LA ROCHEFOUCAULD, François, duca de La R., principe di Marcillac
Scrittore francese, nato il 15 settembre 1613 a Parigi, ivi morto il 17 marzo 1680. L'autore delle Réflexions ou Sentences et Maximes morales non uscì grande moralista e scrittore da una lunga vigilia di studî, bensì dalle agitazioni e dai contrasti d'una giovinezza romanzesca; la quale finisce proprio coi suoi quarant'anni e con il crollo delle sue grandi ambizioni.
Della sua fanciullezza si sa ben poco: fu educato nel territorio di Angoulême, dov'erano le possessioni feudali della sua antica famiglia, e nel Poitou, dove il duca padre risiedeva come governatore; quivi, e precisamente in Fontenay-le-Comte, ebbe maestro un avvocato e procuratore del re, Julien Collardeau; e a quindici anni fu sposato ad Andrée de Vivonne, figlia del capitano delle guardie di Maria de' Medici. Il resto della sua vita si divide in quattro periodi, a ciascuno dei quali si potrebbe dare, come notò il Sainte-Beuve, il nome d'una donna. Il primo periodo va dal 1629, ingresso a Corte, fino al 1648 circa, ingresso nella Fronda dell'uomo già duramente sperimentato e abbandonato ormai dai suoi sogni giovanili. L'eroina di questo primo periodo è la bella e ardita Madame de Chevreuse: intorno a lei si annodano tutti gl'intrighi in favore d'Anna d'Austria e contro il prepotere del cardinale di Richelieu; per suggestione di lei, il giovane Marcillac sfida la fortuna, irritando Luigi XIII, e giungendo fino a macchinare una fuga a Bruxelles dell'infelice regina e della fida damigella de Hautefort. Frutto di questi cavallereschi ardori e furori furono, per lui, otto giorni di prigionia nella Bastiglia e tre anni d'esilio a Verteuil (1639-42). Il secondo periodo è quello della Fronda: La R., trattato dalla regina con ingratitudine e venuto in odio al cardinal Mazzarino, non esita a cacciarsi in una nuova e più pericolosa avventura, assillato dal desiderio della vendetta. L'eroina di questo secondo periodo è Madame de Longueville, una "preziosa" che si lasciava facilmente condurre dalle sue ambiziose fantasie ai passi più arrischiati. La R. non aveva davanti a sé una sicura linea di condotta, e neppure un'idea chiara di quel che volesse; né certo la sua compagna d'avventura era fatta per disciplinarlo e guidarlo nell'azione; inoltre, c'era tra loro l'amore, che costituiva un altro motivo di disordine nella vita della coppia frondeuse. Nel 1652, durante il combattimento alla Porte Saint-Antoine, egli fu ferito alla faccia da un'archibugiata, che gli indebolì per sempre la vista. Si chiude così il tempo della sua attività politica e s'apre un terzo periodo, quello della composizione dei Mémoires e delle Maximes. La R., divenuto intanto duca per la morte di suo padre (1653), vive ritirato in una società di eletti ingegni, godendo soprattutto della consuetudine con Madame de Sablé. Quest'intelligente signora, "preziosa" e giansenista, fu la fervida promotrice del libro che doveva immortalare La R.: e ne suggerì forse la prima idea, favorendo nel suo salotto il raffinato gioco mondano delle sentences o maximes. L'ultimo periodo, che s'inizia appunto con la pubblicazione delle Maximes (1665), è di raccoglimento e quasi di solitudine; il misantropo che, filosofando, non aveva concesso grazia neppure al sentimento dell'amicizia, vive ora, nella realtà, una bella amicizia; e l'ispiratrice è, finalmente, una donna di genio, Madame de La Fayette. "Il m'a donné de l'esprit - confessa l'autrice de La Princesse de Clèves - mais j'ai réformé son coeur". Essa ebbe certamente gran parte nella correzione di molte massime, che nella prima edizione denunciavano un'assoluta sfiducia nella natura umana e che apparvero poi mitigate dalle formule le plus souvent, presque tous, quelques, certains, e simili; mentre, per suo conto, trasse indubitabile vantaggio, come analizzatrice e narratrice di belles passions, dalla collaborazione del suo grande amico. I tardi anni di La R. furono funestati dalla morte del suo quarto figlio, ucciso al passaggio del Reno (1672), nello stesso scontro in cui restava gravemente ferito il suo primogenito, e in cui cadeva anche il duca di Longueville, amato da lui, con buona ragione, si dice, al pari d'un figlio. Egli morì d'un accesso di gotta, assistito negli ultimi istanti da Bossuet.
Dei suoi due libri l'uno - i Mémoires - è un racconto autobiografico, circoscritto nel giro degli anni 1624-1652, e l'altro - le Maximes - è quasi la deduzione e conclusione morale del primo.
I Mémoires de M. D. L. R. sur les brigues à la mort de Louis XIII, les guerres de Paris et de Guyenne et la prison des Princes apparvero a stampa nel 1662 ad Amsterdam, con la falsa indicazione di Colonia. Fu l'effetto d'una indiscrezione di Loménie de Brienne, che s'era fatto prestare il manoscritto da Arnauld d'Andilly, incaricato d'una revisione stilistica; e l'autore ne rimase stupito e addolorato, perché la pubblicazione di quei ricordi avrebbe potuto turbare la tranquillità della sua retraite e la fortuna a corte dei suoi figli. Seguirono poi, vivente l'autore, parecchie edizioni conformi alla prima; e altre dopo la sua morte, accresciute e mutate nell'ordine dei capitoli per l'introduzione di parti inedite (importante quella Renouard del 1804 e 1817). La materia è così ricca e intricata, e la narrazione così serrata e rapida, che spesso, leggendo, s'ha l'impressione del troppo fitto, come se il libro non potesse avere il suo naturale respiro. È un capolavoro mancato nell'insieme, ma pienamente riuscito in molti particolari. Certi ritratti fisico-morali, ottenuti con pochi tocchi energici e sicuri, sono d'una evidenza stupenda, e certe situazioni drammatiche sono rese con la potente concisione di Tacito.
Le Maximes, dopo la prima edizione del 1665, ne ebbero altre quattro curate dall'autore; l'ultima e la più completa nel 1678. L'edizione postuma del 1693 contiene alcune massime inedite; a cui altre s'aggiunsero più tardi (edizione critica di Gilbert e Gourdault, per la collezione dei Grands Ècrivains de la France, Parigi 1868-1884). Frutto amaro d'una vita travagliata da indomiti e impotenti orgogli e da vaghe e vane aspirazioni eroiche, il libro delle Massime è un breviario di pessimismo morale. Il pessimismo di La R. non ha architettura di sistema, bensì appare chiaramente e continuamente governato da un metodo. Tesi prima e ultima è la dimostrazione della "fausseté de tant de vertus apparentes" e il procedimento seguito dall'autore nell'esame di ciascun sentimento che abbia fama di nobiltà (giustizia, clemenza, temperanza, bontà, onestà femminile, riconoscenza, sincerità, saggezza della vecchiaia, ecc.) è sempre lo stesso: un'incisione rapida e profonda nel corpo della bella apparenza, e la conseguente esposizione a nudo del motivo interno, unico e immutabile, di qualunque azione umana: l'amour-propre, ossia l'interesse personale, riconoscibile sempre, anche quando si sforzi d'apparire il proprio contrario. Duro procedimento chirurgico, che qualche volta sa di gioco crudele. L'uomo del La R. s'identifica inizialmente con il "savio" del Guicciardini, mosso ad agire soltanto dal suo "particulare", ma da esso poi diverge, perché, invece d'acquetarsi in un gelido indifferentismo morale consolato di gaudî estetici, ha un'appassionata coscienza, quasi un segreto rimorso, del suo stato. Egli è il deluso, il disincantato, che, mentre si vendica sull'umanità del male che ha sofferto, punisce sé stesso della propria credulità giovanile. Ma non è da dire che sia un personaggio sporadico ed eccezionale nel suo tempo, ché anzi egli pare il prodotto più genuino di tutta una classe, la quale, dietro la maschera delle bienséances, ha sentito e vissuto la violenza delle più selvagge passioni, e ha cercato salvezza nel più rigido cristianesimo che l'età moderna conosca, il giansenismo. Pessimismo, quello del La R., totale, temperato appena da quelle povere riserve, più di parola che di pensiero, consigliate dalla dolce La Fayette. Gli uomini, come li vede La R., son fatalmente condannati all'egoismo e all'ipocrisia, o, quanto meno, all'errore inconscio. La R. si ferma nel labirinto di menzogne che una società raffinatissima e spietata ha costruito per rendersi possibile la vita, e vi s'aggira, scoprendo dietro ogni bella finzione una mostruosa verità, con quel suo immutabile sorriso, tra doloroso e canzonatore. Quanto al valore letterario, esse segnano la fine del concettismo nella prosa mondana (anche se qua e là lasciano tuttavia apparire qualche pointe epigrammatica) e l'inizio d'una maniera di dire asciutta e vigorosa, tutta pensiero e tutta cose. La chiaroveggenza del moralista trova perfetto riscontro nella nettezza e lucidità dello stile; il quale è tutt'altro che di primo impeto e getto, ma pure non manca mai di quella spontaneità ulteriore in cui tutto il lavoro di preparazione s'assorbe e scompare. Non soltanto, secondo Voltaire, le Maximes sono "un des ouvrages qui contribuèrent le plus à former le goût de la nation et a lui donner un esprit de justesse et de précision"; ma molte di esse, espresse in forma immaginosa, hanno, oltre alla forza persuasiva della verità, certa potenza di suggestione poetica: appunto quell'aura misteriosa cui alludeva, in una lettera del 1672, Madame de Sévigné.
Bibl.: Sainte-Beuve, Portraits de femmes, Parigi 1850; e Causeries du lundi, XI, 1853; É. Faguet, XVIIe siècle, Parigi 1885; J. Bourdeau, La R., Parigi 1895; F. Hémon, La R., Parigi 1896; G. Grappe, La R., Parigi 1914; Gabriel de La Rochefoucauld, Introd. ai Mémoires, Parigi 1926; J. Schmidt, Die Maximen von La R., in Zeitschr. f. franz. Sprache u. Literatur, LVII (1933), pp. 129-155.