Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del XVI secolo nell’Europa dell’Est si forma un grande Stato centralizzato che fin dal suo sorgere si propone come unico legittimo erede dell’autorità politica e spirituale dell’Impero d’Oriente. Artefice della nuova realtà è il gran principe di Mosca Ivan IV Vasil’evic, discendente del principe normanno Rjurik, incoronato zar nel 1547. Il potere accentrato e assoluto che Ivan IV costruisce con lucidità e determinazione sopravvive al periodo dei torbidi e trova in Pietro I la personalità capace di sfruttarlo appieno.
Ivan III (1440 -1505)
La spinta decisiva all’unificazione delle terre russe intorno al Principato di Mosca viene impressa da Ivan III detto il Grande che eredita il trono nel 1462. Senza colpo ferire Ivan III libera la Russia dalla sottomissione ai Tatari (1480) e, tramite il matrimonio (1472) con Sofia Paleologa e la successiva assunzione del simbolo dell’aquila bicipite negli atti ufficiali (1498), pone le basi per la rivendicazione della dignità imperiale.
Nel corso del suo regno Ivan III unisce a quello di Mosca i principati nord-occidentali, compresa la potente e ricca Repubblica di Novgorod la Grande, e con le guerre di Lituania (1487-1494, 1500-1503) anche molte delle terre russe occidentali; svolge inoltre una notevole attività diplomatica intensificando i rapporti con l’Impero, l’Ungheria, la Moldavia, la Danimarca, la Turchia, la Repubblica di Venezia e lo Stato della Chiesa. Pone mano anche a un’organizzazione centralizzata dell’apparato statale con l’istituzione di alcuni prikazy (ministeri) e la compilazione del primo codice scritto russo, il Sudebnik (1497). Negli ultimi anni di regno pone le basi per la risoluzione di un altro problema fondamentale, quello dei rapporti tra Chiesa e Stato. A lungo dipendente da Kiev, la Chiesa ortodossa russa se ne era progressivamente affrancata: per motivi di sicurezza, il metropolita sposta la propria residenza da Kiev a Mosca e l’accresciuta importanza della città viene sottolineata nel 1495 dalla investitura del metropolita Simeon da parte del gran principe. In questi stessi anni si fanno sempre più forti le richieste di un profondo rinnovamento spirituale che alcuni vedono raggiungibile solo attraverso il ritorno al modello evangelico e la liquidazione delle proprietà ecclesiastiche. Ai nestjazatelj (pauperisti) si contrappongono i giuseppiti (iosifljane, da Iosif Volockij, il teorico di una Chiesa forte, anche materialmente) che riflettono gli interessi dei grandi feudatari ecclesiastici. Ivan III tenta dapprima di sostenere i pauperisti e secolarizzare i beni ecclesiastici per disporre largamente di terre da distribuire alla nuova classe di servitori che andava creando, ma nel 1503 si risolve invece a giovarsi del sostegno che i giuseppiti garantiscono al rafforzamento dello Stato centralizzato e favorisce la loro vittoria all’interno della Chiesa, accontentandosi di limitare la crescita delle proprietà ecclesiastiche.
Vasilij III (1479 - 1533)
Il figlio di Ivan III, Vasilij III, prosegue con abilità il progetto paterno, completando innanzitutto la riunione delle terre russe (1510-1522) e riconquistando anche Smolensk (1514), dopo una lunga guerra con la Polonia (1508-1509, 1512-1522). A livello internazionale si dà il via ai rapporti diplomatici con la Francia e viene consolidata la posizione di vassallaggio del Khanato di Kazan’; peggiorano invece le relazioni con i Tatari di Crimea, che devastano con ripetute scorrerie (1507, 1516, 1518, 1521) i territori russi e minacciano anche la capitale. All’interno, il potere di Vasilij diviene sempre più saldo per il largo consenso dei sudditi, che identificano in lui l’unico difensore dei loro interessi e della loro fede; a rafforzarlo nasce ora anche il mito di Mosca come Terza Roma, che delinea la struttura della translatio imperii da Roma a Costantinopoli e, dopo il 1453, a Mosca: “Due Rome sono cadute, la terza sta salda, una quarta non ci sarà”. Ancora irrisolta resta però la questione fondamentale del rapporto tra il potere del sovrano e quello dell’aristocrazia: i principi che hanno abbandonato i domini ereditari per porsi al servizio del gran principe di Mosca ritengono di conservare intatta la propria sovranità e di averla unita solo a quella di altri pari grado, in un potere aristocratico collettivo che condiziona e limita quello del sovrano. Tenuto sotto controllo dalla forte personalità di Vasilij, il problema esplode alla sua morte, quando un bimbo di appena tre anni eredita il trono e poco dopo (1538) muore, forse avvelenata, anche la reggente Elena Glinskaja.
Ivan IV (1530 - 1584)
Il periodo dell’anarchia boiara, contraddistinto dalla lotta per il potere tra le due maggiori famiglie, quella dei Bel’skij e quella degli Sujskij, segna profondamente il giovane sovrano che non dimenticherà mai i soprusi subiti. Al suo fianco dal 1542 è il metropolita Makarij (1481-1563), il quale non solo provvede a salvaguardarne la vita e il trono ma ne cura con grande intelligenza l’educazione, facendo di lui un uomo tra i più colti del suo tempo; non a caso, tra le prime iniziative di Ivan va ricordata la compilazione di una storia universale (affidata prima a Makarij, poi ad Adasev, infine a Viskovatyj), che nel corso di circa trenta anni produce dieci volumi, comprendenti un periodo che va dalla creazione del mondo al 1567, circa 9 mila pagine impreziosite da 16 mila miniature. Il 16 gennaio 1547 Ivan viene incoronato dal metropolita e assume per primo il titolo di zar; subito dopo, secondo una antica tradizione, convoca a Mosca le fanciulle da marito e tra esse sceglie la figlia di un piccolo nobile, Anastasia Romanov.
Nei primi anni di regno Ivan IV il Terribile mette mano a una serie di riforme che cambieranno radicalmente i rapporti di potere all’interno dello Stato. Al suo fianco, consigliere tra i più ascoltati, è sempre Makarij e presto anche due homines novi: Sil’vestr, un sacerdote di Novgorod, e Aleksej M. Adasev. Contro gli abusi amministrativi e giudiziari Ivan IV crea cariche elettive e retribuite (1547 e 1553); istituisce nuovi prikazy, tra cui il posol’skij prikaz (1549) per la gestione dei rapporti con l’estero, che divengono sempre più intensi (nel 1556 stabilisce relazioni diplomatiche anche con l’Inghilterra); sostituisce la bojarskaja duma con la izbrannaja duma e più tardi (1550) istituisce lo zemskij sobor, assemblea rappresentativa di tutti i ceti; infine emana un nuovo codice (Carskij Sudebnik). Il 1550 è un anno cruciale nella sua politica centralizzatrice e riformatrice. In funzione antiaristocratica Ivan crea innanzitutto un gruppo forte di nuovi cortigiani: convoca a Mosca mille rappresentanti della piccola nobiltà di provincia (figli di boiari), assegna loro in vitalizio (pomest’e) territori tutt’intorno alla capitale con l’obbligo di prestare servizio armato, e sceglie tra di loro i servitori dello Stato. Per la definizione delle molte questioni ecclesiastiche ancora sospese convoca un concilio (1550-1551) che sancisce la definitiva scelta per una Chiesa gerarchica e ricca ma subordinata al sovrano, e fa di Mosca il centro anche religioso di tutta la Russia: negli anni immediatamente successivi (1553-1557) una serie di processi per eresia contro laici ed ecclesiastici riducono per sempre al silenzio l’ala evangelica e pauperista. Nel 1553 Ivan ristruttura radicalmente l’esercito: con 12 mila militi scelti crea il corpo degli strel’cy (fucilieri) e con il sistema del pomest’e forma il nucleo di un esercito stanziale. Quanto alla politica estera, dispiega un’instancabile attività diplomatica e militare. A sud conquista i regni di Kazan’ e Astrachan’ (1552-1553); a nord punta a raggiungere uno sbocco sul Baltico che renda la Russia autonoma per i propri scambi commerciali. La guerra (1558) contro il regno polacco-lituano per la conquista della Livonia, pur coronata da notevoli successi sul campo –tanto da indurre Svezia e Inghilterra ad allearsi con la Russia –si prefigura lunga e impegnativa, provocando una profonda spaccatura all’interno del gruppo di consiglieri di Ivan, più propensi alla conquista della Crimea, meno faticosa e certamente per loro più redditizia. Ma Ivan non intende rinunciare alla espansione verso nord-ovest e piega l’opposizione nobiliare con diversi mezzi: l’esilio, la monacazione, l’eliminazione fisica e infine con un originalissimo rimaneggiamento territoriale che fa leva sull’idea dello Stato come patrimonio del sovrano e della contrattualità del potere (1565). Dopo aver ricevuto una nuova investitura popolare dalla “cristianità ortodossa della città di Mosca”, Ivan IV dà vita a due realtà istituzionali separate, la zemscina (gestita da un consiglio di boiari) e l’opricnina (dipendente direttamente dallo zar e dotata di una propria milizia, gli opricniki); procede poi a una nuova ripartizione della terra tra i boiari, recidendo i loro legami con i propri domini d’origine. La guerra con la Polonia riprende e si protrarrà, attraverso alterne vicende, per il resto della vita dello zar; anche il tentativo di concluderla grazie alla mediazione papale, che porta il gesuita Antonio Possevino a Mosca (1581) con grandi speranze, si rivela inconcludente. In compenso, proprio nello stesso anno, il cosacco Ermak dona a Ivan IV la Siberia, da lui conquistata in nome del suo sovrano, ampliando smisuratamente i confini dell’impero. Poco dopo, in un accesso d’ira, Ivan uccide il figlio e successore, Ivan Ivanovic; tenta allora di concludere un nuovo matrimonio chiedendo a Elisabetta I la mano di una nobildonna inglese, Maria Hastings, ma alla fine sposa la giovanissima Maria F. Nagaja, che gli dà un altro figlio maschio (1582). Il 18 marzo 1584, però, mentre è impegnato in una partita di scacchi, Ivan IV muore improvvisamente lasciando il Paese in una situazione assai difficile.
Fëdor I (1557 - 1598)
La morte di Ivan IV, inaspettata e non immune da sospetti di avvelenamento, mette in grave pericolo la sopravvivenza della costruzione statale che egli aveva perseguito con tanta determinazione. Degli otto figli, tre femmine e cinque maschi, nati dai suoi sette matrimoni, sopravvivono solo due maschi, Fëdor, fisicamente e mentalmente tarato, e Demetrio (1582-1591), perfettamente sano ma poco più che un infante. Relegati Demetrio e la madre nel villaggio di Uglič, Fëdor viene incoronato zar, ma reggente effettivo dello Stato è il cognato, Boris Godunov, un opricnik favorito già da Ivan IV, di origine tartara, semianalfabeta ma intelligente, abile e molto ricco, che prosegue nell’opera di rafforzamento del potere centrale e ottiene, soprattutto a livello di politica estera, importanti successi. Pur non riuscendo a giungere al Baltico, la Russia resiste efficacemente alle pressioni polacche e prende agli Svedesi, oltre ai territori perduti, la Carelia e la Lapponia; completa la conquista della Siberia e fonda la città di Tobol’sk; pone un freno alle scorrerie tatare e contrasta le pretese inglesi di gestire il commercio in regime di monopolio. Tra i successi più significativi, per le rilevanti implicazioni anche interne, va senz’altro ricordata l’elevazione, nel 1589, della Metropolia di Mosca a Patriarcato: il cammino della Chiesa russa per l’indipendenza delle Chiese nazionali dall’autorità del patriarca è concluso.
Alla vigilia dei torbidi
Il grandioso sforzo bellico continua però a richiedere sacrifici in denaro e in risorse umane a un Paese sfiancato da decenni di guerra e di scontri intestini, impoverito da una grave crisi demografica e da ricorrenti carestie. Boris Godunov prepara con cura la propria successione, facendo uccidere l’ultimo Rjurikide, il piccolo Demetrio, e costringendo all’esilio o al chiostro i membri delle famiglie boiare più prossime a quella imperiale, a cominciare dai Romanov. Ma la crisi è alle porte e la corona che Boris Godunov riesce a cingere nel febbraio del 1598, dopo essere stato designato zar dallo zemskij sobor, appare presto molto poco salda.