Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Muovendo dalla trascrizione di musica vocale, la musica organistica elabora nel Cinquecento un proprio sistema di notazione e forme autonome, spesso legate alle concrete funzioni esercitate nella prassi liturgica. La fioritura nella seconda metà del secolo ha i suoi centri privilegiati in Napoli e in Venezia.
Nella letteratura musicale del XVI secolo non è sempre possibile tracciare una linea di demarcazione tra l’organo e gli altri strumenti a tastiera (il clavicembalo, la spinetta, il virginale, il clavicordo). In certi casi è la destinazione specifica che implica l’utilizzo di un determinato strumento: all’uso liturgico è deputato l’organo, all’accompagnamento delle danze sono riservati il clavicembalo o gli strumenti affini; ma nella maggior parte dei casi, le composizioni sono scritte “per ogni strumento da tasto”.
I primi esempi di musica annotata per strumenti a tastiera consistono in trascrizioni di musica vocale. Nel processo di trascrizione, i brani vengono adattati alle esigenze dello strumento: spesso l’ordito contrappuntistico è semplificato, e nelle melodie possono comparire figure idiomatiche d’ornamento. La trascrizione è facilitata da un sistema di notazione, detto “intavolatura”, che permette di riunire le parti da suonarsi simultaneamente, in modo che possano essere eseguite da un unico esecutore. L’intavolatura si può avvalere di note, lettere o numeri; diversi sistemi di intavolatura vengono messi a punto, nel corso del Cinquecento, nei Paesi europei.
La prima raccolta a stampa di musica organistica, Frottole intabulate da sonar organi, è edita da Andrea Antico a Roma nel 1517-18 e consiste nella trascrizione strumentale, in intavolatura, di brani vocali. A pochi anni di distanza sono pubblicati i Recerchari Motetti Canzoni di Marcantonio Cavazzoni (1523): si tratta di mottetti e chansons intavolati per organo; la raccolta comprende anche due ricercari, composizioni strumentali autonome legate alla prassi dell’improvvisazione.
Un nuovo tipo di ricercare, basato sull’elaborazione contrappuntistica, compare invece in una fase in cui non ci si limita più solo a intavolare composizioni vocali, come appare nell’Intavolatura cioè Recercari Canzoni Himni Magnificati di Girolamo Cavazzoni (1543), primi ricercari nella nuova accezione del termine.
Sin dai tempi più antichi l’organo è lo strumento deputato all’accompagnamento dei brani liturgici. Svolgendo questo compito, lo strumento non si limita a fornire un sostegno alle voci: all’organo spetta, ad esempio, parafrasare melodie tratte dal repertorio del canto gregoriano, che vengono sottoposte a elaborazione contrappuntistica e impiegate a vario titolo nel servizio religioso.
Prassi abituale è quella dell’esecuzione alternatim: un versetto è intonato dal coro, un altro è parafrasato dall’organo, che ne elabora la melodia arricchendo il canto con ornamenti e diminuzioni, oppure assume la melodia gregoriana come cantus firmus per intesservi intorno una trama contrappuntistica. L’organo può anche suddividere in frammenti il canto originario e porre ciascuno di essi a fondamento di un episodio polifonico. La prassi dell’alternatim è rispecchiata nell’Intavolatura di Girolamo Cavazzoni, che include tre messe, dodici inni e quattro Magnificat.
L’organo italiano, in genere, presenta una sola tastiera e una pedaliera dall’estensione limitata: per l’organista, perciò, è impossibile sovrapporre piani sonori differenti. Per questa ragione la melodia gregoriana è suonata, in valori lunghi, in una delle voci estreme, oppure è suddivisa in frammenti che vengono elaborati contrappuntisticamente. Nell’accompagnamento dei brani polifonici, l’organista si serve della parte più grave, dalla quale ricava l’impalcatura armonica. Perciò verso la fine del secolo molte stampe di brani polifonici recano, oltre alle parti vocali, una parte per l’organo (nella prassi, poi, all’esecuzione potevano prendere parte anche altri strumenti).
Numerosi altri brani liturgici nascono da funzioni specifiche: il preludio, l’intonazione, la toccata organistica fungono da introduzione ad altri brani. A volte sono veri pezzi di bravura, che richiedono una notevole abilità manuale. Pur annotate per iscritto, queste forme mantengono un forte legame con la pratica dell’improvvisazione, evidente nello sfruttamento di figure brillanti e veloci e nella valorizzazione delle peculiarità strumentali.
La letteratura cembalo-organistica riceve un grande impulso nella seconda metà del secolo.
Tramite l’opera di Claudio Merulo, Antonio Valente, Andrea Gabrieli, l’arte strumentale giunge al massimo grado di emancipazione dai modelli vocali.
Venezia e Napoli sono i luoghi più attivi. La fioritura dell’arte organistica trova un riflesso anche nella pubblicazione dei trattati: fondamentale è Il Transilvano (1593 e 1609) del perugino Girolamo Diruta, che si diffonde ampiamente su ogni aspetto della prassi esecutiva dell’epoca.
A Venezia Andrea e Giovanni Gabrieli, Girolamo Parabosco, Claudio Merulo praticano le forme autonome della musica organistica: la canzone, il ricercare monotematico, il ricercare politematico con l’elaborazione simultanea dei temi. Particolarmente consacrata allo sfruttamento delle possibilità idiomatiche dell’organo è la toccata, in un movimento unico e in uno stile legato alla prassi dell’improvvisazione, che sfoggia di norma passaggi fantasiosi e brillanti, tirate, ornamenti, senza disdegnare – soprattutto a fine secolo – bizzarrie armoniche e cromatismi arditi. Claudio Merulo, nei due libri di Toccate d’intavolatura d’organo (1598 e 1604), dà spessore al genere introducendovi una sezione centrale in stile imitativo.
Altri nomi vengono usati, a volte, per designare lo stesso genere di composizione: fantasia, intonazione, preludio.
A Napoli, dove sono attivi Rocco Rodio, Antonio Valente, Ascanio Maione, è coltivato il ricercare: il vertice del genere è rappresentato dai Versi spirituali di Antonio Valente (1580), scritti per l’esecuzione liturgica alternatim (ma non basati su melodie gregoriane). L’arte organistica napoletana fiorisce soprattutto con la produzione di Giovanni Maria Trabaci, autore di toccate, canzoni, ricercate.
Le esperienze dei maestri napoletani e veneziani confluiscono e maturano, all’inizio del XVII secolo, nella grande arte di Girolamo Frescobaldi.