Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La poesia tedesca del Seicento, come altri generi letterari, ha una traiettoria tormentata a causa della profonda esperienza religiosa iniziata con la Riforma luterana e continuata lungo la prima metà del XVII secolo con la guerra dei Trent’anni. Il rapporto tra fede e letteratura, tuttavia, non è l’unico aspetto a mostrarsi. Vengono, infatti, elaborate teorie poetiche da singoli autori o da accademie, e temi e forme poetiche vengono recepiti dall’Italia, dalla Francia e da altre letterature europee.
Premessa
La poesia tedesca del Seicento costruisce in proprio una poetica complessa in cui ricerca dell’infinito e uso di forme poetiche chiuse, come il sonetto e l’epigramma, creano una tensione che però il filtro della cultura protestante rende, razionalizzandola, rigida e schematica.
Il gusto ingegnoso della metafora e dell’antitesi, come contrapposizione logica, viene sviluppato anche in Germania soprattutto nella parte centrale del secolo. Il gusto della meraviglia, dell’emblematica, del wit, trova anche in Germania ampia applicazione in una ricerca analitica delle qualità più bizzarre e strane degli oggetti e della loro percezione da parte del poeta.
Martin Opitz e Georg Philipp Harsdörffer
Martin Opitz è certamente uno scrittore fondamentale per comprendere lo sviluppo della poesia tedesca del Seicento nella sua peculiarità letteraria e culturale, slegata da una dipendenza religiosa.
Opitz è un infaticabile umanista che cerca di dare alla Germania una lingua e una poesia che possano stare al fianco della grande tradizione del barocco europeo.
Lo sforzo di teorico e traduttore in Opitz è certo superiore a quello di poeta, ed è volto a dare alla lingua tedesca quell’ampiezza culturale e stilistica che non ancora si era mostrata, a differenza di altre letterature, nel Seicento tedesco. Opitz viene così affermando l’autonomia dell’arte e il valore per l’uomo della poesia in quanto creazione artistica e spirituale. Il suo Libro della poesia tedesca riesce a proporre un codice poetico a una letteratura in versi che in quegli anni è preda di un vuoto teorico e di un ritardo culturale assenti altrove.
Le sue opere teoriche e in versi, infatti, vengono immediatamente assunte come modello da molti poeti a lui contemporanei e posteriori.
Insieme a Opitz vanno ricordate l’attività accademica e l’opera teorica e poetica di Georg Philipp Harsdörffer volte a restituire autonomia e identità all’arte poetica tedesca.
Il valore della poesia, come espressione spirituale e supremamente umana, genera in Germania una vera rinascita culturale e poetica in cui la componente religiosa entra, alla pari con altri elementi, nella varietà dei temi e delle espressioni letterarie.
La tradizione umanistica e il petrarchismo confluiscono a pieno diritto nell’arte di Opitz. I suoi Poemi tedeschi propongono un nuovo risultato formale che acquista originalità rispetto ad altre situazioni europee, con le sue invenzioni tecnico-stilistiche, lontane dalla quotidianità della vita cui aderisce l’innografia protestante, ma certo più importanti culturalmente per restituire all’arte il suo significato storico e umano.
Martin Opitz
Ach Liebste, lass uns eilen
Poesie Tedesche
O amata affrettiamoci,
è tempo:
l’indugio ci nuoce
da ambo le parti.
I doni dell’alma bellezza
fuggono via via,
ché tutto quel che abbiamo
deve sparire.
Lo splendor delle guance sbiadisce,
i capelli si fan grigi,
il fuoco degli occhi si spegne,
l’ardore diventa ghiaccio.
La boccuccia di corallo
sforma, le mani come neve deperiscono
e tu invecchi.
Perciò godiamo adesso
il frutto della giovinezza,
prima che ci tocchi seguire
la fuga degli anni.
Se tu ami te stessa,
allora ama anche me,
dammi, sí che se dai,
perda anch’io.
Testo originale:
Ach Liebste, lass uns eilen,
Wir haben Zeit:
Es schadet das Verweilen
Uns beiderseit.
Der edlen Schönheit Gaben
Fliehn Fuß für Fuß,
Daß alles, was wir haben,
Verschwinden muß.
Der Wangen Zier verbleichet
Das Haar wird greis,
Der Äuglein Feuer weichet,
Die Brunst wird Eis.
Das Mündlein von Korallen
Wird ungestalt,
Die Händ als Schnee verfallen,
Und du wirst alt.
Drum laß uns jetzt geniessen
Der Jugend Frucht,
Eh denn wir folgen müssen
Der Jahre Flucht.
Wo du dich selber liebest,
So liebe mich,
Gib mir, daß, wann du gibest
Verlier auch ich.
in Poeti dell’età barocca. La poesia barocca in Francia, Germania e Inghilterra, a cura di G. Bamonte, D. Dall’Avo, V.M. Villa, Milano, Garzanti, 1973
Paul Fleming
Vissuto nella prima metà del secolo, Paul Fleming conquista ben presto una fama pari forse solo a quella di Opitz. La sua poesia si innesta su una tradizione che da Francesco Petrarca arriva a Opitz attraverso Pierre de Ronsard e Daniel Heinsius. È una lirica d’amore, quella di Fleming, dentro la quale è possibile ravvisare una sentita componente stoica.
Paul Fleming
Bisogna fidarsi di Dio
Lass dich nur nichts nicht tauren
Che nulla ti affligga
né ti contristi;
sta calmo,
come Dio dispone,
accontentati,
o mio volere.
Che vuoi oggi pensare
al domani?
L’Uno
dirige il tutto:
darà anche a te
il tuo.
Solo sii senza macchia,
in ogni azione
sta saldo:
ciò che Dio decide
è e si chiama.
il meglio.
Testo originale:
Laß dich nur nichts nicht tauren
Mit Trauren;
Sei stille,
Wie Gott es fügt,
So sei vergnügt,
Mein Wille.
Was willst du heute sorgen
Auf morgen?
Der Eine
Steht allem für;
Der gibt auch dir
Das Deine.
Sei nur in allem Handel
Ohn Wandel,
Steh feste;
Was Gott beschleußt,
Das ist und heißt
Das Beste.
in Poeti religiosi tedeschi del Seicento, a cura di S. Lupi, Milano, Vallardi, 1963
Le forti antitesi, soprattutto nei sonetti, servono a Fleming per creare tensioni tematiche e stilistiche e rendere bipartito lo svolgimento dell’argomentazione e dei concetti. Nei suoi versi si genera un movimento oppositivo che viene a risolversi in una efficace chiusa poetica: qui il poeta apre lo spazio alla qualità sentenziosa della sua riflessione e fa scattare l’arguzia finale, che concilia o lascia irrisolto il gioco dialettico dei contrasti.
La struttura retorica dei componimenti latini e tedeschi di Fleming si costruisce, poi, su una musicalità interiore che deriva a Fleming dal poeta e musicista Johann Hermann Schein più che da Opitz. La forma poetica dei sonetti e degli alessandrini, ad esempio, è giocata sull’immediatezza del sentimento e sul ritmo melodico della scansione metrica, in un virtuosismo stilistico sempre controllato dalla morale stoica dell’autodominio.
La poesia religiosa di Gerhardt e Spee
Diverso è il caso di Paul Gerhardt, un lirico essenzialmente religioso. Di solida fede protestante, Gerhardt riesce a superare quel pessimismo insito nella fede luterana per proporre una religiosità gioiosa e cordiale che si esprime in una semplicità di linguaggio: colta e sapientemente dosata, essa trasmette un quieto giubilo nel cantare inni al Signore.
Il tono della poesia di Gerhardt, tuttavia, è privo di una ingenua spontaneità poiché si assesta su una severità morale serena e dolente, che insiste più sul tono religioso che sull’elaborazione stilistica dell’artificio poetico.
Spee, cattolico e gesuita, si è nutrito invece di grandi mistici spagnoli come Teresa di Avila e Giovanni della Croce.
La semplicità della sua lirica produce la tonalità originale di uno stile che è fatto di immediatezza d’espressione e che riesce a legare l’artificio letterario con la verità del cuore.
La poesia di Spee si trasfigura nell’unione di sensi, intelletto e verità interiore. I suoi versi, lirici o allegorici, sono una laude d’amore a Cristo riuscendo a dare realtà e presenza al divino e alla gloria spirituale di una unione con Dio.
I versi di Friedrich Spee von Langenfeld intrecciano atmosfere bucoliche e grecizzanti ad ardori dell’anima che esaltano il buon pastore Cristo attraverso reminiscenze virgiliane e bibliche. La musicalità virtuosistica, ma a volte monotona, della sua lirica crea un ritmo scorrevole e languido, come si addice alla spontaneità bucolica delle sue ambientazioni poetiche.
Angelus Silesius
Un posto particolare nella poesia tedesca e nella mistica del Seicento è occupato da Angelus Silesius, autore di uno straordinario libro di epigrammi poetici in alessandrini, Il pellegrino cherubico (1675).
Angelus Silesius
Noi siamo Dio, e Dio è noi
Il pellegrino cherubico, Breslavia
Fermati! Dove corri? Il cielo è in te. Se cerchi altrove Iddio, mai Lo trovi.
La rosa che qui il tuo occhio esteriore vede, in eterno è fiorita così in Dio.
Due occhi ha l’anima: uno guarda il tempo, l’altro si rivolge all’eternità.
Dio è più in me che se tutto il mare in una piccola spugna fosse tutto raccolto.
Uomo diventa essenza, ché quando il tempo passa, ciò che è accidente cade, resta ciò che è essenziale.
Dio è prodigio: è ciò che vuole, e vuol ciò che è, senza misura e fine.
Dio si dà senza misura: quanto più lo si brama, più si offre e si concede.
Uomo, in quel che ami sarai trasmutato. Diodiventerai se ami Dio, e terra se ami la terra.
(...)apparenze scaccia e quanto è casuale, belletto vivi, rivolto all’essenziale.
Come la occia si fa mare, quando nel mare è giunta; così l’alma si fa Dio, qualora in Dio è assunta.
in S. Guglielmino, Civiltà letterarie straniere, Bologna, Zanichelli, 1976
L’epigramma spirituale di Silesius viene da una tradizione che nel Seicento tedesco ha in Abraham von Franckenberg e Daniel Czepko due rappresentanti religiosi di rilievo, ma in Friedrich von Logau l’esponente laico più importante in Germania, che con i suoi versi influenzerà tutta la poesia epigrammatica posteriore.
Attraverso l’uso dell’alessandrino, il verso della tragedia francese del XVII secolo, Silesius costruisce una raccolta di poesie modulata, con slancio e intensità, tra una struttura aforistica, apparentemente frammentaria, e una compattezza concettuale e tematica.
Il cattolico Silesius oscilla, nei suoi versi, tra ardore mistico e acutezza poetica, tra fiammeggiante spiritualità e raggelamento stilistico. Si genera, così, nel tessuto della sua poesia, un movimento di immagini e suoni che al cantabile quotidiano sovrappongono la lacerazione di un’esperienza religiosa divisa tra terreno e celeste.
A una sapienza cristiana e poetica, Silesius congiunge, come è stato ampiamente mostrato, una approfondita conoscenza di temi e opere che vanno dalla mistica spagnola, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, alle opere di natura alchimistica ed esoterica.
Se così egli legge i grandi rappresentanti della mistica medievale come Meister Eckhart, nella sua biblioteca possiede anche testi dell’alchimista Robert Fludd e di Paracelso. Il suo impianto speculativo, tuttavia, resta saldamente legato a una tradizione mistica.
Verso il pietismo
Lo scorcio finale del XVII secolo è caratterizzato dalla nuova tensione spirituale che il pietismo propone con energica insistenza. La poesia religiosa in Germania ne esce rinvigorita nella sua tensione verbale e stilistica. L’innografia luterana, che già ha perduto il suo dominio lungo tutto il secolo, risulta, al confronto con la voce poetica pietistica, un’arida elaborazione dogmatica.
Gottfried Arnold rappresenta certo la voce più significativa della poesia di fine secolo in Germania. Arnold opera, all’interno dei suoi testi, una trasformazione interiore del canto religioso. Nello slancio della fede verso l’amore divino, l’anima diviene l’unico tempio spirituale che conduce a Dio.
Con Gerhard Tersteegen e Nikolaus Ludwig von Zinzendorf il pietismo assumerà connotazioni diverse e più complesse anche dal punto di vista politico. Ma oramai si è già entrati nel Settecento. Certe sfumature del pietismo e la breve ma intensa vita poetica di Johann Christian Günther sembrano lanciare un ponte saldo e fecondo verso Goethe e il romanticismo.