Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso dell’Ottocento si verifica una rivoluzione epocale nei sistemi di trasporto e di comunicazione. L’applicazione della macchina a vapore ai trasporti terrestri, fluviali e marittimi e l’invenzione del telegrafo modificano i rapporti con il tempo e con lo spazio e innescano o accelerano sviluppi economici e politici, quali l’integrazione dei mercati mondiali e un nuovo slancio imperialistico delle potenze occidentali.
Una rivoluzione nelle comunicazioni: prima globalizzazione e imperialismo
È difficile scegliere, tra le molteplici rivoluzioni economiche, sociali e culturali che hanno segnato il XIX secolo gettando le basi del mondo contemporaneo, quale sia stata la più importante. E forse non è neppure giusto e necessario, considerando la stretta interdipendenza fra questi fenomeni. Forse non è però inutile osservare come i mutamenti nel modo di far circolare merci, uomini e informazioni, ovvero le trasformazioni del sistema dei trasporti e delle comunicazioni, abbiano ricevuto un’attenzione minore rispetto a quelli avvenuti nel mondo della produzione. È significativo che nella denominazione tradizionale che riassume i processi di cambiamento, il sostantivo “rivoluzione” sia accompagnato dall’aggettivo “industriale”. Eppure ci sarebbero buone ragioni per ritenere, ad esempio, che la macchina a vapore, l’innovazione simbolo di questa fase storica, sia stata più rilevante nelle sue applicazioni ai trasporti – ferrovia, navigazione a vapore – che in quelle destinate direttamente alla produzione di fabbrica. L’importanza che in questi ultimi decenni trasporti e, soprattutto comunicazioni, hanno avuto nel rivoluzionare l’economia mondiale – la cosiddetta globalizzazione – ci rende però più sensibili a comprendere l’impatto che trasformazioni analoghe possono avere avuto nell’Ottocento, in una fase che sempre più spesso gli storici economici preferiscono considerare quella della “prima globalizzazione” piuttosto che quella della “seconda rivoluzione industriale”.
Nel corso dell’Ottocento gli straordinari progressi tecnici e, non dimentichiamolo, istituzionali e organizzativi, nel campo dei trasporti e delle comunicazioni, con il conseguente abbassamento dei costi – del 40 percento solo nella seconda metà del secolo – e abbattimento dei tempi, rende il mondo costantemente più piccolo e maneggevole. Di conseguenza i flussi commerciali nazionali, internazionali e intercontinentali accelerano l’integrazione di quella che, a questo punto, può essere legittimamente definita un’economia mondiale, la cui geografia viene costantemente ridisegnata. Ma a essere ridisegnati sono anche i rapporti di potere, soprattutto quelli fra potenze europee, o comunque occidentali, e le altre civiltà. Non è certo un caso che questa sia anche l’età dell’Imperialismo, dell’ultima grande spartizione del mondo fra le potenze occidentali, che in questa fase raggiungono lo zenith del loro potere sulle altre civiltà. Nel sostenere questa spinta espansiva ancora una volta treni e piroscafi, sotto forma di cannoniere e telegrafo, sono stati almeno altrettanto importanti dei cannoni e dei fucili.
La sintesi ferroviaria
La trattazione di questa “rivoluzione dello spazio” non può che iniziare, non foss’altro che per ragioni cronologiche, dalla ferrovia. L’irruzione sulla scena della ferrovia modifica rapidamente una percezione e un vissuto dello spazio rimasto quasi immobile per secoli, se non per millenni. Ancora all’inizio dell’Ottocento, la velocità massima di spostamento di uomini, notizie e merci è quella dei mezzi a trazione animale, a cavallo in particolare. Certo, ci sono stati perfezionamenti nella costruzione delle strade e di diligenze e carrozze, ma per raggiungere York da Londra – 250 chilometri – sono pur sempre necessari 4 giorni, 12 se si vuol raggiungere Edimburgo. Bordeaux dista da Parigi una settimana di viaggio e ci troviamo negli stati più sviluppati d’Europa e del mondo. Senza andare molto lontano, in Europa meridionale o orientale i tempi di percorrenza si allungano e costi e disagi aumentano. A metà Ottocento i tempi di viaggio, grazie alla ferrovia, si riducono a un terzo.
La data da ricordare è il 15 settembre 1830, apertura della prima linea regolare che, non a caso, collega le due città epicentro della rivoluzione industriale: il porto di Liverpool e Manchester. Ma non si tratta certo di un evento improvviso. La ferrovia non è un’invenzione, è un sistema ed è il punto d’arrivo di un processo lungo e complesso di confluenza e di integrazione fra una molteplicità di tecnologie diverse, sviluppatesi indipendentemente. La forza motrice del nuovo mezzo di trasporto, la macchina a vapore, viene sviluppata durante il XVIII secolo e trova le sue prime applicazioni pratiche in ambiti lontani dal trasporto – il drenaggio delle miniere –, giungendo alla maturità con l’introduzione del condensatore esterno da parte di James Watt. Solo a partire dall’inizio dell’Ottocento, quando l’efficienza e l’affidabilità delle macchine a vapore ha raggiunto un livello accettabile, vengono compiuti esperimenti per un suo utilizzo come motore per una motrice e solo verso la fine degli anni Venti, grazie a Stephenson, viene messo a punto un locomotore ragionevolmente efficiente e veloce, la Rocket. La nascita della ferrovia richiede però l’abbinamento del locomotore con la rotaia, un ritrovato sviluppato indipendentemente, ma anch’esso legato all’attività mineraria, dato che le prime rotaie, spesso di legno, servono a farvi scorrere dei piccoli carrelli, a traino umano o animale, per il trasporto di minerale nelle gallerie delle miniere.
L’associazione della macchina a vapore con la rotaia non è scontata e vi è chi ritiene impossibile far sì che una ruota liscia possa far presa su di un binario. Inoltre, perché il sistema binario-automotrice a vapore possa essere utilizzata sulle lunghe distanze è necessario poter disporre di enormi quantitativi di ferro, o, meglio, di acciaio, a basso costo. I progressi nella metallurgia, e soprattutto nell’uso del carbon fossile nelle varie fasi del processo produttivo, sono dunque un presupposto ineludibile.
La ferroviarizzazione
Il passaggio da un utilizzo locale della ferrovia alla realizzazione di una rete integrata a livello prima nazionale, poi internazionale, non richiede solo il raggiungimento di una certa maturità tecnica, ma anche la messa a punto di strumenti di finanziamento adeguati alla portata gigantesca dell’operazione. La costruzione di tronchi e reti ferroviari richiede infatti capitali enormemente più grandi di quelli richiesti da qualsiasi altra attività industriale dell’epoca. Una soluzione, seguita da molti, è la presa in carico da parte dell’unico soggetto singolo in grado di affrontare queste spese, ovvero lo Stato. Un’altra soluzione è la creazione di forme societarie per raccogliere capitale privato, o l’intervento di istituti bancari. Anche da questo punto di vista la costruzione di reti ferroviarie fornisce un impulso importante all’evoluzione economica.
Il contributo più importante le ferrovie lo danno però direttamente, attraverso la domanda di binari, materiale rotabile e motrici, che stimola l’industria siderurgica e meccanica, e indirettamente attraverso il processo di integrazione degli spazi economici grazie alla rapida riduzione dei costi di trasporto. Un processo che naturalmente ha vincitori e vinti, dato che, se da una parte ciò permette ai produttori e alle economie più efficienti e produttive di penetrare nuovi mercati, dall’altra espone ai freddi venti della concorrenza internazionale produttori meno efficienti che fino a quel momento sono sopravvissuti nei loro mercati regionali o nazionali al riparo, non solo delle misure protezionistiche ma anche degli elevati costi di trasporto.
L’estendersi della rete ferroviaria segue sostanzialmente quella del processo di industrializzazione. Fino alla metà dell’Ottocento, solo la Gran Bretagna, “first comer”, e il piccolo Belgio, suo primo emulo continentale, hanno completato l’impalcatura di una rete nazionale. Su circa 23 mila chilometri totali, oltre 10 mila sono nelle isole britanniche, altri 1.000 in Belgio e il resto diviso soprattutto fra Francia e Germania, i Paesi della seconda (o terza) ondata industriale. Al di là dell’Atlantico, con oltre 9 mila chilometri in totale, non molti se si considera le dimensioni del Paese, vi sono anche gli Stati Uniti.
La vera esplosione della ferrovia si ha nella seconda metà del secolo, anche grazie alle innovazioni nella produzione dell’acciaio e la conseguente diminuzione dei prezzi. I soli Stati Uniti vantano quasi 250 mila chilometri di strade ferrate che danno un contributo fondamentale alla costruzione stessa della nazione. Tutti i Paesi europei – Italia compresa, sia pure con qualche ritardo – completano in questa fase il loro sistema ferroviario. Ma anche in alcuni Paesi extraeuropei si avvia la costruzione di ferrovie, talvolta, come nel caso del Giappone, in vista di un preciso progetto di modernizzazione, altre volte, come nel caso dell’India o della Cina, sulla spinta di interessi commerciali o finanziari occidentali.
La navigazione a vapore
L’applicazione del vapore come energia motrice alla navigazione precede di poco quella alla mobilità terrestre. In genere il Clermont di Robert Fulton, operativo sul fiume Hudson, negli Stati Uniti, viene solitamente considerato il primo piroscafo, seguito da molti altri, anche in Europa, negli anni immediatamente seguenti. Rispetto alle applicazioni terrestri vi è ovviamente il vantaggio di poter prescindere da grandi investimenti infrastrutturali, come ferrovie e ponti. Il consumo altissimo di carbone, la fragilità degli scafi in legno, la scarsa efficienza del sistema propulsivo a pale pongono però severe limitazioni alla diffusione del naviglio a vapore. Di fatto fin oltre la metà dell’Ottocento, i piroscafi sono utilizzati soprattutto nelle acque interne e relativamente tranquille e su tratte brevi. La prima nave a vapore ad attraversare l’Atlantico è la Sirius, nel 1838 e la prima vera nave costruita in vista dell’uso oceanico è il Great Western. Entrambe comunque, prudenzialmente, non rinunciano all’ausilio delle vele.
Ancora nel 1869 il tonnellaggio dei velieri costruiti nei cantieri inglesi supera quello delle navi a vapore che sulle rotte oceaniche non possono competere, per velocità ed economicità, coi magnifici clippers, come il Cutty Sark, varati dai cantieri inglesi e americani, e che rappresentano il punto d’arrivo della storia millenaria della navigazione a vela.
Proprio il 1869 segna però un punto di svolta, con l’apertura del canale di Suez, opera di Ferdinand de Lesseps. Il canale rivoluziona i trasporti marittimi per l’Asia, rendendo inutile la lunga circumnavigazione dell’Africa, dimezzando i tempi di navigazione e scoraggiando l’uso delle navi a vela, poco adatte a percorrerlo. Già nel 1870 la produzione di navi a vapore supera quella dei velieri, anche perché nel frattempo, una serie di innovazioni tecnologiche, legate a quella che viene definita solitamente la seconda rivoluzione industriale, ne ha considerevolmente incrementato l’efficienza, la sicurezza e l’economicità di esercizio. Le macchine a vapore sono ora più efficienti e quindi meno affamate di carbone. Ferro e acciaio sono disponibili a costi più bassi e possono essere utilizzati per costruire scafi molto più grandi e solidi. Infine, la sostituzione della propulsione tramite eliche a poppa al posto delle pale rende le navi a vapore più adatte alla navigazione in acque difficili.
Se la ferrovia rivoluziona soprattutto i trasporti a breve e medio raggio, o tutt’al più a livello continentale, il trionfo del piroscafo a vapore abbatte definitivamente quella che uno storico ha chiamato la “tirannia della distanza” per quanto riguarda gli scambi intercontinentali. Tra il 1870 e il 1913, il costo dei noli, in pratica il costo dei trasporti marittimi, scende di circa il 50 percento, il che rende finalmente possibile il commercio a lunghissima distanza di beni di largo consumo e modesto valore unitario, come i cereali e i metalli.
Il telegrafo e l’avvento della comunicazione in tempo reale
I progressi di cui si è trattato finora, riguardano essenzialmente il trasporto di beni materiali di persone. Certamente hanno interessato anche la circolazione di notizie, idee e modelli culturali, ma senza sconvolgerli. Durante l’Ottocento si verifica però una rivoluzione, ancora più dirompente, nelle modalità di circolazione e diffusione delle informazioni. All’inizio del secolo, un commerciante o un governante europeo doveva attendere mesi per ricevere notizie economiche o politiche dall’Asia e settimane dall’America. Con l’invenzione della telegrafia e la messa a punto di reti telegrafiche terrestri e marittime si entra di fatto nell’era della comunicazione in tempo reale. Le distanze, in questo caso, non vengono semplicemente ridotte, in termini di tempo di percorrenza, vengono annullate.
La trasmissione di informazioni tramite impulsi elettrici è una delle ricadute dei progressi operati, fra fine Settecento e inizio Ottocento, nello studio dei fenomeni elettrici, un campo, insieme alla chimica, centrale per gli sviluppi della seconda rivoluzione industriale. Dopo una lunga fase di gestazione, la tecnologia del telegrafo raggiunge un livello di maturità e affidabilità sufficiente per applicazioni pratiche verso la metà del secolo, grazie soprattutto a Samuel Morse. In breve, soprattutto negli Stati Uniti, dove il problema delle distanze è più grave, le linee telegrafiche si moltiplicano, seguendo in genere il tracciato di quelle ferroviarie. Del resto, fra i due ambiti, c’è uno stretto rapporto, dato che il telegrafo agevola notevolmente la soluzione dei problemi di coordinazione insiti nel funzionamento di una rete ferroviaria.
Nel 1850-52 viene istituito il primo collegamento telegrafico sottomarino fra Parigi e Londra, attraversando la Manica. Nel 1866 si ottiene un altro straordinario successo con la posa di un cavo telegrafico transatlantico che mette in comunicazione diretta l’Europa e l’America. La costruzione e la posa di questi cavi costituiscono una pagina, forse meno spettacolare di altre, come l’apertura del canale di Suez, ma decisiva della storia della tecnologia, per la complessità dei problemi da risolvere, legati alla dispersione dell’impulso elettrico e alla durata dei cavi stessi.
Anche in questo caso, come in quello delle ferrovie, gli investimenti necessari sono enormi, e spesso richiedono l’intervento degli Stati, interessati al telegrafo anche per ovvie ragioni militari. Nel contempo, tuttavia, nascono i primi colossi privati delle telecomunicazioni, come la Western Union, i costi di trasmissione scendono considerevolmente e il servizio si democratizza: tra il 1876 e il 1914, il costo per parola da Parigi a New York scende da 5 a 1,25 franchi, per Shanghai da 10 a 4,40.
Il mondo nella rete
È difficile sopravvalutare le conseguenze cumulative, sul piano economico, politico e anche culturale, di questi sviluppi tecnici, così diversi ma convergenti nell’accelerare il processo di integrazione dello spazio mondiale. La rete di ferrovie, linee di navigazione e telegrafi che, a maglie sempre più fitte avvolge il mondo, costituisce l’infrastruttura fondamentale della grande fase di crescita dell’economia mondiale che terminerà solo con la Grande Guerra.
L’enorme aumento del commercio internazionale, più rapido di quello della produzione industriale, durante l’Ottocento ne è il sintomo più vistoso, ma si tratta di qualcosa di più di una crescita meramente quantitativa. Per la prima volta si può parlare di un’economia mondiale come sistema integrato. La convergenza dei prezzi è un indicatore utile di questa tendenza. Ancora all’inizio dell’Ottocento, il rapporto fra il prezzo delle spezie in Asia e in Europa è di 10 a 1 circa, come due o tre secoli prima, all’indomani dei viaggi di Vasco de Gama. A metà del secolo è di circa 4 a 1 e a fine secolo inferiore a 2 a 1. Questa diminuzione significa che i costi di trasporto incidono sempre meno e ciò modifica rapidamente la geografia economica del pianeta. A fine secolo il cotone grezzo costa poco di più a Manchester che ad Alessandria, Bombay o in Georgia e ciò consente all’industria inglese di dispiegare pienamente il potenziale determinato dalla sua superiore produttività.
Ma questo processo di integrazione va oltre la pur fondamentale dimensione economica, che del resto è strettamente legata a quella politica. La rivoluzione dei trasporti e delle comunicazioni consente anche agli occidentali di estendere ma soprattutto di controllare molto più efficacemente i loro possedimenti oltremare. La repressione della rivolta dei sepoys in India nel 1857, la vittoriosa guerra dell’oppio della Gran Bretagna e della Francia contro la Cina nel 1856-60, la conquista dell’Ovest da parte degli Stati Uniti sono dovute soprattutto alla ferrovia, al telegrafo e alle cannoniere a vapore. Del resto il differenziale di sviluppo nel settore dei trasporti e delle comunicazioni, oltre che in altri campi, modifica anche i rapporti di forza fra le potenze europee, come dimostra la sconfitta dell’impero zarista nella guerra di Crimea (1853-1856) o della Francia contro la Prussia nel 1871.
Infine, va ricordato che treni e navi a vapore sono anche gli strumenti che rendono possibile il gigantesco flusso migratorio che, soprattutto a partire dall’ultimo quarto del secolo, sposta grandi masse di uomini e donne dal Vecchio a Nuovo mondo (ma anche all’interno del Vecchio e del Nuovo) con esiti sociali ed economici, ma anche culturali, enormi.