Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del Settecento le colonie dell’America del Nord danno vita a un particolare genere di canto religioso che utilizza, probabilmente in modo indipendente rispetto alla pratica europea, strutture a canone. Questi canti, che hanno un’ampia diffusione, prendono il nome di fuguing tunes. Se la musica religiosa è dominante, per l’impegno del rigore anglicano e di altre Chiese riformate, nelle città incomincia a essere praticata (per lo più ad opera di musicisti immigrati) la musica da camera, profana.
Caratteri generali
I coloni europei che dall’inizio del Seicento avviano il popolamento bianco dell’America del Nord portano nel Nuovo Mondo anche il loro patrimonio musicale popolare. Ed è questa eredità che da un lato si fissa nella memoria delle comunità più isolate, tramandando sino a noi canti che nei Paesi d’origine si sono perduti o si sono fortemente trasformati, e dall’altro costituisce la base per la formazione della musica popolare americana così come noi oggi la conosciamo. Le vecchie canzoni e le vecchie ballate britanniche si sono conservate soprattutto nell’area degli Appalachi.
La musica popolare americana che si sviluppa sull’eredità europea è il risultato delle modificazioni indotte dal tempo, dalle forti specificità economiche, sociali, culturali e dalle particolari vicende storiche della nuova patria dei coloni europei; ma è allo stesso tempo una conseguenza inevitabile del mescolarsi e sovrapporsi di differenti contributi etnici e linguistici europei e africani. È soprattutto nella musica popolare che la cultura americana esprime la sua specificità non indigena e poliglotta; in questa formazione infatti non ha parte la musica degli indiani che solo molto più tardi, cioè alla fine dell’Ottocento, sarà riscoperta e alimenterà una corrente musicale “indianista”.
La matrice puritana – e comunque di accesa impronta religiosa riformata – di larga parte dell’immigrazione britannica, olandese, tedesca e in parte anche francese nell’America del Nord agisce in modo determinante sulla formazione di una prima “musica d’arte” americana che si sviluppa con un’attività compositiva ed esecutiva di destinazione religiosa. In moltissime situazioni viene apertamente espresso il rifiuto di ogni musica profana, indicata quale opera del diavolo, “nutrimento di tutti i vizi e corruzione per la gioventù”.
Queste interdizioni tuttavia non riescono a eliminare la pratica del canto profano.
La musica religiosa: nascita di una tradizione vocale
A partire dalla tradizione del canto dei salmi secondo la tradizione della Chiesa anglicanae della Riforma protestante, trapiantata dai coloni nel Nuovo Mondo, si costituisce un primo corpus di inni e canti religiosi con un distintivo carattere “americano”, proprie strutturazioni musicali e anche propri modi esecutivi. Già nel 1640 i pastori della Massachusetts Bay Colony curano la pubblicazione di un proprio libro di canti, il Bay Psalm Book, al quale ne seguono molti altri.
È però nel Settecento che si sviluppano le “scuole di canto” americane, sotto lo stimolo dei pastori, delle comunità religiose e per opera di direttori di coro e musicisti, spesso itineranti, che danno vita a organizzate scuole di canto in tutte le colonie. Molti direttori pubblicano gli inni, i canti, i salmi e le canzoni per uso domestico che essi stessi hanno composto o che altri hanno raccolto in tune-books. I testi dei canti religiosi sono in larga misura assunti dalle traduzioni metriche dei salmi e dagli inni di Allen, Tate e Brady, e soprattutto di Isaac Watts.
La musica di questi primi compositori americani ha le sue radici nel patrimonio musicale britannico e tedesco della Riforma, ma le musiche portate dall’Europa avevano già subito molte trasformazioni nell’uso prevalentemente orale.
Soprattutto è ormai molto imprecisa la conoscenza tecnica del comporre; così proprio l’“inesperienza” e la modesta competenza musicale dei primi compositori del New England determinano il formarsi di una nuova tradizione che nell’Ottocento – ma ancora nel Novecento – sarà giudicata piena di “errori” e “primitiva”.
L’“inesperienza” spinge i compositori a privilegiare il più “naturale” svolgimento melodico modale della voce, a cercare imprevedibili soluzioni armoniche di “compromesso” e arditezze prosodiche di grande fascino e di forte intensità emotiva.
Pur essendo canti corali, queste composizioni dell’America coloniale non utilizzano una vera e propria polifonia ma sviluppano spesso un vivace, originale ed elementare stile fugato, strettamente omofonico, che è ben lontano, in pieno Settecento, dalla perfezione e dalla sapienza bachiana.
Se infatti i fuguing tunes presentano un solido impianto triadico, la sensibilità si mantiene evidentemente di tipo melodico e non propriamente armonica; in questa struttura le frequenti “note sbagliate” o le altrettanto frequenti e inevitabili dissonanze generano conseguenze sonore che sono per noi quanto mai cariche d’emozione e rivelano le notevolissime capacità di immaginazione e soprattutto di funzionale genuinità degli autori.
Tra i compositori del New England di salmi e inni corali, in forma fugata e non, si possono ricordare, per il XVIII secolo, Timothy Swan, Justin Morgan, Simeon Jocelin, Samuel Holyhoke, Jacob Kimball, Bruce Randall, Josiah Flagg e Daniel Reed. La produzione di musica corale religiosa in questo periodo è enorme: limitandosi ai fuguing tunes, fra il 1761 e il 1810 compaiono 286 raccolte a stampa che contengono oltre mille composizioni.
Un tipico esempio di fuguing tune è di Daniel Reed, uno dei più prolifici autori del New England, che per questa composizione utilizza il testo di un inno natalizio di Nahum Tate, pubblicato nel 1700. Il canto è trascritto con note di forma differente (four sharp notes); non vi è infatti una norma costante per questa tecnica di notazione e i vari autori utilizzano sistemi differenti in relazione alle abitudini delle diverse zone e comunità.
Questo espediente grafico è destinato ad aiutare i cantori non esperti nella lettura del pentagramma. Spesso questa notazione prescinde anche dal rigo.
Nelle colonie, inoltre, ha larga diffusione anche il vecchio sistema di solmisazione inglese Gamut (o grounds of music o fasola: Fa, Sol, La).
Il più popolare autore di canti religiosi è William Billings (1746-1800), un personaggio anche fisicamente “pittoresco”: cieco da un occhio e zoppo da una gamba, ha un braccio anchilosato e un gran vocione rauco. Conciatore da giovane, Billings è il primo musicista professionista del New England e le sue composizioni vengono pubblicate in diverse raccolte che hanno enorme diffusione. Billings è anche autore di canti patriottici: il suo Chester è la canzone più popolare durante la Rivoluzione americana.
La musica popolare profana e la musica d’arte
La forte pressione della musica religiosa non impedisce il mantenersi e il formarsi di un vasto repertorio profano popolare e neppure il sorgere di una musica strumentale d’arte.
È negli ambienti colti e cittadini – soprattutto Boston e Filadelfia – che nella seconda metà del Settecento incominciano a essere presenti musica da camera, songs e romanze – d’importazione o di chiaro modello europeo –, opera in buona parte di musicisti formatisi in Europa.
Per l’importanza storica nei primordi della musica colta in America del Nord più che per le loro qualità musicali – anche se alcune pagine, soprattutto vocali, sono interessanti – sono da ricordare Francis Hopkinson (1737-1791), che sarà tra i firmatari della Dichiarazione d’indipendenza; Alexander Reinagle (1756-1809), figlio di immigrati austriaci; Raynor Taylor (1747-1825), nato in Inghilterra; Chevalier Marie Robert de Leaumont, fuggito dalla Francia durante la Rivoluzione, attivo a Boston dall’ultimo decennio del XVIII secolo e morto nel 1812; John Christopher Moller (1750-1803 ca.), nato in Germania; Joseph Gehot, nato in Belgio nel 1756; Johann Friedrich Peter (1746-1813), nato in Olanda da genitori tedeschi e membro della Moravian Brethren; e l’italiano Gaetano Franceschini, attivo in America negli ultimi tre decenni del secolo, musicista e violinista nonché mercante di liquori. Ma, dalla seconda metà del XVIII secolo, sono attivi nell’America del Nord anche altri musicisti italiani: Giovanni Palma, forse il primo musicista giunto nel nuovo continente dall’Italia; Francesco Alberti, maestro di musica di Thomas Jefferson; Nicola Biferi, Pietro Soldi e Filippo Trisobio.
Se l’opera in musica è ancora assente nell’America del XVIII secolo, incomincia a emergere un teatro musicale sul modello della ballad opera inglese. Probabilmente la prima ballad opera americana è The Disappointment or The Force of Credulity di Andrew Barton, annunciata a Filadelfia nel 1767 e non si sa se poi effettivamente rappresentata. Fra le arie utilizzate da Barton vi è anche quella della canzone Yankee Doodle, che diverrà popolarissima con la Rivoluzione ed è attestata in questa ballad opera per la prima volta.
Canzone di scherno sui coloni Americani da parte europea
Yankee Doodle, or The Yankee’s Return From Camp
Father and I went down to camp,
along with Captain Gooding;
There we see the men and boys
as thick as hasty pudding.
Yankee Doodle keep it up,
Yankee Doodle dandy;
mind the music and the step
and with the girls be handy.
And there we see a thousand men,
as rich as ’Squire David;
and what they wasted every day,
I wish it could be sav-ed.
And there we see a swamping gun,
large as a log of maple,
upon a duced little cart,
a load for father’s cattle.
And every time they shoot it off,
it takes a horn of powder;
it makes a noise like father’s gun,
only a nation louder.
I see a little barrel to,
the heads were made of leather;
they knocked upon’t with little clubs,
and called the folks together.
The flaming ribbons in their hats,
they looked so tearing fine, ah,
I wanted plaguily to get,
to give to my Jemima.
I see another snarl of men,
a digging graves, they told me,
so tarlal long, so tarnal deep,
they ’tended they should hold me.
It scar’d me so, I look’d it off,
nor stopp’d, as I remember,
nor turn’d about ’till I got home,
lock’d up in other’s chamber.