Shinzo Abe è tornato a guidare il Giappone nel Dicembre del 2012. Dopo soli due anni la sua leadership è stata rafforzata dal ricorso alle elezioni anticipate. Nei tre anni alla guida del governo Abe ha impresso una notevole accelerazione al processo di evoluzione della politica estera e di sicurezza giapponesi. Questo cambiamento coinvolge tre dimensioni. La prima riguarda la normalizzazione della politica di sicurezza, ovvero il progressivo superamento dei limiti istituzionali che hanno caratterizzato il pacifismo giapponese nel dopoguerra. La seconda concerne il rapporto con gli Stati Uniti. La terza le relazioni tra Tokyo e il resto dell’Asia Orientale.
Sul fronte del processo di normalizzazione Abe ha promosso il concetto di “pacifismo attivo”. Secondo questo principio il Giappone non dovrebbe limitarsi ad astenersi da ogni tipo di ricorso alla forza e comportarsi da “consumatore di sicurezza”. Al contrario, dovrebbe diventare un “contributore attivo” per la pace e la stabilità in Asia e a livello globale.
Ciò conduce a diversi sviluppi rilevanti. In primo luogo vengono ampliate le possibilità di azione delle forze di auto-difesa giapponesi. Dal Giugno del 2014 una reinterpretazione dell’Articolo 9 della costituzione ammette l’impego delle forze armate per fini di “auto-difesa collettiva” (ovvero contribuire alla difesa di un paese alleato nel caso in cui la sicurezza del Giappone sia minacciata).
Inoltre, la prima National Security Strategy, pubblicata nel Dicembre 2013, dichiara che il compito delle forze armate, oltre all’auto-difesa, è anche quello di esercitare deterrenza, ovvero impedire ad altre nazioni, la Cina in primo luogo, di porre una minaccia all’integrità dei confini territoriali e marittimi del paese.
Nel 2014 sono stati compiuti altri importanti passi verso il progressivo superamento dei limiti istituzionali creati nel dopoguerra. Il governo Abe ha modificato i Tre Principi di Esportazione delle Armi, uno dei cardini del pacifismo post-bellico. Nel 1967 il governo aveva dichiarato illegale la vendita di armi o tecnologie militari a qualsiasi paese comunista, sotto embargo Un, o “con la probabilità di essere coinvolto in un conflitto”. Nel 1976, questo divieto era stato trasformato in un divieto assoluto. Nel 2014 il governo Abe è tornato alla versione originale. Ciò significa che Tokyo, sotto l’agenda del pacifismo pro-attivo, può fornire tecnologie militari a paesi terzi e collaborare a progetti militari congiunti, quali F-35 e difesa anti-missile.
Abe ha anche promosso la creazione di un consiglio di sicurezza nazionale sul modello americano, con l’obiettivo di accentrare il processo decisionale e di pianificazione strategica nel settore della sicurezza, togliendo così potere alle burocrazie ministeriali.
Questa dichiarata espansione dei compiti delle forze di auto-difesa è stata associata ad un aumento delle spese militari che hanno superato i 45 miliardi di dollari l’anno. Il budget della difesa giapponese rimane in ogni caso al di sotto del 1% del pil e di molto inferiore - sia in termini totale sia in termini di aumento annuale - a quello cinese, che supera i 150 miliardi e cresce in media di 10% all’anno.
La normalizzazione della politica di sicurezza è associata al consolidamento dell’alleanza con gli Stati Uniti. Nel 2015, Tokyo e Washington hanno approvato le nuove linee guida per l’alleanza, documento che definisce i compiti dei due alleati e delle rispettive forze armate, modificate in precedenza solo nel 1978 e nel 1997. Il documento prevede maggiore collabozione in aree diverse dalla pura difesa del Giappone tra le quali peacekeeping, deterrenza, sicurezza marittima, sorveglianza e condivisione di intelligence.
Per adempiere agli impegni presi con le linee guida il governo Abe ha promosso una serie di ulteriori cambiamenti legislativi, quali la nuova legge sul segreto di stato che favorisce la protezione di dati sensibili, la cooperazione nell’ambito di produzione congiunta di tecnologie militari e la condivisione di intelligence con paesi alleati.
La terza dimensione rilevante per la politica estera di Abe è il rapporto con l’Asia. Mentre il Dpj durante il triennio 2009-2012 aveva tentato di costruire un riavvicinamento con Pechino, Abe ha promosso un ‘ri-orientamento verso sud’. Ciò ha condotto a una partnership con l’Australia nel settore della difesa e ad un rinnovato attivismo nei confronti dell’Asean, in primo luogo Vietnam e Filippine, ovvero gli stati che si sentono più minacciati dall’ascesa cinese.
In conclusione, Abe ha impresso una decisa accelerazione ad un processo evolutivo in corso dalla fine della guerra fredda. Tuttavia, nessuno di questi cambiamenti, per quanto significativi a livello internazionale e contestati a livello domestico, comporta un ritorno al militarismo o all’imperialismo. Il Giappone sta più semplicemente diventando un paese impegnato nel garantire stabilità e sicurezza in Asia Orientale.