La riforma dei procedimenti minorili nel d.lgs. n. 154/2013
Il contributo ha ad oggetto gli aspetti processuali della nuova disciplina introdotta dal d.lgs. 28.12.2013, n. 154 di attuazione della legge delega contenuta nell’art. 2 della l. 10.12.2012, n. 219.
Infatti, sebbene buona parte delle norme si limiti ad introdurre nella codificazione e nelle leggi speciali modifiche lessicali e sistematiche volute dalla legge delega, nel nuovo decreto legislativo ci sono anche ‒ sempre in attuazione della medesima legge ‒ norme che incidono sulla disciplina processuale dei giudizi riguardanti i figli minori per alcuni rilevanti profili: dalla legittimazione dei nonni a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti, al diritto di ascolto del minore in tutti i procedimenti che lo riguardano, al problema della competenza per i procedimenti che riguardino minori figli di genitori non coniugati.
Il d.lgs. n. 154/2013, pubblicato in G.U. il 1° gennaio 2014 e attuativo della delega contenuta nell’art. 2 della l. 10.12.2012, n. 219 recante Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali (in vigore dal 1.1.2013), recepisce quasi senza modificazioni1 il testo predisposto dalla Commissione ministeriale per le questioni giuridiche riguardanti la famiglia presieduta da Cesare Massimo Bianca.
Il decreto ha un contenuto complesso formato da centootto articoli suddivisi in quattro titoli: il primo (artt. 1- 92), contiene le proposte modifiche al codice civile ritenute necessarie per adeguarne il testo a quanto stabilito dalla nuova legge sulla filiazione; il secondo (artt. 93-95), novella allo stesso scopo norme sulla filiazione contenute negli altri codici; il terzo (artt. 96-103), reca modifiche a norme in materia di filiazione contenute in leggi speciali e, in particolare, nelle disposizioni d’attuazione del codice civile, nella legge sul divorzio e in quella sull’adozione di minori, nonché ad alcune norme di diritto internazionale privato sulla legge applicabile ai rapporti di filiazione di cui alla l. 31.5.1995, n. 218; il quarto e ultimo (artt. 104-108), prevede norme transitorie e finali.
Una gran parte dell’articolato contiene norme che si limitano ad introdurre nella codificazione e nelle leggi speciali le modifiche lessicali e sistematiche volute dalla legge delegante nei vari commi del suo art. 22,ma vi sono anche ‒ sempre in attuazione della medesima legge ‒ norme che incidono sulla disciplina processuale dei giudizi riguardanti i figli minori.
La delega data al Governo di rivedere le disposizioni vigenti in materia di filiazione riguarda in modo prevalente il diritto sostanziale e soltanto in due casi fa esplicito riferimento a regole di diritto processuale:mi riferisco a quanto dispone l’art. 2, co. 1, lett. i) e p), della l. n. 219/2012, rispettivamente sulle forme con le quali gli ascendenti potranno attuare il loro diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni e, ancora, sulle modalità con cui deve avvenire l’ascolto del minore in sede giurisdizionale.
2.1 La tutela dei rapporti con gli ascendenti
Su queste premesse, il d.lgs. in commento affida all’art. 317 bis c.c., svuotato del suo originario contenuto, il compito di disciplinare, come vuole la delega, «la legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti». Si tratta d’un diritto degli ascendenti a cui corrisponde il simmetrico diritto del minore, sancito dal nuovo art. 315 bis, di «mantenere rapporti significativi con i parenti», un diritto quest’ultimo ribadito dal nuovo art. 337 bis che, riproducendo sul punto quanto già previsto dal testo originario dell’art. 155, specifica che il figlio minore ha sempre, anche se la propria famiglia è in crisi, «il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».
Il comportamento del genitore che impedisca al proprio figlio o ai parenti di mantenere tali «rapporti significativi» si concreta, come è pacifico, in un abuso della potestà parentale censurabile a norma dell’art. 333 c.c. con un’azione che può essere esercitata dai soggetti indicati dal co. 1 dell’art. 336 e, in particolare, dagli stessi parenti3 e non soltanto dagli ascendenti come invece vuole la legge delegante che impone al legislatore delegato di prendere in considerazione soltanto questa particolare categoria di parenti.
Così, nel prendere atto di questa limitazione, il nuovo testo dell’art. 317 bis si limita a porre una regola che, a ben vedere, specifica quanto già dispone l’art. 336, co. 1, poiché attribuisce agli ascendenti un potere processuale che essi già possiedono e che più volte è stato esercitato in sede giurisdizionale davanti al tribunale per i minorenni4. La nuova norma prevede che l’ascendente al quale è impedito l’esercizio del diritto di mantenere rapporti significativi con i propri nipoti minorenni, possa ricorrere al tribunale minorile5 del luogo di residenza abituale del minore affinché, applicando le regole previste per i procedimenti de potestate dall’art. 336, co. 2, siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si tratta d’una scelta coerente con la natura di tali controversie occasionate da un comportamento ostile del genitore che è comunque pregiudizievole al figlio e quindi riconducibile a quanto prevede l’art. 333;ma è anche una scelta condizionata dall’assorbente esigenza d’evitare che la struttura soggettiva delle controversie fra genitori venisse modificata attribuendo agli ascendenti la legittimazione all’intervento, una possibilità finora tenacemente negata dalla giurisprudenza6 ma che l’àmbito della delega avrebbe consentito di affermare dando agli ascendenti non soltanto il potere di agire a norma dell’art. 336 ma anche di intervenire nei giudizi in cui si discute sull’esercizio della potestà parentale7.
2.2 L’audizione del minore
La delega ha voluto che il d.lgs. disciplini anche l’esercizio del diritto d’ascolto del minore capace di discernimento, un diritto sancito dall’art. 315 bis, inserito nel codice civile dalla legge sulla filiazione8, limitandosi a precisare che ove l’ascolto sia previsto in sede giurisdizionale «ad esso provvede il presidente del tribunale o il giudice delegato». L’ampiezza della delega è sul punto evidente e l’attribuzione al presidente del tribunale o al giudice da lui delegato del potere di ascoltare il minore viene ora opportunamente stemperata, nel testo del d.lgs., dalla facoltà attribuita a tali magistrati di avvalersi «di esperti o di altri ausiliari».
Il legislatore non ha ritenuto di regolare in modo innovativo la partecipazione del minore ai processi che coinvolgono il suo superiore interesse ed esigono provvedimenti pronunciati «con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole», per ripetere la formula di cui al testo originario dell’art. 6, co. 1, l. div., e che già abbiamo trovato nelle norme del codice modificate nel 2006 dalla legge sull’affidamento condiviso9. La presenza del minore nei processi in cui è coinvolto il suo superiore interesse continua ad avere necessaria attuazione soltanto nelle forme dell’audizione giudiziale che è attuazione del diritto all’ascolto dato comunque al minore capace di discernimento e ciò a prescindere dalla sua eventuale partecipazione al processo in qualità di parte, un’audizione il cui mancato esercizio è causa di nullità del processo10.
Il diritto all’ascolto sorge nel minore, come dice l’art. 315 bis inserito nel codice civile dalla legge n. 219, «nelle procedure che lo riguardano», un’indicazione molto generica che invero non trova soddisfacente specificazione nella formula utilizzata dal d.lgs. là dove stabilisce che il minore è ascoltato «nell’àmbito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano»: infatti, è evidente che questo diritto processuale del minore sussiste soltanto in quei procedimenti nei quali l’interesse «superiore» del minore diventa criterio di giudizio e misura di giustizia della decisione.
È soltanto in tali àmbiti che l’ascolto diventa un adempimento necessario, salvo quando il giudice accerti – con provvedimento motivato – che sia «in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo » ipotesi quest’ultima che la Relazione illustrativa preparata dalla Commissione Bianca ritiene sussistere quando verta su circostanze acclarate o non contestate. Si tratta di un’osservazione che non si può condividere, poiché l’ascolto, essendo privo di finalità istruttorie, non rileva come dichiarazione di scienza ma serve soltanto a raccogliere una manifestazione di volontà del minore e, per tale ragione, la clausola della manifesta superfluità pare equivoca e pericolosa poiché ilminore ha il diritto d’essere ascoltato, un diritto che attua l’interesse del minore e che può essere limitato e compresso solo quando sia accertata la contrarietà a tale suo superiore interesse11.
Le modalità dell’ascolto sono state stabilite allo scopo di salvaguardare il minore da eventuali condizionamenti e da pressioni che potrebbero avere una negativa influenza sulla spontaneità e sulla genuinità delle sue dichiarazioni. A tale scopo, le parti private e pubbliche – ossia i genitori e il pubblico ministero – nonché i difensori e lo stesso curatore speciale, se già nominato, possono assistere all’audizione del minore soltanto se previamente autorizzati dal giudice: in ogni caso, prima dell’inizio dell’audizione possono proporre «argomenti e temi di approfondimento». Si prescinde dall’autorizzazione giudiziale quando si può dar corso a un ascolto protetto del minore ossia, come precisa il nuovo art. 38 bis, disp. att. c.c., quando la salvaguardia del minore «è assicurata con idonei mezzi tecnici»: in tal caso, le parti seguono l’ascolto del minore in un luogo diverso da quello in cui egli si trova e non possono condizionarne lo svolgimento12.
L’ultimo comma del nuovo art. 336 bis stabilisce altresì che dell’adempimento debba essere redatto processo verbale sempre che non sia possibile effettuare una registrazione audio-video: il verbale deve descrivere «il contegno del minore» e questo per l’evidente ragione che spesso anche i silenzi del minore possono essere significativi. Infine, è anche stabilito che «prima di procedere all’ascolto», il giudice deve informare il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto: un adempimento impegnativo che recepisce, in modo molto parziale, le indicazioni affidate alle note “Linee guida sulla giustizia minorile“ elaborate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, un documento volto a favorire negli Stati europei la creazione di una giustizia «a misura di minore»13.
L’esigenza d’evitare ogni discriminazione tra i figli e quindi di rispettare il principio della unicità dello stato di figlio, trova costante riscontro nel testo del d.lgs, anche se lo scrupolo di dare compiuta attuazione ai principi e ai criteri direttivi fissati dalle norme deleganti e, in particolare, dall’art. 2, co. 1, della l. n. 219, può aver indotto a introdurre regole che – incidendo sia pure in modo indiretto sulla disciplina della competenza ‒ sono il frutto di una manipolazione delle norme vigenti che sembra eccedere dai poteri del legislatore delegato.
È noto, infatti, che l’art. 38, disp. att. c.c., come modificato dalla nuova legge sulla filiazione, prevede che la competenza del giudice minorile per le controversie de potestate debba cedere a quella del tribunale ordinario ogni qual volta sia pendente, fra le medesime parti, un procedimento di separazione o di divorzio o anche, si noti, un giudizio per regolare l’esercizio della responsabilità genitoriale proposto «ai sensi dell’art. 316 c.c.». Tuttavia, la legge non fa più menzione, nell’art. 38, dei giudizi sull’esercizio della potestà dei genitori naturali previsti dall’art. 317 bis14 a differenza di quanto stabiliva invece il testo originario dell’art. 38 che li attribuiva senz’altro alla competenza del tribunale per i minorenni.
La mancata menzione ha un duplice significato: quello di far rientrare i procedimenti ex art. 317 bis nella generale competenza del tribunale ordinario, ma anche quello di escludere che la loro pendenza eserciti quella vis attractiva nei confronti dei procedimenti de potestate che la legge del 2012 attribuisce alla pendenza di un giudizio previsto dall’art. 316: pertanto, stando alla formulazione della legge, solo per i figli nati nel matrimonio si sarebbe attuata la concentrazione delle competenze in capo al tribunale ordinario, mentre quelli nati fuori del matrimonio avrebbero dovuto confrontarsi con la diarchia tribunale ordinario/tribunale per i minorenni e con l’impossibilità di fruire di quella medesima economia processuale che la concentrazione delle competenze avrebbe reso possibile, a quanto sembra, soltanto ai figli nati nel matrimonio perpetuando, sia pure solo sul terreno processuale, una discriminazione che si pone contro le scelte di fondo operate dal legislatore ed efficacemente riassunte in quanto dispone il nuovo art. 315 c.c., per cui «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico».
Questa ingiustificabile incongruenza è stata ora eliminata dal testo del d.lgs., sul presupposto che se da un lato la legge sulla filiazione non ha abrogato l’art. 317 bis, dall’altro lato ha fatto riferimento soltanto all’art. 316 e non anche all’art. 317 bis «per indicare i procedimenti diversi da quelli di separazione e divorzio nei quali si adottino provvedimenti in materia di affidamento e mantenimento dei minori»15. In questo modo, il testo della l. n. 219 sembra autorizzare il legislatore delegato a guardare solo all’art. 316 come alla norma che regola le controversie sull’esercizio della potestà sorte quando non sono pendenti giudizi di separazione o divorzio.
Il legislatore delegato,muovendo da queste premesse, approda alla prammatica soluzione di ampliare l’art. 316 arricchendolo di norme già contenute nell’art. 317 bis con il risultato di conservarne le disposizioni non incompatibili con quanto già aveva disposto la legge sull’affidamento condiviso e, sotto il profilo processuale, di eliminare un’antinomia fonte di un’ingiustificabile discriminazione nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio.
1 Le uniche modificazioni riguardano limitati profili della disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio e le disposizioni transitorie: quanto ai primi, si vedano gli artt. 13, 14, 19, 21, 30, 31 e 38 del d.lgs.; quanto alle norme transitorie, si veda il nuovo testo dell’art. 104. Viene anche preso in considerazione, dal nuovo art. 103, il testo dell’art. 30, d.lgs. 3.2.2011, n. 71 sulle funzioni consolari di giurisdizione volontaria per apportarvi qualche modifica.
2 Cfr. l’art. 2, l. 10.12.2012, n. 219. Esiste anche una norma di chiusura, dettata dall’art. 105, per cui le parole «potestà» e «potestà genitoriale», «figli legittimi», «figli naturali», «figli adulterini», sono rispettivamente sostituite «ovunque presenti» dalle parole «responsabilità genitoriale» (più corretta sarebbe stata l’espressione «potestà parentale»), «figli nati nel matrimonio» e «figli nati fuori del matrimonio».
3 Nei limiti, s’intende, della rilevanza giuridica data al rapporto di parentela e quindi fino al sesto grado, come si argomenta dalla regola sul limite della parentela di cui all’art. 77 c.c.
4 Cfr. Trib. min. Milano, 5.10.2010, in Dir. fam, 2011, 243; Cass., 23.11.2007, n. 24423, in Giur. it., 2008, 1663 con nota di F. Costantini; Cass., 17.6.2009, n. 14091.
5 L’indicazione della competenza del giudice minorile è contenuta nel testo, integrato sul punto, dell’art. 38, disp. att. c.c.
6 Sull’argomento, Vullo, E., Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, I, Bologna, 2011, sub art. 706, 53 ss. e anche Bonilini, G.-Tommaseo, F., Lo scioglimento del matrimonio, Milano, 2010, 747 ss.
7 Sulla legittimazione degli ascendenti all’intervento adesivo in un giudizio di divorzio per sostenere le ragioni del genitore che intenda attuare il diritto del figlio a conservare con gli stessi significativi rapporti, vedi Trib. Firenze, 22.4.2006, in Fam. dir., 2006, 291 ss. e ivi la mia nota L’interesse del minore e la nuova legge sull’affidamento condiviso.
8 Vedi l’art. 1, co. 8, della l. n. 219/2012. Non è questa la sede per ricordare il lungo cammino che è stato necessario seguire per aprire anche il nostro ordinamento al riconoscimento di questo importante diritto processuale del minore sancito dal diritto convenzionale: fra i molti contributi dedicati all’argomento, vedi Querzola, L. Il processo minorile in dimensione europea, Bologna, 2010, 49 ss.; Graziosi, A., Ebbene si: il minore ha diritto d’essere ascoltato nel processo, in Fam. dir., 2010, 364 ss. e, per altri riferimenti, Per una giustizia a misura del minore: la Cassazione ancora sull’ascolto del minore, mio commento a Cass., 10.6.2011, n. 12739, in Fam. dir., 2012, 39 ss.
9 Artt. 155, co. 2, e 155 sexies, co. 2 che, con il d.lgs. sono diventati i nuovi 337 ter e 337 octies, c.c. Il principio per cui occorre dare preminente considerazione al «superiore interesse» del minore ha trovato la propria origine nel diritto convenzionale (Convenzioni sui diritti del fanciullo di New York del 1989 e di Strasburgo del 1996) ed è ora in modo molto significativo recepito dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per cui in tutti gli atti relativi ai minori, compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, «l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente».
10 Giurisprudenza pacifica: Cass., 16.4.2007, n. 9094, in Fam. dir., 2007, 883 ss. con nota di Tommaseo, F., La Cassazione sull’audizione del minore come atto istruttorio necessario, Cass., S.U., 21.10.2009, n. 22238, ivi, 2010, 364 ss., con nota di Graziosi, A., Ebbene si, cit.
11 L’ascolto del minore è espressamente previsto nei giudizi di crisi coniugale: così l’art. 337 octies, introdotto dal d.lgs. (riproducendo sul punto quanto già previsto dall’allora abrogato art. 155 sexies), ma precisa altresì che nell’omologazione della separazione consensuale o quando il giudice debba prendere atto di un accordo dei genitori sull’affidamento dei figli, raggiunto a norma dell’art. 337 ter, «il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo»: la Relazione illustrativa spiega che in tali ipotesi «l’ascolto del minore costituirà l’eccezione, perché la regola sarà il suo non ascolto, dovendosi ritenere in questo caso l’audizione del minore superflua, a meno che in considerazione del caso concreto il giudice non decida di procedervi ritenendo l’adempimento necessario per tutelare l’interesse del minore».
12 Quale idoneo mezzo tecnico di salvaguardia del minore l’art. 38 bis indica il vetro-specchio unito a un citofono, ma ben possono essere utilizzati gli altri strumenti che l’ascolto protetto, praticato nel processo penale, ben conosce: ad esempio, un collegamento televisivo a circuito chiuso.
13 Sulle Linee Guida, affidate a un documento del 17.11.2010, vedi Ruo, M.G., Indicazioni sovranazionali per l’ascolto della persona minore di età in ambito giudiziario: Comitato ONU. Linea Guida del Consiglio d’Europa, giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Le mille facce dell’ascolto del minore, a cura di M. Cavallo, Roma, 2012, 62 ss.
14 Si tratta beninteso del testo dell’art. 317 bis c.c., vigente al momento dell’entrata in vigore della legge sulla filiazione: solo il decreto legislativo, con le modifiche e la rinumerazione dell’articolato, assegna all’art. 317 bis un contenuto del tutto diverso.
15 In questi termini la Relazione illustrativa predisposta dalla Commissione Bianca, 167.