Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La lirica francese del Seicento, pur percorrendo numerosi e intricati sentieri, si muove lungo direttrici a volte opposte: verso una poesia meditativa di matrice protestante o di matrice cattolica, oppure verso un recupero dell’ordine classicistico o un riconoscimento del disordine della satira e del libertinismo, non disdegnando di seguire un sofisticato gusto alla moda, quale si rivela nel preziosismo.
Tra classicismo e barocco
Già dagli ultimi decenni del Cinquecento è possibile intravedere alcune delle caratteristiche che la poesia francese del Seicento assumerà e svilupperà al suo interno. La moltitudine di personalità e generi letterari che disegnano la sua trama accoglie l’eredità ancora decisiva di autori, come Maurice Scève , Jean de Sponde e Jean de La Ceppède, che negli ultimi decenni del Cinquecento danno sicuramente impulso a una poetica della metafora e dell’antitesi, unite a un gusto per il macabro e per la morte. Nelle immagini della loro poesia si possono ritrovare molti degli artifici tecnico-formali e tematici che, ereditati dal petrarchismo italiano del Cinquecento da Pierre de Ronsard e dalla Pléiade, passano a caratterizzare, con nuove modulazioni, le immagini fluide e preziose del barocco.
Il rifiuto di un ordine classico e regolare a favore di un ideale anticlassico dilaniato e tortile, come accade nel barocco, trova sviluppi in una sensibilità poetica e linguistica che traduce tormenti e meditazioni e i cui risultati sono spesso contrastanti fra loro, ma riflettono una vivacità culturale che prende coscienza di sé.
I temi che emergono dalla poesia francese del Seicento sono comuni alla poesia europea del tempo. Gli ordini simmetrici si infrangono a vantaggio d’uno stile verbale che mescola i fenomeni della realtà, come la notte e il giorno, il mare e il cielo attraverso un’immaginazione plastica e visionaria in cui la luce e l’ombra, la vita e la morte, si legano in un abbraccio sfolgorante. Allo stesso modo la natura e l’artificio, la vita e la macchina, l’acqua e lo specchio, sembrano incrociarsi in una gara verso la perfezione, come una realtà, che provoca vertigini ottiche e musicali attraverso i riflessi e gli echi della parola.
I poeti satirico-burleschi
Vi sono ingegni poetici bizzarri e irregolari, che non assecondano poetiche precise e istituzionalizzate, ma si spingono con fedeltà ed eleganza all’interno dei loro umori e delle loro passioni. Altri con maggiore razionalità cercano di restaurare i valori di un classicismo devoto all’imitazione dei classici e della natura.
La linea satirico-burlesca, con i suoi atteggiamenti dissacranti e un linguaggio realistico ma ferocemente visionario, influenzata anche da una componente libertina, come in Tristan, vede la presenza di poeti quali Antoine Girard de Saint-Amant e Théophile de Viau.
Théophile de Viau
Le matin
Poesie
L’aurora sul far del giorno
Sparge l’azzurro, l’oro e l’avorio,
E il Sole, non più assetato
Inizia il suo obliquo giro.
[...]
La Luna fugge dinanzi agli occhi nostri;
La notte ha tolto i suoi veli;
Poco a poco la fronte delle stelle.
S’unisce al colore dei cieli.
[...]
Il Sole cambia dimora,
Penetra nelle onde profonde,
E nell’altra metà del mondo
Spinge il carro del giorno.
[...]
Gli uccelli, con un festoso cinguettio,
Cantando sembran adorare
La luce che viene a dorare.
Il loro nido e le piume.
Il prato appare nei suoi colori,
La villanella ritornata nei campi
Bagnando la gamba nuda.
Calpesta l’erbe e i fiori.
Una confusa violenza
Turba la calma della notte,
E la luce, col rumore.
Dissipa l’ombra ed il silenzio.
Testo originale:
L’Aurore sur le front du jour
Seme l’azur, l’or et l’yvoire,
Et le Soleil, lassé de boire,
Commence son oblique tour.
[...]
La lune fuit devant nos yeux;
La nuict a retiré ses voiles;
Peu à peu le front des estoilles
S’unit à la couleur des Cieux.
[...]
Le Soleil change de sejour,
Il penetre le sein de l’onde,
Et par l’autre moitié du monde
Pousse le chariot du jour.
[...]
Les oyseaux, d’un joyeux ramage,
En chantant semblent adorer
La lumiere qui vient dorer
Leur cabinet et leur plumage.
Le pré paroist en ses couleurs,
La bergere aux champs revenue
Mouillant sa jambe toute nue
Foule les herbes et les fleurs.
Une confuse violence
Trouble le calme de la nuict,
Et la lumiere, avec le bruit,
Dissipe l’ombre et le silence.
in Poeti dell’età barocca. La poesia barocca in Francia, Germania e Inghilterra, a cura di G. Bamonte, D. Dall’Avo, V.M. Villa, Milano, Garzanti, 1973
La poesia di Saint-Amant, carica di grottesco, associa toni visionari e satirici in una lingua assai elaborata e sapientemente dispiegata. Temi macabri e allucinazioni fantastiche, paesaggi lunari e di rovine si mescolano con le dimensioni misere e fumose del quotidiano, con le preziosità mitologiche e idilliche, con le spine di una satira da taverna o da piazza.
Il libertinoThéophile de Viau si scaglia, con la sua poesia, contro angosce e credenze che limitano la felicità dell’uomo: egli respinge, nei suoi versi, il principio dell’imitazione a vantaggio d’una poesia spontanea, vicina alla vita e alle sue luci e ombre.
Poeti cattolici e poeti protestanti
Non si deve dimenticare, anche nel Seicento, la presenza inquietante di tensioni religiose e politiche, manifestatesi in Francia già sul finire del XVI secolo.
François de Malherbe
Les larmes de Saint Pierre
Poesie
[...]
Oh l’invidia che nutro per l’innocente schiera
di color che, massacrati da atroci mani,
videro fin dal mattino la loro bella giornata interrotta!
Il ferro che li uccise concesse loro
che se di far bene il tempo non ebbero,
non avessero tempo neppur di fare il male.
Va, lasciami, disse, vita sleale;
se di trattenerti ancor ebbi vaghezza,
e se desiderai tu fossi meco,
poiché mi fosti sì cattiva compagna,
la tua fede infedele ora disdegno;
lasciami, ti lascio, non ti desidero più.
[...]
Son questi i bei progetti, menzognera e cattiva,
ch’una volta ancora m’affascini con la tua malizia,
e per allontanare di un’ora soltanto
la notte già vicina alla tua breve giornata,
rimango timoroso che l’anima ch’è nata,
per non mai morire, muoia eternamente?
[...]
Furono bei gigli che, migliori della natura,
unendo alla purezza il roseo fiotto,
che dal loro petto trasse il coltello criminale,
prima che dell’inverno la tempesta e l’uragano,
al lor delicato candore potessero recar offesa.
Se ne andarono a rifiorire nell’eterna primavera.
[...]
Oh desiata fine delle lor pene passate!
I loro piedi che mai calpestarono brutture,
un superbo tappeto di stelle si preparano;
il premio in loro precede il dovere,
avanti di subirne il male ne trovano il rimedio.
E portan già l’alloro del trionfo prima della battaglia.
Quanti applausi, qual clamore, che folla!
Che luci, che feste, che carezze!
Quando lassù così li videro arrivare!
E qual piacere ancor per i loro delicati sentimenti,
nel veder Iddio restare in loro attesa per abbracciarli,
e gli Angeli in alto volare in loro onore!
[...]
Testo originale:
[...]
Va, laisse-moy, dit-il, va, déloyale vie;
si de te retenir autrefois j’eus envie,
et si j’ai désiré que tu fusses chez moy,
puisque tu m’as été si mauvaise compagne,
ton infidèle foy maintenant je dédaigne;
quitte-moy, je te quitte, et ne veux plus de toy.
Sont-ce tes beaux desseins, mensongere et meschante,
qu’une seconde fois ta malice m’enchante,
que pour retarder une heure seulement
la nuit déja prochaine à ta courte journée,
je demeure en danger que l’âme qui est née,
pour ne mourir jamais, meure éternellement?
[...]
Que je porte d’envie à la troupe innocente
de ceux qui, massacrés d’une main violente,
virent dès le matin leur beau jour accourcy!
Le fer qui les tua leur donna cette grace,
que si de faire bien ils n’eurent pas l’espace,
ils n’eurent pas le temps de faire mal aussi.
[...]
Ce furent de beaux lis qui, mieux que la nature,
mêlant à leur blancheur l’incarnate peinture,
que tira de leur sein le couteau criminel,
devant que d’un hiver la tempête et l’orage
à leur teint délicat pussent faire dommage,
s’en allèrent fleurir au printemps éternel.
[...]
Ô désirable fin de leurs peines passées!
Leurs pieds, qui n’ont jamais les ordures pressées,
un superbe plancher des étoiles se font;
leur salaire payé les services précède;
premier que d’avoir mal ils trouvent le remède,
et devant le combat ont les palmes au front.
Que d’applaudissemens, de rumeur et de presse,
que de feux, que de jeux, que de traits de caresse,
quand là-haut en ce point on les vit arriver!
Et quel plaisir encore à leur courage tendre,
voyant Dieu devant eux en ses bras les attendre,
et pour leur faire honneur les Anges se lever!
[...]
in Poeti dell’età barocca. La poesia barocca in Francia, Germania e Inghilterra, a cura di G. Bamonte, D. Dall’Avo, V.M. Villa, Milano, Garzanti, 1973
Questi contrasti si riflettono significativamente anche nella contrapposizione politica e letteraria tra poeti cattolici e poeti riformati che hanno tra i loro campioni più rappresentativi rispettivamente François de Malherbe e Agrippa d’Aubigné.
L’esempio del cattolico Malherbe, in questo senso, è indicativo: partendo da posizioni chiaramente barocche, contrassegnate da vorticosi e iperbolici esiti formali, si attesta su una poetica del buon senso, della convenienza formale e della sobrietà linguistica che tende a un equilibrio lessicale e concertativo di toni e luci e che avrà un valore, per così dire, normativo per molti poeti che seguiranno la sua “dottrina”, come François Maynard e Racan.
Al contrario nel Poema tragico del protestante d’Aubigné, che mescola sublimi slanci lirici a vigorosi spunti realistici, l’ossessione della morte, il gusto sanguigno del macabro, la visionarietà religiosa sono descritti da una lingua tutta interiore, accesa e ricca di elaborazioni retoriche e stilistiche. Questi artifici portano a un rovesciamento aspro e lugubre di figure e realtà in cui carnefici e vittime, cattolici e riformati, vengono presentati nel loro orrore di dannati e martiri.
Preziosismo e classicismo
Nella parte centrale del XVII secolo queste contrapposizioni vanno in qualche modo attenuandosi lasciando il posto a un gusto prezioso dove lo splendore di pietre, astri, fiori e l’uso di un linguaggio arcaizzante, misterico e sofisticato riflette l’ideale d’una società colta ed elegante, pronta a gratificare i poeti con pensioni e ammissioni in salotti o accademie. Sono i luoghi in cui gruppi sociali aristocratici o dell’alta borghesia cercano d’esprimere e affermare i loro gusti, le loro ambizioni, la loro identità di nuovi produttori e pubblico d’arte.
Ma il gusto prezioso è in un certo senso una caratteristica più generale della poesia francese del Seicento. I suoi modelli stilistici rispecchiano il tentativo del poeta di conquistare il potere dell’arte facendolo scaturire dalle forze oscure e dalla virtualità della parola. Di qui l’uso di ogni genere letterario, dall’ode al poema eroico e cosmico, dalla poesia enigmatica alla descrizione realistica della natura. La perizia tecnica diviene una sorta di magia platonica.
Ma sin dai primi decenni del XVII secolo si era già prospettato un ottimismo razionalista che si preoccupava di incanalare gli squilibri e gli eccessi poetici dell’ultimo Cinquecento in una dimensione di chiarezza e purezza della lingua.
Era già in atto il tentativo di ristabilire un ordine non solo artistico, ma anche spirituale: così un poeta di squisita finezza come Jean de La Fontaine recupera i modelli classici della favola, sfuggendo al rigore delle regole con la sua lingua irregolare ma limpida e viva, che gli permette di superare l’inerzia del didattismo moralistico e di scoprire una liricità ricca di colori, suoni e luci.
Jean de La Fontaine
Le corbeau et le renard
Fiabe in versi
Sen stava messer Corvo sopra un albero,
con un bel pezzo di formaggio in becco,
quando la Volpe tratta al dolce lecco
di quel boccon a dirgli cominciò:
“Salve, messer del Corvo, io non conosco
uccel di voi più vago in tutto il bosco.
Se è ver quel che si dice, che il vostro canto è bel come son belle
queste penne, voi siete una Fenice”.
A questo dir non sta più nelle pelle
il Corvo vanitoso
e, volendo alla Volpe dare un saggio del suo canto famoso,
spalanca il becco e uscir lascia il formaggio.
La Volpe il piglia e dice: ”Ecco, mio caro,
che dell’adulator paga le spese.
Fanne tuo pro’ che forse
la mia lezione vale il tuo formaggio”.
Il corvo sciocco intese
e (un po’ tardi) giurò d’esser più saggio.
Testo originale:
Maître Corbeau, sur un arbre perché,
Tenait en son bec un fromage.
Maître Renard, par l’odeur alléché,
Lui tint à peu près ce langage:
“Hé! Bonjour, Monsieur du Corbeau.
Que vous êtes joli! Que vous me semblez beau!
Sans mentir, si votre ramage
Se rapporte à votre plumage,
Vous êtes le Phénix des hôtes de ces bois”.
A ces mots le Corbeau ne se sent pas de joie;
Et pour montrer sa belle voix,
Il ouvre un large bec, laisse tomber sa proie.
Le Renard s’en saisit, et dit: “Mon bon Monsieur,
Apprenez que tout flatteur
Vit aux dépens de celui qui l’écoute:
Cette leçon vaut bien un fromage, sans doute”.
Le Corbeau, honteux et confus,
Jura, mais un peu tard, qu’on ne l’y prendrait plus.
La Fontaine, Favole, a cura di V. Lugli e E. De Marchi, Torino, Einaudi 1958, 1958
L’esito classicistico verso cui tende una parte della letteratura e della poesia, soprattutto nella seconda metà del secolo, deve non poco al critico e poeta Nicolas Boileau che, nel quadro del classicismo francese, assume un ruolo decisivo.
Boileau, con l’equazione di “bello” e di “vero”, vuole accreditare e rendere operante un criterio di profonda differenza tra la generazione che lo aveva preceduto e la sua. È una differenza poetica e stilistica che viene marcata dal ripristino dell’imitazione dei modelli classici e della natura, e dalla nuova fedeltà a regole che solo la ragione può stabilire e proporre.
La sua revisione classicistica tende a negare le forme movimentate e turbate, lugubri e meravigliose, fantastiche e religiose, che si erano affermate nella prima metà del XVII secolo: si afferma così il rispetto della purezza e della naturalezza verbale, il principio della compostezza e dell’ordine.
Il ripensamento delle forme e dei canoni letterari mette fine all’indisciplina e al disordine dell’acutezza barocca, ma avvia anche un metodo di mortificazione dell’ingegno poetico e delle sue possibilità creative, accelerando un processo che nel XVIII secolo vede la vitalità della parola subordinata alla razionalità dell’intelletto e al gusto del discorso dimostrativo.