badoglio abbandonano Roma, preoccupati da una rappresaglia tedesca che si concreterebbe nella loro cattura, e raggiungono Brindisi dove arrivano le truppe alleate, sbarcate il 3 settembre a Reggio Calabria; l’esercito italiano nei vari teatri di guerra assume atteggiamenti contraddittori. La maggior parte dei soldati che può farlo abbandona i reparti e torna, come può, a casa; là dove i Tedeschi compiono azioni di rappresaglia nei confronti dei reparti italiani, la maggioranza dei militari si arrende e viene fatta prigioniera, una minoranza invece reagisce, ad esempio a Roma e nelle isole greche, provocando la durissima risposta tedesca che passa per le armi intere guarnigioni italiane.
A qualche mese di distanza dall’armistizio la situazione politica del Paese appare caratterizzata dalla frantumazione dell’unità dello Stato. Nell’Italia settentrionale e centrale si è costituito il 23 settembre uno Stato Quisling della Germania, la Repubblica di Salò, guidato da Mussolini, con un proprio esercito che svolge una funzione sussidiaria rispetto alle armate tedesche, impegnate sul fronte di Cassino, prima, e sulla linea gotica, poi, per impedire l’avanzata verso nord delle truppe alleate. Nelle province pugliesi e in quelle sarde, le prime occupate dagli Alleati, le seconde prive di truppe tedesche, si è costituito il Regno del Sud, che ha come sovrano Vittorio Emanuele III e come governo quello del maresciallo Badoglio. Nel resto dell’Italia meridionale vige il regime di occupazione alleato (AMG) che amministra la Sicilia, la Calabria ed entro il 1°ottobre raggiunge Napoli e la Campania. Il piccolo Stato monarchico riesce tuttavia nell’ottobre a farsi riconoscere dagli Alleati la condizione di “cobelligerante” contro i nazifascisti, che se crea una situazione di guerra civile tra la Repubblica di Salò e il Regno del Sud, nel contempo consente ai Savoia di premere sugli Alleati perché vengano restituite al legittimo Stato italiano le province dell’Italia meridionale che sono ormai lontane dalle operazioni belliche. In effetti nel febbraio 1944 tutti i territori a sud di Napoli vengono ceduti alla monarchia sabauda e la capitale provvisoria dello Stato viene spostata da Brindisi a Salerno, in attesa della liberazione di Roma che consente nel giugno successivo di riportarla in questa città.
Mentre il Paese sembra dissolversi, il 9 settembre, a Roma i rappresentanti di sei partiti antifascisti (Democrazia Cristiana, Partito Liberale, Democrazia del Lavoro, Partito d’Azione, Partito Socialista e Partito Comunista) decidono di unirsi in Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), “per chiamare gli Italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”. I partiti del CLN sono costretti ad operare clandestinamente nell’Italia centro-settentrionale, dove tuttavia organizzano, assieme ai soldati datisi alla macchia, gruppi di partigiani e operazioni di guerriglia nelle campagne e nelle città, che tendono a coordinarsi tra loro e con le operazioni militari alleate. Al sud invece l’attività dei partiti del CLN si esplica apertamente, ma nel congresso di Bari che si svolge nel gennaio 1944 la grande maggioranza dei gruppi antifascisti nega la propria collaborazione al governo Badoglio e alla monarchia sabauda, giudicata corresponsabile del fascismo.
Una svolta si produce nel marzo successivo, quando l’Unione Sovietica è la prima delle potenze antifasciste a riconoscere il governo Badoglio come legittimo rappresentante dell’Italia unita. La politica sovietica, interessata all’unità d’azione con tutti gli Stati in grado di lottare contro la Germania, subisce anche il condizionamento del segretario del Partito Comunista, Palmiro Togliatti (1893-1964), che a fine mese rientra in Italia convinto che le esigenze della lotta contro il nazifascismo impongano alle forze politiche antifasciste di accantonare la questione delle responsabilità dei Savoia; si dichiara disponibile a collaborare con il proprio partito a un nuovo governo Badoglio e spinge gli altri partiti del CLN a fare altrettanto. La svolta di Salerno, come è poi divenuta nota la proposta di Togliatti al CLN, consente per la prima volta la formazione di un gabinetto in cui sono rappresentati i partiti e gli uomini dell’antifascismo, mentre il sovrano Vittorio Emanuele III si impegna a trasmettere il proprio potere al figlio Umberto non appena Roma sarà liberata, nonché a sottoporre a referendum popolare, dopo la guerra, la forma istituzionale dello Stato.
A partire dal giugno 1944, perciò, luogotenente generale dello Stato diviene Umberto II (1904-1983) mentre nasce un governo guidato da Ivanoe Bonomi (1873-1951) con i rappresentanti dei partiti del CLN. L’andamento della guerra ha riservato al fronte italiano un ruolo secondario, per cui le operazioni ristagnano sulla linea gotica, dove i Tedeschi riescono a mantenere le proprie posizioni. Nell’Italia settentrionale invece la guerra civile tra fascisti e antifascisti assume forme sempre più radicali; tanto più che la violenza fascista viene aiutata e sostenuta dall’esercito tedesco. I partigiani antifascisti a loro volta sono divisi in bande che tentano di avere una relativa omogeneità ideologica, per cui esistono formazioni partigiane comuniste, che sono la maggioranza, socialiste, di giustizia e libertà (un raggruppamento che si richiama al Partito d’Azione), monarchiche e cattoliche. La penetrazione dei gruppi partigiani è particolarmente forte nelle grandi fabbriche, dove si realizza una complessa dialettica politica. Da una parte infatti i nuclei antifascisti attivi in fabbrica hanno interesse a sabotare la produzione tutte le volte che essa può assumere un valore militare per i Tedeschi, dall’altra i sindacati clandestini devono evitare che i Tedeschi e i fascisti cerchino di smantellare i grandi impianti industriali per trasferirli in Germania, come avviene per alcuni impianti siderurgici particolarmente avanzati. Non mancano le grandi dimostrazioni di forza della classe operaia come il grande sciopero generale con chiari intenti resistenziali che paralizza le fabbriche di Torino, Milano e Genova tra il primo e il 9 marzo 1944, a un anno di distanza dall’altro proclamato con il fascismo ancora al potere.
D’altra parte il regime di Salò, dopo avere processato e condannato a morte alcuni dei responsabili del voto del Gran Consiglio del 24 luglio, tra cui lo stesso genero di Mussolini, Galeazzo Ciano (1903-1944), pone in essere provvedimenti che richiamano le origini radicali del fascismo sansepolcrista. Tra di essi un programma di socializzazione delle grandi imprese, che viene annunciato nel febbraio del 1945, ma che suscita scarso interesse nel mondo operaio.
Nel resto del Paese invece le forze politiche antifasciste si predispongono ad assumere un ruolo politico di governo all’indomani della fine della guerra. Il dramma della guerra in corso e dello scontro civile, la divisione del Paese e i rischi connessi con l’essere considerati potenza sconfitta pongono ai partiti l’esigenza di iniziare subito il processo al fascismo, che non può solo rappresentare l’accertamento delle responsabilità del duce del fascismo e dei suoi alti gerarchi e della stessa monarchia, bensì anche quelle dei ceti sociali che ne hanno favorito l’accesso al potere; che hanno usufruito dei benefici che il regime ha pur distribuito a certe fasce sociali; che sono stati conniventi, se membri della pubblica amministrazione, con il regime fino a macchiarsi di colpe gravi nei confronti del popolo italiano. Da qui la dialettica ideologica che risorge vivacissima, tra marxisti e cattolici, tra liberali e democratici, tra monarchici e repubblicani.
Intanto la guerra non è conclusa, ma nell’Italia settentrionale le formazioni partigiane rafforzano la loro azione militare antitedesca; nel gennaio 1944 è nato il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), con compiti di coordinamento operativo dei CLN locali. Si tratta di un lavoro assai proficuo a giudicare dai risultati dell’impegno di lotta dei partigiani, che nel solo mese di ottobre di quell’anno arrivano a impegnare fino a otto divisioni tedesche; in alcune località temporaneamente libere dal controllo militare nazifascista si creano repubbliche partigiane (nelle Langhe, in Valsesia, in Val d’Ossola ecc.), con forme di autogoverno popolare. Nel dicembre successivo il CLNAI viene riconosciuto come interlocutore politico militare dagli Alleati, che ne chiedono la trasformazione in Corpo Volontari della Libertà, sottoposto al comando del generale Luigi Cadorna, con vice comandante il comunista Luigi Longo (1900-1980) e l’azionista Ferruccio Parri (1890-1981).
Quando l’offensiva alleata travolge le difese tedesche nell’Italia centrale il CLNAI dà l’ordine dell’insurrezione generale per liberare le città e assumere i poteri di governo provvisorio. È il 25 aprile 1945, i Tedeschi si arrendono dovunque, la repubblica sociale si disgrega e Mussolini tenta la fuga verso la Svizzera, assieme alla sua compagna Claretta Petacci (1912-1945). Riconosciuti, vengono catturati e uccisi.
Dallo sbarco in Normandia alla resa del Giappone
Nella conferenza di Teheran di fine novembre 1943, Churchill, Roosevelt e Stalin trovano un accordo sulla richiesta russa che venga aperto un nuovo fronte d’attacco in Europa occidentale, tale da rendere meno gravoso il compito delle truppe sovietiche sul fronte orientale; è risultato infatti evidente che il fronte italiano, se ha prodotto la caduta del fascismo, per le caratteristiche orografiche della penisola favorisce l’attività difensiva dei Tedeschi, mentre non consente il pieno dispiegarsi della grande capacità offensiva alleata.
La scelta della regione d’Europa in cui aprire questo terzo fronte diviene motivo di polemica tra gli Alleati. Churchill vorrebbe che venisse scelta la penisola balcanica, risalendo la quale sarebbe possibile fare entrare sotto il controllo degli Angloamericani un territorio assai vasto su cui si esercitano da secoli le mire espansionistiche russe. Il Primo ministro inglese ha già rivolto la sua attenzione alla sistemazione europea del dopoguerra, per cui le sue proposte risentono di un clima di diffidenza verso la potenza sovietica mai totalmente dissoltosi nella classe dirigente britannica. Roosevelt tuttavia ritiene decisamente più favorevole da un punto di vista strategico un attacco alleato in Francia e d’altra parte non vuole esasperare i contrasti tra Inghilterra e URSS.
Dopo mesi di preparazione, il 6 giugno 1944 si avvia lo sbarco in Normandia di un esercito di almeno tre milioni di uomini, con un enorme apparato bellico costituito da circa 1200 navi da guerra e 13 mila aerei. A questo formidabile apparato, la Germania oppone qualche centinaio d’aerei e soprattutto le difese del “vallo atlantico” che, nelle intenzioni degli ideatori, avrebbe dovuto impedire lo sbarco alleato previsto su Calais. La sorpresa per i Tedeschi è totale e si ripete, questa volta a loro danno, la beffa subita agli inizi della guerra dai Francesi con la linea Maginot. Un corpo di spedizione della “Francia libera” guidato dal generale de Gaulle sbarca in Provenza, minacciando di chiudere in una manovra a tenaglia l’esercito tedesco. In questa occasione Hitler ordina di distruggere Parigi, ma per rispetto alla civiltà e alla cultura di tutto un continente il comandante tedesco non obbedisce agli ordini del Führer e la città, che nel frattempo è insorta, viene liberata dalle truppe di de Gaulle (18 agosto).
Nel settembre del 1944 la Francia e il Belgio sono nelle mani degli Alleati, mentre sul fronte orientale, già ai primi dell’anno, le truppe sovietiche hanno respinto i Tedeschi dalla Crimea e dall’Ucraina, nell’agosto sono giunti in Polonia, dove scoppia un’insurrezione contro la presenza tedesca, l’anima della quale è rappresentata dal ghetto ebraico. È forse l’unico grande episodio di ribellione armata del popolo ebraico al genocidio di cui è divenuto oggetto da parte tedesca; i Russi tuttavia non affrettano le loro operazioni militari e le truppe tedesche hanno l’opportunità di reprimere con spaventosa efficacia la rivolta della città. Prosegue invece nei mesi successivi la liberazione degli Stati della penisola balcanica a opera delle truppe sovietiche, a eccezione della Grecia, che ai primi di ottobre viene occupata dalle truppe inglesi, mentre a nord le truppe sovietiche dilagano negli Stati baltici. Agli inizi del 1945, mentre anche il fronte italiano dà segnali di movimento e riprende la spinta verso il nord, le truppe alleate e quelle sovietiche sono giunte in Germania. Il Führer dà l’ordine di fare terra bruciata sullo stesso territorio tedesco, egli è ancora convinto che alcune armi segrete che gli scienziati tedeschi, tra cui Wernher von Braun (1912-1977), il padre della missilistica moderna, hanno predisposto possano rovesciare le sorti del conflitto. In effetti le prime bombe volanti, le V1, sono state lanciate contro le città inglesi, ma sono strumenti rudimentali e imprecisi; assai più micidiali si rivelano invece le V2, missili che viaggiano a velocità supersonica e che non sono intercettabili dai sistemi difensivi britannici; ma l’esito disastroso anche di queste ultime incursioni tedesche non muta l’evoluzione del conflitto, ampiamente deciso sul piano strategico.
Bombardamenti a tappeto delle città tedesche, alcuni dei quali distruggono completamente la città di Dresda e fanno almeno centomila morti, non intaccano la resistenza dei Tedeschi e soprattutto la decisione di Hitler di proseguire fino alla fine il martirio dei suoi connazionali. D’altra parte i Tedeschi e il loro esercito non si ribellano alla lucida follia del Führer; nel luglio dell’anno precedente, in verità, un eroe di guerra tedesco, il colonnello Klaus von Stauffenberg (1907-1944), ha compiuto un attentato portando una bomba nel rifugio di Hitler, ma casualmente questi è sfuggito alle conseguenze dello scoppio e, come al solito, durissima si è scatenata la repressione nei riguardi dei congiurati. Molti sono alti ufficiali dell’esercito, tra i quali Erwin Rommel, ai quali viene data la possibilità di suicidarsi, in riconoscimento dei loro meriti nei confronti della Germania. Il 25 aprile Alleati e Russi si incontrano sul fiume Elba, mentre le truppe sovietiche investono Berlino. Il 30 aprile Hitler si suicida nel suo bunker berlinese, delegando i suoi poteri all’ammiraglio Karl Doenitz (1891-1980), che il 7 maggio firma la resa senza condizioni.
Anche in Estremo Oriente la guerra appare avviata verso l’inevitabile sconfitta nipponica, tuttavia ancora in aprile l’attacco americano a Okinawa, una delle isole dell’arcipelago giapponese, testimonia con i suoi 100 mila morti nipponici e 7 mila americani come la resistenza giapponese possa costare moltissimo in termini umani e militari all’esercito statunitense. In quello stesso mese è deceduto il presidente Roosevelt, al suo posto è subentrato Harry Truman (1884-1972) che si trova nelle mani l’opportunità di far cessare la guerra in Estremo Oriente. Gli scienziati americani, e tra essi anche il fisico italiano Enrico Fermi (1901-1954), hanno messo a punto a Los Alamos una scissione controllata dell’atomo di uranio, in virtù della quale si è reso possibile sviluppare un’enorme capacità distruttiva con una quantità relativamente irrisoria di materiale fissile. Si tratta della bomba atomica, che viene provata segretamente e per la sua spaventosa efficacia è considerata in grado di far cessare la resistenza giapponese. Truman, dopo un ultimatum al governo giapponese rimasto senza risposta, il 6 agosto fa sganciare la prima bomba atomica sulla città di Hiroshima, che in pochi attimi viene cancellata come realtà civile, mentre 90 mila abitanti muoiono per le conseguenze dello scoppio. Il 9 agosto, mentre la Russia dichiara guerra al Giappone e intraprende la conquista della Manciuria e della Corea, una seconda bomba atomica viene sganciata dagli Americani sulla città di Nagasaki, con esiti simili a quelli di Hiroshima. Il 2 settembre 1945 il Giappone firma l’armistizio che pone fine alla guerra.