di Carlo Filippini
Il termine Abenomics indica l’insieme delle politiche economiche avviate dal premier giapponese Shinzo Abe dopo la vittoria elettorale nel dicembre 2012. In particolare si tratta di misure monetarie, fiscali e di riforme strutturali – le ‘tre frecce’ nella lingua giapponese. Esse rappresentano una complessa e delicata strategia il cui successo dipende anche dalla loro credibilità, cioè dal fatto che consumatori e imprese cambino le proprie aspettative e decisioni. Il modello teorico ispiratore è quello keynesiano, con alcuni aspetti di deregolamentazione e di economia dell’offerta. Quasi venti anni di bassa crescita alternata a recessione, elevato debito pubblico, invecchiamento della popolazione con limitata immigrazione e concorrenza della Cina costituiscono il punto di partenza. La politica monetaria ha come obiettivo un tasso d’inflazione del 2% entro i prossimi due anni e si concretizza in massicci e continui acquisti di obbligazioni da parte della Banca del Giappone (molto simili a quelli già attuati dalla FED americana). La guida della Banca centrale è profondamente cambiata nel marzo 2013 con la nomina del nuovo governatore, Haruhiko Kuroda (sono stati rinnovati anche altri membri del comitato direttivo), dichiarato sostenitore di una politica di moneta facile. L’obiettivo è eliminare completamente le aspettative deflazionistiche, creare le condizioni per una (debole) inflazione e sostenere la ripresa economica. La politica fiscale si concretizza in molte misure, apparentemente contraddittorie, per stimolare l’economia senza aumentare il debito pubblico. Sul fronte delle entrate è stato confermato l’aumento della tassa sui consumi, di fatto l’IVA giapponese, all’8% dal primo aprile 2014; sul lato delle spese sono stati approvati, a più riprese, provvedimenti per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie. Inoltre continuano le politiche deliberate dopo il terremoto e lo tsunami del marzo 2013: sono somme ingenti, dati il numero di persone coinvolte e la vastità dei danni. Il disavanzo pubblico dovrebbe essere eliminato entro il 2020. La terza freccia, che coincide con le politiche strutturali, è quella più importante, soprattutto per rendere sostenibile la ripresa economica nel medio periodo. L’economia giapponese è appesantita da consuetudini, regole e procedure che rallentano il processo decisionale. Inoltre le strette relazioni tra burocrazia, imprese e politici si traducono spesso in forme opache di scambio di favori, se non in corruzione. Da ultimo vi sono ampie sacche di inefficienza che generano cospicue rendite di posizione. L’agricoltura, il settore delle costruzioni, quello della salute
rappresentano un costo crescente, insopportabile per il sistema Giappone. Anche il mercato del lavoro richiede riforme che non possono più essere rinviate. Si aggiunge poi il problema della politica energetica, sconvolta dall’incidente nucleare a Fukushima. Nel presentare le riforme il governo Abe si è mosso in modo assai cauto e, finora, in larga misura inadeguato; dopo molti annunci trionfalistici le proposte concrete sono innumerevoli ma modeste, senza una chiara indicazione delle priorità, a eccezione forse della nuova politica di sostegno ai redditi degli agricoltori, la cui completa attuazione richiederà almeno un decennio. Quali sono dunque i risultati dell’Abenomics, avviata nella primavera del 2013? Dopo un brillante inizio sembra prevalere un clima di attesa e di parziale delusione. Gli effetti della politica monetaria sono stati molto positivi: lo yen si è svalutato di circa il 30% contro l’euro e il dollaro americano, la Borsa di Tokyo si è ripresa, con l’indice Nikkei cresciuto di più del 40% – in entrambi i casi i guadagni sono avvenuti nei primi sei mesi, successivamente gli andamenti sono stati debolmente positivi con forti oscillazioni. Le esportazioni giapponesi sono state favorite dalla debolezza dello yen, con ricadute positive sui profitti aziendali. Le aspettative dei consumatori sono diventate certamente più ottimistiche, con benefici effetti sugli acquisti (in particolare di beni di lusso). Quelle delle imprese non sono invece mutate in modo sostanziale. L’aumento dei prezzi sta erodendo il potere delle famiglie in assenza di incrementi salariali. Eppure questo sarebbe un aspetto chiave per il successo delle nuove politiche: se i salari reali diminuiscono, la domanda di consumi si contrae e le aspettative ritornano negative. La vera, profonda rivitalizzazione dell’economia giapponese richiede che la distribuzione dei redditi cambi sotto due aspetti principali: le imprese devono aumentare i salari e distribuire maggiori dividendi (riducendo i profitti non distribuiti) e lo stato deve spostare il peso della tassazione dai lavoratori ai pensionati, come pure dai redditi d’impresa ai consumi. I primi mesi del 2014 sono considerati cruciali per il successo dell’Abenomics: l’economia giapponese è destinata a crescere solo se i salari monetari crescono piùdei prezzi e si mette mano seriamente alle riforme strutturali.