La Rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza. Anatomia
Anatomia
Le ricerche anatomiche del Cinquecento, sostituendo alle antiche conoscenze sulla struttura del corpo umano nuove e più esatte acquisizioni, dimostrarono l'insufficienza dell'anatomia galenica, precedentemente considerata come un dogma. Nel Seicento invece ha inizio la valutazione sistematica delle nozioni morfologiche per la soluzione di problemi fisiologici. La conoscenza particolareggiata della struttura del corpo porta necessariamente a concepire in un modo nuovo e più aderente alla realtà le singole funzioni fisiologiche. Nella struttura di un organo si cerca la spiegazione del movimento vitale che esso compie, secondo l'approccio 'dinamico' che caratterizza anche il pensiero medico-biologico del Seicento: come l'artista barocco, anche il medico non considera più l'occhio dell'uomo, ma il suo sguardo, ossia non si limita più a esaminare staticamente le parti del corpo, ma rivolge la propria attenzione al movimento e al funzionamento di esse. Il muscolo non è più considerato dal punto di vista esclusivamente morfologico, ma si indaga sulla sua contrazione e la sua azione. Insomma, non ci si accontenta più di sapere come sono costituiti gli organi del corpo umano, ma si vuole sapere quale sia il loro funzionamento: dall'anatomia descrittiva si passa così all'anatomia 'animata' o funzionale, ovvero alla fisiologia. Si afferma pertanto la ricerca anatomica sperimentale, volta a chiarire soprattutto la funzione degli organi, portando così a una radicale revisione anche della dottrina fisiologica di Galeno.
Ciò conferisce all'anatomia del Seicento un carattere ambivalente, che dal punto di vista storiografico rende difficile, se non impossibile, una netta separazione dalla fisiologia. L'intima connessione tra la ricerca anatomica e l'interpretazione funzionale è evidente nella stessa Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus (1628) di William Harvey (1578-1657), che costituisce il punto di partenza della moderna fisiologia e che, anche nel titolo, mostra come Harvey avesse finalizzato i propri studi alle ricerche anatomiche. In questo capitolo, pertanto, si prenderà in esame soprattutto l'anatomia macroscopica del Seicento.
Figura paradigmatica della fase di transizione dall'anatomia rinascimentale a quella del Seicento è Girolamo Fabrici d'Acquapendente (1533 ca.-1619), allievo e successore di Gabriele Falloppia (1523-1562), che occupò per cinquant'anni la cattedra di chirurgia e di anatomia nello Studio di Padova. Le sue opere biologiche furono pubblicate solo a partire dal 1600, nonostante le relative osservazioni risalissero a parecchi anni prima. Fabrici fu il primo tra gli anatomisti a riconoscere l'importanza e l'efficacia rappresentativa dell'illustrazione anatomica sistematica; ne è testimonianza un grande atlante anatomico a colori di cui restano centosessantasette tavole, conservate presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. Al suo nome resta legato il primo teatro anatomico permanente (1594), tuttora conservato a Padova; strumento emblematico del metodo dimostrativo in anatomia, costituì il modello dei teatri anatomici edificati nel Seicento nelle principali università d'Europa. A Leida Pieter Paaw, discepolo di Fabrici tra il 1587 e il 1589, già nel 1597 fa costruire un teatro anatomico stabile sul modello di quello padovano. Soltanto verso il 1640, invece, viene realizzata a Copenaghen una struttura di questo tipo; fanno seguito nel 1662 il teatro anatomico di Uppsala, tuttora esistente, edificato a cura di Olof Rudbeck (1630-1702), e più tardi quelli di Amsterdam (1691) e di Halle (1727), tutti esemplati sull'archetipo padovano.
Nella ricerca anatomica Fabrici applicò con grande efficacia il metodo anatomo comparativo; sembra che nelle sue ricerche non abbia fatto uso di mezzi di ingrandimento. Con i due trattati De formato foetu, pubblicato nel 1600, e De formatione ovi et pulli, apparso nel 1621, egli fu l'iniziatore dell'embriologia scientifica. Il De formato foetu è un magnifico studio comparativo, in cui sono descritte le fasi più mature dello sviluppo in numerose specie animali; il trattato contiene anche splendide raffigurazioni dell'utero umano gravido, degli annessi embrionali e della placenta. Nel De formatione ovi et pulli sono illustrate le varie fasi dello sviluppo del pulcino a partire dal sesto giorno. Il testo è corredato da numerose ed eccellenti illustrazioni, rimaste insuperate fino a quelle di Marcello Malpighi (1628-1694). È anche descritto e illustrato per la prima volta l'organo linfatico degli uccelli, che va sotto il nome di 'borsa di Fabrici', valorizzato in questi ultimi decenni come organo linfoide centrale dell'immunità.
Fabrici segna inoltre il passaggio dall'anatomia descrittiva all'anatomia funzionale con le opere dedicate agli organi di senso e a quelli della fonazione e della respirazione, i trattati De visione, voce, auditu (1600), De locutione et eius instrumentis (1601), De brutorum loquela (1603) e De respiratione et eius instrumentis (1615). Fortemente interessato al problema del movimento in campo biologico, egli redasse anche un trattatello, De motu locali animalium secundum totum (1618), che raccoglie una serie di lezioni. L'opera più nota di Fabrici è il De venarum ostiolis (1603), in cui studiò sistematicamente le valvole delle vene, raffigurandole per primo con eccellenti illustrazioni. L'opera esercitò una determinante influenza su Harvey, che ne utilizzò alcune figure e basò molti dei suoi argomenti sull'azione delle valvole delle vene nella circolazione del sangue. Già nel Cinquecento era stata osservata la presenza di lembi valvolari nell'interno di vene, ma fu Fabrici a introdurre nella scienza anatomica un apparato valvolare quale attributo sistemico delle vene, osservando anche che i seni valvolari sono sempre diretti verso il cuore. Nonostante il significato potenzialmente rivoluzionario insito in questi reperti anatomici, Fabrici diede a essi un'interpretazione funzionale che li integrava nel sistema galenico. Alle valvole delle vene, infatti, egli attribuiva il compito di rallentare il flusso centrifugo del sangue, allo scopo di assicurare un'eguale distribuzione a tutte le parti periferiche: senza valvole, infatti, il sangue sarebbe affluito troppo copioso e veloce alla periferia dei tronchi maggiori, lasciando insoddisfatte le richieste nutritizie delle parti prossimali.
Agli organi di senso e della fonazione rivolse la sua ricerca anatomo-comparativa anche il piacentino Giulio Casseri (1552-1616), che nel 1609 succedette a Fabrici alla cattedra di chirurgia ed è l'autore dei trattati De vocis auditusque organis historia anatomica (1600-1601) e Pentaestheseion (1609); alla sua morte Casseri lasciò anche una serie di pregevolissime Tabulae de formato foetu e Tabulae anatomicae, pubblicate postume, nel 1626 le prime e nel 1627 le seconde, che rappresentano l'ultima elevata espressione della Scuola anatomica padovana. Il bruxellese Adriaan van den Spiegel (Spigelius, 1578-1625), successore di Casseri alla cattedra di chirurgia e poi di Fabrici a quella di anatomia, non segue la strada delle ricerche anatomo-comparative, ma si dedica all'anatomia umana descrittiva, affinando l'indagine settoria e di conseguenza perfezionando i risultati descrittivi, con indubbio vantaggio per la pratica chirurgica; il suo nome resta legato al lobo caudato del fegato, o 'lobo di Spigelio', e alla 'linea semilunare di Spigelio' del muscolo trasverso dell'addome. Trascurando l'aggiornamento, tuttavia, egli riduce il valore scientifico delle osservazioni anatomiche. La ricerca anatomica si sposta quindi ad altre sedi aperte alle nuove esigenze, a Bologna e in altri paesi europei (Olanda, Svizzera, ecc.).
All'anatomia descrittiva si dedica anche Jean Riolan jr (1580-1657) a Parigi, ben noto come oppositore della dottrina della circolazione del sangue, autore di un manuale che ebbe grande successo, l'Encheiridium anatomicum et pathologicum (1648). Riolan portò notevoli contributi all'anatomia descrittiva, introducendo nuovi termini; con il suo eponimo sono tuttora indicati il complesso dei tre muscoli che prendono origine dall'apofisi stiloide dell'osso temporale ('mazzo di Riolano') e i fasci più interni del muscolo orbicolare delle palpebre ('muscolo di Riolano').
Il rilancio seicentesco dell'atomismo ebbe una grande influenza sulle ricerche anatomiche. L'anatomista del Seicento, ispirandosi alla iatromeccanica, si proponeva di scomporre le macchine dell'organismo nelle loro parti più minute, in quanto riteneva che queste ultime costituissero la sede di quel moto locale in cui doveva consistere la funzione degli organi. Senza ancora ricorrere a mezzi di ingrandimento, l'anatomia va oltre le tecniche settorie tradizionali, ricorrendo all'artificio anatomico più spinto, come la bollitura, la macerazione e la dilacerazione, per dissociare le parti e quindi per meglio esaminarle. Questa nuova anatomia, concepita come convergenza di esperienze compiute su ogni classe di esseri viventi, ha il suo manifesto nella Zootomia Democritaea, idest anatome generalis totius animantium opificii (1645) di Marco Aurelio Severino, che si propone di sostituire il grossolano procedimento della dissectio con la resolutio ad minutum, ossia con la scomposizione del corpo nei suoi elementi costitutivi, analoga allo smontaggio di un orologio.
Esempi tipici dei risultati dell'anatomia 'artificiosa e sottile' sono offerti dalle scoperte di due strutture meccanicamente significative, le fibre spirali del cuore e i tubuli seminiferi del testicolo, entrambe compiute a Pisa nel 1657, senza ricorrere al microscopio. Le fibre spirali del cuore furono scoperte da Malpighi mediante gli artifici della cottura e della macerazione; invece i tubuli seminiferi furono messi in evidenza nel testicolo del cinghiale dal lorenese Claude Aubry, professore di anatomia a Pisa, ricorrendo all'artificio della cottura e allo studio del viscere nella stagione degli amori, ossia nel periodo della massima prestazione funzionale e quindi della sua maggior turgidezza. Queste scoperte furono dunque il frutto del metodo che è stato definito da Belloni (1967) 'microscopio-idea', cui si aggiunse il contributo del cosiddetto 'microscopio della natura'; il testicolo del cinghiale, infatti, in virtù delle sue maggiori dimensioni corrisponde a un testicolo umano ingrandito dal 'microscopio della natura': un procedimento, questo, ampiamente utilizzato in seguito da Malpighi stesso.
L'anatomia 'artificiosa e sottile' era destinata ad avere la sua piena realizzazione con l'introduzione del 'microscopio-strumento' nella ricerca biologica; è quanto realizzò Malpighi, a buon diritto considerato il fondatore dell'anatomia microscopica, associando sistematicamente il microscopio all'artificio anatomico. Di Malpighi si ricordano qui gli importanti contributi contenuti nei due trattati De renibus e De liene (De viscerum structura, 1666): sono tuttora indicati con il suo eponimo le piramidi che costituiscono la sostanza midollare del rene ('piramidi di Malpighi') e i noduli linfatici visibili a occhio nudo all'interno della milza ('corpuscoli di Malpighi').
Per chiarire la funzione di un organo, gli anatomisti del Seicento fecero ricorso anche a esperimenti di carattere morfologico, come l'iniezione di masse solidificabili diversamente colorate ('materia ceracea') nei vasi sanguigni del cadavere, riuscendo così a seguirne le ramificazioni negli organi, eventualmente associando la corrosione del parenchima circostante; questo metodo fu sviluppato soprattutto in Olanda da Regnier de Graaf (1641-1673) e da Jan Swammerdam (1637-1680). In Italia, le iniezioni endovascolari furono impiegate da Domenico Marchetti (1626-1688) a Padova. Le tecniche di iniezione di liquidi colorati nei vasi e di corrosione furono poi portate ad alto grado di perfezione ad Amsterdam da Frederik Ruysch (1638-1731) ‒ il cui nome è legato alla lamina coriocapillare dell'occhio ('membrana di Ruysch') e al 'tubo di Ruysch' nelle fosse nasali ‒ che grazie a questi metodi dimostrò la distribuzione dei vasi coronari, la formazione dei plessi coroidei e la struttura vascolare della placenta, ma soprattutto poté studiare a fondo le arterie bronchiali, ottenendo reperti che ebbero per la dottrina della circolazione sanguigna un'importanza analoga a quella della scoperta dei capillari polmonari: la dimostrazione dell'esistenza di vasi destinati alla nutrizione dei polmoni permetteva infatti di concludere, senza alcun dubbio, che il flusso sanguigno dell'arteria polmonare fosse destinato a tutt'altri compiti. Altri tipici esperimenti morfologici utilizzati nell'epoca dell'anatomia animata furono le legature vasali e l'introduzione di cannule nei condotti escretori, per ottenere il secreto delle ghiandole. Un'altra tecnica morfologico sperimentale è quella delle fistole artificiali; de Graaf fu il primo a praticare sperimentalmente fistole pancreatiche e salivari, al fine di ottenere allo stato di purezza il succo pancreatico e la saliva per studiarne la reazione, acida o alcalina, e quindi la funzione. I risultati delle sue ricerche furono valorizzati dalla dottrina iatrochimica della digestione di Franz de le Boë (Sylvius, 1614-1672), che sosteneva l'importanza della fermentazione nel canale gastroenterico.
Buona parte delle ricerche anatomiche del Seicento si impernia sui vasi chiliferi e linfatici. Si giunge così alla definizione di un nuovo sistema vascolare, quello linfatico, il cui sviluppo ben presto raggiunse tale entità sul piano morfologico e funzionale, da imporsi come complemento necessario del sistema vascolare sanguifero.
Alla vigilia della comparsa del De motu cordis di Harvey, la ricerca anatomica, avvalendosi in larga misura della vivisezione, aveva avviato quelle scoperte sulle vie del chilo che avrebbero spogliato il fegato della funzione ematopoietica a esso attribuita dalla dottrina galenica. Secondo Galeno, infatti, il fegato ‒ oltre a produrre la bile ‒ era al tempo stesso sia l'organo preposto alla trasformazione del chilo in sangue sia il centro dei vasi venosi attraverso i quali il sangue, impregnato di spirito naturale, si diffondeva alle parti periferiche per fornirle di nutrimento. Nel 1622 il cremonese Gaspare Aselli, professore a Pavia, scoprì i vasi chiliferi nel mesentere del cane, documentando, nel De lactibus sive lacteis venis quarto vasorum mesaraicorum genere novo invento, pubblicato postumo nel 1627, il fatto che le 'vene lattee' servono all'assorbimento del chilo, la cui corrente centripeta è assicurata dal gioco di numerose valvole, da lui minuziosamente descritte a partire dai vasi chiliferi dell'intestino e lungo il loro percorso successivo. Aselli considerò i vasi da lui scoperti, preposti al trasporto del chilo, come strutture vascolari di un nuovo genere di vasi mesenterici, denominati 'vasi di quarto genere'; allora, infatti, erano considerati vasi di primo e secondo genere quelli sanguiferi e vasi di terzo genere i nervi, che secondo la visione di Galeno, ancora accettata per tutto il Seicento, erano strutture cave, perché entro vi scorresse il fluido nervoso. Aselli però, adeguandosi ancora alla dottrina galenica della cosiddetta sanguificazione epatica del chilo, collocava nel fegato il punto di arrivo dei vasi chiliferi, intercalando il pancreas lungo il loro decorso dall'intestino al fegato. L'errore di interpretazione derivava anche dall'aver confuso il pancreas vero e proprio e il grosso gruppo di linfoghiandole della radice del mesentere ('pancreas di Aselli'). I suoi reperti furono confermati da numerosi anatomisti, tra cui Johann Vesling, successore di Spigelius a Padova e autore di un celebre manuale, il Syntagma anatomicum (1641), che ebbe numerose edizioni e traduzioni; egli realizzò la prima raffigurazione dei vasi chiliferi nell'uomo (1647), che anche lui faceva sboccare nel pancreas e quindi nel fegato. D'altra parte, non tutti gli anatomisti avevano ancora accettato la dottrina della circolazione del sangue e lo stesso Harvey era del parere che l'assorbimento del chilo avvenisse attraverso le vene mesenteriche, considerando ancora il fegato quale organo emopoietico.
L'errore di Aselli sulla destinazione finale delle 'vene lattee' fu corretto nel 1647 da Jean Pecquet, il quale dimostrò che il chilo raccolto dalle 'vene lattee' non va al fegato, ma viene immesso direttamente nella circolazione del sangue mediante i 'vasi lattei toracici', ossia il dotto toracico, che deriva il chilo dalla dilatazione ampollare, oggi chiamata 'cisterna di Pecquet', in cui è versato dalle vene lattee di Aselli.
Il dotto toracico dell'uomo fu scoperto nel 1652 dall'anatomista danese Thomas Bartholin, che ne riconobbe esattamente i rapporti sia con i chiliferi sia con i linfatici veri e propri, da lui giustamente denominati vasa lymphatica. La scoperta dei vasi linfatici fu compiuta da Bartholin e da Rudbeck indipendentemente l'uno dall'altro; Rudbeck, allora studente a Uppsala, li trovò nel 1651, ma Bartholin pubblicò per primo la scoperta, attribuendo a essi il nome (1653). Si viene così sviluppando la dottrina di un nuovo sistema vascolare linfatico, alla quale contribuirono numerosi altri anatomisti, tra i quali l'olandese Jan van Horne (1621-1670). La prima descrizione delle valvole dei vasi linfatici fu opera di Ruysch (1665); ad Anton Nuck (1650-1692), professore a Leida, il cui nome è ricordato dal 'canale di Nuck', si deve la dimostrazione, con l'uso del mercurio quale massa d'iniezione, che i vasi chiliferi e linfatici costituiscono un unico sistema, deputato a convogliare fluidi nell'albero venoso. Con la scoperta che il chilo fruisce di un proprio letto vascolare, grazie al quale viene versato direttamente nel sangue circolante, giungendo quindi al cuore e non al fegato, quest'ultimo divenne un semplice organo produttore della bile, perdendo il ruolo centrale attribuitogli nella fisiologia galenica. L'importanza del fegato fu quindi radicalmente ridimensionata, come sottolineò con particolare enfasi Bartholin. All'anatomia macroscopica del fegato, l'inglese Francis Glisson dedicò la sua classica Anatomia hepatis (1654), in cui, oltre a descrivere la capsula, tuttora legata al suo nome, negò ogni rapporto del fegato con i vasi chiliferi e dimostrò che la particolare struttura lobulare epatica è dovuta alla speciale distribuzione dei vasi sanguiferi; egli sostenne che la biligenesi è espressione dell'attività del fegato e che la cistifellea, a cui erroneamente fino ad allora era stata attribuita la produzione della bile, è semplicemente un'appendice dell'apparato escretore del fegato.
Numerose scoperte sulle ghiandole del tubo digerente derivano da reperti collaterali, osservati nel corso di ricerche sui vasi chiliferi. La scoperta del condotto pancreatico, compiuta a Padova da Johann Georg Wirsung nel marzo del 1642, rappresenta il punto di partenza del radicale rinnovamento cui fu sottoposta, nel volgere di pochi anni, la dottrina delle secrezioni: "essa rappresenta un'apertura verso il nuovo indirizzo anatomofisiologico ad impostazione meccanicista, che nel corso del Seicento raccolse frutti di grandissimo rilievo praticando sapientemente l'esperimento vivisettorio e l'anatomia sottile, fecondata dal grande strumento del secolo: il microscopio" (Belloni 1965, p. I).
Le scoperte adenologiche si succedettero rapidamente. Thomas Wharton ‒ il cui nome resta legato anche alla cosiddetta 'gelatina di Wharton' del cordone ombelicale ‒ nella Adenographia, sive glandularum totius corporis descriptio (1656), oltre a dare ottime descrizioni della struttura minuta di molte ghiandole (ghiandole salivari, pancreas, ecc.), descrisse per primo la ghiandola sottomandibolare e il condotto ‒ tuttora indicato con il suo eponimo ‒ che immette nella cavità orale la saliva secreta dalla ghiandola. Il condotto escretore della parotide, o 'condotto di Stenone', fu scoperto ad Amsterdam pochi anni più tardi (1660) dal danese Niels Steensen (Stenone), le cui successive Observationes anatomicae, quibus varia oris, oculorum, et narium vasa describuntur, novique salivae, lacrymarum, et muci fontes deteguntur (1662), con la scoperta delle ghiandole delle guance, palatine e sottolinguali, dei relativi condotti e delle vie escretrici delle ghiandole lacrimali, rappresentano una pietra miliare negli studi sulle secrezioni. Scienziato poliedrico e geniale, egli diede altri importanti contributi all'anatomia dei vasi linfatici, del cuore, del cervello, degli organi genitali, oltre che all'anatomia comparata e all'embriologia.
Stenone chiarisce che la saliva non deriva dal fluido nervoso contenuto nei nervi, come sosteneva Wharton, bensì dal sangue, che, nel suo moto circolare, affluisce alla ghiandola attraverso l'arteria e ne rifluisce mediante la vena. Questa dottrina della secrezione di lì a poco ricevette sostanziali impulsi e sviluppi grazie a Malpighi, che nel 1660 aveva scoperto la rete capillare, per cui l'arteria e la vena contraggono reciproca anastomosi. Pure nel 1660 Konrad Viktor Schneider, professore a Wittenberg, nel Liber primus de catarrhis trattò delle ghiandole mucipare disseminate nella mucosa nasale (ancor oggi chiamata 'membrana schneideriana'), distruggendo per sempre l'antica idea che il muco nasale fosse originato nel cervello.
A Sylvius si deve la distinzione (1663) delle ghiandole nei due gruppi fondamentali costituiti dalle ghiandole conglobate (a struttura omogenea, sostanzialmente le linfoghiandole) e dalle ghiandole conglomerate (a struttura manifestamente lobulare, ossia le ghiandole propriamente dette, come quelle salivari e il pancreas). Inoltre, Sylvius valorizzò i prodotti della secrezione ghiandolare: anziché separare ed eliminare escrementi superflui e nocivi, le ghiandole elaborano umori utili all'organismo e indispensabili per lo svolgimento di funzioni d'importanza vitale, come la trasformazione degli alimenti in chilo, che nel tubo digerente viene operata dalla saliva, dal succo pancreatico e dalla bile.
Esponente, fra i massimi, della iatrochimica, Sylvius riconduceva i fenomeni vitali a trasformazioni chimiche di tipo fermentativo. Fermentazioni, in particolare, si svolgevano nello stomaco, a opera della saliva, e nell'intestino, a opera del succo pancreatico (acido) e della bile (alcalina): la separazione tra chilo e feci era precisamente operata dalla effervescenza derivante dall'incontro di questi due umori. La dottrina di Sylvius fu suffragata dagli esperimenti di Regnier de Graaf, che, mettendo a punto un metodo di raccolta del succo pancreatico (De succi pancreatici natura et usu, 1664) e della saliva parotidea, corroborò la tesi secondo cui la chilificazione deriva dall'effervescenza fra la bile alcalina e il succo pancreatico acido. La dottrina di Sylvius fu invece avversata da Johann Conrad Brunner, lo scopritore delle ghiandole duodenali, tuttora legate al suo nome (1688), il quale praticò anche esperimenti su un cane (1683-1688), asportando la parte verticale del pancreas e procedendo alla resezione e legatura delle vie escretrici della parte orizzontale. Il cane sopravvisse presentando una sintomatologia imputabile a un diabete mellito transitorio, causato dall'asportazione della porzione verticale del pancreas, più ricca di isole; Brunner così anticipò di due secoli ‒ sia pure senza rendersene conto ‒ gli esperimenti di Josef Mering e Oskar Minkowski (1889). Egli attribuiva all'umore secreto dalle ghiandole duodenali ‒ definendole, infine, 'pancreas secundarium' (1715) ‒ un ruolo nella chilificazione. Quest'ultima funzione fu attribuita anche ad altre strutture intestinali, descritte da Johann Conrad Peyer nel 1677 e ancora oggi indicate con il nome di 'placche del Peyer', in realtà follicoli aggregati, ascritti all'apparato linfatico soltanto verso il 1850, a opera di Ernst Wilhelm Ritter von Brücke.
Altre scoperte adenologiche furono compiute da Augustus Quirinus Bachmann (1652-1723), noto con la forma latinizzata di Rivinus; professore a Lipsia, il suo nome è legato ai dotti escretori delle ghiandole sottolinguali, o 'canali di Rivino' (1679). Nel 1666 Johann Heinrich Meibom (1638-1700) descrisse le ghiandole sebacee del tarso palpebrale, tuttora indicate con il suo eponimo. Le ghiandole vulvovaginali o vestibolari maggiori che si aprono nel fondo del canale vulvare, dette anche 'ghiandole di Bartholin', furono descritte per la prima volta (1677) nella donna da Caspar Bartholin jr, figlio di Thomas. Le ghiandole bulbo-uretrali, osservate nel 1684 da Jean Méry, furono più esattamente descritte nel 1702 da William Cowper e sono tuttora denominate 'ghiandole di Cowper'.
Nel Seicento furono compiute numerosissime altre scoperte anatomiche, in buona parte riguardanti particolari che migliorano o completano le conoscenze ereditate dal secolo precedente. Molte di tali strutture anatomiche furono designate con il nome dello scopritore, con il quale spesso sono tuttora ricordate. Si dà qui notizia delle più importanti di esse, raggruppandole per argomento.
La grande scoperta fisiologica di Harvey stimolò fortemente l'interesse degli anatomisti per l'angiologia. Fu Jan de Wale (Walaeus) a fornire una dimostrazione decisiva della circolazione sanguigna, determinando il flusso centripeto del sangue nella vena crurale del cane (1641). Una dottrina tipicamente meccanica come quella della circolazione del sangue non tardò a essere tradotta in termini schematici. Gli schemi che compaiono nella Diaphragmatis structura nova (1676) di Caspar Bartholin jr, ispirati da quello di Stenone (1673), costituiscono la più antica, ma esatta, rappresentazione dinamico fisica della circolazione sanguigna, vera sintesi concettuale dei singoli dati di fatto morfologico sperimentali, con l'artificiosa separazione in due cuori, destro e sinistro, considerati come due pompe indipendenti. Al cuore sono dedicati l'eccellente Tractatus de corde (1669) di Richard Lower, l'eponimo del quale designa tuttora il tubercolo intervenoso dell'atrio destro e gli anelli fibrosi del cuore, o 'cerchi tendinei di Lower', e il successivo Traité nouveau de la structure et des causes du mouvement naturel du coeur (1715) di Raymond Vieussens, attivo a Montpellier, il cui nome è ascritto ad alcune formazioni cardiache ('valvola di Vieussens' del seno coronarico, 'anello di Vieussens' e 'vene innominate di Vieussens'). Infine Adam Christian Thebesius, nel De circulo sanguinis in corde (1708), descrisse le vene cardiache e la valvola del seno coronario, che portano il suo nome.
Anche l'anatomia del sistema nervoso registrò molti progressi durante il Seicento. Nel Pentaestheseion Casseri fornì la prima raffigurazione e descrizione dei corpi mammillari, mentre le Tabulae anatomicae contengono pregevoli illustrazioni del corpo calloso, della ghiandola pineale, del talamo, dell'aracnoide e di molte altre strutture encefaliche. Importanti contributi alla neuroanatomia furono apportati anche da Sylvius (1663), il cui nome è ricordato dalla 'scissura di Silvio', o 'scissura laterale', e dall''acquedotto di Silvio', che mette in comunicazione il quarto e il terzo ventricolo. Nel Discours […] sur l'anatomie du cerveau (1669), letto a Parigi nel 1665, Stenone fu critico acuto del sistema fisiologico di René Descartes (1596-1650) ‒ che individuava la cosiddetta 'sede dell'anima', ossia la giunzione somato-psichica, nella ghiandola pineale (o epifisi), da lui considerata appannaggio esclusivo dell'uomo ‒ dimostrando l'esistenza di una ghiandola pineale simile a quella dell'uomo anche in altri animali. Invece Giovanni Maria Lancisi, nella dissertazione De sede cogitantis animae (1713) considerò sede dell'anima il corpo calloso, di cui lasciò una precisa descrizione, individuando in esso le strie longitudinali mediali che ancora oggi portano il suo nome ('nervi di Lancisi').
La Cerebri anatome, cui accessit nervorum descriptio et usus (1664) dell'inglese Thomas Willis è la prima opera dedicata esclusivamente al sistema nervoso centrale e ai nervi periferici. Utilizzando il metodo comparativo, egli descrisse e raffigurò un gran numero di formazioni encefaliche, tra cui il corpo striato, la commessura anteriore, il talamo, i corpi mammillari. Inoltre, a Willis si deve una nuova e più razionale classificazione dei nervi cranici, da lui distinti in nove paia, comprendendo nel VII paio il facciale e l'acustico e riunendo nell'VIII paio il glossofaringeo, il vago e l'accessorio spinale.
Questa classificazione fu seguita per tutto il Settecento. La sua scoperta più nota fu quella del circolo, o poligono, di vasi arteriosi alla base del cervello, in seguito chiamato 'circolo di Willis'. Sei anni prima lo svizzero Johann Jakob Wepfer, nelle Observationes anatomicae ex cadaveribus eorum, quos sustulit apoplexia, aveva dato un'accurata descrizione dell'arteria carotide interna al suo ingresso nel cranio, ma Willis descrisse esaurientemente e raffigurò il circolo arterioso impari e mediano ‒ situato sulla faccia inferiore dell'encefalo e costituito dalla confluenza delle arterie carotidi interne e delle cerebrali posteriori, da cui proviene tutto il sangue che irrora l'encefalo ‒ dimostrandone la funzione, mediante l'iniezione endoarteriosa di liquidi colorati e così smentendo definitivamente l'esistenza nell'uomo della 'rete mirabile', ipotizzata da Galeno. A queste ricerche contribuirono Richard Lower e Christopher Wren (1632-1723), al quale si devono le illustrazioni dell'opera di Wepfer.
Un ulteriore progresso della neuroanatomia si ebbe con l'eccellente Neurographia universalis (1684) di Vieussens, in cui sono descritte, tra l'altro, numerose formazioni che portano o hanno portato il suo nome: il centro ovale, l'ansa succlavia del simpatico cervicale, i gangli celiaci, ecc.; con il suo eponimo è stata a lungo indicata anche la classica sezione orizzontale, condotta per la faccia superiore del corpo calloso. Ricordiamo infine l'inglese Henry Ridley, autore dell'opera The anatomy of the brain (1695), in cui sono ben descritti la dura madre, i peduncoli cerebellari inferiori e il seno circolare, e Antonio Pacchioni, attivo a Roma, che diede la prima soddisfacente descrizione delle granulazioni aracnoidee, o 'granulazioni di Pacchioni' (1705), e studiò con precisione la tenda del cervelletto ('forame ovale di Pacchioni').
All'anatomia e alla funzione renali è dedicata la Exercitatio anatomica de structura et usu renum (1662) di Lorenzo Bellini, che, con l'ausilio del microscopio, individua nel rene un sistema canalicolare terminante in tubuli ('tubuli retti di Bellini') che sboccano, mediante pori capillari, all'apice delle papille, facendo confluire l'urina nella pelvi renale. Al nome di Philippe Verheyen (1648-1710), attivo a Lovanio, sono legate le formazioni vascolari venose visibili sulla superficie del rene dopo l'asportazione della capsula fibrosa ('stelle di Verheyen').
Ricco di risultati fu anche lo studio anatomico dell'apparato genitale maschile e femminile. Nel 1672 de Graaf descrisse per la prima volta il follicolo ovarico ('follicolo di Graaf') e fornì la prima illustrazione, tuttora attendibile, dell'apparato genitale della donna; all'apparato genitale maschile egli aveva dedicato nel 1668 un pregevole trattato, dal titolo De virorum organis generationi inservientibus. Alla conoscenza anatomica del testicolo contribuì particolarmente l'inglese Nathanael Highmore, il cui nome è ricordato dal 'corpo di Highmore', o mediastino del testicolo; la sua Corporis humani disquisitio anatomica (1651) è uno dei primi trattati di anatomia che accoglie la nuova scoperta della circolazione del sangue.
Anche le ricerche anatomiche sugli organi di senso registrano sostanziali progressi, in particolare per quanto riguarda l'organo dell'udito, studiato con particolare attenzione da Casseri all'inizio del secolo. Nel 1645 Cecilio Folli descrive il processo lungo del martello; una trattazione sistematica si ha con il Traité de l'organe de l'ouïe (1683) di Joseph-Guichard Duverney e con il De aure humana tractatus (1704) di Antonio Maria Valsalva.
Tra le scoperte osteologiche si devono ricordare: il seno mascellare, descritto da Highmore nel 1651 ('antro di Highmore'); le 'ossa wormiane', così chiamate in memoria del danese Ole Worm (1588-1654); le differenze razziali nella configurazione dello scheletro, messe in rilievo da Paaw. La osteogenesi fu studiata macroscopicamente (1670) dall'amburghese Theodor Kerckring; tuttora il nome di 'ossicino' o 'nodulo di Kerckring' designa il punto di ossificazione secondario dell'osso occipitale, mentre il nome di 'segmento di Rivino' indica l'interruzione dell'anello timpanico nel temporale di neonato. La scissura petro-timpanica del temporale, o 'scissura di Glaser', fu descritta nel 1680 da Johann Heinrich Glaser. Anche Frederik Ruysch studiò la diversità sessuale dello scheletro umano e la genesi dei punti di ossificazione. Si ricorda, infine, l'Osteologia nova (1691) dell'inglese Clopton Havers, cui si deve la prima descrizione dei 'canali di Havers'.
La miologia macroscopica ebbe un acuto indagatore in Stenone, che nell'introduzione all'opera Elementorum myologiae specimen, seu musculi descriptio geometrica (1667), in cui si avvalse della collaborazione di Vincenzo Viviani (1622-1703), sostenne che "non è possibile denominare chiaramente le parti del muscolo e nemmeno studiare con successo il movimento muscolare, se la miologia non diviene parte della matematica". Stenone raffigura i muscoli come parallelepipedi il cui volume non aumenta se la superficie basale e l'altezza rimangono costanti; nella contrazione quindi, secondo la regola del parallelogrammo, si ha solamente una modificazione di forma del muscolo. Un buon trattato di miologia, la Myotomia reformata, fu pubblicato da Cowper alla fine del secolo (1694).
Concludiamo ricordando alcuni contributi splancnologici, come la valvola ileocecale, descritta da Gaspard Bauhin, di Basilea, che a essa legò il suo nome, e le valvole dell'intestino tenue, o valvole conniventi, descritte per la prima volta da Kerckring (1670) e tuttora indicate con il suo eponimo.
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