La responsabilità di amministratori e sindaci
La responsabilità degli amministratori e dei sindaci di società di capitali è materia sempre in divenire sulla quale ha significativamente inciso la riforma del diritto societario del 2003 e l’incessante opera della dottrina e della giurisprudenza. In particolare, si assiste ad una linea evolutiva che rigetta ogni forma di “oggettivazione” della responsabilità e che, al contrario, valorizza la natura colposa di essa ed il presupposto del collegamento causale tra la condotta ed il pregiudizio subito dalla società. In tale cornice, il presente scritto si concentra sulla funzione di controllo degli amministratori non operativi e della loro responsabilità, oggetto di un recente intervento della giurisprudenza di legittimità.
La riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17.1.2003, n. 6 ha inciso in modo significativo sulla disciplina della responsabilità degli amministratori e dei sindaci di società di capitali. Il testo dell’art 2392 c.c. anteriore alla riforma del diritto societario contemplava l’obbligo degli amministratori di adempiere i propri doveri con la diligenza del mandatario, con conseguente responsabilità solidale in ipotesi di inadempimento ed imponeva un generale obbligo di vigilanza secondo il quale ciascun componente del consiglio di amministrazione era tenuto ad attivarsi allo scopo di esercitare un controllo effettivo sull’operato degli altri, sicché l’affidamento di singoli e specifici compiti di amministrazione diretta ad alcuni soltanto degli amministratori non escludeva la responsabilità degli altri. La norma faceva, dunque, ricadere solidalmente sugli amministratori il pregiudizio cagionato dall’altrui condotta, quando fosse loro addebitabile la violazione dell’obbligo generale di vigilanza1. La riforma del 2003 ha rivoluzionato il sistema della responsabilità degli amministratori di società muovendosi su più direttrici. Sotto un primo profilo, è stato elevato lo standard di diligenza richiesto agli amministratori i quali devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze (art. 2392 c.c.) e, parallelamente, è stata rafforzata l’autonomia decisionale degli amministratori rispetto all’assemblea (artt. 2380 bis e 2364, co. 1, n. 5, c.c.). Sotto altro profilo, si è voluto evitare che la responsabilità degli amministratori, soprattutto nell’ambito delle azioni esercitate dagli organi delle procedure concorsuali, divenisse tanto vasta da sconfinare in una vera e propria forma di responsabilità oggettiva. Così, l’obbligo generale di vigilanza è stato sostituito dal dovere di agire informati di cui al co. 6 dell’art. 2381 c.c.: e, in tale contesto che pure mantiene ferma la solidarietà, assume nuova dimensione la norma secondo la quale i singoli amministratori rispondono ove, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. In particolare, poi, è stata introdotta una disciplina specifica della delega gestoria volta a delineare una equilibrata suddivisione delle funzioni e dei compiti – e, conseguentemente, della responsabilità – posti a carico degli amministratori delegati e del consiglio di amministrazione. Così, la delega spezza l’unitarietà della prestazione gestoria e affievolisce il regime generale della solidarietà2 creando un sistema che prevede una dialettica3 tra amministratori delegati ai quali spettano compiti di natura esecutiva e consiglio di amministrazione al quale sono conferiti, principalmente, funzioni di alta amministrazione e di supervisione della gestione e, quindi, di programmazione, valutazione e controllo. Infatti, mentre gli amministratori esecutivi esercitano l’attività gestoria in senso stretto e curano l’adeguatezza degli assetti, gli amministratori privi di deleghe devono: a) valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; b) esaminare, quando elaborati, i piani strategici, industriali e finanziari della società; c) valutare, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione. Essi hanno poi il poteredovere di chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società. Il consiglio di amministrazione assume una posizione sovraordinata anche nelle materie delegate4 e mantiene il potere di impartire direttive agli amministratori delegati, di avocare a sé le competenze oggetto della delega e, nei casi più gravi, di revocare la delega medesima. In tale contesto, alla differenziazione delle funzioni (gestionali da un lato, valutative dall’altro) corrisponde una differenziazione in tema di responsabilità da commisurare sulle base delle funzioni assegnate5: il quadro normativo uscito dalla riforma impone all’interprete di valutare la responsabilità distintamente per “ciascun” amministratore il quale risponde solo per fatto proprio (commissivo od omissivo) e non (attraverso il paradigma della solidarietà) delle violazioni commesse da altri amministratori o da altri soggetti6. In altre parole, se è vero che la regola della solidarietà nei confronti del danneggiato implica che la responsabilità degli amministratori sussiste anche se l’evento dannoso sia collegato da nesso eziologico a più condotte, seppure distinte, di più soggetti ciascuna delle quali abbia concorso a determinarlo restando irrilevante nel rapporto col danneggiato la diseguale efficienza causale delle singole condotte7, è altrettanto certo che il principio di solidarietà passiva tra gli amministratori vale solo se gli stessi siano già stati autonomamente individuati come corresponsabili dello specifico danno sulla base della ricostruzione del nesso causale tra la condotta ad essi personalmente attribuibile e l’evento pregiudizievole lamentato8. Nell’ambito della cornice normativa così sommariamente descritta, è divenuto oggetto di approfondimento lo studio della responsabilità degli amministratori privi di deleghe9, affrontata anche da un recente intervento della giurisprudenza di legittimità10.
In via di prima approssimazione, può affermarsi che gli amministratori possono essere chiamati a rispondere per i danni cagionati alla società amministrata se siano venuti meno ai propri doveri, così da cagionare, per il tramite del nesso di causalità, un pregiudizio alla società. Si tratta di una disciplina basata pur sempre sul presupposto della colpa con la conseguenza che un singolo amministratore non può essere chiamato a rispondere, in via oggettiva, di un inadempimento altrui in relazione al quale non aveva alcun potere di prevenzione o reazione. Consegue che la “personalizzazione” della responsabilità deve tenere necessariamente conto della diversa posizione “oggettiva”, connessa alle violazioni poste in essere ed alle relative conseguenze dannose, e “soggettiva”, relativa alle specifiche competenze del singolo ed alle funzioni in concreto attribuite a ciascun amministratore11.
Come già accennato, la riforma ha eliminato l’obbligo, gravante su tutti gli amministratori, di vigilare sul generale andamento della gestione sostituendolo con l’obbligo di agire informati (art. 2381, co. 6, c.c.). Tale dovere è, sostanzialmente, una specificazione del dovere di diligenza che, proprio in quanto connessa alla professionalità del gestore d’impresa, grava su tutti gli amministratori, tanto sugli amministratori esecutivi quanto su quelli privi di deleghe ed anche sull’amministratore unico, anch’egli, ovviamente, tenuto ad assumere decisioni gestionali sulla base di una istruttoria razionale e completa12. Inoltre, l’obbligo deve ritenersi applicabile anche nelle società a responsabilità limitata seppure gli artt. 2475 e 2476 c.c. non contengano una norma analoga a quella della disciplina della società azionaria13.
E, tuttavia, il dovere si declina, con riguardo al suo oggetto, in forme diverse a seconda del ruolo assunto dai singoli. Infatti, per quanto attiene gli amministratori delegati, esso ha ad oggetto il processo decisionale e le correlate scelte gestionali che devono essere, oltre che non irrazionali, fondate sull’acquisizione di tutti gli elementi fattuali di volta in volta necessari al compimento della scelta medesima14.
Al contrario, per gli amministratori privi di deleghe, l’obbligo in argomento si sostanzia nella valutazione delle informazioni ricevute e, ove ritenutane la necessità, nell’acquisizione di ulteriori e più approfondite notizie. In sostanza, l’oggetto del dovere è costituito dai flussi informativi che devono promanare, in modo efficiente ed efficace, dagli amministratori esecutivi verso il consiglio e che quest’ultimo ha l’obbligo di esaminare ed approfondire.
Peraltro, secondo l’indirizzo maggioritario, non avendo diretti poteri ispettivi dell’organizzazione societaria, il compito degli amministratori privi di deleghe è limitato alla richiesta che gli amministratori delegati rendano al consiglio di amministrazione le informazioni aggiuntive: sarà poi il consiglio di amministrazione medesimo a determinarsi nel senso di impartire direttive, avocare a sé singole operazioni o revocare la delega. Così, se pure l’obbligo di agire informato non consente all’amministratore privo di deleghe di adagiarsi in recezione passiva, egli non può avere il rapporto diretto con l’operatività aziendale e il dialogo diretto con la struttura che solo agli esecutivi compete e che fonda, dunque, una loro individuale e specifica responsabilità15.
Se il sistema della responsabilità rappresenta il contraltare del potere di amministrare, la differenziazione degli obblighi, in particolare, con riferimento al dovere informativo, in capo alle diverse categorie di amministratori non può non avere ricadute sul terreno della responsabilità. Con riferimento alla responsabilità degli amministratori privi di deleghe, recentemente la giurisprudenza di legittimità ha precisato che essa non può oggi discendere da una generica condotta di omessa vigilanza, ma deve riconnettersi alla violazione del dovere di agire informati, sia sulla base delle informazioni che a detti amministratori devono essere somministrate, sia sulla base di quelle che essi stessi possono acquisire di propria iniziativa. In questa prospettiva, agli amministratori privi di deleghe è richiesto non soltanto di essere passivi destinatari delle informazioni rese sua sponte dall’organo delegato, ma anche di assumere l’iniziativa di richiedere informazioni, allorquando sussistano quei “segnali di pericolo” o “sintomi di patologia”, quali “indici rivelatori” o “campanelli d’allarme” del fatto illecito posto in essere – o che sta per essere posto in essere – dagli organi delegati16. In altre parole, la colpa che fonda la responsabilità dei deleganti può consistere o nel non avere rilevato i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza richiesta dalla carica ovvero nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare il danno17. Se così è, la problematica si sposta sulla individuazione di quegli elementi tali da porre, alla stregua della diligenza esigibile, sull’avviso gli amministratori (segnali di allarme) e idonei a innescare la facoltà di chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società così da trasformare la facoltà in un obbligo positivo di condotta generatore di responsabilità. La prima ipotesi di allarme può aversi allorquando l’amministratore delegato ometta completamente di riferire al consiglio, nel termine previsto dall’art. 2381, co. 5, c.c. ovvero in quello diverso previsto statutariamente, sull’andamento della gestione, sulla prevedibile evoluzione e sulle operazioni di maggior rilievo. Ad essa può essere sostanzialmente parificata la ipotesi dell’amministratore delegato che fornisca informazioni del tutto generiche ed apodittiche consistenti in affermazioni prive di significato realmente esplicativo18. In tali fattispecie, essendo la carenza informativa immediatamente percepibile, l’accertamento della colpa dell’amministratore privo di deleghe non richiede ulteriori valutazioni se non quella concernente il mancato intervento reattivo. Diverso è il caso in cui l’amministratore delegato fornisca una informazione che, sebbene formalmente corretta, si presenti sostanzialmente incompleta ed errata19. Ora, a parte l’ovvia considerazione che la responsabilità andrà valutata caso per caso in relazione alla intrinseca percepibilità dell’incompletezza, della irrazionalità e della erroneità dell’informazione prodotta (per la quale non appare neppure prospettabile una classificazione astratta), viene in rilievo, da una parte, l’affidabilità dell’amministratore delegato e, dall’altra, la predisposizione, a monte, di assetti organizzativi che siano effettivamente adeguati alla tipologia di società e come tali valutati dal consiglio di amministrazione nella sua collegialità20. Nell’ipotesi in cui tali presupposti difettino dovrà essere necessariamente affermato l’inadempimento dell’amministratore privo di deleghe per non avere diligentemente valutato le informazioni ricevute ovvero per non avere creato una struttura idonea al reperimento ed alla verifica delle informazioni. Peraltro, ove le informazioni, anche eventualmente aggiuntive, non risultino sufficienti, l’amministratore privo di deleghe potrà21: avanzare la richiesta al presidente di convocare il consiglio, sollecitare il consiglio a revocare la deliberazione illegittima o l’incarico in capo all’amministratore ovvero ad inviare richieste scritte all’organo delegato al fine di invitarlo a desistere dal compimento dell’attività dannosa, ad impugnare la deliberazione ex art. 2391 c.c., a procedere a segnalare al p.m. o all’autorità di vigilanza. Inoltre, l’amministratore potrà, ai fini dell’esonero da responsabilità, fare annotare il proprio dissenso, ex art. 2392, co. 3, c.c. Per converso, conformemente alla centralità dell’elemento della colpa, l’amministratore potrà sempre provare l’esistenza di impedimenti di carattere oggettivo ovvero di circostanze che abbiano ostacolato ogni possibilità di attivarsi per acquisire nuove informazioni in ordine ad atti o operazioni compiute dagli amministratori operativi22. In definitiva, la responsabilità dei deleganti si fonda non già sull’omessa vigilanza, ma sulla violazione degli obblighi di intervento che nascono dalle informazioni di cui essi dispongono o che avrebbero dovuto richiedere: in tal modo vengono a coniugarsi, da una parte, il ripudio di ogni forma di responsabilità oggettiva e, dall’altra, la necessità che gli amministratori non esecutivi siano ridotti a futili elementi decorativi da window dressing23.
Sebbene il confronto con la disciplina anteriore alla riforma sembri assecondare l’idea di un affievolimento della responsabilità degli amministratori non operativi, appare invece corretto affermare che la responsabilità sia stata soltanto declinata in modo diverso (e più rispettoso del carattere colposo di essa) e orientata più sul versante dell’omesso controllo che su quello della negligente gestione attiva della società. La nuova modulazione della responsabilità può essere definita da omissione di attività informativa che diventa oggetto di un dovere di comportamento degli amministratori non operativi24.
Così, sotto il profilo sostanziale, l’attività degli amministratori privi di deleghe viene a collocarsi nell’alveo del sistema dei controlli interni della società. Come è stato autorevolmente sostenuto25, il controllo si emancipa dall’accezione tradizionale di verifica ex post e si evolve in elemento coessenziale dell’esercizio dell’impresa e del potere amministrativo. In altri termini, il controllo non è più estrinseco, ma intrinseco alla funzione gestoria, inserendosi, dinamicamente, nel farsi della gestione al fine di indirizzarla verso l’attuazione delle regole di corretta amministrazione, sul cui rispetto vigila il collegio sindacale26. Se, in precedenza, il rapporto esistente tra la responsabilità degli amministratori e quella dei sindaci poteva essere plasticamente raffigurata come due cerchi concentrici ove l’inadempimento degli amministratori è dato da un cerchio al quale se ne sovrappone un altro raffigurante l’inadempimento dei sindaci27, oggi la più marcata distinzione tra funzioni dei diversi amministratori introduce, per così dire, all’interno di quel grafico, un cerchio, rappresentante l’inadempimento degli amministratori non operativi, che si colloca a livello intermedio tra amministratori delegati e sindaci. La riconduzione della responsabilità degli amministratori privi di deleghe alla funzione di controllo ha, altresì, importanti ricadute nell’ambito processuale dei giudizi di responsabilità28 che la stessa giurisprudenza ha cura di sottolineare. Ovviamente, rimane fermo il punto di partenza dell’azione di responsabilità esercitata dalla società nei confronti degli amministratori e, precisamente, la sua riconduzione nell’alveo delle azioni di natura contrattuale. Da ciò consegue, sul piano degli oneri probatori, che la società, ovvero il curatore nelle azioni che si inseriscono in una procedura concorsuale, è onerato della allegazione e della prova delle condotte di mala gestio poste in essere dagli amministratori29, del danno e del nesso di causalità tra le prime e le seconde. Incombe per converso sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Tuttavia, la “qualità” e l’“oggetto” dell’inadempimento addebitabile agli amministratori non esecutivi impone alcune precisazioni. Infatti, consistendo l’addebito nel non essersi attivati per evitare che gli amministratori delegati cagionassero un danno alla società, diviene centrale che l’attore alleghi, fornendone la prova, le informazioni di cui gli amministratori non operativi potevano effettivamente disporre (e di cui si sono colpevolmente disinteressati) e l’idoneità di esse, in relazione alla completezza ed alla apparente plausibilità, ad attivare i poteri di approfondimento e di reazione di cui detti amministratori dispongono. Inoltre, una volta accertata tale violazione, occorre ulteriormente verificare se ed in quali eventuali limiti possa concretamente essere predicata la sussistenza del nesso eziologico30 tra detta condotta ed il pregiudizio arrecato alla società. Sotto questo ultimo profilo, spetta all’attore in responsabilità dimostrare non solo che vi erano segnali di allarme tali da far divenire attuale l’obbligo degli amministratori privi di deleghe di richiedere nuove e più approfondite informazioni31, ma anche che l’attivazione dei poteri avrebbe evitato il danno ovvero avrebbe limitato le conseguenze dannose della condotta posta in essere dai delegati. In altre parole, l’attore deve allegare e provare che il tempestivo intervento degli amministratori privi di deleghe avrebbe, con certezza o con rilevante probabilità, evitato l’evento dannoso ovvero limitato le conseguenze pregiudizievoli di esso. Assolti tali oneri da parte della società, la colpa si presume perché è onere degli amministratori provare la causa esterna che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno32. In definitiva, la responsabilità degli amministratori non operativi viene a caratterizzarsi come una responsabilità sussidiaria o di secondo grado33 che presuppone:
a) un pregiudizio riconducibile eziologicamente alla
violazione di una regola gestoria imputabile agli amministratori delegati;
b) la violazione da parte degli amministratori non operativi dei doveri concernenti la funzione di controllo loro affidata;
c) il nesso di causalità tra la violazione dei doveri propri dei deleganti e il pregiudizio determinato dall’operazione dannosa posta in essere dai delegati.
La struttura del giudizio di responsabilità nei confronti degli amministratori privi di deleghe si avvicina, dunque, all’accertamento che il giudice è chiamato ad eseguire per affermare la responsabilità dei sindaci, laddove, ai sensi dell’art. 2407 c.c., si richiede che vi sia la prova:
a) della condotta di mala gestio da parte degli amministratori;
b) dell’omesso o del negligente controllo da parte dei sindaci;
c) del danno patrimoniale provocato alla società;
d) che, sotto il profilo eziologico, il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. Così, quel che è stato affermato con riferimento ai sindaci34 risulta replicabile con riferimento agli amministratori privi di deleghe e precisamente che l’accertamento del nesso causale tra il comportamento illegittimo degli amministratori deleganti e le conseguenze che ne siano derivate, postula la dimostrazione, da parte dell’attore, del fatto che, alla stregua di una prognosi postuma sorretta dal principio della regolarità causale, un diverso e più diligente esercizio della funzione di vigilanza sarebbe stato idoneo ad evitare le conseguenze degli illeciti compiuti dagli amministratori delegati. Tuttavia, con riferimento alla responsabilità dei sindaci, la giurisprudenza ha, anche recentemente35, affermato che la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al p.m. per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c. Ebbene, ci si può chiedere se il principio ora affermato – con particolare riferimento al rilievo di una macroscopica violazione – sia riproducibile anche con riferimento alla responsabilità degli amministratori non esecutivi. Pur nella problematicità del dubbio espresso, la risposta dovrebbe essere affermativa. Infatti, ciò che vale per coloro che esercitano una vigilanza per cosi dire esterna rispetto all’organo gestorio deve, a maggior ragione, valere per coloro che quella vigilanza (ancorché con colorazioni diverse) esercitano all’interno dell’organo e che, dunque, in ragione della collocazione del proprio operato, non possono non rilevare una violazione di tal fatta. In altre parole, la macroscopica violazione segna il confine ultimo oltre il quale, anche per gli amministratori privi di deleghe, non appare configurabile alcuna esimente dal mancato esercizio dei loro poteri reattivi.
1 In questo senso, ex plurimis, Cass., 27.4.2011, n. 9384; Cass., 15.2.2005, n. 3032.
2 Spiotta, M., Amministratori, in Assemblea e amministratori, a cura di G. Cavalli, Torino, 2013, 833.
3 Angelici, C., La società per azioni. Principi e problemi, Milano, 2012, 379 ss.
4 La delega non ha carattere abdicativo in quanto l’affidamento ai delegati di determinate materie non ne sottrae la titolarità al consiglio. Così, sulla scorta di unanime dottrina, Barachini, F., Art. 2381 Presidente, comitato esecutivo e amministratori delegati, in Delle società Dell’azienda Della concorrenza, II, a cura di D.U. Santosuosso, in Comm. c.c. Gabrielli, Torino, 2015, 107.
5 Marchisio, E., L’agire consapevolmente disinformato dell’amministratore di S.p.A., in Riv. dir. comm., 2017, 131.
6 Bonelli, F., Gli amministratori di S.p.A. a dieci anni dalla riforma del 2003, Torino, 2013, 113.
7 Cass, 8.7.2009, n. 16050; Cass., 27.4.2011, n. 9384.
8 Trib. Milano, 23.2.2012, n. 2359 in giurisprudenzadelleimprese.it.
9 Sulla tematica, in generale, Bonelli, F., Gli amministratori, cit., 89; Marchisio, E., L’agire consapevolmente disinformato, cit., 104; Montalenti, P., Amministrazione e controllo nella società per azioni tra codice civile e ordinamento bancario, in Banca borsa, 2015, 707; Nazzicone, L., Responsabilità «da omesso controllo» degli amministratori di società azionaria, in Foro it., 2011, I, 1700; Regoli, D., Poteri di informazione e controllo degli amministratori non esecutivi, in Società, banche e crisi di impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, II, Torino, 2014, 1121; Tombari, U.Luciano, A., La responsabilità degli amministratori non esecutivi di s.p.a. nella giurisprudenza più recente, in IlSocietario.it, 2017; Zamperetti, G.M., Il dovere di informazione degli amministratori nella governance della società per azioni, Milano, 2005
10 Cass., 31.8.2016, n. 17441, in Società, 2017, 218, con nota di Serafini, S., Responsabilità degli amministratori non operativi: dal dovere di vigilanza al dovere di informarsi solo in presenza di segnali di allarme, nonché in Riv. dir. soc., 2016, 860 con nota di Di Majo, A., Amministratori di società privi di deleghe e l’obbligo di agire informati. A tali principi si è uniformata la giurisprudenza di merito: cfr., Trib. Bologna, 19.1.2017, in DeJure; Trib. Milano, 31.10.2016, in Società, 2017, 881.
11 Bonelli, F., Gli amministratori, cit., 108.
12 In questo senso, Zamperetti, G.M., Il dovere di informazione, cit., 33 secondo il quale «anche l’amministratore unico, come ogni altro amministratore, è tenuto ad agire in modo informato nell’assunzione delle decisioni imprenditoriali e ad assicurarsi che la veicolazione dei flussi informativi dalla base al vertice dell’organizzazione avvenga in modo adeguato rispetto alla struttura e agli obiettivi di quella determinata impresa».
13 Zanarone, G., Della società a responsabilità limitata, II, in Commentario c.c. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2010, 970. In giurisprudenza, Trib. Udine, 3.2.2012, in IlCaso.it.
14 La legittimità della scelta e la sua intrinseca razionalità rendono applicabile il principio della insindacabilità della scelta gestoria (business judgement rule) secondo il quale all’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, il mancato successo dell’iniziativa imprenditoriale. Sul punto, da ultimo, Cass., 22.6.2017, n. 15470 (che peraltro precisa che la valutazione della ragionevolezza della scelta deve compiersi ex ante); Cass., 8.9.2016, n. 17761.
15 Montalenti, P., Amministrazione e controllo, cit., 736; Angelici, C., La società per azioni, cit., 385, nt. 88; Bonelli, F., Gli amministratori di S.p.A., cit., 105. Contra, Barachini, F., Art. 2381, cit., 111 secondo il quale la previsione non è diretta a limitare il potere informativo a monte (l’accesso alle informazioni), quanto a regolarne l’esercizio a valle: la norma, quindi, impone che le informazioni (una volta acquisite dal singolo consigliere) debbano poi essere rese disponibili a tutti gli altri componenti dell’organo (magari proprio nel contesto di una riunione collegiale) onde evitare ogni asimmetria informativa o disparità di trattamento tra gli stessi.
16 Oltre alla già menzionata Cass., n. 17441/2016, Cass., 9.11.2015, n. 22848 avente ad oggetto la responsabilità degli amministratori di società bancarie; Trib. Bologna, 19.1.2017, cit.; Trib. Milano, 31.10.2016, cit.
17 Nazzicone, L., Responsabilità «da omesso controllo», cit., 1700.
18 Marchisio, E., L’agire consapevolmente disinformato, cit., 135, che menziona il caso (di scuola) dell’amministratore che riporti in consiglio mere formule di stile quale «la gestione procedere regolarmente e le operazioni di maggior rilievo sono adeguatamente condotte dall’amministratore delegato».
19 Per un approfondimento della questione, da ultimo, Marchisio, E., L’agire consapevolmente disinformato, cit., 136.
20 In questa ottica, si spiega la norma di cui al co. 3 dell’art. 2381 c.c. che demanda al consiglio di amministrazione nel suo complesso, sebbene sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza degli assetti, i piani strategici, industriali e finanziari ed il generale andamento della gestione.
21 Sul punto, Tombari, U.Luciano, A., La responsabilità degli amministratori, cit., par. 3.
22 Di Majo, A., Amministratori di società, cit., 864. In giurisprudenza, Trib. Prato, 14.9.2012, in IlCaso.it, che menziona il caso della condotta dell’amministratore delegato volta ad aggirare o ad impedire che l’amministratore non delegato ne venga a conoscenza.
23 Regoli, D., Poteri di informazione, cit., 1124.
24 Di Majo, A., Amministratori di società, cit., 863.
25 Montalenti, P., Amministrazione e controllo, cit., 716; Serafini, S., Responsabilità degli amministratori, cit., 229.
26 Testualmente, Serafini, S., op. loc. ultt. citt.
27 Franzoni, M., Società per azioni, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 2015, 234 che precisa che mentre il primo è indispensabile per l’esistenza del secondo, non è vero il contrario; mentre il primo è la fonte del danno alla società, non necessariamente lo è anche il secondo.
28 Sugli aspetti processualistici della decisione richiamata e, più in generale, nelle azioni di responsabilità, Pagni, I., Onere di allegazione e onere della prova nelle azioni di responsabilità, in Riv. dir. comm., 2016, 599 ss.
29 Pagni, I., Onere di allegazione, cit., 606, che sottolinea: «l’onere, che grava sull’attore, di individuare le condotte dell’amministratore o del sindaco e i danni che ne siano derivati implica, trattandosi di un giudizio avente ad oggetto il diritto eterodeterminato al risarcimento del danno, la necessità di una indicazione specifica dei fatti materiali che l’attore assume essere stati lesivi del proprio diritto, quale elemento essenziale, richiesto dalla legge a pena di nullità, della domanda introduttiva del giudizio».
30 In generale, su tale presupposto dell’azione, di recente, Campione, R., L’accertamento del nesso eziologico nel contesto delle azioni di responsabilità, in Giur. comm., 2017, I, 97 ss.
31 Nazzicone, L., Responsabilità «da omesso controllo», cit., 1700; Serafini, S., Responsabilità degli amministratori, cit., 224; così anche Pagni, I., op. loc. ultt. citt., che precisa che «quando il danneggiato affermi che l’illecito discende dalla mancata valutazione di adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, non sia sufficiente la mera allegazione, ma occorra la prova del nesso causale che lega la mancata valutazione, come fatto presupposto, alla condotta che si imputa all’amministratore».
32 Testualmente, Nazzicone, L., op. loc. ultt. citt.
33 Così, Serafini, S., Responsabilità degli amministratori, cit., 230.
34 Campione, R., L’accertamento del nesso eziologico, cit., 108. In giurisprudenza, Cass., 29.10.2013, n. 24362; Cass., 14.10.2013, n. 23233.
35 Cass., 3.7.2017, n. 16314; Cass., 13.6.2014, n. 13517. Si veda, altresì, Cass., 29.10.2013, n. 24362; Cass., 6.9.2007, n. 18728 che hanno espresso tali principi in caso di svolgimento, da parte degli amministratori, di un’attività protratta nel tempo al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, tale da coinvolgere un intero ramo dell’attività dell’impresa sociale.