La retorica nelle universita
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’università è una delle “invenzioni” più durature che dobbiamo al Medioevo. Vi si produce la cultura nuova, che nei secoli XII e XIII è giuridica, teologica e medico-scientifica, ma anche retorica: nelle facoltà delle Arti si impara fra l’altro la tecnica di composizione di lettere e documenti, strumento di una laicizzazione del sapere che contribuirà alla fioritura letteraria.
Sotto il pontificato di Alessandro IV
Statuti dello Studium di Arezzo
Nell’anno 1255 dalla nascita del Signore, indizione tredicesima, sotto il pontificato di Alessandro IV.
Questi sono gli Ordinamenti stabiliti e approvati da tutti i professori di Arezzo, e cioè dal signor Martino da Fano, dal signor Roizello, dal signor Bonaguida, dal professor Tebaldo, dal professor Rolando, dal professor Rosello, dal signor Rainerio e dal professor Benrecevuto. Così hanno detto a me notaio i professori Orlando e Tebaldo fisico:
Prima di tutti elessero rettore il suddetto signor Martino dalla festa di tutti i Santi alle calende di gennaio; stabilirono che ciascun maestro debba onorare ogni altro in tutte le maniere possibili sia nelle scuole che nelle assemblee e in ogni luogo; e che nessun maestro appoggi e inviti qualcuno degli scolari a fare e dire cose ingiuriose nei riguardi di qualsiasi maestro. Chi contravverrà dovrà pagare cinque soldi di multa.
Nessun maestro deve ammettere alle sue lezioni studenti di un altro maestro per più di quattro volte senza il suo consenso. Se frequenteranno per una settimana l’insegnamento di un maestro siano considerato suoi studenti e l’altro non li ammetta più. Se qualcuno agirà diversamente dovrà dare a colui del quale sono allievi dieci soldi per l’insegnamento e tre soldi per i locali, e versare al rettore cinque soldi di multa.
Ciascun maestro dovrà fare almeno tre collette: una per i locali, la seconda per l’insegnamento e la terza per il bedellus prima del Natale.
I maestri dovranno riunirsi una volta al mese in un luogo adatto; e questo faranno anche tutte le volte che il Rettore l’abbia ordinato per mezzo del bedellus. Chi non parteciperà alle riunioni dovrà pagare cinque soldi, salvo che abbia avuto autorizzazione dal Rettore.
Ciascun maestro sarà obbligato a non tenere lezioni ordinarie ogni volte che il Rettore l’abbia vietato per mezzo del bedellus, sotto pena di cinque soldi di multa.
I ripetitori (assistenti) avranno l’obbligo di condurre a scuola tutti gli studenti tenuti a frequentare e di non occuparsi dell’onorario del maestro, sotto pena di dieci soldi da versare al Rettore.
Nessuno osi tenere lezioni ordinarie nella città di Arezzo né in grammatica né in dialettica né in medicina se prima non sia stato esaminato e approvato legittimamente e pubblicamente in assemblea generale e non abbia ottenuto la licenza d’insegnare dovunque la sua materia.
I maestri ordinarono che ogni studente che si trattenesse nella dimora dei repetitores per ascoltare le lezioni e le declinationes paghi al suo rientro come coloro che erano andati a scuola. Ordinarono che Bonavere [bedellus] in linea di massima possa ricevere da ogni scolaro di grammatica due denari e sei da ciascun ripetitore.
I maestri non dovranno occupare o far occupare l’alloggio a nessun maestro o ripetitore otto giorni dopo la scadenza e chi farà diversamente dovrà versare cinque soldi a colui al quale lo ha fatto.
I suddetti Statuti furono confermati da signor Giovanni, giudice e assessore del signor Borro de’ Borri podestà di Arezzo il 16 febbraio nel palazzo del Comune di Arezzo, cioè del Podestà, sedendo il detto giudice dinanzi al tribunale, alla presenza del maestro Tebaldo fisico, del maestro Orlando grammatico, del prete Rainerio cappellano del Duomo Vecchio, del signor Piero del fu Bonaccorso e di Bonavere notaio e bedellus degli scolari.
Il quale (giudice) mi ha incaricato di pubblicare e redigere in forma legale, con la sua autorità, i suddetti capitoli e statuti.
Determinare quando sia nata l’università è un problema anzitutto di termini: universitas si riferisce infatti più alla corporazione di studenti e docenti che all’istituzione universitaria in sé, il cui nome latino era invece studium, entità che spesso si confonde con le scuole capitolari o le scuole giuridiche o mediche – non ancora strutturate in forma universitaria – che in molte città godevano di una lunga tradizione. Nel XII-XIII secolo, quando arti e mestieri si organizzano in forma corporativa per regolamentare la propria vita professionale, i maestri e le istituzioni che promuovono gli studia articolano la propria collaborazione in nuove tipologie. Bologna, la cui fondazione universitaria viene considerata la più antica – ma il primo documento ufficiale è la costituzione Habita del 1158, con cui Federico Barbarossa garantisce protezione giuridica agli studenti “fuori sede” –, dà origine all’universitas scholarium, dove gli studenti, riuniti in associazioni nazionali o regionali (nationes divise in subnationes) nominano un rettore che assume i maestri (riuniti nel Collegio dei Docenti) e amministra lo studium. A Parigi, invece, si crea l’universitas magistrorum et scholarium. Fondata intorno al 1180 e dichiarata da Gregorio IX nel 1231 Parens scientiarium (“Madre delle scienze”), è governata di fatto dai docenti, secondo un modello che si diffonde rapidamente in tutta Europa.
Qui l’autorità del rettore si confronta con quella del cancelliere, delegato dell’autorità ecclesiastica, cioè del vescovo: gli studenti e i maestri infatti sono formalmente tutti chierici, e l’insegnamento è considerato a lungo una prerogativa dei prelati più alti, al pari della predicazione. L’autonomia dell’università viene conquistata a Parigi attraverso scioperi (1229) e scontri di piazza fra studenti e polizia, dopo di che il diritto di conferire la licentia docendi si trasferisce definitivamente dal cancelliere ai maestri dell’università. Questo processo si attua gradualmente in tutte le sedi, spesso grazie a un collegamento fra università e papato che ha lo scopo di superare i vincoli del potere ecclesiastico locale e civile e insieme di garantire la validità universale dei titoli rilasciati.
Le università erano articolate come oggi in facoltà (al massimo quattro, non sempre compresenti): Arti, cioè Arti liberali (che fin dalla tarda antichità erano alla base di ogni formazione letteraria e scientifica), Diritto canonico (e, finché non fu vietato dal papa, civile), Medicina e Teologia (la più lunga e impegnativa). La facoltà delle Arti, particolarmente sviluppata, ad esempio, a Orléans, era la maggiore delle quattro per numero di iscritti e di maestri e per peso finanziario, e costituiva spesso un grado primario di istruzione superiore, della durata di sei anni, due per il baccalaureato e quattro per il dottorato, oltre il quale (a 20-21 anni) si frequentavano medicina, diritto o teologia, che comportano altri 5-6 anni di studio, mentre per diventare magistri in sacra pagina (cioè commentatori della Bibbia) e professori di teologia occorreva superare il baccalaureato biblico e quello sentenziario (non prima dei trentacinque anni).
Nella Facultas artium si imparano, oltre alla lingua, soprattutto le tecniche di comunicazione per comporre documenti ufficiali, impartite dal maestro di retorica. L’ars dictandi, “l’arte della composizione”, si praticava già nelle cancellerie imperiali o pontificie, ma nell’XI secolo viene finalmente formalizzata e per così dire democratizzata nei primi manuali di Alberico da Montecassino, i Flores rhetorici o Dictaminum radii e il Breviarium de dictamine. In questi libri di testo il focus della trattazione riguarda le figure retoriche, i modi espressivi, mentre alla composizione epistolare è dedicato solo un cenno relativo ai saluti iniziali.
Una vera e propria scienza dell’epistolografia si sviluppa invece soprattutto a Bologna, dove la scuola irneriana e gli studi di notariato dalle quali probabilmente era nata l’università avevano dato un carattere pragmatico e politico all’apprendimento della comunicazione scritta. Qui operano ad esempio all’inizio del XII secolo il misterioso Aginulfo, Adalberto il Samaritano (Praecepta dictaminum), Ugo di Bologna (Rationes dictandi prosaice, fra 1119 e 1124) e l’anonimo autore delle Rationes dictandi che distingue organicamente composizione in versi, in ritmi e in prosa e definisce le cinque parti della lettera: salutatio, captatio benevolentiae, narratio, petitio, conclusio.
Bernardo di Bologna – la cui Summa, tramandata in diverse redazioni, sta per avere la sua prima edizione – e il suo allievo Guido di Arezzo – la cui opera è ancora inedita – raccolgono e potenziano questa tradizione fondendo l’ars dictandi con la retorica e la poetica compreso il cursus, cioè la ritmizzazione dei finali di frase – i cui tipi più frequenti erano il cursus planus (’- -’-, ex. víncla perfrégit), il tardus (’- - ’- -, ex. vincla perfrégerat) e il velox (’ - - ’ - ’-, ex. vínculum frégerámus).
Questi innovatori producono nuovi strumenti didattici destinati a influenzare le scuole italiane, quelle tedesche e quelle francesi di Tours e Orléans, dove insegnarono o studiarono Bernardo Silvestre, il suo allievo Matteo di Vendôme e Bernard de Meung, autore dei Flores dictaminum, che costituiscono una raccolta di grande interesse narrativo relativa ai mille casi quotidiani in cui era necessario saper scrivere una lettera.
Fra Bologna e la Francia si stabiliscono contatti numerosi e frequenti, testimoniati da figure di maestri itineranti come Pietro di Blois, probabile autore del Libellus de arte dictandi rhetorice, composto in Inghilterra fra 1181 e 1185, che distingue sette tipi di dictamen (epistola, storia, polemica, commento, trattato, discorso oratorio e dialogo) e Goffredo di Vinsauf, autore fra 1188 e 1190 di una Summa de arte dictandi, composta per soddisfare le sollecitazioni di compagni di studio a Bologna, e soprattutto della celebre Poetria nova (1200-1202), manuale di poetica di enorme diffusione. Con un secondo trattato retorico, il Documentum de modo et arte dictandi et versificandi, Goffredo si sposta da una concezione utilitaristica dell’epistola verso interessi più letterari, che si riflettono anche in altri documenti di area bolognese. Nel 1246 gli statuti della corporazione locale dei notai, ad esempio, ammettono alla professione solo coloro che sono in grado di latinare e dictare correttamente: e molte scoperte recenti di frammenti poetici italiani del XIII secolo si devono a fogli di codici notarili emiliani.
Le figure successive oscillano fra la difesa del carattere pratico dell’arte (Boncompagno da Signa, autore peraltro del primo trattato di epistolografia d’amore, la Rota Veneris) e concessioni verso la retorica letteraria (Bene da Firenze, a Bologna dal 1218) e Guido Faba, che del Candelabrum di Bene si servirà per i suoi trattati, popolari in tutta Europa.
A metà del Duecento la produzione si intensifica sia a Bologna sia nel centro e nel sud Italia, dove nascono le nuove università: ad esempio quella di Napoli, fondata da Federico II nel 1224, o quella di Arezzo, i cui statuti, risalenti al 1255, sono fra i più antichi d’Europa (quelli di Bologna sono del 1237 e quelli di Cambridge del 1250) e regolarizzano una tradizione di studi attestata fin dal 1205 (quando Roffredo da Bologna scrive che ad Arezzo già viget studium litterarum, “fiorisce la scuola delle lettere”).
Ad Arezzo si sviluppa un’importante scuola di retorica e grammatica che vede fra i suoi maestri, in una tradizione che potrebbe collegarsi a Guido, allievo di Bernardo di Bologna, le figure ancora inesplorate di Bonfiglio – che collega lo stile alto della cancelleria imperiale di Pier delle Vigne con lo sviluppo letterario della tecnica di comunicazione ufficiale – e di Mino da Colle Val d’Elsa. Questo visiting professor itinerante compone ad Arezzo raccolte di lettere per la scuola che aprono una serie di squarci su situazioni e scenari della vita universitaria, presentati con disinvolta freschezza e con frequenti aperture a espressioni in volgare, scherzose o ingiuriose. Fra queste lettere, ancora in via di pubblicazione, si trovano prolusioni che esaltano l’importanza dello studio per la formazione di una coscienza culturale e per le applicazioni professionali cui prepara, e che dimostrano un alto grado di convinzione nell’insegnamento e nella retorica: Mino la chiama scientia litteralis, paragonandola a una regina coronata dalle altre arti, perché è quella che consente a tutte le altre di comunicare i propri contenuti.
In quei decenni Arezzo opera come un centro di cultura preumanistica – in Italia l’unico, insieme a quello di Padova, nel quale secondo Coluccio Salutati “cominciò a splendere la luce” –, grazie al contributo spesso fortemente innovativo di maestri come Geri, Goro, Domenico Bandini, grammatici e commentatori dei classici o professori all’università aretina, che crearono il terreno in cui si formarono illustri personalità dell’umanesimo toscano come Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Gregorio e Carlo Marsuppini, Giovanni Tortelli, Francesco e Bernardo Accolti, Giorgio Vasari. Il caso di Arezzo è in qualche modo parallelo a quello di Bologna nel dimostrare che, secondo la tesi di Paul Oskar Kristeller, la retorica e in particolare l’ars dictandi furono “una delle radici dell’umanesimo” e della fioritura poetica e letteraria del Duecento e Trecento. Il loro insegnamento pubblico segnò una professionalizzazione laica della scrittura, aprendo le tecniche della comunicazione scritta a un accesso più vasto, fino a che l’umanesimo la ricondusse nel chiuso delle corti signorili.