La scienza bizantina e latina: la nascita di una scienza europea. La tradizione enciclopedica e la descrizione del mondo...
La tradizione enciclopedica e la descrizione del mondo dal XII al XV secolo
Anche se il termine 'enciclopedia' non fa parte del vocabolario medievale, si concorda nel chiamare così certi testi che hanno un'ambizione didattica di tipo enciclopedico e che hanno conosciuto una notevole fioritura nel Medioevo, in particolare nel XIII secolo. Se è vero che alcuni autori sono unanimemente riconosciuti come 'enciclopedisti' (essenzialmente Isidoro di Siviglia, Rabano Mauro, Tommaso di Cantimpré, Bartolomeo Anglico e Vincenzo di Beauvais), l'inventario del genere differisce considerevolmente a seconda degli studi e dei punti di vista. Conformemente all'etimologia greca, che potrebbe essere glossata come 'percorso circolare della conoscenza', un'educazione alle discipline del sapere, le enciclopedie abbracciano un vasto ambito e si distinguono dal trattato in quanto si interessano a più discipline (non a tutte, secondo l'ideale dell'epoca moderna, ma almeno a un gruppo di esse). Per quanto riguarda il contenuto, in primo piano si trova l'inventario del Creato, con i regni naturali nella loro diversità e ricchezza; per alcune di queste opere si è dunque potuto parlare di "enciclopedie naturali" (de Bouard 1930). Negli ambiti del sapere presi in esame le enciclopedie medievali erano essenzialmente compilazioni di testi anteriori utilizzati in virtù della loro auctoritas, cioè del loro valore di riferimento riconosciuto dalla tradizione scritta. L'elemento fondamentale di tutte le enciclopedie era la citazione, dichiarata o non, e la procedura principale era quella della compilatio, la raccolta di estratti. Quest'ultima poteva essere selettiva, come in Isidoro di Siviglia, o tendere all'accumulazione delle citazioni, come nel XIII secolo. Conoscenze sparse e specialistiche erano riunite e riformulate in un processo di "trasposizione didattica" che si rivolgeva a un ampio pubblico di lettori. L'apporto principale dell'enciclopedista consisteva nell'ordinamento dei dati; tranne in rare eccezioni, infatti, l'organizzazione adottata nelle enciclopedie medievali non era alfabetica, bensì tematica. Verso la metà del XIII sec. Vincenzo di Beauvais affermava: "quest'opera non è semplicemente mia […], è loro per l'autorità, mentre è mia soltanto per l'ordinamento" (Speculum maius, Prologo). Egli intendeva dar conto del piano divino di una Creazione organizzata, e adottava il quadro suggerito dal racconto della Genesi, descrivendo il mondo secondo i sei giorni della Creazione. Lo stesso discorso vale per la destinazione e per il pubblico delle opere enciclopediche: generali, politiche, scolastiche, monastiche, mediche, universitarie, domestiche, o rivolte ai predicatori. In tutti questi casi, l'enciclopedista voleva fare un lavoro utile, e precisamente offrire un'opera didattica di riferimento da consultare in un'ottica pragmatica; ecclesiastici e laici istruiti potevano così avere l'accesso a una conoscenza ordinata e volgarizzata. Questo intento didattico e utilitario può essere adottato come un criterio distintivo per circoscrivere il genere enciclopedico medievale; esso comprendeva dunque compilazioni tematiche di conoscenze relative a più discipline, riguardanti principalmente l'Universo e la Natura, redatte a fini didattici e pragmatici a partire da un lavoro di compendio di opere riconosciute autorevoli. L'intreccio dei criteri adottati permette di distinguere le enciclopedie da certi generi vicini che ne condividevano una caratteristica o l'altra, quali florilegi e raccolte di citazioni, opere lessicografiche e somme specialistiche, come quelle mediche o teologiche. Le enciclopedie medievali generalmente contenevano, in un volume manoscritto che di per sé era già un''immagine del mondo', un 'libro della natura delle cose' che mostrava l'Universo mediante lo specchio della conoscenza umana, come se il mondo vi si riflettesse. Ne sono un esempio i 19 libri di cui consta una delle opere più compiute e rappresentative del genere ‒ il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico, scritto nel secondo quarto del XIII sec. ‒ dedicati agli argomenti seguenti: Dio, gli angeli, l'anima, le qualità, gli umori e i temperamenti del corpo, l'anatomia umana, le età della vita, le malattie e i loro rimedi, i corpi celesti, il tempo, le proprietà della materia e il fuoco, l'aria, gli uccelli, l'acqua e i pesci, la Terra con i suoi ambiti, le pietre e i metalli, il regno vegetale, gli animali, le misure, i colori e i sapori. Bartolomeo passava così in rassegna la Creazione in modo ordinato; dapprima il mondo incorporeo (Libri I-III), quindi l'uomo (Libri IV-VII), poi il macrocosmo e la descrizione del mondo secondo la progressione dei quattro elementi (Libri VIII-XVIII), infine gli accidenti (Libro XIX).
Più che gli antecedenti antichi, come i Nove libri sulle discipline di Varrone o la Naturalis historia di Plinio, l'opera di Isidoro di Siviglia (560-636 ca.) servì come modello e base del genere enciclopedico medievale. Le sue Etimologie furono per i compilatori un riferimento obbligato. Nelle terre dell'Impero, Rabano Mauro (776 ca.-856), abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, ne fece una versione riorganizzata e sistematicamente moralizzata, nota sotto il nome di De universo o, più correttamente, De rerum naturis. Le Etimologie hanno dato luogo a molti altri succedanei; così, il Summarium Heinrici, composto nell'XI sec. in Germania, ne offre una versione condensata e rimaneggiata, integrata con prestiti da Prisciano, Cassiodoro e Beda, e arricchita da numerose glosse germaniche. Il XII sec. vide un nuovo sviluppo del genere con il Liber floridus (1120 ca.) del canonico Lamberto di Saint-Omer, prima enciclopedia concepita fin dall'inizio come opera illustrata, le cui miniature sono di grandissimo interesse; il testo è anche caratterizzato da un forte orientamento storico. Per la stessa epoca si esita a qualificare come enciclopedie diversi testi più concisi, che presentavano varie branche del sapere ma senza dedicarvi molto più di una breve trattazione generale; tali sono l'Imago mundi e l'Elucidarium di Onorio di Regensburg, la Cosmographia di Bernardo Silvestre, il De philosophia mundi di Guglielmo di Conches, il Didascalicon di Ugo di San Vittore o lo Speculum universale di Rodolfo di Ardens. Diversamente, il Liber subtilitatum diversarum creaturarum naturarum di Ildegarda di Bingen (1098-1179), opera singolare per la sua forte componente medica, abbraccia in nove libri i diversi regni naturali, in una prospettiva propriamente enciclopedica. Anche l'Hortus deliciarum della badessa alsaziana Herrada di Landsberg (1125 ca.-1195), altrettanto singolare per la sua destinazione locale (l'opera fu redatta per le suore del convento di Hohenburg, l'attuale Mont Sainte-Odile), prende in esame un largo ventaglio di materie nell'ottica della storia della salvezza. Infine, poco considerato nella storiografia del genere, l'anonimo Apex physicae, in alcuni manoscritti erroneamente attribuito a Onorio, tratta in cinque libri dei principî naturali che reggono il mondo, dopo un'introduzione alla filosofia e alla teologia. Nel passaggio tra il XII e il XIII sec., uno fra i maggiori rappresentanti del genere fu il canonico inglese Alessandro Neckam (1157-1217), che nel De naturis rerum passava in rassegna la teologia, la cosmologia e le realtà naturali, queste ultime secondo lo schema dei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco). Ricca di commenti allegorici, l'opera fu di pronta utilizzazione per i predicatori; essa conteneva inoltre alcuni dei primi prestiti dai Libri naturales di Aristotele, la cui riscoperta apriva nuove prospettive al mondo latino. L'epoca dei grandi classici del genere fu però il XIII sec., particolarmente con tre enciclopedie che riscossero un enorme successo, quelle di Tommaso di Cantimpré, di Bartolomeo Anglico e di Vincenzo di Beauvais. Quest'abbondanza era strettamente connessa a vari sviluppi della storia intellettuale, in particolare la fine del periodo più intenso delle traduzioni in latino dall'arabo e dal greco, il rinnovamento scientifico che ne seguì, la nascita delle università, le iniziative degli ordini mendicanti che diedero impulso alla diffusione e all'organizzazione del sapere. Tommaso di Cantimpré, canonico agostiniano e poi domenicano, studiò a Parigi e a Colonia e risiedette a lungo nel convento dei frati predicatori di Lovanio. Il suo De natura rerum in 20 libri, scritto verso il 1240, si interessava principalmente di storia naturale; ebbe due versioni successive e una terza, posteriore, che conobbe un considerevole successo nell'Europa centrale e che riordinava e alleggeriva la materia aggiungendovi anche nuovi commenti allegorici. Il De natura rerum può essere considerato come uno dei testi enciclopedici più influenti; il numero dei manoscritti conservati sfiora i duecento. Il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico, redatto intorno agli anni 1230-1240, costituì un modello del genere e il suo successo fu immenso. Organizzato con chiarezza in 19 libri, dettagliato ma di dimensioni maneggevoli, provvisto di note moralizzanti, questo testo enciclopedico conveniva altrettanto bene ai predicatori che ai laici letterati. Sappiamo dell'autore che studiò a Parigi, che entrò nell'ordine francescano e che nel 1235 fu inviato in Germania con l'incarico di insegnare ai frati della Sassonia, nuova provincia francescana. Il De proprietatibus rerum ha conosciuto una larghissima diffusione; se ne conservano più di 240 manoscritti, dispersi nell'Europa intera; diverse traduzioni in lingue volgari videro la luce nel XIV e XV secolo. Lo Speculum maius del domenicano Vincenzo di Beauvais (1190 ca.-1264), vertice quantitativo del genere enciclopedico, dava spazio a tutti i domini del sapere. L'ampiezza delle fonti utilizzate è notevole; d'altronde, l'autore aveva utilizzato un'équipe di copisti per raccogliere gli estratti delle fonti disponibili, tanto che la sua opera era una vera biblioteca condensata. Al termine di una genesi complessa, questo 'Grande Specchio' allo stato finale era una summa in tre parti: lo Speculum naturale o 'Specchio della Natura', lo Speculum doctrinale o 'Specchio delle scienze' e lo Speculum historiale o 'Specchio della storia'. L'ultima parte fu la più largamente diffusa delle tre; a queste tre parti fu aggiunto uno 'Specchio morale', previsto dall'autore ma realizzato dopo la sua morte. Accanto a queste tre opere di successo, altre enciclopedie latine videro la luce nel XIII secolo. Quella di Arnaldo di Sassonia, De floribus rerum naturalium (secondo quarto del XIII sec.), era una delle rare enciclopedie che privilegiavano ampiamente i Libri naturales di Aristotele, nuovamente tradotti in latino, così come diverse fonti arabe poco note. Sulla stessa linea si pone il Compendium philosophiae, che, in virtù del suo piano e dello spazio predominante che vi occupano le citazioni dello Stagirita, è stato qualificato come 'enciclopedia aristotelica'. La questione dell'aristotelismo permette di aprire una parentesi su un autore che si situa ai margini della corrente enciclopedica: il domenicano Alberto Magno (1193 ca.-1280). Se si ammette che l'opera di Aristotele sia stata una sorta di 'enciclopedia frammentata', in quanto i diversi testi dello Stagirita descrivevano un percorso completo attraverso le scienze, allora l'opera di Alberto Magno rientra appieno nel panorama dell'enciclopedismo. Colui che i suoi contemporanei hanno soprannominato doctor universalis commentò infatti quasi tutti i trattati di Aristotele; filosofia, etica, politica, psicologia, fisica, i trattati sugli animali, le piante e i minerali, tutto è stato passato al setaccio dell'intelligenza scolastica, senza contare le sue numerose opere teologiche e i suoi sistematici commenti biblici. Anche se nessun testo di Alberto Magno può essere a rigor di termini definito un'enciclopedia, la sua opera, considerata nell'insieme, concretizzò il 'circolo delle conoscenze' dell'epoca gotica. Il movimento enciclopedico del XIII sec. toccò tutta l'Europa; nell'Italia meridionale, governata dall'imperatore Federico II di Hohenstaufen (1198-1250), l'abate Gregorio di Monte Sacro negli anni 1228-1239 compose un'enciclopedia in versi, più di 12.000, intitolata Deificatio hominum, finora poco esplorata. Alla corte cosmopolita dell'imperatore Federico II, centro di cultura scientifica di alto livello, Michele Scoto compose il suo Liber introductorius, che trattava temi di astrologia, meteorologia, medicina, musica, computo, zoologia e fisiognomonia. All'altra estremità dell'Occidente latino, l'Inghilterra vede apparire nel XIII sec. un nuovo De naturis rerum (talora erroneamente attribuito a un autore del secolo successivo, Giovanni Folsham). Come il testo omonimo di Alessandro Neckam, esso passava in rassegna la Creazione ed era fornito di indicazioni morali. In Germania, segnaliamo il Fabularius del chierico di Zurigo, Corrado di Mure (datato al 1273), un''enciclopedia di scuola' comprendente un dizionario alfabetico e parecchie liste tematiche. Nei secc. XIV e XV le enciclopedie latine proseguirono il loro itinerario; la grande maggioranza dei manoscritti conservati delle opere precedentemente citate sono databili al Tardo Medioevo. Quanto alle nuove opere, esse testimoniano un duplice processo. In primo luogo, si moltiplicarono i rifacimenti in chiave moralizzatrice di opere anteriori; così, vari autori selezionarono materiali del De proprietatibus rerum, sviluppando i suggerimenti per il commento allegorico annotati a margine nei manoscritti di Bartolomeo; è il caso degli autori anonimi del Liber septiformis de moralitatibus rerum o Proprietates rerum moralizate (1290 ca.) e del Multifarium (1326). È il caso anche di Giovanni da S. Gimignano con il Liber de exemplis et similitudinibus rerum (1300 ca.-1327) e di Pietro Bersuire con il Reductorium morale (1340 ca.). In modo analogo, i libri consacrati agli animali nel De natura rerum di Tommaso di Cantimpré furono doppiati da una glossa allegorica in diversi testi dell'Europa centrale, come il Liber de naturis animalium cum moralitatibus, forse redatto dal cistercense Enrico di Schuttenhofen. In secondo luogo, un altro processo in corso durante il Tardo Medioevo ‒ che può sembrare contraddire il precedente ‒ fu una certa laicizzazione degli ambiti di redazione. Giacomo le Palmer, funzionario dello Scacchiere londinese, compose, negli anni 1350-1370, l'Omne bonum, una vasta opera incompiuta dalla forma enciclopedica organizzata non in modo tematico, ma in ordine alfabetico da Absolvere a Zacharias. Ogni voce è oggetto di un piccolo testo, e il contenuto è altrettanto vario quanto quello delle enciclopedie 'classiche', ma con la nuova presenza di numerosi concetti giuridici. In Italia, Domenico Bandini, professore di grammatica e di retorica a Firenze, amico di Coluccio Salutati e di Petrarca, compose tra il 1380 e il 1420 il suo vasto Fons memorabilium universi nel quale, pur adottando un disegno ispirato a Bartolomeo Anglico, spostava l'accento verso le materie profane, e la quinta parte dell'opera, la più voluminosa, era dedicata essenzialmente alla storia antica. Nel contesto enciclopedico sono poi da annoverare altre opere ancora poco studiate, come il De animantium naturis di Pier Candido Decembrio (1399-1477), il Promptus di Dietrich Engelhus e l'Hortus deliciarum (1491) di Jacob von Meydenbach.
A partire dalla metà del XIII sec. le enciclopedie latine non furono più le sole; videro la luce alcune opere in francese, seguite ben presto da traduzioni dei modelli latini in varie lingue. L'image du monde di Gossuin de Metz, la cui prima versione data al 1246, sembra essere stata la prima del genere; ispirata in parte all'Imago mundi di Onorio di Regensburg, si presenta inizialmente come un'enciclopedia versificata in 6600 ottonari, che prendeva in considerazione, in tre parti, i principî della scienza, la geografia e la meteorologia e infine l'astronomia. L'autore ne fece altre due versioni e i numerosi manoscritti ne attestano il successo. Il Tesoro del fiorentino Brunetto Latini (1220-1295), di dimensioni e originalità differenti, segnò una svolta nel genere. Dedicato a Carlo I d'Angiò, è un'opera tutta improntata a una finalità utilitaria e laica, a uso del governo della città-stato italiana; se il primo libro seguiva il percorso enciclopedico tradizionale attraverso la teologia, la storia e le scienze naturali, il secondo era consacrato all'etica e il terzo alla retorica e alla politica. Il Tesoro fu poi tradotto in molte altre lingue: italiano, catalano, castigliano e anche latino. Nella stessa corrente, quella di una scienza di carattere più profano, si collocano due opere francesi. La prima è il dialogo Placides et Timeo, anche chiamato Li secrés as philosophes (fine del XIII sec.), che, nella forma di un dialogo tra il maestro Placido e il discepolo Timeo, percorre una serie di argomenti concernenti la filosofia, le scienze naturali, la medicina e la vita sociale, e senza avere la struttura di un'enciclopedia, ne condivide tuttavia l'ampiezza degli interessi e l'intenzione didattica. La seconda opera è il Livre de Sidrac, o Livre de la fontaine de toutes sciences (ultimo quarto del XIII sec.) un dialogo enciclopedico tra un certo re Boctus e il 'filosofo Sidrac'. La storia di questo testo e delle sue ben differenti versioni (613 questioni nella versione breve, più di 1200 nelle versioni più ampie) è stata oggetto di ricerche non ancora concluse. Sembra comunque che esso dovesse molto ai testi latini e francesi del XII e del XIII sec. e che fosse ben presente nelle biblioteche principesche, avendo conosciuto un considerevole successo, con più di 70 manoscritti in francese e traduzioni in sette diverse lingue. Le traduzioni dischiudevano un nuovo pubblico alle enciclopedie latine. Spesso erano lavori eseguiti su ordinazione, destinati a un principe o a un sovrano, che assicurava loro riconoscimento e diffusione e, al contempo, con il suo patronato, si procurava la fama di principe letterato e di protettore delle scienze. Così fu per Niclaus van Cats, il signore dell'isola zelandese di Noord-Beveland, per il quale il chierico Jacob van Maerlant (1235-1294) tradusse in fiammingo gran parte del De natura rerum di Tommaso di Cantimpré; il suo Der naturen bloeme è più di una traduzione, corredata com'è di glosse e digressioni nonché di numerose indicazioni morali supplementari. In seguito, van Maerlant tradusse anche lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais per il conte d'Olanda Floris V. Alla stessa epoca risale l'anonimo De Natuurkunde van het geheelal, una cosmografia enciclopedica rimata in nederlandese (Jansen-Sieben 1968), ispirata parzialmente al De philosophia mundi di Guglielmo di Conches, che presenta qualche analogia con L'image du monde. Sempre in nederlandese fu tradotto varie volte anche il Livre de Sidrac. L'opera di Tommaso di Cantimpré in un primo tempo passò in lingua tedesca attraverso il suo rimaneggiamento abbreviato (Tommaso III); il canonico di Ratisbona Corrado di Megenberg realizzò verso il 1350 l'adattamento tedesco di questa versione, arricchendola qua e là di altri materiali, col titolo di Puoch von den naturlaichen Dingen, altrimenti noto come Buch der Natur. Attorno al 1470 apparvero altre due traduzioni tedesche dell'opera di Tommaso di Cantimpré eseguite rispettivamente da Peter Konigslacher e Michael Baumann; quest'ultimo nel suo Buch von der Natur und Eygenschaft der Dingk, si avvalse anche dell'enciclopedia di Bartolomeo Anglico. Si conoscono inoltre numerose versioni tedesche dell'Imago mundi e dell'Elucidarium di Onorio di Regensburg, così come del Livre de Sidrac. L'enciclopedia latina più tradotta fu quella di Bartolomeo Anglico. I committenti erano prìncipi e nobili; Vivaldo Belcalzer la tradusse in italiano per i Bonacolsi a Mantova (1300 ca.), Jean Corbechon in francese per re Carlo V (1372), John Trevisa in inglese per Tommaso Berkeley (1398); la versione provenzale fu dedicata al conte Gaston Phébus di Foix (1391). La versione spagnola, di Vincenzo di Burgos, e quella olandese, anonima, non sono conosciute che in incunaboli (1494 e 1495). La corte dei re di Francia sembra aver nutrito un interesse tutto particolare per l'enciclopedismo e le opere didattiche; attorno al 1320 il chierico Giovanni di Vignay vi tradusse lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, così come un'altra opera latina del XIII sec. che si potrebbe ricondurre al genere enciclopedico, gli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury. Il dialogo di Sidrac e quello di Placido e Timeo, L'image du monde, il Tesoro di Brunetto Latini figuravano in vari esemplari nella biblioteca di Carlo V, che d'altronde patrocinò la traduzione del De proprietatibus rerum. Potere e 'sapienza' erano intimamente legati nella mente di Carlo V, soprannominato il Saggio.
Le enciclopedie medievali erano in perpetuo ritardo rispetto ai progressi scientifici e accoglievano le novità in un processo di lenta sedimentazione; tuttavia, è indubbio che abbiano avuto un ruolo nella storia della scienza per almeno tre ragioni: esse conservavano le conoscenze, le organizzavano e le diffondevano. Durante l'Alto Medioevo, in tempi di ripiegamento culturale e scientifico, le Etimologie di Isidoro di Siviglia conservarono in modo condensato le basi della scienza antica; l'informazione selezionata da Isidoro fu così salvata dall'oblio. A lungo, infatti, esse servirono come primo canone delle conoscenze, tanto più in quanto fornivano le chiavi del linguaggio specifico delle diverse discipline affrontate. Il criterio di Isidoro era di spiegare le parole, la loro origine e dunque la loro ragion d'essere. L'opera attraversò i secoli senza che il suo successo venisse meno; il numero delle copie conservate si avvicina a novecento, e le enciclopedie più tarde, in misura più o meno grande, le furono tutte debitrici. Quale tipo di conoscenza scientifica era dunque conservata nelle enciclopedie? Nelle opere 'classiche' del XIII sec. trovavano molto spazio, in citazione, gli autori antichi: Plinio, Solino, Vitruvio, Palladio, Columella, Tolomeo, Dioscuride, i poeti. La Bibbia e i commenti dei Padri della Chiesa ‒ e in seguito l'importantissima Glossa ordinaria ‒ erano, beninteso, fortemente presenti, ma in un periodo di fervore intellettuale dovuto all'apporto della scienza greco-araba i testi davano spazio anche alle acquisizioni scientifiche recenti. I 'moderni' citati da Vincenzo di Beauvais o da Arnaldo di Sassonia erano spesso autori arabi tradotti a Toledo o a Palermo. Infine, interveniva parimenti la conoscenza personale dell'oggetto; così, Ildegarda di Bingen evoca un certo numero di pesci e di piante della valle del Reno, e Tommaso di Cantimpré offre sugli animali certe informazioni di cui non c'è traccia altrove, e che potevano essere frutto del suo personale ingegno. Come si è detto, un'enciclopedia medievale era più di una semplice raccolta di citazioni, era un lavoro ragionato di organizzazione del sapere. Un piano ideale presiedeva alla successione delle materie e l'opera a sua volta era la testimonianza di una visione del mondo; nulla è più istruttivo, per chi vuole essere introdotto alle conoscenze medievali, che percorrere gli indici di queste opere. Gli enciclopedisti svilupparono inoltre alcuni sistemi di recupero e di evidenziazione delle informazioni: sommari dei capitoli, rinvii, indici, cataloghi alfabetici per certe materie (animali, piante, minerali). Le enciclopedie del XII sec. si iscrivevano dunque pienamente nel processo di sviluppo dei nuovi strumenti di lavoro della vita intellettuale.