Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il concetto di poesia didattica nel Medioevo si estende ai temi più disparati, ricoprendo funzioni non solo di intrattenimento o erudizione, come nella poesia classica, ma anche di memorizzazione. Qui l’osmosi fra la letteratura latina e quelle volgari si fa particolarmente vistosa. Anche la poesia allegorica è spesso legata a un’intenzione didattica, soprattutto in relazione a temi morali o amorosi, ma subisce una forte espansione verso la narrazione romanzesca.
Alano di Lilla
Allegoria della rosa, simbolo della condizione umana
Omnis mundi creatura
Tutte le creature del mondo
son come un libro dipinto,
uno specchio per noi:
simbolo fedele
della nostra vita, della nostra morte,
della nostra condizione, del nostro destino.
La rosa dipinge la nostra condizione,
del nostro stato è commento appropriato,
è insegnamento per la nostra vita;
mentre fiorisce di primo mattino,
come fiore senza petali sfiorisce
nella vecchiezza della sera.
Perciò il fiore respirando spira
mentre impallidendo appassisce,
già morente sul nascere;
insieme antica e nuova,
insieme vecchia e fanciulla,
la rosa sbocciando imputridisce.
Così la primavera dell’uomo
sboccia per breve tempo
nel primo mattino della giovinezza;
la sera della vita caccia in fretta
questo mattino mentre conclude
il crepuscolo della vita.
Mentre si dispiega la sua bellezza
Il tempo nel quale trascorre
Consuma subito la sua grazia,
il fiore diviene fieno, fango la gemma,
l’uomo cenere, mentre paga
il tributo della morte.
[…]
Testo originale:
Omnis mundi creatura
quasi liber et pictura
nobis est in speculum;
nostrae vitae, nostrae mortis,
nostri status, nostrae sortis
fidele signaculum.
Nostrum statum pingit rosa,
nostri status decens glosa,
nostrae vitae lectio;
quae dum primo mane floret,
defloratus flos effloret
vespertino senio.
[…]
in Poesia latina medievale, a cura di G. Gardenal, Milano, Mondadori, 1993
Alano di Lilla
Prologo in prosa
Anticlaudianus
[…] Che questo lavoro non sia considerato di poco valore e non debba affrontare alcun morso del rimprovero che ha l’odore dell’ignoranza dei moderni, i quali esaltano il fiore dell’ingegno ma seppelliscono la dignità dello studio diligente: infatti l’umile nano che poggia sulle spalle del gigante lo supera in altezza e il ruscello che sgorga dalla foce diventa torrente moltiplicandosi. […] Infatti in questo libro la dolcezza del senso letterale delizierà l’udito dei bambini, l’insegnamento morale potrà completare una mente sulla via del miglioramento, la più acuta finezza dell’allegoria rifinirà un intelletto già progredito.
Alano di Lilla, Viaggio della saggezza - Anticlaudianus, Discorso sulla sfera intelligibile, trad. it. di C. Chiurco, Milano, Bompiani, 2004
Alano di Lilla
Descrizione della Saggezza
Anticlaudianus, vv. 270 ss.
Le auree chiome le coprono le spalle, ma una forcina posta nel mezzo, separandole, ne frena lo scompiglio ed un pettine fa valere su di esse le proprie leggi. Le sue ordinate sopracciglia, regolate secondo giuste proporzioni, né troppo sfoltite né troppo rigogliose per la crescita eccessiva dei peli, sembrano due archi uguali. Il lucore dei suoi occhi eguaglia quello delle stelle, dalla sua fronte crescono gigli, le narici offrono balsami, i denti producono avorio e la bocca rose […]. La sua veste è tessuta con un filo sottile, non falsifica il suo calore e non inganna la nostra vista con nessuna sofisticazione, ma una tinta originale rossa la imbeve. In essa la materia non cerca aiuto da parte della bellezza né i difetti di quest’ultima hanno bisogno di coprirsi. Nessuna delle due si rovina, nessuna cede all’altra ma con esito pari si contendono la vittoria. Come in un sogno, l’immagine che ne risulta mostra la bellezza delle cose che, tuttavia, l’età della vecchiaia in parte porta a sparire mentre poche tracce dell’antica avvenenza rimangono vive; tuttavia ella slaccia questa veste per spargerla in vari luoghi, e questa sembra piangere e lamentare i colpi che le vengono inferti. La mano destra regola una bilancia che distingue ogni cosa per numero, forma, misura, peso, origine. Così adorna, gioiosa per quest’abito, la solerte Saggezza prepara le parole, mentre la Curia pende dalle sue labbra.
Alano di Lilla, Viaggio della Saggezza - Anticlaudianus, Discorso sulla sfera intelligibile, trad. it. di C. Chiurco, Milano, Bompiani, 2004
La funzione didattica della poesia era già evidente negli intermezzi poetici di due dei testi più diffusi nelle scuole medievali: le Nozze di Mercurio e Filologia di Marziano Capella, e la Consolazione della Filosofia di Boezio. A questo si aggiungeva la Psycomachia (“Battaglia dell’anima”) di Prudenzio, un poema allegorico estremamente popolare che rappresentava in modalità narrativa il conflitto fra virtù e vizi per la conquista dell’anima umana. Versificazioni didattiche di contenuti più tecnici altrettanto diffuse erano il trattato prosodico e metrico Lettere, sillabe e metri di Terenziano Mauro e il Libro medicinale di Quinto Sereno Sammonico.
L’età carolingia avvia una relativa diversificazione dei generi con poesie minori di contenuto grammaticale e presentazioni esametriche della dottrina cristiana (Regula fidei di Paolino d’Aquileia) o monastica (Alcuino), mentre i modelli classici come le Georgiche o il X libro del De re rustica (“L’agricoltura”) di Columella ispirano un piccolo capolavoro come l’Hortulus (“Il giardinetto”) di Walafrido Strabone, lungo una strada che porterà al De viribus herbarum (“La virtù delle piante”) di Odone di Meung, poi confluito nel Regimen sanitatis (“Dieta di salute”) , o Flos medicinae (“Fiore della medicina”), del XII sec., che trasmette in strofe di esametri o distici ricette da imparare a memoria su igiene, medicina preventiva e diete diffuse nella celebre scuola medica di Salerno.
Nel XII secolo la poesia didattica assume un’impostazione più specificamente scientifica e filosofica, facendo largo uso dell’allegoria. Nel senso medievale questo termine (dal greco állon agoréuein, “dire altro”) indica qualunque procedimento espressivo nel quale un referente viene significato con un altro referente, comprendendo quindi in questo vocabolo quello che i moderni indicano con metafora, simbolo, e allegoria vera e propria.
L’allegoria soprattutto biblica si contrapponeva quindi all’interpretazione letterale, e si articolava a sua volta in tropologia (allegoria morale), anagogia (allegoria delle realtà spirituali superiori), tipologia (corrispondenza fra tipo, solitamente nell’Antico Testamento, e antitipo, nel Nuovo), successivamente articolate in ulteriori suddivisioni, e faceva ricorso alla significazione tramite parole (allegoria in verbis) o cose (personaggi, oggetti, eventi: allegoria in factis). Questo meccanismo di interpretazione viene frequentemente teorizzato e adoperato nell’esegesi biblica e conseguentemente nella poesia biblica, ma per un lungo periodo non costituisce uno strumento di composizione narrativa se non come forma di amplificatio, di potenziamento espressivo. Diviene più attivamente fattore dinamico del processo di composizione letteraria quando incrocia la tradizione di personificazione allegorica pagana, come quella impiegata a scopo didattico da Marziano Capella nelle Nozze di Mercurio e Filologia, e quella neoplatonica ripresa dalla Scuola filosofica di Chartres.
Nel XII secolo, infatti, presso questa celebre abbazia, Bernardo Silvestre compone la Cosmographia (“Descrizione del mondo”), divisa in due libri di prosa alternata a poesia nei quali intende descrivere la struttura dell’universo attaverso un “rivestimento” (integumentum o involucrum) narrativo, secondo lo stesso meccanismo che aveva individuato nei commenti all’Eneide e a Marziano Capella. Nel primo libro, intitolato Megacosmos, la Natura, per la prima volta “divinizzata” nel Medioevo, descrive l’ordine ideale del mondo, mentre nel secondo (Microcosmos) Nous (la Sapienza divina) chiede a Natura, Physis nella sua forma più antica chiamata Silva o Hyle (la “materia”), di creare l’uomo, collaborando con Urania, e scopre che la condizione materiale è “un ciclo infinito di generazione e decadimento, contro il quale l’essere umano può combattere solo con la procreazione” perché l’immortalità è una qualità della specie, non degli individui, mentre “l’anima di ogni persona che viva rettamente può alla morte essere riunita alla stella dalla quale è discesa” (Dronke). Bernardo affronta la questione del destino individuale anche nel poemetto-tragedia Mathematicus (“L’astrologo”) dove, basandosi su una declamazione dello Pseudo Quintiliano, racconta di un giovane virtuoso, destinato secondo le predizioni astrologiche a diventare tiranno uccidendo suo padre e chiamato per questo Parricida, che chiede al popolo di potersi suicidare per evitare il misfatto, ma ne riceve un rifiuto.
Nello stesso ambiente neoplatonico, influenzato dalla lettura del Timeo di Platone e delle sue interpretazioni medievali, viene scritto un altro prosimetro con la medesima protagonista, il De planctu Naturae (“Pianto della Natura”) di Alano di Lilla, soprannominato doctor universalis, maestro a Parigi e Montpellier e poi monaco cistercense: Natura appare in sogno al poeta per guarire la sua alienatio mentis (come nella Consolazione della Filosofia di Boezio) e si lamenta dei vizi umani, con particolare riferimento alla sodomia, contro cui scaglia un anatema Genius, chiamato a intervenire dalle Virtù. Quest’opera sarà ripresa o tradotta per ben cinquecento versi da Jean de Meung nella seconda parte del Roman de la Rose, e anche il Parlament of Foules di Chaucer ne sarà profondamente influenzato, a conferma della stretta interconnessione delle letterature medievali in lingue diverse.
Un altro poema di Alano si intitola Anticlaudianus perché intende contrapporsi all’In Rufinum in cui il poeta tardoantico Claudiano aveva offerto un ritratto del perfetto malvagio. Alano invece vi descrive la creazione divina, tramite Natura e le Virtù, di un uomo perfetto, lo iuvenis (“giovane”), contro il quale si scatenano le forze infernali, e che si identifica per certi tratti con il perfetto gentiluomo cortese. Dopo la descrizione del palazzo di Natura e il suo lamento sulla decadenza dell’umanità si decide di forgiare un individuo virtuoso con l’aiuto di Saggezza (Phronesis o Prudentia) e Ragione. Per presentare il progetto a Dio le sette Arti Liberali costruiscono un carro, sistemato da Concordia, sul quale Ragione e Saggezza salgono nei cieli fino a quello, vertiginoso, delle stelle fisse: lì incontrano Teologia, che guida Saggezza nell’Empireo, dove incontra Fede, ma cade in catalessi. Quando si risveglia può contemplare in uno specchio i Misteri del cristianesimo e gli archetipi delle realtà presenti nella mente divina. Finalmente ottiene l’assenso di Dio e fa ritorno al palazzo di Natura, che comincia a modellare lo Iuvenis, cui le Virtù, le Arti e Nobiltà (figlia di Fortuna) gareggiano per conferire i loro doni. Quando l’essere perfetto è creato i Vizi cercano di combatterlo, ma dopo lo scontro torna sulla terra l’età dell’oro, trionfo della Ragione. Uno schema narrativo che riemergerà in altri capolavori della cultura occidentale, dal Roman de la Rose alla Commedia dantesca al Faust di Goethe (1749-1832).
L’allegoria si sviluppa ulteriormente nei poemi biblici a carattere esegetico (come tecnica dell’esegesi, da Aratore a Pietro Riga) o in quelli a carattere narrativo (come strumento di personificazione, ad esempio in Eupolemius) così come nelle riprese del genere bucolico da parte di Dante (1265-1321), Petrarca e Boccaccio, e diventa un modo espressivo costante e trasversale della poetica mediolatina e poi romanza, fino alla teorizzazione di Dante che, nell’’Epistola a Cangrande, la presenta come il metodo interpretativo principale per comprendere la polisemia (“pluralità di significati”) del suo poema.
Nelle letterature romanze la produzione didattica in prosa e in versi vive un’esplosione prima dovuta ai volgarizzamenti di testi latini poi a una forza di vitalità autonoma che si impernia su tre poli privilegiati: un primo polo è costituito dai trattati d’amore di modello ovidiano o cortese (ad esempio il De amore di Andrea Cappellano), come gli Arts d’amour di Jacques d’Amiens e Guiart, o l’anonima Clef d’amours, il Livres d’amours di Drouart La Vache o il Commens d’amours di Richard de Fournival. L’apice di questo filone si individua nel Roman de la Rose, nelle due parti di Guillaume de Lorris e Jean de Meung, dove l’arte d’amare e i processi di innamoramento e di conquista si trasformano definitivamente in narrativa cortese di impianto allegorico, basata cioè su personificazioni di virtù cortesi e vizi contrapposti, ma anche su scenari simbolici come mura, giardino, fontana, castello, comunicando una messe ingente di informazioni filosofiche, morali e scientifiche nelle frequenti digressioni che interrompono la trama.
Un secondo polo di letteratura allegorica è rappresentato dai manuali di tipo religioso come La lumière as lais di Pierre de Peckham, dialogo in versi di argomento teologico, o il Manuel des péchés di William di Waddington, testo di riferimento per la confessione basato su exempla, mentre il terzo polo è rappresentato dai testi di argomento naturalistico, come i bestiari, raccolte di interpretazioni allegoriche dei comportamenti o delle configurazioni fisiche di animali reali o immaginari, secondo il modello del Physiologus greco (II-III sec.) tradotto in latino nel IV secolo. L’esempio più importante in francese è il Bestiaire in versi di Philippe di Thaün, composto intorno al 1121, mentre Guillaume le Clerc declina la forma in senso spirituale nel Bestiaire divin, dove l’esegesi allegorica si estende a formare piccoli sermoni. Ma l’esperimento più innovativo è l’incrocio di questo schema con i contenuti dell’arte amorosa nel geniale Bestiaire d’amours di Richard de Fournival, in prosa, con 57 figure di animali le cui caratteristiche sono descritte all’interno di una supplica rivolta dall’amante alla donna che lo ignora.
Nella letteratura provenzale il genere didattico aveva un nome specifico, ensenhamen (“insegnamento”), che si riferisce a componimenti, abitualmente in coppie di senari, che descrivevano le regole della vita cortese, rivolte ai personaggi (come il cavaliere o la donzella) oppure generalizzate a criteri morali come nelle Razos es e mezura di Arnaut de Maruelh. Arti poetiche in versi sono le Razos de trobar di Raimon Vidal, mentre nonostante il nome il Breviari d’amors di Matfre Ermengau è un’enciclopedia teologica in 35 mila ottosillabi articolata su schema di albero. Generi analoghi si sviluppano in Spagna, dove in versi si ricordano soprattutto i Proverbios morales (1355-1360) del rabbino Sem Tob ibn Ardutiel ben Isaac (conosciuto anche come Santob de Carrión), mentre in Italia prima della Commedia di Dante, considerata il capolavoro della poesia allegorica medievale, Brunetto Latini compone un Tesoretto in settenari a rima baciata, nel quale il protagonista si avventura in una “selva diversa” dove incontra le personificazioni di Natura e Virtù, che come nei modelli latini e francesi gli spiegano la struttura del mondo e gli illustrano le doti della cortesia.
Appartengono piuttosto al filone di poesia biblica il poema di Bonvesin de la Riva Libro delle Tre Scritture (intorno al 1279), quelli di Giacomino da Verona, De Ierusalem celesti e De Babilonia civitate infernali, e lo Splanamento de li proverbi de Salamone del cremonese Gerardo da Patecchio, mentre per l’uso dell’allegoria nei poemi a carattere animale (come in latino l’Ysengrimus e in francese il Roman de Renart) o nel romanzo in versi, Roman des ailes di Raoul de Houdenc o al Tournoiment Antechrist di Huon de Méry. In ognuna delle infinite ramificazioni di questo processo di progressiva allegorizzazione di molta letteratura del XII e XIII secolo è importante ricordare che le tecniche dell’interpretazione biblica si applicano senza differenze sostanziali ai contenuti avventurosi o profani: nella Queste del saint Graal l’autore distingue il senso letterale (semblance) da quello allegorico (senefiance) e articola la storia nella relazione fra tre livelli temporali (biblico, attuale, profetico).