La Rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza. Harvey e la circolazione del sangue
Harvey e la circolazione del sangue
Se la moderna storiografia si è a lungo interrogata sull'effettiva esistenza di una Rivoluzione scientifica, in questo capitolo occorrerà chiedersi anche se William Harvey vi abbia realmente preso parte. Considerando la questione dal punto di vista dei suoi contemporanei, e soprattutto da quello di Harvey stesso, le risposte a tali quesiti non possono che essere negative. Harvey, infatti, criticò apertamente i contemporanei che si discostavano dall'autorità dei pensatori antichi e arabi: potrà infatti sembrare paradossale, ma egli, pur avendo conseguito la più importante scoperta medica mai compiuta ‒ scoperta in alcun modo anticipata dagli Antichi ‒, non cessò di nutrire una grande ammirazione per quei pensatori e soprattutto per Aristotele. La soluzione di questo apparente paradosso risiede nel fatto che Harvey ammirava i metodi degli Antichi più delle loro conclusioni. Nelle Exercitationes de generatione animalium (1651) il medico, descrivendo il suo metodo per raggiungere la conoscenza (ciò che oggi chiameremmo ricerca), proponeva una serie di criteri analoghi a quelli indicati da Aristotele, senza mettere in risalto la scarsa conoscenza del cuore dei grandi animali dimostrata dal filosofo, che reputava l'organo dotato di sole tre cavità, anziché quattro o due, nel caso in cui gli atri fossero considerati dilatazioni delle vene.
Le ricerche di Harvey, inoltre, furono annunciate e discusse in tutti i paesi europei proprio nello stesso periodo in cui nuove forme di filosofia della Natura riscuotevano un grande consenso in alcune regioni dell'Europa continentale. Particolare diffusione ebbe la dottrina elaborata da Descartes, secondo cui il mondo era costituito da particelle che agivano in modo esclusivamente meccanico, una teoria del tutto estranea alle inclinazioni di Harvey. Per contro Descartes fece propria la descrizione della circolazione del sangue proposta dal medico inglese, assegnandole un ruolo centrale nella sua filosofia e consentendole, grazie alla popolarità di cui avrebbe goduto, di raggiungere una diffusione che non avrebbe avuto altrimenti.
A prescindere dalle rispettive specificità, i modelli di Descartes e di Harvey erano entrambi estremamente innovativi e richiamarono l'attenzione di quanti avevano interesse per le novità della scienza e, in particolare, degli studenti. Sembrerà però paradossale che nel periodo successivo alla morte di Harvey, quando i suoi esperimenti furono sottoposti a nuove verifiche e la sua descrizione della circolazione del sangue fu considerata separatamente dal sistema filosofico di Descartes, questo, subendo lo stesso destino del modello aristotelico, cadde in discredito, mentre la dottrina di Harvey sopravvisse alla sua epoca, tanto che gli storici successivi vi individuarono un significativo risultato della Rivoluzione scientifica.
Il termine scienza è una traduzione in qualche modo riduttiva del latino scientia che, nel contesto aristotelico, esprimeva in tutte le sue sfumature il concetto di conoscenza dimostrabile; la disciplina che oggi si è soliti denominare scienza, al tempo di Harvey e nelle età precedenti, era definita dai suoi cultori 'filosofia della Natura', un'espressione che aveva un significato ben preciso, in quanto nelle università settentrionali indicava l'ultima parte del programma di studio delle arti e, nelle università meridionali, la disciplina su cui si basava la teoria della medicina. La scientia della Natura era una parte della filosofia della Natura, che a grandi linee equivaleva ai risultati che gli insegnanti di filosofia, i naturales, si proponevano di conseguire applicando il programma degli Analitici secondi ai temi trattati nei Naturalia.
Nelle università inglesi la filosofia della Natura era stata insegnata sin dall'inizio del XIII sec., in quanto non era stata colpita dalle proibizioni relative all'insegnamento della dottrina di Aristotele, emanate a Parigi nel 1210 e nel 1215. Negli ultimi anni del XVI sec., tuttavia, nel periodo cioè in cui Harvey frequentava Cambridge, questa disciplina era in netto declino, in parte per motivi di carattere religioso. Alcuni protestanti, infatti, ritenevano che, unitamente alla riforma della Chiesa, si dovesse compiere una riforma del pensiero di Aristotele; le sue opere, incluse quelle dedicate alla Natura, apparivano infatti indissolubilmente legate all'antica tradizione erudita della Chiesa e, secondo i protestanti, godevano di un'eccessiva autorità. È vero che nel corso degli anni Quaranta del XVII sec. le università olandesi finirono per riproporre il primato del pensiero filosofico aristotelico, ma questa scelta fu operata in seguito ai disordini provocati dai medici che volevano adottare la filosofia della Natura di Descartes.
Nel periodo in cui Harvey si trovava a Cambridge, in questa Università e a Oxford la filosofia della Natura era insegnata su compendi che non rispecchiavano più l'estensione degli argomenti di Aristotele né la complessità dei commenti medievali ai testi del filosofo. Le critiche dei nuovi filosofi erano dirette proprio contro queste riduzioni dell'aristotelismo.
Prima di recarsi a Padova, Harvey frequentò l'antico Gonville Hall di Cambridge, un college da poco rifondato dal medico umanista John Keys (Caius, 1510-1573); già durante i suoi primi studi, quindi, entrò in contatto con la filosofia della Natura di Aristotele e, come sembra dimostrare l'assegnazione della borsa di studio intitolata a Matthew Parker, probabilmente si dedicò anche allo studio della medicina. In questo periodo, quindi, Harvey si accingeva ad attraversare la soglia 'in cui il filosofo cede il passo al medico', per riprendere un'arguta massima aristotelica che evidenzia come la teoria della medicina si basasse sulla filosofia della Natura, per poi svilupparsi nella pratica professionale.
Nel 1600 Harvey si recò a Padova, dove venne a contatto con un diverso modo di affrontare lo studio di Aristotele. In questa università la tradizione aristotelica, benché piuttosto tollerante sul piano religioso, era fortemente legata al cattolicesimo e rappresentava in qualche modo la cultura egemone. Agli inizi del XVII sec., infatti, l'aristotelismo era tutt'altro che in declino; è sufficiente pensare ai gesuiti di Coimbra per capire che gli studi aristotelici avevano riacquistato in alcuni ambiti un peso analogo a quello esercitato nel Medioevo.
Inoltre il maestro di Harvey, Girolamo Fabrici d'Acquapendente (1533 ca.-1619), era dedito allo studio di alcune sezioni del corpus aristotelico, abitualmente trascurate nelle università settentrionali, dove l'insegnamento della filosofia della Natura faceva parte del programma di studio delle arti. Benché i testi dedicati da Aristotele agli animali fossero tutt'altro che sconosciuti agli studenti di medicina di Parigi, Fabrici interpretava i loro contenuti in modo completamente diverso, dedicandosi a quella che potrebbe essere a giusto titolo definita una 'ricerca'. Egli, infatti, studiava gli animali da un punto di vista filosofico piuttosto che medico. Galeno aveva preso in esame gli animali, perché pensava di ricavare da questa indagine risultati utili alla conoscenza del corpo umano, applicabili soprattutto in campo medico. Fabrici, invece, sull'esempio di Aristotele, riteneva che lo studio degli animali costituisse un'area di indagine autonoma. Esaminò gli organi e gli insiemi di organi che svolgevano funzioni di carattere generale, per esempio quelle relative alla nutrizione e alla fonazione, riconducendo le differenze riscontrate nella struttura che questi organi assumevano nei diversi animali ai rispettivi modi di vita e a ciò che Aristotele chiamava 'la natura degli animali'.
Fabrici era talmente assorbito da questa indagine che finì per suscitare le vive proteste degli studenti tedeschi, i quali sostennero di essersi sobbarcati un onere economico gravoso per poter apprendere nozioni di anatomia umana applicabili in campo medico e chirurgico e non per ascoltare lezioni dedicate all'anatomia 'filosofica' degli animali.
Dopo aver trascorso due anni a Padova, dove nel 1602 conseguì il titolo di dottore in medicina e filosofia, Harvey ritornò in Inghilterra e con grande accortezza e sagacia riuscì ad assicurarsi una brillante carriera. Sposò la figlia di un illustre medico e divenne fellow del London College of Physicians. Per poter entrare a far parte di questo istituto, che aspirava al monopolio della pratica della medicina interna a Londra, Harvey aveva dovuto dichiarare di essere un fedele seguace di Galeno e di essere inoltre in grado di effettuare dissezioni su corpi umani in pubblico. Per ottenere la qualifica di magister, infatti, era necessario possedere tali requisiti e a questo proposito il College nominava periodicamente un censore, incaricato di controllare che gli aspiranti fossero in regola da questo punto di vista. Era l'aspetto 'burocratico' del credo medico, necessario a dimostrare che tutti gli studiosi di medicina erano concordi nel ritenere, o almeno nel mostrarsi esteriormente convinti, che il galenismo coincidesse con la verità. Anche dopo la scoperta della circolazione del sangue Harvey esercitò la carica di censore attenendosi alle norme tradizionali.
Il College affidò a Harvey il compito di tenere le lezioni e le dimostrazioni anatomiche lumleiane, un ciclo di lezioni destinato alla diffusione della conoscenza dell'anatomia umana per scopi medici e chirurgici che, secondo il suo ideatore, Lord John Lumley, avrebbe dovuto svolgersi parzialmente in inglese. In quel periodo, tuttavia, e forse per iniziativa dello stesso Harvey, le lezioni lumleiane iniziarono a incentrarsi sull'anatomia filosofica e a tenersi in latino. Questi due metodi di insegnamento dell'anatomia erano molto diversi tra loro. Nelle liste dei vantaggi dell'anatomia e della dissezione dei corpi umani, abitualmente compilate dagli anatomisti contemporanei, i benefici medici figuravano in generale al terzo o al quarto posto e quelli chirurgici non erano quasi mai menzionati. Per questi studiosi il più importante vantaggio offerto dall'anatomia era la possibilità di aprire la strada alla conoscenza filosofico-naturalistica del corpo, una conoscenza dimostrabile perché basata sulla comprensione dei fini e delle cause che regolavano le diverse parti del corpo. La nozione era di origine aristotelica, ma al tempo di Harvey fu assunta come prospettiva razionale per ammirare l'ingegnosità e la provvidenza del Creatore.
Harvey integrò questi elementi caratteristici dell'anatomia dell'inizio del XVII sec. con ciò che aveva appreso a Padova. Nel corso della preparazione del ciclo di lezioni e di esercitazioni, infatti, decise che la dissezione del corpo umano doveva essere accompagnata dalla vivisezione di animali, dal momento che, come si è già osservato, l'anatomia studiava sia le funzioni sia le strutture degli organi. Giunto alla descrizione del cuore, Harvey esaminò il battito cardiaco in diversi animali. Il suo programma si basava sulla convinzione che i cuori di tutti gli animali avessero in comune gli aspetti caratteristici essenziali e che si distinguessero tra loro solo per gli aspetti connessi al modo di vita ‒ cioè alla 'natura essenziale' ‒ degli animali in questione.
Non vi è motivo di supporre che, nel periodo precedente a quello in cui si svolsero le lezioni, Harvey fosse particolarmente interessato al cuore. Egli naturalmente riteneva che questo fosse un organo molto importante, uno dei tre (o quattro) organi principali, l'unico in grado di muoversi in modo completamente indipendente dalla volontà, e sapeva che era stato oggetto di un gran numero di dispute tra filosofi e medici sin dal Medioevo. Per rendere più convincente la lezione dedicata alla spiegazione dei movimenti del cuore, vivisezionò alcuni animali e mise a nudo i loro cuori ancora in attività. Egli conosceva le concezioni mediche e filosofiche sull'importanza del cuore; sapeva che, secondo Aristotele, esso era dotato di tre cavità e forse si era reso conto che i termini sistole e diastole spesso erano confusi tra loro nella letteratura anatomica. In ogni caso, Harvey si aspettava di vedere il cuore gonfiarsi durante la diastole e contrarsi durante la sistole; secondo Galeno, infatti, con la prima azione il cuore estraeva il sangue dalla vena cava e con la seconda consentiva all'aorta di immetterlo in circolo estraendolo dai ventricoli cardiaci.
Harvey, invece, vide il cuore elevarsi con un energico movimento e poi abbassarsi più lentamente, senza riuscire a osservare o a percepire un cambiamento di volume. Giunto a questo punto decise di risolvere il problema sia dal punto di vista teorico sia pratico. In primo luogo, pensò che il movimento proprio del cuore ‒ vale a dire l'azione essenziale e il suo 'scopo' ‒ dovesse aver luogo durante la sua energica elevazione. Il corrispondente cedimento sembrava invece rientrare nel ciclo di azione che rendeva possibile la successiva elevazione. Dal momento che il cuore era responsabile del movimento del sangue, Harvey giunse alla conclusione che era durante la fase attiva del movimento che esso svolgeva questa funzione. In secondo luogo, perforando l'aorta mentre il cuore era ancora attivo, egli scoprì che il sangue arterioso fuoriusciva nel corso della sua elevazione. Ciò confermava il risultato a cui era giunto attraverso l'indagine teorica: il movimento del sangue derivava dal movimento proprio del cuore. Ma, nel momento in cui il sangue si allontanava dal cuore, quest'ultimo doveva ridursi nel corso del suo energico movimento; dunque la sistole era una contrazione attiva che spingeva il sangue nelle arterie, ovvero un'azione diametralmente opposta a quella descritta nella dottrina di Galeno, e ciò spiegava la confusione terminologica riscontrabile nel manuale di anatomia di Realdo Colombo (1510-1559). Harvey fu molto soddisfatto e orgoglioso della scoperta della sistole attiva, poiché era consapevole di aver rettificato un errore che alterava la descrizione dell'azione del cuore sin dall'Antichità e, nel primo ciclo delle lezioni lumleiane, insegnò questa dottrina, integrandola con la tesi di Colombo, secondo cui il sangue attraversa i polmoni.
A questo punto è necessario un riepilogo. Galeno aveva sostenuto che la parte destra del cuore e i suoi vasi svolgevano una funzione essenzialmente nutritiva, dal momento che portavano il sangue dalla sede in cui si generava, il fegato, a tutte le parti del corpo che lo consumavano, mentre la parte sinistra del cuore e i suoi vasi svolgevano una funzione respiratoria, poiché estraevano l'aria dai polmoni e consentivano al sangue arterioso di diffondersi lungo le arterie. Per spiegare il modo in cui il sangue raggiungeva il ventricolo destro divenendo arterioso, Galeno aveva sostenuto che il setto situato tra i due ventricoli fosse dotato di fori. Gli anatomisti non erano mai riusciti a individuare questi fori e studiosi come Michele Serveto (1511-1553) e Colombo erano inclini a immaginare che il sangue si muovesse da destra a sinistra attraverso i polmoni, divenendo sangue arterioso nel corso di questo passaggio.
Le dispute e la circolazione
Come si è già osservato, ai membri del London College of Physicians (dal 1663 Royal College of Physicians) non era permesso respingere la dottrina di Galeno. A Parigi la situazione non era diversa; la maggior parte dei medici, infatti, non aveva alcun motivo di dubitare delle verità fondamentali della medicina galenica, che peraltro ammetteva la possibilità di un loro progressivo perfezionamento. Lo stesso Galeno aveva asserito che altri medici avrebbero potuto effettuare nuove scoperte in campo anatomico. Le dispute con i filosofi avevano inoltre favorito lo sviluppo di tecniche interpretative estremamente flessibili riguardo ai testi degli autori antichi. Nei casi in cui non era possibile giungere a una conciliazione, gli esperti di medicina e i filosofi finivano per indossare differenti 'abiti' e per sostenere diversi 'credo' professionali. Nel corso della sua carriera un insegnante poteva passare dalla filosofia alla medicina, accettando i vari principî su cui queste discipline erano fondate, senza curarsi minimamente di stabilire quale dei due punti di vista fosse più vicino alla verità fisica. Per tutte queste ragioni, il pubblico che assisteva alle lezioni anatomiche di Harvey non poteva accettare senza riserve la sua scoperta; Harvey finì per affrontarlo con lo spirito di chi doveva sostenere una disputa in un'aula universitaria. Sotto lo sguardo del presidente del College, investito di un ruolo analogo a quello svolto dai magistri che presiedevano le dispute tra gli studenti, il pubblico contestò le sue tesi ed egli replicò alle obiezioni.
Nel corso della preparazione del secondo e ultimo ciclo di lezioni, Harvey decise di effettuare un maggior numero di esperimenti per rendere più attendibile la sua teoria e rispondere ai critici. Egli rielaborò gli appunti, inserendo una serie di richiami agli esperimenti da effettuare e impiegando un linguaggio più efficace. Giunse così alla seconda fase della sua scoperta. Dal momento che descrivendo la sistole attiva si era basato sulla tesi secondo cui il sangue fuoriusciva dall'aorta nel momento in cui il cuore si contraeva, Harvey pensò di rafforzare la sua tesi mostrando che si trattava di un flusso abbondante e vigoroso. Cambiò negli appunti il termine profluit (fluisce), usato per descrivere il flusso del sangue, con l'espressione più energica prosilit (sgorga). Per dimostrare che la sistole attiva metteva in movimento una consistente quantità di sangue in un dato periodo, egli eseguì un calcolo approssimato della quantità emessa a ogni battito del cuore. Benché si fosse basato su una valutazione prudente, il risultato di un tale calcolo doveva essere moltiplicato per il numero delle pulsazioni cardiache al minuto e poi a intervalli di sessanta minuti, in modo da determinare la quantità di sangue emesso in un'ora. Si rese conto così di aver ottenuto un risultato superiore a qualsiasi aspettativa. Secondo la dottrina galenica, tutto il sangue prodotto dal fegato derivava dal cibo ed era assimilato dai tessuti del corpo. Il calcolo eseguito da Harvey dimostrava invece che la quantità di sangue emesso dal cuore era di gran lunga superiore a quella che il cibo avrebbe potuto produrre; inoltre, era impossibile che i tessuti assorbissero una tale quantità di sangue in un così breve periodo.
Per Harvey ebbe inizio un periodo di crisi. Il risultato del calcolo da lui eseguito rischiava di invalidare la sua descrizione della sistole attiva e sembrava non fornire alcuna spiegazione. Egli ricordò questo periodo in un lungo brano, a dire il vero piuttosto confuso, del settimo libro del De motu cordis, in cui descrisse i problemi relativi al calcolo della quantità di sangue emesso dal cuore e alla struttura di questo organo e dei suoi vasi. Le valvole facevano parte della struttura del cuore ed egli stesso confessò in seguito a Robert Boyle di essere giunto a descrivere la circolazione partendo dall'esame del ruolo delle valvole. A quanto sembra, Harvey, che in quegli anni era già convinto che il sangue passasse attraverso i polmoni per poi ritornare al cuore, constatò che il transito polmonare richiedeva il coinvolgimento di tutte le valvole del cuore che assicuravano la trasmissione unidirezionale del sangue; questa osservazione rendeva superflua la dottrina di Galeno secondo cui la valvola mitrale dava accesso all'aria trasmettendo al tempo stesso il sangue e i vapori residui nella direzione opposta.
Durante questa fase, Harvey ripensò anche alle valvole presenti nelle vene del corpo, scoperte nei secoli precedenti e descritte nei primi anni del XVII sec. dal suo maestro Fabrici d'Acquapendente. Esse sembravano rallentare il flusso del sangue che, secondo Galeno, scorreva in senso centrifugo, dal fegato ai tessuti. All'improvviso si accorse che, essendo unidirezionali, le valvole delle vene, come del resto quelle del cuore, non potevano limitarsi a rallentare il flusso del sangue diretto verso l'esterno, ma dovevano bloccarlo completamente: era ***perciò necessario dedurre che il sangue, nelle vene, scorreva in direzione opposta. Esso in qualche modo fuoriusciva dalle estremità delle arterie esattamente nella quantità che aveva causato alcune difficoltà ai suoi calcoli, per poi venire raccolto nelle sottili ramificazioni delle vene e rinviato al cuore.
Harvey aveva compiuto una scoperta anatomica molto più significativa di quella della sistole attiva e capì che, essendo potenzialmente distruttiva per la medicina galenica, sarebbe stata accolta con scetticismo dai suoi contemporanei. Così, dopo essersi preparato ad affrontare una nuova disputa, ritornò nel teatro delle lezioni anatomiche e annunciò la sua scoperta. Alcuni la accolsero favorevolmente, altri la rifiutarono e molti chiesero un maggior numero di prove. Harvey tentò di far fronte a queste richieste, difendendo la sua tesi per un certo numero di anni, sotto la presidenza del dottor John Argent. Dopo essersi scontrato con l'accanita resistenza del suo ambiente professionale, Harvey decise che era giunto il momento di pubblicare i risultati della scoperta.
Certamente un profondo conoscitore delle procedure delle scuole, quale fu Harvey, nel dover rendere nota una scoperta così grave e già così controversa, valutò attentamente le modalità della sua pubblicazione. Pensò che solo una trattazione accademica formale avrebbe potuto indurre i suoi lettori ad accettare questa scoperta. Assegnò quindi al suo libro il titolo di Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus, pubblicandolo a Francoforte nel 1628. Il termine exercitatio serviva a indicare che si era in presenza di una produzione accademica, elaborata ricorrendo a tutti gli artifici dialettici, tipici delle scuole, di cui l'autore aveva potuto valersi; mentre l'espressione in animalibus suggeriva che si trattava di uno studio di carattere***filosofico e non medico.
I lavori accademici si svolgevano secondo una struttura interna ben definita. Un anatomista, per esempio, dovendo redigere un commento, avrebbe seguito rigorosamente la sequenza di esposizione e discussione e avrebbe descritto le sue personali scoperte solo verso la fine del testo, laddove i lettori si aspettavano di trovarle. Harvey dovette tener conto di regole analoghe. Per assecondare le aspettative dei lettori, egli iniziò l'esposizione non con l'annuncio della sua scoperta e con la presentazione delle prove che la confermavano, come oggi ci aspetteremmo, ma con una rassegna delle più importanti concezioni relative al movimento del cuore e del sangue, come si usava fare nei commenti; presentò le sue tesi solo nella seconda parte del testo.
Questo non significa che Harvey abbia redatto la prima parte del libro prima di aver messo a punto la descrizione della circolazione e la seconda nel periodo successivo, e che abbia poi riunito le due parti soltanto in un secondo momento per inviarle all'editore. Con ogni probabilità egli adottò questa tecnica espositiva per conferire al suo studio la stessa struttura degli esercizi accademici contemporanei e per assecondare le aspettative dei lettori. A questo proposito può essere utile esaminare la struttura espositiva dell'esercitazione che Harvey dedicò al movimento muscolare; nella prima parte l'autore analizza i principî del movimento degli animali, in gran parte analoghi a quelli descritti da Aristotele, e solamente nella seconda inizia a impiegare il termine 'muscolo'. In altre parole, egli aveva concepito la prima parte di questo testo come un commento ad Aristotele (che non conosceva i muscoli), da anteporre alla novità che si proponeva di descrivere.
La ricezione della teoria della circolazione
Il primo oppositore di Harvey fu il suo connazionale James Primrose. Formatosi in Francia e aspirante a un incarico presso la corte inglese, egli scrisse le Exercitationes, et animadversiones in librum De motu cordis, et circulatione sanguinis, stampate a Londra nel 1630. Gli storici della scienza hanno presentato Primrose come uno studioso accecato dall'ortodossia dominante e incapace di riconoscere la verità; l'esame del suo caso, tuttavia, può rivelarsi molto istruttivo. In realtà, la posizione di Harvey era tutt'altro che inattaccabile. In quanto 'moderno' egli non poteva appellarsi all'autorità degli Antichi. Inoltre, non era in grado di stabilire quale fosse il fine della circolazione del sangue: la sua descrizione, quindi, non era riconducibile alla 'conoscenza dimostrabile' aristotelica. Se si fosse rivelata fondata, la sua dottrina avrebbe potuto invalidare l'intera teoria degli umori e l'importante terapia dell'evacuazione, descritta da Galeno. Primrose, invece, poteva fondarsi su tutte le ramificazioni dell'aristotelismo e sull'applicazione di questa tradizione alla teoria medica, accettata per molte generazioni persino dai profani. Molti contemporanei probabilmente vedevano in Primrose uno studioso colto e dalle grandi doti intellettuali, che mostrava un giustificato disprezzo nei confronti delle novità che il sistema delle dispute universitarie era in qualche modo 'obbligato' a produrre.
Le corrosive critiche rivolte da Primrose alla dottrina di Harvey furono condivise anche da Jean Riolan jr (1580-1657), uomo di scienza dalla spiccata personalità. Riolan era considerato il più insigne anatomista europeo, e molti di coloro che avevano preso parte alla controversia sulla dottrina di Harvey attesero con trepidazione il suo verdetto. Riolan giunse alla conclusione che la 'circolazione', in quanto dottrina, non era applicabile in campo medico. In fin dei conti, nei secoli successivi a Galeno, i medici avevano constatato che nella pratica la loro interpretazione, di tipo galenico, del movimento del cuore e del sangue aveva dato risultati soddisfacenti. Avevano praticato i salassi, che si riteneva determinassero l'evacuazione degli umori maligni persino dalle parti più piccole e interne del corpo, venendo così incontro alle aspettative dei pazienti senza allontanarsi dalle dottrine di Galeno. In effetti, la loro immagine pubblica di professionisti (che tendeva ad alimentare queste aspettative) si identificava con il galenismo. Accettando la teoria di Harvey, che negava la dottrina di Galeno, essi si sarebbero esposti al rischio di perdere la fiducia del pubblico.
Harvey fu criticato non solo dal punto di vista medico, ma anche filosofico. Dopo tutto, egli aveva dato alle sue lezioni un'impronta più filosofica che medica e la ricerca su cui si basava la teoria della circolazione era contenuta in un'opera filosofica dedicata agli animali. Tuttavia, non essendo in grado di indicare il fine della circolazione ‒ requisito irrinunciabile per ogni tipo di conoscenza dimostrabile ‒ fu costretto a sostenere che in alcuni casi poteva essere sufficiente dimostrare l'esistenza di una cosa, senza procedere all'indicazione delle sue cause finali, assumendo così una posizione che, come gli ricordò lo studioso Caspar Hofmann (1571-1623) durante il loro incontro ad Altdorf, era considerata infondata dal punto di vista filosofico. Secondo Hofmann, non indicando il fine della circolazione, Harvey aveva accusato la Natura di agire invano, incorrendo in un grave solecismo filosofico. Inoltre Hofmann considerò con disprezzo le argomentazioni di tipo quantitativo proposte da Harvey, basate sulla valutazione della quantità di sangue emesso dal cuore in un dato periodo di tempo. Gli storici della passata generazione hanno invece attribuito una grande importanza a questo argomento, sottolineando come la scienza moderna sia prevalentemente quantitativa e riconoscendo nel metodo di Harvey una componente essenziale e significativa della Rivoluzione scientifica. Tuttavia non si possono descrivere gli eventi storici giudicandoli a posteriori. La reazione di Hofmann è molto illuminante e consente di spiegare gli atteggiamenti dei suoi contemporanei. Egli aveva abbracciato la tesi secondo cui la matematica non avrebbe nulla a che fare con la filosofia; questa nozione ‒ in parte derivata dal principio formulato da Aristotele, per il quale la matematica non studia le essenze delle cose ‒ era molto diffusa, anche per ragioni di distinzione intellettuale e sociale, tra i filosofi universitari. Hofmann sosteneva che Harvey, invece di adottare un atteggiamento filosofico che presupponesse l'indicazione delle cause, era ricorso agli espedienti impiegati da coloro che compilavano documenti contabili ‒ i commercianti ‒ quando allineavano i numeri nei bilanci d'esercizio.
Harvey dovette affrontare anche una serie di critiche di carattere teologico. Da Alfredo di Sareshel a Tommaso d'Aquino, una delle principali preoccupazioni dei dotti dell'Occidente latino era stata quella di adattare alla visione cristiana del mondo il contenuto delle opere fisiche di Aristotele, da poco scoperte, e la teoria medica che si basava su queste ultime. Bisognava soprattutto conciliare la concezione cristiana dell'anima come agente dell'immortalità umana e le interpretazioni aristoteliche e galeniche secondo cui l'anima era la fonte delle azioni corporee, dalla nutrizione alla riproduzione. La descrizione dell'azione del cuore era quindi estremamente importante e sia Alfredo sia Tommaso, entrambi autori di un testo intitolato De motu cordis, tentarono di individuare la facoltà dell'anima che presiedeva al suo movimento.
I teologi riconoscevano che una delle facoltà più 'basse' dell'anima umana guidava l'azione del cuore. Le loro concezioni collimavano con la tesi degli anatomisti dell'epoca di Harvey, secondo cui era grazie all'anima immortale che l'uomo poteva essere considerato l'immagine di Dio. Tale questione non turbò Harvey che, tuttavia, era profondamente preoccupato per coloro che, interpretando in senso cartesiano la sua dottrina della circolazione, descrivevano il cuore come una sorta di macchina. Molti pensavano che, accettando le opinioni di Harvey (o di Descartes), si sarebbe messa in pericolo non solo la fede religiosa, ma anche la fede nella tradizione medica erudita che i magistri tentavano di infondere nei loro allievi; tra questi si può ricordare il teologo Libert Froidmont (Fromondus), che nel 1637 aveva ricevuto da Descartes copia del Discours de la méthode. Froidmont ‒ dottore in teologia e importante magister ‒ si adoperò per trattare l'anima in modo tradizionalmente cristiano. A suo parere, la circolazione del sangue non era in sé contraddittoria da un punto di vista teologico ‒ sebbene egli avesse delle riserve circa le modalità con cui il sangue entrava nei tessuti e 'si perfezionava' in un così rapido passaggio attraverso il cuore ‒ tuttavia essa rappresentava la negazione del fatto che l'anima fosse la causa del movimento del cuore.
Eppure, nonostante tutte queste critiche, al momento della morte di Harvey (1657), la sua dottrina risultava ampiamente accettata. Sarebbe troppo facile sostenere che ciò accadde perché le sue tesi erano vere, mentre quelle dei suoi avversari erano false: la verità di ogni uomo, infatti, si identifica con ciò in cui egli crede. È interessante prendere in esame le ragioni che indussero i suoi oppositori a cambiare opinione, se è vero che nel 1618 Harvey era l'unico a credere nella circolazione. In primo luogo, analizzeremo due tendenze che influenzarono profondamente le convinzioni dei contemporanei. La prima è rappresentata dallo scetticismo filosofico. I nuovi filosofi del XVII sec. avevano attaccato Aristotele sostenendo che la sua filosofia della Natura, in quanto costruzione intellettuale di un solo individuo, non era esente da errori. La stessa osservazione, tuttavia, poteva essere applicata al sistema di Descartes, che molti adottarono in sostituzione di quello di Aristotele. In effetti, tutti i sistemi che indicavano cause naturali intelligibili furono messi in discussione: gli scettici pirroniani sostenevano che solo le osservazioni basate sull'esperienza sensibile potevano rivendicare lo status di scienza. Pierre Gassendi (1592-1655), per esempio, affermò che la dottrina della circolazione di Harvey era un sistema speculativo che trascendeva l'esperienza sensibile.
La seconda tendenza è rappresentata dalla sperimentazione. A partire dalla seconda metà del XVII sec., si iniziarono a effettuare sempre più frequentemente esperimenti concernenti l'area d'indagine della filosofia della Natura, in cui spesso si sono individuate le premesse della scienza moderna. In quanto osservabili, i risultati sperimentali erano accettati anche da coloro che si richiamavano allo scetticismo. La prassi seguita non era quella di inferire dai risultati ottenuti attraverso la sperimentazione la ricerca delle cause, ma tutt'al più di indicare una 'conoscenza probabile' in grado di concordare con l'esperienza sensibile. Verosimilmente, gli ideatori degli esperimenti di filosofia della Natura del XVII sec. si ispirarono soprattutto alla tradizione medica. Gli anatomisti, infatti, già da lunga data usavano ricorrere a una serie di semplici esperimenti, come, per esempio, quello della gonfiatura, impiegato per dimostrare la concavità di alcuni organi, e quello basato sull'immissione di acqua in un determinato organo per scoprire se questo fosse perforato. Nel corso dei primi due decenni del XVI sec., Jacopo Berengario da Carpi aveva eseguito alcuni elaborati esperimenti su un feto umano interamente sviluppato, per scoprire i meccanismi della minzione del feto all'interno dell'utero. Seguendo l'esempio di Galeno, Andrea Vesalio aveva effettuato una serie di esperimenti basati sulla vivisezione dei maiali. A quel tempo, gli anatomisti conoscevano le ricerche condotte da Galeno sul sistema nervoso e su quello vascolare di animali ancora in vita; Realdo Colombo, per esempio, aveva fondato su queste indagini la sua dimostrazione del transito polmonare del sangue. Anche il ricorso di Harvey alla sperimentazione è riconducibile a questa tradizione che, nel periodo in cui non solo i maestri di anatomia, ma anche i profani tentavano di accertare l'attendibilità della sua ipotesi, conobbe una grande diffusione in tutta l'Europa. Nel XVII sec. si riteneva che l'anatomia dovesse studiare il funzionamento delle diverse parti del corpo. Queste azioni non si identificavano più con gli scopi o con le cause finali, ma ciò che rivelavano non poteva risentire in modo significativo dello scetticismo; al tempo di Harvey, infatti, si riteneva che l'anatomia riflettesse la razionalità della Creazione divina intorno alla quale non era possibile nutrire alcun dubbio.
Benché disprezzata da Caspar Hofmann, l'argomentazione di tipo quantitativo di Harvey ricoprì un ruolo tutt'altro che trascurabile nel convincere molti ricercatori ad accettare la sua descrizione. Questa argomentazione, così come l'azione delle valvole venose, doveva essere verificata attraverso la sperimentazione. Un ricercatore di Amburgo, Paul Slegel, dopo aver interpretato in questo senso la dottrina di Harvey, tentò di diffonderla promuovendo una serie di dispute in diversi luoghi. I docenti di medicina delle università sentirono il bisogno di pronunciarsi sulla questione e a tal fine ricorsero all'unico strumento a loro disposizione, la disputa. In effetti, la descrizione della circolazione poteva essere confusa con una delle tante nuove teorie prese in esame nel corso delle dispute universitarie, ma queste ultime, ormai, non erano più condotte in base ai criteri medievali. Negli anni Quaranta e Cinquanta del XVII sec., alcuni docenti universitari eseguirono insieme ai loro studenti una serie di vivisezioni, per poi formulare un certo numero di teorie costruite in modo che, solo dopo aver difeso con successo una tesi, si poteva procedere alla difesa della successiva, finché non si giungeva a elaborare una vera e propria dottrina che potesse essere data alle stampe e adottata come manuale.
A Helmstadt, Hermann Conring organizzò un gran numero di dispute. In generale, gli studenti si mostrarono più inclini dei loro insegnanti ad accettare la descrizione della circolazione; tra i rari docenti che cambiarono opinione riguardo alla teoria di Harvey, si può annoverare Vopiscus Fortunatus Plemp (Plempius, 1601-1671), un professore dell'Università di Lovanio. In un primo momento Plemp aveva preso visione della descrizione della circolazione nella versione proposta da Descartes che, nel periodo immediatamente successivo alla sua pubblicazione, gli aveva chiesto di esprimere un parere in merito a questo problema.
Plemp in quel periodo era impegnato nella stesura del suo trattato e disapprovava il radicale allontanamento di Descartes dall'ortodossia; quando Plemp si volse al De motu cordis, fu proprio la sua concezione piuttosto tradizionale della filosofia della Natura che lo fece entrare in sintonia con Harvey. Egli trovò nell'opera la tradizione medica in cui si riconosceva, caratterizzata dal ricorso alla questione disputata, e reagì all'impianto accademico dell'esposizione, proprio come Harvey avrebbe sperato da un suo lettore. Per un certo numero di anni, Plemp tentò disperatamente di negare l'attendibilità della circolazione davanti ai suoi studenti, ma, alla fine, dovette cedere di fronte all'argomento delle quantità.
La ricezione del De motu cordis si diversificò non solo a seconda dell'età dei lettori, ma anche dei luoghi in cui questi operavano e della loro religione. A Montpellier, gli uomini di medicina rimasero ostinatamente fedeli ai principî del galenismo, tanto che persino il grande Jean Riolan jr li rimproverò per questo atteggiamento. Nel 1650, assumendo il punto di vista del galenismo, Riolan aveva criticato Harvey, suscitando l'unica replica di Harvey ai suoi oppositori; quindi, a Parigi, aveva iniziato a disputare sulla circolazione e, infine, aveva deciso che una certa quantità di sangue circolava in una parte del corpo secondo modalità che solo lui conosceva; perciò affermava che i dotti di Montpellier non erano al passo con i tempi.
Gli studiosi inglesi si mostrarono, forse per ragioni patriottiche, più inclini dei loro colleghi stranieri ad accettare la teoria di Harvey. Nei paesi maggiormente coinvolti nella Controriforma, la tradizione della filosofia della Natura e la tradizione medica non furono messe in discussione come nei paesi protestanti: da Roma, Emilio Parigiano attaccò aspramente Harvey per la sua mancanza di fede medica, un'accusa lanciata anche contro Vesalio; analogamente, la Spagna rimase in gran parte fedele ai principî del galenismo.
Frank 1980: Frank, Robert G., Harvey and the Oxford physiologists. Scientific ideas and social interaction, Berkeley, University of California Press, 1980 (trad. it.: Harvey e i fisiologi di Oxford. Idee scientifiche e relazioni sociali, Bologna, Il Mulino, 1983).
French 1994: French, Roger, William Harvey's natural philosophy, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1994.
Whitteridge 1964: Harvey, William, Anatomical lectures. 'Prelectiones anatomie universalis'. 'De musculis', edited with an introd., transl. and notes by Gweneth Whitteridge, Edinburgh, Royal College of Physicians; London, Livingstone, 1964.