La scienza in Cina: l'epoca Song-Yuan. Il momento Song: aspetti politici, demografici ed economici
Il momento Song: aspetti politici, demografici ed economici
La dinastia Song (960-1279) occupa una posizione paradossale nella storia dell'Impero cinese. Il ventennio di guerre e di pressioni diplomatiche, che vide la nuova dinastia assicurare la riunificazione della Cina frazionata delle Cinque Dinastie (907-960) e dei Dieci Regni (902-979), aprì incontestabilmente un'epoca di rinascite, quella della civiltà dei Song, che fu senza dubbio una delle più ricche, delle più brillanti e della più feconde della storia cinese. Tuttavia il nuovo potere era caratterizzato da una notevole debolezza militare, cosa che impedì, in un primo momento, di restaurare la sovranità sui territori che le grandi dinastie precedenti avevano controllato, e che fu anche causa, nel 1127, della perdita di tutta la Cina del Nord, dando vita alla dinastia dei Song meridionali (1127-1279) che succedettero ai Song settentrionali (960-1127). Malgrado questa frattura, la storia dei Song fu in realtà sottoposta sempre allo stesso pressante condizionamento; il potere dinastico doveva trovare i mezzi per integrare politicamente, fiscalmente ed economicamente regioni restate a lungo autonome e rivali, al fine di mobilitare risorse che gli potessero permettere di resistere ai suoi potenti vicini, mantenendo eserciti pletorici e versando tributi annuali in oro, argento e seta. Il centralismo burocratico e il reclutamento nella pubblica amministrazione basato sul sistema degli esami, le riforme istituzionali e l'attivismo, sia economico sia finanziario, dell'amministrazione, come pure lo sviluppo dell'economia monetaria e la crescita spettacolare delle città, sono tutti dati che la storiografia contemporanea interpreta come i segni della modernità dei Song e che costituiscono gli elementi della sfida in cui la nuova dinastia si trovò impegnata. La volontà di dirigere il cambiamento, ostentata dalle autorità, contribuì ampiamente alla realizzazione di queste trasformazioni; infatti, al di là dell'evoluzione demografica, della crescita della produzione o degli strumenti economici e finanziari, il cambiamento istituzionale rappresentava un elemento essenziale della strategia dello Stato di fronte al disordine che ereditava.
Prima ancora delle sue infelici campagne contro l'Impero Liao (916-1125), la cui frontiera meridionale si estendeva dal Nord della Corea all'Ordos, includendo il Nord delle attuali regioni dello Hebei e dello Shanxi ‒ Pechino e Datong avevano rispettivamente il rango di capitale meridionale e capitale occidentale dei Liao ‒, il secondo imperatore dei Song, Taizong (976-997), decise di consolidare la propria autorità incrementando il sistema di reclutamento dei funzionari attraverso esami. Dopo due secoli d'indebolimento del potere centrale, l'imperatore confermava la volontà ‒ già dimostrata dal generale Zhao Kuangyin, fondatore della dinastia Song ‒ di governare appoggiandosi in primo luogo all'apparato civile e ai letterati; gli esami apparivano in effetti come la via privilegiata per ampliare le basi sociali dell'autorità politica attraverso l'integrazione nella funzione pubblica delle differenti élite sociali formatesi durante il travagliato secolo precedente. Gli esami, il cui prestigio prevalse sugli altri sistemi esistenti ‒ raccomandazione, acquisto di un incarico, protezione di un parente che occupava un'alta posizione, promozione interna ‒, conobbero uno sviluppo molto rapido nell'anno 1000 quando circa 1500 candidati furono ammessi all'esame di Palazzo e tra questi 409 ottennero il titolo di jinshi ('studioso introdotto'); questo fu il numero più alto di letterati promossi nello stesso anno in tutta la storia della Cina imperiale. L'imparzialità esercitata nel reclutamento, l'estrema sofisticatezza dei sistemi d'assegnazione, di valutazione e di promozione dei funzionari resero la pubblica amministrazione una macchina meritocratica e burocratica capace di fare concorrenza in maniera efficace all'organizzazione militare, di cui la nuova dinastia diffidava dopo il suo avvento, fino a sostituirla definitivamente. D'altra parte, soltanto dopo che gli eserciti dei Song ebbero un'altra volta dimostrato la loro impotenza di fronte ai Liao, con la pace 'negoziata sotto le mura' nel gennaio 1005 da Zhenzong (998-1022, un imperatore di tendenze taoiste giudicato, senza dubbio a torto, un politico incapace), ebbe realmente inizio l'epoca d'oro dei letterati-funzionari.
L'emergere di questa burocrazia meritocratica rappresentava tuttavia soltanto uno degli aspetti della politica sviluppata dai primi imperatori per porre termine alle tendenze centrifughe e ricostruire l'unità imperiale; era necessario, infatti, anche dare all'amministrazione centrale i mezzi per controllare le finanze locali. Le prefetture operavano coordinandosi con il potere centrale e il potere finanziario era posto sotto il controllo di un 'amministratore generale' (tongpan); a partire dal 997, le prefetture furono raggruppate in vaste giurisdizioni amministrative, i circuiti (lu). La funzione dei commissari di circuito era quella di controllare e coordinare l'azione delle amministrazioni prefettizie; furono inoltre nominati 'commissari finanziari' (zhuanyun shi), 'commissari giudiziari' (ancha shi) e 'commissari per l'ordine pubblico' (anfu shi), i quali avevano competenza su territori spesso non coincidenti. La preoccupazione di separare l'autorità amministrativa e il potere finanziario era assai viva a livello delle istituzioni centrali; una potente Commissione delle finanze (sansi) si vide attribuire competenze che coincidevano ampiamente con quelle del Ministero delle finanze (hubu). Tale Commissione era di fatto direttamente sottomessa al sovrano, dato che un buon numero delle sue operazioni dipendeva dai prestiti consentiti dall'Erario imperiale (neiku).
Il lungo regno di Renzong (1023-1063) fu caratterizzato da una serie di crisi, la cui soluzione portò a un rafforzamento del potere dei letterati-funzionari. I Song, infatti, dovettero sostenere una nuova guerra fra il 1040 e il 1042 contro i Xi Xia (Xia occidentali, 1038-1227), che avevano fondato una dinastia tungusa a Nord-ovest dello Shaanxi e nella odierna regione del Ningxia. L'espansione dell'apparato militare, che giunse a essere composto da oltre un milione di uomini, apparve da quel momento come la causa principale e ricorrente delle difficoltà finanziarie dello Stato. L'autorità della dinastia dipendeva quindi, secondo i letterati-funzionari, dalla soluzione di questo deficit cronico.
L'ambizione della 'nuova politica', inaugurata fra il 1043 e il 1044 sotto l'autorità di Fan Zhongyan (989-1052), il capofila di un gruppo di funzionari tempratisi nelle campagne contro i Xi Xia, andava tuttavia oltre il semplice obiettivo di una migliore gestione delle finanze pubbliche. Accanto a una riforma del sistema di coscrizione della forza lavoro e a un richiamo alla priorità dell'agricoltura, la maggior parte delle misure raccomandate mirava direttamente a riformare l'amministrazione, ossia ad assicurare la promozione dei funzionari per merito più che per anzianità, a porre fine alle protezioni di cui godevano i figli delle grandi famiglie e a modificare il contenuto degli esami mettendo l'accento su prove che riguardassero la pubblica amministrazione. Preoccupati di garantire l'imparzialità, i riformatori si adoperarono per istituire un sistema di scuole pubbliche, dotandole di terre e di libri editi dal Direttorato dell'istruzione (guozi jian); nel 1104, queste istituzioni accolsero 200.000 studenti (quasi sei volte più dei 35.000 studenti ufficiali registrati a metà del XV sec., per una popolazione senza dubbio equivalente).
Dietro questo programma politico è evidente la preoccupazione di rafforzare la professionalità e la responsabilità dei funzionari, cosa che Fan riassumerà nella famosa frase: "L'uomo dabbene è il primo a preoccuparsi dei tormenti del mondo, e l'ultimo a godere delle sue gioie" (Quan Song wen, 386, p. 776). Nonostante le numerose divergenze, le richieste dei funzionari civili esprimevano una medesima convinzione, il potere centrale doveva mantenere la sua autorità esclusiva nella gestione delle finanze e l'apparato civile doveva contenere le richieste del potere militare per evitare i pericoli di disgregazione del secolo precedente, dal momento che i problemi militari continuavano in effetti a esercitare tutto il loro peso nella vita politica e istituzionale. Tali problemi dipendevano da diverse cause: in primo luogo, l'approvvigionamento delle truppe costringeva lo Stato ad affrontare spese enormi e a contrarre accordi con i mercanti che si trovavano a gestire vantaggiosamente tale attività; in secondo luogo, ogni decisione strategica per lo sviluppo pianificato del territorio doveva tenere conto dei dispositivi di difesa, come attestano le misure prese per far fronte alle deviazioni del corso del Fiume Giallo a partire dalla metà dell'XI sec.; infine, la debolezza degli eserciti, evidente dopo l'umiliazione inflitta loro dai Xi Xia, metteva in pericolo la sopravvivenza stessa della dinastia.
In questo difficile contesto storico, i letterati-funzionari, nella consapevolezza di aver ottenuto per meriti il proprio posto all'interno dell'amministrazione, cercavano di elaborare nuove forme di controllo. Questa tendenza culminò nel programma della seconda riforma che Wang Anshi attuò sotto l'autorità del giovane imperatore Shenzong (1068-1085).
L'obiettivo dichiarato era quello di riprendere la vecchia parola d'ordine "arricchire lo Stato e rafforzare l'esercito"; si trattava di accrescere le entrate pubbliche, aumentando la produzione agricola ma anche, con un'idea veramente rivoluzionaria e grazie alla creazione di particolari istituzioni, facendo concorrenza in maniera sistematica ai proprietari fondiari e ai mercanti, i cui profitti impedivano l'arricchimento delle casse dello Stato. Wang Anshi stabilì così una nuova regolamentazione degli acquisti pubblici di cereali, per avere un migliore rendimento fiscale del 'tributo' del Sud-est, destinato ad approvvigionare le truppe di funzionari e di militari della capitale; istituì uffici di controllo dei prezzi e dei sistemi di credito basati su anticipi a tasso ridotto sui raccolti, così che i produttori fossero messi nelle condizioni di privilegiare gli scambi con l'amministrazione; tentò allo stesso modo di utilizzare meglio l'imposta fondiaria partendo da una vera e propria registrazione catastale; si sforzò di finanziare l'operato dell'amministrazione locale, creando una tassa per l'esenzione dalle corvée il cui ammontare veniva valutato all'inizio dell'anno dalle autorità locali in funzione delle spese previste ed era poi ripartito sull'insieme delle unità familiari fiscali; istituì infine un sistema di 'sorveglianza reciproca' (baojia), che rendeva gruppi di famiglie collettivamente responsabili della sicurezza sociale e del gettito fiscale.
Lo sviluppo programmato della burocrazia e l'attivismo economico dello Stato misero in allarme un numero considerevole di funzionari, che non si mostrarono contrari al cambiamento. I 'conservatori', sotto la guida dello storico Sima Guang, ebbero alla fine ragione di Wang che dovette lasciare il potere in seguito a un insuccesso nel 1076.
Nonostante questo allontanamento e la brevità dell'esperienza riformista, e malgrado gli attacchi che condussero allo smantellamento delle istituzioni nate durante questo periodo, la riforma ebbe profonde conseguenze. La vita politica della corte a partire da questo momento fu regolarmente scossa da lotte tra fazioni (pengdang) fino alla seconda metà del XII secolo. D'altra parte, proprio questa divisione in fazioni costituisce, agli occhi dei contemporanei, la causa principale della drammatica caduta dei Song settentrionali. Quando, a seguito del sacco della capitale Kaifeng nel 1126, l'imperatore Huizong (1101-1125) e il figlio a favore del quale egli aveva abdicato, Qinzong (1126-1127), furono portati via prigionieri dagli eserciti della nuova dinastia dei Jin (1115-1234), fondata con l'aiuto dei Song sulle rovine dell'Impero Liao, alcuni generali audaci e risoluti permisero al nono figlio di Huizong, rifugiatosi a Nanchino, di salvare la dinastia salendo al trono. Il nuovo imperatore Gaozong (1127-1162), nel 1138 stabilì definitivamente la corte a Hangzhou e i Song meridionali dovettero riconoscere, a partire dal trattato del 1141, di poter controllare soltanto un territorio limitato a sud del fiume Huai e dei monti Qinling.
Anche se lo sviluppo economico e il prestigio culturale dei Song proseguirono fino al XIII sec., permettendo loro di resistere alla pressione dei Jin, è chiaro che il trauma del ripiegamento verso la Cina meridionale amplificò sia la percezione dei cambiamenti della società sia le difficoltà incontrate dal potere centrale nel farvi fronte. Le guerre o, semplicemente, la precaria sopravvivenza del regime, minacciato anche da ribellioni contadine, diedero di nuovo ai militari un'importanza di primo piano; il ritorno della gestione degli affari pubblici nelle mani della burocrazia, per opera di Qin Hui (1090-1155), comportò anche l'eliminazione dei principali generali rimasti fedeli all'idea della riconquista. L'attuazione da parte di Qin di numerosi punti del programma di Wang Anshi si concretizzò in un appesantimento del carico fiscale e in una concentrazione fondiaria senza precedenti. Al di là dei guasti di questa politica, tanto più vilipesa dalla tradizione storiografica in quanto diretta da un 'traditore', si iniziò a percepire un diverso orientamento delle strategie delle élite, che sembravano privilegiare il controllo locale e regionale almeno quanto il potere centrale. In effetti, mentre le opportunità di accedere alla pubblica amministrazione per la via maestra rappresentata dagli esami diventavano sempre più rare, le grandi famiglie tendevano a consolidare in primo luogo la loro posizione in ambito locale, in considerazione delle opportunità offerte dalla loro ricchezza fondiaria, dal loro credito sociale e dall'espansione del commercio.
In ogni caso, la politica di Qin Hui aggravò la disaffezione delle élite nei riguardi del potere centrale, che dovette presto far fronte anche allo scontento popolare. I disordini scoppiarono durante tutto il regno dell'imperatore Xiaozong (1163-1189), per lungo tempo preoccupato dalla riconquista della Cina settentrionale. In realtà, al disordine delle campagne faceva eco quello della corte, dove la vita politica era nelle mani delle famiglie delle imperatrici. In queste condizioni, il nipote di Xiaozong, Ningzong (1195-1224), condannò una delle due fazioni che avevano contribuito all'abdicazione del padre e alla sua stessa ascesa al potere, e per questo Zhu Xi (1130-1200), il principale artefice della dottrina neoconfuciana dello Studio del Tao (daoxue), che diventerà l'ideologia ufficiale a partire dalla dinastia Yuan, fu cacciato dall'amministrazione, insieme a molte altre personalità, al fine di sradicare l'influenza delle loro 'dottrine fallaci' (weixue), sospettate in particolare d'indebolire il potere centrale.
In questo modo, la politica aperta e innovatrice dei Song settentrionali sembrò ormai ridursi a lotte fra gli uomini forti della corte e, infatti, fu ancora un intrigo a favorire l'ascesa al trono di Lizong (1225-1264). Il deficit ricorrente delle finanze pubbliche si trasformò in bancarotta e causò un forte rialzo dei prezzi, quando le autorità, continuando a stampare banconote, rovinarono il credito della carta moneta che i Song settentrionali avevano emesso per la prima volta nel 1024. L'incapacità della corte si rivelò soprattutto nella fatale decisione politica di allearsi, contro i Jin, con la nuova potenza del Nord, i Mongoli. Questi, dal 1235, logorarono i loro alleati, soprattutto a ovest, nella regione del Sichuan, che fu vittima d'incursioni micidiali per quasi cinquant'anni. Forti della propria superiorità militare e dell'adesione delle popolazioni del Nord, i Mongoli fondarono la dinastia Yuan (1279-1368) e occuparono la capitale dei Song, Hangzhou, nel 1279.
L'analisi della situazione demografica nel periodo Song è delicata; diversi dati, a partire dal numero degli individui per unità familiare fiscale, e dunque dal numero totale della popolazione, sono tuttora oggetto di dibattito fra gli specialisti. Poiché le quote fiscali per circoscrizione erano definite sulla base delle unità familiari o 'focolari', si è arrivati alla conclusione che le cifre significative, dal punto di vista della curva demografica, siano quelle dei 'focolari' (hu) piuttosto che quelle delle 'bocche' (kou). D'altra parte, se si confronta il rapporto tra 'bocche' e 'focolari' nelle prefetture con lo stesso rapporto nei 'circuiti' (i livelli amministrativi in cui erano raccolte più prefetture), si ricava che esistevano differenti logiche statistiche; le cifre date per prefettura, spesso presenti nelle opere di geografia amministrativa compilate con il nome di 'monografie locali' (fangzhi o tujing), sembrano assai più vicine alla realtà rispetto ai numeri delle 'bocche' per unità familiare fiscale, perché questi dati erano presi il più delle volte dai registri di baojia destinati a reclutare le milizie. In queste condizioni, se si prende come base di calcolo il rapporto medio da 4,5 a 5 bocche per focolare, si ottiene una popolazione totale di circa 100 milioni per i Song settentrionali e di 60 milioni per i Song meridionali; sono cifre piuttosto alte se le si confronta con quelle di due dinastie i cui territori erano ben più estesi di quello dei Song: al di là delle stime ufficiali, la popolazione dei Tang (618-907) variava in effetti da 80 milioni a 90 milioni, e quella dei Ming (1368-1644) passerà da 60 milioni a più di 100 milioni nell'arco di tre secoli.
La crescita della popolazione sembra sia dipesa innanzitutto da due fattori: la capacità di sfruttare un territorio ampiamente da valorizzare e la vulnerabilità di fronte alle catastrofi, alle calamità naturali o ai disordini militari. Le cifre relative alla registrazione delle terre coltivate permettono di supporre un raddoppiamento della superficie utilizzata, per un totale di 720 milioni di mu (più o meno 45 milioni di ettari) alla fine dell'XI secolo. Una spiegazione è rintracciabile nei progressi delle tecniche di coltivazione nel Sud-est, là dove si diffuse l'utilizzazione di terreni bonificati e si sviluppò la risicoltura; la diffusione a partire dall'inizio dell'XI sec. di certe varietà di riso, in particolare quello indocinese del Champa, permise anche di limitare gli effetti delle siccità e delle inondazioni. La pressione demografica, che indusse a questa valorizzazione intensiva, comportò anche la pratica dell'infanticidio; molto diffuso nel Jiangnan e nel Fujian, esso è interpretato come l'indizio di un tentativo di frenare la crescita di una popolazione messa a confronto con la mancanza di terre. Il Fujian, il cui deficit di terre coltivabili diventò cronico durante la dinastia dei Song meridionali, vide d'altronde una parte della sua popolazione approfittare degli antichi legami marittimi per emigrare dal continente verso l'arcipelago delle Penghu, l'isola di Hainan o i Mari del Sud. Il problema ricorrente del rapporto tra popolazione e terra fu, a partire dai Song meridionali, una delle preoccupazioni dei prefetti, che si impegnarono a creare le condizioni fiscali necessarie per una nuova valorizzazione delle terre abbandonate durante i disordini del IX e X sec., in particolare nello Henan. Questa politica, nel complesso tradizionale per un governo che voleva dare prova della sua legittimità e della sua longevità, rifletteva un'altra preoccupazione, quella di rafforzare dal punto di vista demografico le zone disabitate ai confini con le potenze del Nord. A partire dal XII sec., ansiosa di consolidare le sue colonie della zona di frontiera, lungo il fiume Huai, l'amministrazione reclutò coloni fra le popolazioni in difficoltà del Jiangnan e del Fujian.
I fenomeni migratori più massicci furono proprio il risultato della pressione demografica permanente, degli scontri militari con le dinastie settentrionali e delle modificazioni territoriali che ne erano spesso la conseguenza diretta. I movimenti di popolazione, in un primo tempo, corrisposero a spostamenti di rifugiati o di popoli che si radunarono dalle regioni di frontiera dello Hebei, dello Shanxi e dello Shaanxi, dove si verificava il fenomeno connesso dell'insediamento duraturo di popolazioni di prigionieri. Questi movimenti, anche se giunsero a riguardare dozzine di migliaia d'individui, non possono tuttavia essere confrontati con le ondate migratorie ‒ se ne contano una mezza dozzina ‒ che portarono, dopo le conquiste dei Jin e fino alla conquista mongola, al trasferimento verso i territori dei Song meridionali di circa cinque milioni d'individui, in gran parte di etnia Han, che abbandonarono le province del Nord, in particolare i bacini dei fiumi Huai e Han e poi, sotto la pressione mongola, il Sichuan. Le principali regioni d'accoglienza furono innanzitutto quelle del Sud-est: il delta dello Yangzi, intorno al lago Taihu; la regione della nuova capitale, Hangzhou; la zona costiera fino al Fujian, le cui valli furono progressivamente colonizzate; infine il Jiangxi, che accolse direttamente gli immigrati della zona del fiume Huai e indirettamente quelli dello Shandong-Hebei che rinunciarono a stabilirsi nel delta dello Yangzi, e lo Hunan, dove si stabilì un buon numero di Sichuanesi. Questi movimenti demografici, oltre ad aver avuto importanti conseguenze economiche, determinarono l'opposizione fra la Cina settentrionale e quella meridionale.
L'altro grande cambiamento nella distribuzione della popolazione nel periodo Song, che merita di essere ricordato, fu l'urbanizzazione della società. L'espansione delle due capitali imperiali si concretizzò in un afflusso di popolazione e in una concentrazione delle élite che fecero di Kaifeng e poi di Hangzhou due eccezionali poli politici, militari, economici, finanziari e culturali. Allo spostamento forzato di popolazioni sospette ‒ famiglie e clientele di signori locali sconfitti nel corso delle guerre d'unificazione ‒ si susseguirono i movimenti regolari dei candidati agli esami, i più sfortunati dei quali tendevano, fra due sessioni, a restare in città. Parallelamente, i mercanti e gli artigiani erano attirati dalla prospettiva di benefici, tanto più importanti per i grandi negozianti, in quanto le gilde più potenti erano diventate le vere interlocutrici dell'amministrazione. Sulla base delle fonti letterarie, si è stimato che la popolazione di Kaifeng fosse di 500.000 individui, cifra senza dubbio inferiore a quella di Hangzhou. I censimenti disponibili suggeriscono anche che una città come Jiankang (l'odierna Nanchino) contasse circa 170.000 abitanti all'inizio del XII sec. e che, dietro le grandi città, numerose prefetture, in particolare nel delta dello Yangzi, costituissero un autentico reticolo urbano sul quale la gerarchia amministrativa poteva basarsi per effettuare la suddivisione delle circoscrizioni; verso il 1130, circa 800.000 individui furono censiti nell'insieme della prefettura di Pingjiang (l'odierna Suzhou), cosa che lascia supporre una presenza permanente di parecchie dozzine di migliaia di residenti nella città capoluogo di prefettura.
In mancanza di dati archeologici sistematici che permettano di ricostruire il funzionamento effettivo delle città, sono le testimonianze dei contemporanei a rivelarci queste profonde evoluzioni. Il paesaggio urbano fu effettivamente segnato dalla scomparsa dell'antica organizzazione cittadina ‒ distruzione di numerose cinte esterne e dei quartieri interni murati, in altri tempi chiusi al tramonto ‒, dall'estensione dei sobborghi e dallo sviluppo dei mercati che trovarono una sede fuori dagli antichi limiti urbani, dalla promiscuità possibile, se non cercata, fra i differenti strati sociali, e dallo splendore di una vita urbana caratterizzata dallo sviluppo dei mestieri dello spettacolo o legati ad attività culturali come la stampa. Nelle capitali, a fianco degli edifici pubblici e delle scuole, o delle grandi dimore aristocratiche, con il loro parco e la struttura a più corpi d'edificio, esistevano quartieri di abitazioni private o d'immobili dati in locazione dalle autorità. Iniziò allora a svilupparsi un vero mercato immobiliare, che divenne una fonte d'introiti per l'amministrazione che gestiva direttamente una parte di questi immobili e percepiva una 'tassa d'abitazione'. Infine, la stessa configurazione delle città del Sud, edificate spesso nelle vicinanze dei corsi d'acqua, e l'irregolarità della loro pianta, che sembra rispecchiare un'occupazione non pianificata del suolo piuttosto che un'organizzazione regolare a scacchiera intorno agli edifici pubblici, suggeriscono che questi agglomerati, anche quando assolvevano funzioni amministrative, rispondessero pure ai bisogni dei trasporti e delle attività commerciali. In effetti, il fenomeno più rilevante è che le più importanti fra queste città fossero collegate a un entroterra dove si sviluppavano città intermedie o semplici mercati e 'borghi permanenti' (caoshi, zhen), il cui ruolo, nella raccolta e nella distribuzione dei prodotti, era tanto più valorizzato dalle autorità in quanto sfruttavano tale rete per estendere la macchina fiscale. Spesso in questi borghi, raggruppati intorno a magazzini o a uffici dell'amministrazione locale, si insediavano i centri amministrativi di riscossione delle tasse commerciali; queste rappresentarono una parte crescente delle risorse monetarie dello Stato, che tentava di rafforzare la propria autorità inserendosi nel dinamismo delle economie locali, sul quale si era fondata l'autonomia dei piccoli stati del X secolo.
Lo sviluppo delle città è stato interpretato come un segno di modernità dalla storiografia contemporanea. Si è parlato della formazione di gerarchie urbane che costituivano l'ossatura di un mercato nazionale, poiché la crescita della circolazione monetaria creava le condizioni per scambi a lunga distanza fra economie regionali sempre più specializzate. Il quadro è tuttavia più sfumato. La specializzazione è innegabile, e fu resa possibile dai surplus cerealicoli prodotti dai progressi delle rese nelle regioni del Sud-est conseguenti alle ondate migratorie ricordate in precedenza; la popolazione del Nord, infatti, portava con sé metodi di coltura intensiva e la mano d'opera necessaria per la loro messa in opera, e nel contempo creava una forte domanda di grano. Non essendo richiesto un ulteriore affitto del fondo, la coltivazione di grano e riso sullo stesso appezzamento si espanse e si passò a due raccolti annuali. Questi surplus permisero all'agricoltura di orientarsi esplicitamente verso la commercializzazione. Nuclei familiari specializzati coltivavano la canna da zucchero nel Sud-est e nel Sichuan, gli agrumi nel Guangnan (zona che comprendeva parte delle attuali regioni del Guangdong, Guizhou, Guangxi, Yunnan) o il cotone della varietà arboreum proveniente dai mari del Sud nel Fujian e nel Guangnan. D'altra parte, la sericoltura era stimolata dalla domanda dei laboratori urbani privati, dove poterono concentrarsi centinaia di telai, poiché una parte del lavoro ‒ sbrogliatura e filatura ‒ restava affidata ai nuclei familiari contadini. Oltre a queste seterie, la cui produzione migliorò in qualità, i mercanti commerciavano ceramiche, delle quali gli archeologi hanno trovato traccia in quasi tutte le regioni, lacche e prodotti di lusso, profumi e spezie, molti dei quali erano importati. Vere e proprie imprese, sia pubbliche sia private, apparvero nei settori dei cantieri navali, dato che la marina dei Song era senza dubbio tra le migliori dell'epoca, e nella metallurgia. Gli altiforni, alimentati spesso con antracite, si svilupparono in prossimità delle miniere, nelle attuali regioni dello Hubei, dello Shandong, dello Shanxi e dello Henan. I progressi della metallurgia, la cui produzione annuale a metà dell'XI sec. è stimata in circa 40.000 tonnellate, furono accelerati da un incremento della domanda da parte del mondo agricolo e soprattutto da parte dell'esercito.
Se da un lato queste realtà attestano un grande dinamismo, dall'altro va considerato che questi dati sono accessibili per noi, soprattutto quando si tratta di quantificare, solamente attraverso la lente deformante delle notizie fornite dall'apparato amministrativo. È dunque una suddivisione burocratica dei fenomeni economici che ci è in tal modo rivelata, dimostrando anche una evidente volontà d'intervento da parte dello Stato. L'attivismo economico dello Stato fu in effetti una costante dopo la crisi del regime fondiario, a partire dalla metà dell'VIII secolo. Minato dai privilegi dell'aristocrazia e della burocrazia, che avevano concentrato nelle proprie mani gran parte del dominio fondiario, il regime fiscale dei Tang, fondato su un sistema integrato di prelevamenti e di corvée, ripartiti tra i nuclei familiari ai quali lo Stato assegnava terre (juntian), dovette cambiare indirizzo a seguito dello sviluppo della proprietà fondiaria e dell'affitto dei fondi. Da allora i cosiddetti 'funzionari che accumulano' (julian zhi chen) si sforzarono di ripristinare l'autorità fiscale dello Stato attraverso le opportunità offerte dalla crescita degli scambi, e questo grazie alle tasse sul commercio, ai monopoli pubblici ‒ sale, ferro e, a partire dagli anni 780, tè ‒ o ancora grazie ai benefici ricavati dai trasferimenti di cereali dal Sud-est. Favorita dalle numerose crisi politiche, questa linea non fu sistematica ma ebbe una certa continuità legata al ruolo crescente della moneta, allo stesso tempo strumento economico e fiscale. Lo sviluppo delle differenti forme di pagamento ‒ argento non monetizzato, contanti di bronzo o di ferro, monete fiduciarie di carta ‒ deve essere valutato all'interno delle relazioni stabilitesi tra l'amministrazione, preoccupata della centralizzazione politica, e gli agenti economici, che dovevano mantenere la loro capacità finanziaria per far fronte alla pressione dei mercati agricoli e commerciali. La moneta non era soltanto uno strumento di potere, dal momento che i movimenti monetari, emissioni e prelevamenti, contribuivano a creare un legame amministrativo fra unità familiari fiscali e amministrazione centrale, ma divenne, dopo la riunificazione dell'Impero da parte dei Song, lo strumento principale dell'inserimento dell'apparato amministrativo nel processo di espansione economica delle società regionali. Grazie alle manipolazioni che le differenti unità di conto e il corso forzato delle diverse monete permettevano, il centro e il sovrano rafforzarono le proprie capacità finanziarie, ottenendo così i mezzi per affrontare sul loro stesso terreno le forze economiche che avevano sostenuto la frammentazione politica del X secolo.
L'espansione della risicoltura nel Sud-est è un esempio di questo processo. Tale fenomeno dipendeva dall'intensificazione del lavoro sugli appezzamenti migliori e dalla conquista di nuove terre. Famiglie potenti, incoraggiate talvolta dalla passività o dalla complicità delle autorità locali, organizzarono, dalla seconda metà del periodo Tang, un'attività di bonifica che portò a ridurre le estensioni lacustri, a mettere a coltura le rive dei corsi d'acqua, e a provocare dei veri disastri ecologici a causa dello sconvolgimento dei sistemi naturali di drenaggio. In questo contesto si sviluppò anche una sistematica costruzione di polder, ampiamente sostenuta dall'amministrazione locale. Quest'ultima, riprendendo una tradizione idraulica solidamente radicata a partire dalle Cinque Dinastie (907-960), mobilitò la mano d'opera, necessaria alla costruzione di dighe e di difese marittime, per lo scavo di canali e la gestione di questi insiemi 'vasti come città murate'. Liberalizzando l'accesso al demanio pubblico 'dei monti e delle acque', le autorità certo favorirono l'appropriazione della terra da parte delle élite locali, ma fu soltanto così che esse riuscirono a inserirsi nel movimento di conquista. Queste grandi famiglie di 'accaparratori', proprietari fondiari e mercanti, garantivano il loro controllo non soltanto sulla terra, grazie all'affitto dei fondi, ma anche sulle persone, sviluppando sistemi di anticipi sul raccolto e sul lavoro; questi rapporti di credito diventarono ancor più comuni quando milioni di rifugiati del Nord arrivarono, privi di terra, nel Sud. I potenti controllavano in tal modo completamente la produzione che i nuclei familiari più umili consegnavano loro attraverso i mercati locali dei cereali, ma soprattutto dei tessili, seta e ramiè. Di fronte a queste potenti famiglie, che erano allo stesso tempo alleate nella politica di conquista e rivali nella ripartizione dei suoi frutti, le autorità Song da una parte scelsero di favorire la concentrazione della proprietà fondiaria e la commercializzazione dei prodotti, dall'altra cercarono di trarne vantaggio attuando una politica monetaria che includeva sia acquisti e crediti pubblici sia tasse sui proventi dei commerci. Queste tensioni sono ancora più evidenti in quelle attività economiche che l'amministrazione tentò in parte di riservarsi, cioè i monopoli pubblici su sale, tè, alcool, allume, profumi e altri prodotti di lusso. Nel caso del sale o in quello del tè, le regolamentazioni erano lungi dall'essere unificate; esse variavano sia nello spazio ‒ dato che il territorio dell'Impero era diviso in più regioni, e ciascuna di queste commercializzava certe qualità a esclusione di altre ‒ sia nel tempo, dato che le autorità erano tentate di cambiare frequentemente la regolamentazione. Queste differenze mostravano l'imbarazzo del governo centrale di fronte ai mercanti e alle loro associazioni, perfettamente organizzate per trarre vantaggio dalle differenze di prezzo fra i mercati locali.
L'amministrazione, consapevole anche prima della fine del X sec. dell'impossibilità di ottenere profitti dallo sfruttamento diretto di queste derrate, dovette allora rassegnarsi ad appoggiarsi ai mercanti, i quali consegnavano i cereali, indispensabili alle truppe di stanza sulle frontiere del Nord, in cambio delle licenze di commercio delle derrate di monopolio. I mercanti si mostrarono capaci, con gran dispetto dei funzionari, di trarre profitto anche da queste licenze e di controllare l'insieme del sistema; infatti le licenze si negoziavano a prezzo inferiore, non appena accordate dalle autorità del Nord, per essere poi rivendute, con sostanziali guadagni, nella capitale e nel Sud. I mercanti potevano anche rifiutare di vendere queste licenze, nel caso in cui il guadagno non fosse sufficientemente attraente, e bloccare il sistema. Da questo punto di vista, i palesi progressi dell'economia monetaria furono il risultato sia dello sviluppo dei mercati, sia della concorrenza fra gli 'accaparratori' e i 'funzionari che accumulano'. Tuttavia, diversamente dai circuiti mercantili, i tentativi dello Stato per inserirsi nelle reti commerciali e creditizie si trasformarono inevitabilmente in misure quasi fiscali, che implicavano nuovi prelievi il cui peso frenava sempre più l'attività economica. Era questa una delle critiche degli oppositori di Wang Anshi, che ricordavano come lo Stato non potesse contendere il profitto a coloro che lo perseguivano per vocazione. La politica di attivismo economico in cui lo Stato si era impegnato a partire dall'VIII sec., tentando di rafforzare il potere centrale attraverso il controllo delle ricchezze, trovava qui i suoi limiti.
Si può, in conclusione, parlare di una modernità dei Song? È certo innegabile che la dinastia abbia avuto viva coscienza della necessità d'innovarsi sul piano istituzionale, obbligata com'era a consolidare in permanenza un potere minacciato militarmente e indebolito finanziariamente. Tuttavia, se la centralizzazione politica, la burocratizzazione dell'apparato amministrativo e l'intensificazione del suo intervento nei settori economico e finanziario diventavano le nuove caratteristiche dello Stato, queste trasformazioni permettevano comunque di tenere ancora in vita il vecchio ideale di un controllo equilibrato delle attività sociali a vantaggio di tutti. Il paradigma della modernità spinge pure a vedere nella politica dei Song settentrionali un tentativo di 'controllo dell'economia' che li mettesse nelle condizioni di resistere alle forze centrifughe e alle minacce esterne, mentre, al contrario, si considera la prosperità dei loro eredi del Sud come il risultato del pragmatismo della gentry, che si sforzava di creare alleanze tra proprietari fondiari, mercanti e letterati-funzionari, per il beneficio di una società che finirà con l'attirare la cupidigia mongola. Sembra tuttavia che vi sia stata la percezione di una sfera di attività economica unificata e autonoma. È molto difficile affermare che lo Stato abbia concepito il suo attivismo economico diversamente da una serie di misure politiche che codificavano alcune pratiche vietandone altre; attraverso le costrizioni imposte dal bilancio statale e dal fisco, o la rivalità con i circuiti mercantili, erano colti i meccanismi di produzione, accumulazione e distribuzione della ricchezza. Quanto alle opportunità offerte all'aristocrazia terriera dallo sviluppo degli scambi e delle reti urbane, esse erano integrate nelle strategie di cui disponevano le élite locali, persuase che la corsa alla carica di funzionario restasse un obiettivo essenziale.
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