La santità
La santità si può definire un’esperienza religiosa che tende all’avvicinamento o all’unione con il Divino nel superamento dei limiti della condizione umana. La storia delle religioni offre un’amplissima gamma di forme di «santificazione» e di «divinizzazione», cui si attribuiscono poteri di mediazione fra l’uomo e Dio, nella doppia dimensione spirituale e materiale (S. Boesch Gajano, La santità, 1999).
Il pantheon greco e quello romano si presentano ricchi non solo di divinità capaci di intervenire costantemente nella realtà umana, ma anche di semidei e di altre figure come i demoni, che affollano lo spazio intermedio fra terra e cielo. Quanto al monoteismo ebraico, pur riservando a Dio l’attributo della «santità», intesa come separatezza e inaccessibilità, contempla figure di mediatori della parola e del potere di Dio nel corso della sua storia (Rabbi, saddiq, hakham: J. Baumgarten, Récits hagiographiques juifs, 2001). Anche il monoteismo islamico prevede per l’uomo forme di santificazione, che hanno la loro espressione più significativa nella mistica maschile e femminile e prevedono anche forme cultuali e devozionali nei luoghi santificati da personaggi, cui in vita era stata riconosciuta la funzione di guida spirituale e di protezione sociale (Saint et sainteté dans le christianisme et l’islam. Le regard des sciences de l’homme, a cura di N. Amri, D. Gril, 2007).
Il confronto con le altre religioni monoteiste permette di dire che il cristianesimo è la religione che attraverso la teologia, la liturgia, il controllo istituzionale e cultuale ha strutturato più consapevolmente il fenomeno della santità: esperienze individuali, esigenze esistenziali, pratiche devozionali sono inserite in un orizzonte collettivo, in cui si fondono storia, mito e rito. La santità cristiana ha molte dimensioni: spirituale, perché i santi incarnano la ricerca del divino e il rapporto con il soprannaturale; istituzionale, in quanto sono in vita e in morte fondamento spirituale e materiale di chiese, monasteri, vescovati; sociale, per il potere protettivo loro riconosciuto da singoli e da intere comunità; culturale in quanto sono oggetto di un ininterrotto interesse di scrittori, pittori, scultori. Realtà e immaginario costruiscono nel corso dei secoli un pantheon variegato e, potremmo dire, personalizzato: capace cioè di rispondere a esigenze diverse, sia di individui sia di comunità (Bibliotheca Sanctorum, 14 voll., 1961-70; Histoire des saints et de la sainteté chrétienne, 10 voll., 1986-88; Il grande libro dei santi, 3 voll., 1998).
Di fronte al pantheon antico e al monoteismo ebraico, l’incarnazione ha inserito una novità radicale: Gesù è colui che, avendo vinto la morte fisica, è garante dell’immortalità dell’anima e del corpo di ogni uomo. Nella testimonianza dei Vangeli canonici e di quelli apocrifi la figura di Gesù riassume i caratteri dell’eccezionalità, intesa come mediazione vittoriosa tra natura e sopranatura, tra materiale e spirituale, tra bene e male, tra dolore e gioia, tra morte e vita. Da Gesù, mediatore della santità del Padre, la santità si sposta sui discepoli e su tutti coloro che attraverso la fede e il battesimo entrano a far parte della comunità dei cristiani. All’interno dell’idea della santità universale dei cristiani si assiste tuttavia a una progressiva diversificazione. Gli apostoli sono per eccellenza coloro che rendono testimonianza della risurrezione del Signore; la testimonianza poteva comportare la morte, così che il termine martys dal significato etimologico di testimone passa a quello di «morto per la fede», degno di essere venerato in quanto intercessore presso Dio (H. Delehaye, Les origines du culte des martyrs, 1933).
Il culto dei martiri, promosso dalla liturgia, dall’agiografia, dall’iconografia, costituisce uno dei fondamenti della diffusione della nuova religione (P. Brown, The cult of saints, 1981) e gode di un inesauribile successo nel corso dei secoli fino ai tempi più recenti, con veri e propri revival legati a specifiche congiunture ecclesiastiche e politiche (Martyrs and martyrologies, a cura di D. Wood, 1993). Questa lunga storia ha un doppio versante, interno ed esterno: esterno, nel caso dei missionari di ogni epoca e di ogni terra, o dei re che, convertendosi, con il loro sangue gettano le fondamenta delle nuove monarchie, o delle vittime delle rivoluzioni e dei totalitarismi; interno, con le persecuzioni dovute a contrasti dottrinali o politici. Il martirio si carica di valenze «militanti», diviene strumento di propaganda e di lotta, modello generatore di ulteriori martiri; nello stesso tempo proprio la sua «trasversalità» in tutte le confessioni e in tutte le Chiese dà al martirio anche una valenza «ecumenica»: emblema di una Chiesa capace di ritrovare l’unità proprio nel sangue dei martiri.
La rilevanza antropologica e simbolica dell’effusione del sangue fuoriesce largamente dai confini del cristianesimo. Tutte le grandi ideologie hanno i loro eroi, che nella morte ricevono il sigillo della loro grandezza: la Rivoluzione francese, quella americana, il Risorgimento, il marxismo, la Prima guerra mondiale, la Resistenza. Non sempre il martire nasce da un atto consapevole: Anna Frank è divenuta il simbolo di tutte le vittime innocenti di un’ideologia aberrante e di una mostruosa macchina di sterminio. Molti martiri sono «polivalenti»: Oscar Romero (1917-1980), il vescovo ucciso in quanto difensore dei poveri contro l’oppressione del potere politico ed economico, è insieme un martire religioso, politico e sociale. La morte violenta trasforma la vittima in martire e la rende degna prima di pietà, poi di venerazione: ne è esempio Maria Goretti e un’efficace reinterpretazione della giovane si trova ne La fontana della vergine (1960) di I. Bergman.
La storia della santità si articola a partire dall’età tardoantica in una molteplicità di figure, che incarnano nuove forme di vita religiosa: l’asceta; il monaco e l’abate; il sacerdote e il vescovo; i fondatori dei nuovi ordini religiosi di Età medievale e moderna, le mistiche, infine anche in tempi recenti qualche caso eccezionale di santo laico (A. Benvenuti, S. Boesch Gajano, S. Ditchfield, R. Rusconi, G. Zarri, Storia della santità e del culto dei santi nel cristianesimo occidentale, 2002).
Il percorso verso la perfezione si iscrive in una geografia fisica e la ricerca della vita perfetta diviene in primo luogo ricerca dei luoghi che possano garantire il raggiungimento di questa perfezione. Il rapporto fra scelta religiosa e scelta ambientale permette di cogliere l’evolversi dell’idea stessa di perfezione spirituale e di ricostruire una storia della santità attenta insieme alla dimensione spirituale e a quella sociale (Luoghi sacri e spazi della santità, a cura di S. Boesch Gajano e L. Scaraffia, 1990).
In questi percorsi diversificati nel tempo e nello spazio il corpo è sempre protagonista: come realtà fisica in cui si iscrive il percorso spirituale. Le sofferenze inflitte «dall’esterno» – è il caso dei martiri – o «dall’interno» per penitenza sono prova dell’eccezionalità spirituale. La capacità di vivere oltre quelli che sono considerati i limiti della natura umana – digiuni, penitenze, resistenza al freddo, al caldo e alla sete – è infatti l’elemento antropologico che più contribuisce al riconoscimento sociale dell’eccezionalità religiosa: il santo che ha «vinto» la natura acquisisce un potere spirituale e materiale, che ne fa il mediatore per eccellenza fra l’uomo e Dio, colui che attraverso i sogni, le visioni, le profezie, interpreta la volontà di Dio e attraverso i miracoli manifesta il suo potere taumaturgico. La dimensione corporea assume un’inedita rilevanza nella stagione della mistica femminile che giunge a esprimere nei termini più fisicamente carnali l’unione con Dio (C. Walker Bynum, Holy feast and holy fast, 1987). Il corpo del santo vivo è già un corpo santo, dotato di un potere estensivo e pervasivo, che dall’individuo si trasmette ai luoghi e agli oggetti sacralizzati dalla sua presenza e dal suo contatto. Il concetto di «santità» sconfina dunque in quello di «sacralità», una sorta di prolungamento dei poteri propri del santo negli oggetti variamente «investiti» dalla sua virtus.
La santificazione del corpo in vita ha come conseguenza il riconoscimento di un potere che la morte non interrompe. La tomba del santo è il luogo privilegiato dell’incontro fra natura e sopranatura, divenendo il fondamento sacrale, insieme reale e simbolico, di ogni istituzione monastica o ecclesiastica. Le reliquie, perpetuando nella loro materialità il potere taumaturgico del martire o del santo, vengono acquisite e gestite come oggetti di protezione e di identità da intere comunità cittadine, conservate in appositi preziosi reliquiari, talvolta collocate in funzione difensiva dentro le mura cittadine (Les reliques. Objets, cultes, symboles, a cura di E. Bozoky e A.-M. Helvétius, 1999). Il potere attribuito alle reliquie porta alla loro moltiplicazione: corpi smembrati per soddisfare attraverso i doni e persino i furti esigenze istituzionali o individuali (P. Geary, Furta sacra, 1973).
Il miracolo è il signum per eccellenza della santità: anche se Gesù aveva ammonito, e le autorità ecclesiastiche lo ripetono nei secoli, che non tutti i miracoli vengono da Dio, non c’è santità senza miracolo. La storia del miracolo permette di cogliere le variazioni tipologiche, i differenti gradi di intensità, le diverse modalità con cui si verifica, viene registrato e riconosciuto come tale. I miracoli divengono così componente essenziale di una lunga, potenzialmente ininterrotta, biografia: un «aggiornamento» costante relativo alla presenza del santo nella storia e alle funzioni che egli continua a esercitare (Miracoli. Dai segni alla storia, a cura di S. Boesch Gajano e M. Modica, 2000).
La memoria della santità è affidata a una grande varietà di testimonianze: orali, scritte, iconografiche (Diventare santo. Itinerari e riconoscimenti della santità tra libri, documenti e immagini, a cura di G. Morello, A.M. Piazzoni, P. Vian, 1998). Dapprima sono le testimonianze liturgiche a registrare il dies natalis, la nascita alla vera vita di colui che aveva testimoniato la fede: il calendario, strutturato secondo le festività legate alla vita di Cristo (temporale), si arricchisce così con le festività, che celebrano i testimoni della fede (santorale): prima i martiri, poi i confessori. Seguono le passioni dei martiri, poi dalla metà del 4° sec. si sviluppano le vite dei santi, che per tutto l’Alto Medioevo sanciscono la santità, ne trasmettono la memoria, ne promuovono il culto (Hagiographies, a cura di G. Philippart, I-V, 1994-2010). Sono questi gli strumenti privilegiati ancora nella Chiesa bizantina e in quella slavo-ortodossa. In Occidente invece, a partire dal 12° sec. la Chiesa romana rivendica progressivamente il diritto al riconoscimento della santità con la formalizzazione giuridica dei processi e la conseguente elaborazione di criteri omogenei atti a individuare la vera santità e a proclamarne l’esemplarità (A.Vauchez, La sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Âge, 1981). Si ha così una santità sempre più istituzionalmente e selettivamente riconosciuta, che spinse molte esperienze religiose oltre il confine dell’eterodossia: il sospetto per la «finzione» di santità ben definisce un’intera stagione della storia della Chiesa, con una pratica costante di indagini e repressione, di cui vittime principali furono le donne (Finzione e santità, a cura di G. Zarri, 1991). Dopo il Concilio di Trento, come risposta alle critiche della Riforma in merito al culto dei santi, la Chiesa romana procede infatti a sempre più precise definizioni normative (G. Dalla Torre, Santità e diritto, 1999): nel 1588 Sisto V riorganizza la Sacra congregazione dei riti, insieme alla Congregazione del Sant’Uffizio, che rivendica frequentemente competenze in tema di santità, e nel 1622 si hanno le canonizzazioni di santi come Teresa d’Ávila, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio; nel 1625 si hanno i primi decreti di Urbano VIII in merito alle beatificazioni e alle canonizzazioni, seguiti nel 1634 dalla Costituzione Coelestis Hierusalem (M. Gotor, I beati del papa. Inquisizione, santità e obbedienza in età moderna, 2002). Nasce in questa temperie il concetto di virtù eroica, strumento che permette di identificare la straordinarietà dei comportamenti: definitiva antitesi rispetto alla santità per tutti.
Questo sviluppo giuridico e istituzionale è accompagnato dai progressi di un’erudizione, dalla quale nasce una scienza specifica per lo studio della santità e del culto dei santi: la scienza agiografica. I frutti maggiori di questo impegno furono il Martirologio romano di Cesare Baronio, pubblicato una prima volta nel 1584 e di nuovo nel 1586, gli Acta Sanctorum pubblicati a partire dal 1643 a opera di un gruppo di gesuiti belgi guidati da Jean Bolland (Bollandistes. Saints et légendes. Quatre siècles de recherche, 2007), le opere dei monaci dell’abbazia di Saint-Maur, tra i quali il più illustre esponente è Jean Mabillon, fino ad arrivare a Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV, e al suo De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, pubblicato fra il 1734 e il 1738.
I grandi mutamenti politici e sociali hanno imposto anche nel mondo cattolico un «aggiornamento»: la santità sociale viene a costituire una tipologia nuova ben rappresentata da Don Bosco e da Don Orione (Santi della Chiesa nell’Italia contemporanea, a cura di R. Rusconi, «Cristianesimo nella storia», 1997, 17,3; Santi del Novecento. Storia, agiografia, canonizzazioni, a cura di F. Scorza Barcellona, 1998). Questa caratterizzazione stinge anche sulle tipologie tradizionali: la figura di Padre Pio ha caratteri molto tradizionali legati soprattutto alle funzioni sacerdotali, ma innovativo risulta l’impegno posto nella costruzione dell’ospedale di S. Giovanni Rotondo. Teresa di Calcutta unisce un impegno per la difesa di valori tradizionali della morale cattolica con quello a favore degli emarginati, degli ammalati, dei poveri, non soltanto all’interno del mondo cattolico. Anche la figura del papa subisce un’evoluzione legata alla storia della Chiesa e alla sua reazione rispetto al processo di secolarizzazione della società (R. Rusconi, Santo Padre. La santità del papa da San Pietro a Giovanni Paolo II, 2010).
Le grandi ideologie e le rivoluzioni a esse connesse producono eroi e martiri (Santi, culti, simboli nell’età della secolarizzazione (1815-1915), a cura di E. Fattorini, 1997). In tutta l’Europa nel corso dell’Ottocento la religione della patria e della libertà dà vita a nuove forme di eroismo e di esemplarità. In Italia esemplare la figura «ascetica» di Giuseppe Mazzini e quella «eroica» di Giuseppe Garibaldi, oggetto di rimodellamenti che nulla hanno da invidiare alle agiografie. Anche la Rivoluzione russa ebbe i suoi eroi e i suoi modelli, trasformati in veri e propri miti, come l’operaio Stakanov, sostenuti dal potente strumento propagandistico delle immagini. Ma vennero rielaborati anche personaggi antichi: Aleksander Nevskij diviene, nell’omonimo capolavoro di S.M. Ejzenštejn, l’eroe nazionale, che ha saputo unire le diverse classi sociali, dai contadini agli artigiani ai mercanti, costruendo un esercito popolare, e che, grazie alla conoscenza della sua terra, ha vinto il possente esercito dei Cavalieri teutonici, simbolo della ferocia nazista.
La Francia alla fine dell’Ottocento plasma la santità di Giovanna d’Arco, con un’operazione di «recupero» nazionalistico che portò alla sua canonizzazione. Il franchismo ha nuovi martiri, ma insieme rimodella figure del passato adattandole alle necessità politiche del presente: così la grande mistica Teresa d’Ávila può divenire la santa nazionale, incarnazione dei valori più puri della tradizione spagnola e cristiana. Guerre e rivoluzioni hanno bisogno di eroi, di culti e di miti: così fu per la Prima guerra mondiale, così è per le rivoluzioni latino-americane. Sintesi di questi tre momenti è la figura del Che, in cui si fondono l’eroismo reale, la morte «martiriale», un vero e proprio culto sul luogo della sepoltura: rappresentazioni fotografiche e musiche hanno propagandato un modello iconografico e un mito politico in tutto il mondo.
Anche la «religione della scienza» crea i propri modelli, eroi e martiri, come i coniugi Pasteur, esempio di dedizione alla scienza per motivi umanitari fino al sacrificio. Ancora più interessanti dal punto di vista delle «interferenze» fra culture diverse sono i casi in cui competenze scientifiche e motivazioni umanitarie si saldano con l’ispirazione religiosa. La figura di Florence Nightingale (1820-1910), un mito risorgimentale per l’attività svolta come infermiera durante la guerra di Crimea (the lady of the lamp), è divenuta il simbolo della dedizione femminile secondo un’immagine dai tratti largamente «agiografici»; ma la sua vocazione umanitaria, sostenuta da una forte spiritualità, si unì a una cultura scientifica capace di porre le basi dell’organizzazione sanitaria inglese (R. Stone, Some British empiricists in the social sciences, 1650-1900, 1997). Accanto a lei si può ricordare il medico missionario protestante Albert Schweitzer.