Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nei secoli XI e XII la concezione della musica riflette gli importanti cambiamenti avvenuti sia a livello culturale generale, sia nell’ambito della stessa pratica del canto. La diffusione della notazione guidoniana, il fiorire di forme e generi musicali nuovi, gli sviluppi delle prime forme di polifonia, mettono il teorico della musica di fronte a un’arte varia, che rende necessario affrontare gli effettivi problemi tecnici della composizione e dell’esecuzione. Ciò si riflette anche a livello speculativo, e nelle opere enciclopediche del tempo la musica, pur sempre inquadrata come disciplina matematica, assume interesse per i suoi contenuti tecnici e operativi, del cantare, suonare e comporre, secondo la tendenza tipica del tempo a mettere in relazione le tecniche e le arti meccaniche ai saperi scientifici e speculativi. In tale inquadramento, la musica stessa entra in relazione più stretta anche con le arti del linguaggio, in particolare la grammatica e la retorica, le quali si offrono come strumenti per tracciare le analogie fra il sistema linguistico verbale e le strutture melodiche musicali, sempre più riconosciute come un vero e proprio linguaggio forgiato dall’uomo.
Il secolo XII è segnato da una vivace fioritura culturale che la tradizione storiografica comunemente chiama “rinascita”. Il mondo nuovo, organizzato politicamente e intellettualmente nelle città, le quali a loro volta si stringono attorno a cattedrali imponenti, assegna una nuova identità alle scuole, che perdono la loro funzione primaria di educare il monaco alla vita consacrata e divengono centri aperti e luoghi di soggiorno e dibattito per gli intellettuali. In questo contesto le antiche arti liberali si trasformano: cambiano i loro contenuti e, conseguentemente, i loro cultori si indirizzano a un iter specialistico nella singola disciplina, sia essa la musica, la grammatica, la dialettica, l’astronomia, o la geometria; inoltre, aumenta il loro numero: adesso le arti includono anche saperi di tipo tecnico-pratico, quali ad esempio la medicina, l’ottica, la theatrica o l’architettura. Com’è evidente, la riorganizzazione delle conoscenze è funzionale alle nuove figure professionali cittadine: giurista, medico, banchiere, commerciante, maestro ecc. L’erudizione scolastica si accompagna quindi sempre più spesso a interessi pratici legati alle “tecniche” e alle “meccaniche”, e le enciclopedie si fanno portavoce di queste nuove esigenze di formazione culturale.
Anche la concezione della musica risente di questo nuovo inquadramento. In particolare, la distanza fra teoria e prassi si mitiga, e gli enciclopedisti, poco interessati alle questioni della matematica musicale boeziana, pur continuando a definire la musica come scienza aritmetica (“de numero relato ad aliud”), dimostrano piuttosto una crescente curiosità verso le varie tipologie e i diversi usi del canto, degli strumenti musicali e delle tecniche vocali.
Questa tendenza si intravede già nell’opera enciclopedica più famosa del secolo XII, il Didascalicon di Ugo di San Vittore. Il maestro vittorino imposta la sua opera, nata e indirizzata all’interno dell’ambiente monastico, su una doppia sorgente, da cui scaturisce il sapere dell’uomo: mentre l’intelligenza è immagine della sapienza divina, la scienza umana imita la natura. L’uomo, nel quadro complessivo dei suoi saperi, è quindi il centro di convergenza fra Dio e mondo naturale, fra spirituale e materiale. Nessuna conoscenza, afferma Ugo, è superflua. Tutto serve alla completezza dell’uomo e a ribadire la sua centralità nel creato. In tale concezione, la musica è compresa nel quadrivio, ancora organizzato secondo la classica divisione boeziana in aritmetica, musica, geometria e astronomia, e continua a essere ripartita nella triplice divisione boeziana in mondana, umana e strumentale, ma l’interesse dell’enciclopedista è ora proiettato verso la pluralità dei modi in cui l’armonia musicale si realizza, nel mondo come nel “microcosmo” umano, e la sua attenzione è puntata in particolare al variegato mondo delle attività dell’uomo e alla natura speciale dei “legami d’amore” che tengono stretta l’anima al corpo.
Ugo di San Vittore
La musica nella vita umana
Didascalicon, Libro II, cap. XII
La musica nella vita umana appare nel corpo, nell’anima e nella connessione di entrambi. Nel corpo si distingue l’armonia della vita vegetativa, comune a tutti gli esseri viventi, che ne determina la crescita […]. Infine si riscontra nelle molteplici attività che sono proprie in modo speciale degli esseri razionali, alle quali presiedono le arti tecniche. Le attività delle arti tecniche sono buone, se mantengono la giusta misura e non alimentano le passioni […]. La musica tra corpo e anima è quella amicizia naturale per cui l’anima è unita al corpo, con legami che non sono corporei, ma sono legami d’amore, per conferirgli movimento e sensibilità, amicizia in virtù della quale nessuno ha in odio il proprio corpo (Efesini 5, 29) […]. L’armonia consiste nell’amare il corpo, ma ancora di più lo spirito.
Ugo di San Vittore, Didascalicon, trad. it. di V. Liccaro, Milano, Rusconi, 1987
Se il Didascalicon illustra nel suo insieme la posizione della musica nel quadro delle arti liberali, così come si può ricavare dal contesto della cultura monastica del tempo, negli scritti a carattere enciclopedico dell’inglese Adelardo di Bath, importante traduttore dall’arabo e cultore di scienze, è invece riscontrabile la concezione della musica che poteva avere il nuovo intellettuale “laico”. La curiosità e il desiderio di novità – impersonati nel De eodem et diverso nella fanciulla allegorica Philocosmia – sono ciò che fa amare la musica. Musica è la più gioiosa delle personificazioni delle arti liberali: il suo strumentario sono un cembalo e un libretto di teoria musicale. Contrariamente all’antica e ormai desueta rappresentazione di Armonia tratteggiata nelle Nozze di Filologia e Mercurio di Marziano Capella, la giovane Musica di Adelardo non è un’intelligenza celeste rapita dal suono cosmico della superiore armonia planetaria, ma è una fanciulla “terrena”, esperta nella conoscenza delle consonanze musicali, nelle tecniche del canto, nella capacità di suonare gli strumenti musicali, alle quali accompagna un’adeguata ma agile erudizione di tipo teorico. Lo scienziato e naturalista Adelardo ha buone competenze nell’ambito della teoria della musica, e il suo insegnamento in questo settore è ricordato anche in alcune glosse al De institutione musica di Boezio risalenti al XII secolo, ma i problemi di matematica musicale, pur da lui riconosciuti ancora alla base dell’arte dei suoni, sono ormai di pertinenza filosofica e di scarso interesse musicale.
La teoria della musica sta diventando un contesto di saperi sempre più funzionale alla prassi, sia per quanto riguarda il canto piano, cioè il canto gregoriano, sia per quanto riguarda la polifonia. Proprio nei secoli XI e XII si assiste alla grande fioritura di una trattatistica musicale specialistica, rivolta ai cantori, finalizzata alla sistemazione dei principi basilari del canto, della notazione guidoniana e dei suoi sviluppi, nonché delle prime forme di polifonia (organum e discanto). In questo periodo comincia a formarsi il vocabolario tecnico della musica e, come fa notare Hans Heinrich Eggebrecht nella sua Musica in Occidente (trad. M. Giani, 1996), la teoria così riformulata fonda l’indagine scientifica della realtà sonora come natura e creazione programmata di forme, che risulta dal “pensare mediante i suoni”.
Questa trasformazione della trattatistica musicale restituisce un’immagine assai articolata della concezione che i secoli centrali del Medioevo cominciano ad avere della musica. E, in questo processo di graduale integrazione fra teoria e prassi, nuovi problemi emergono all’attenzione dell’uomo medievale, in special modo la fisica del suono. Sono ancora le opere enciclopediche a sollevare l’interesse verso questa tematica, interesse che nasce anzitutto dalla prima circolazione delle opere aristoteliche di filosofia naturale (alla metà del secolo XII già è tradotto in latino il trattato sull’anima) e degli scritti scientifici e medici greci e arabi. Gli argomenti discussi vertono sulla natura e propagazione del suono, sui corpi risuonanti e gli strumenti musicali, in particolare la risonanza nelle campane.
La concezione delle arti del quadrivio nel secolo XII si apre dunque al fiorire di interessi naturalistici, perseguiti da intellettuali, scienziati e traduttori come Adelardo e i suoi “colleghi” in contatto con la cultura araba (Alessandro Neckham; Alfredo di Sareshel; Domenico Gundisalvi), ma anche dai maggiori esponenti delle scuole cattedrali più all’avanguardia, fra le quali la cosiddetta Scuola di Chartres è senz’altro la più prestigiosa sul piano scientifico, contando maestri del calibro di Teodorico di Chartres e Bernardo di Chartres, Guglielmo di Conches, Bernardo Silvestre, Giovanni di Salisbury. Questa comunità di studiosi coltiva gli interessi naturalistici fondandosi sulla lettura e l’approfondimento del Timeo di Platone, nel quale essi cercano convergenze con il testo biblico. A Bernardo è attribuito il celebre motto “noi siamo come nani sulle spalle di giganti”, nel quale il senso di continuità con i grandi autori classici latini (Cicerone, Plinio, Virgilio) e della tarda antichità (Boezio, Marziano Capella, Cassiodoro) si compenetra all’idea di progresso nutrito anche dalle nuove fonti della scienza araba.
Nell’ Heptateucon, opera enciclopedica di Teodorico di Chartres, l’esposizione delle sette arti liberali, e in particolare della musica, ancora si fonda sull’autorità di Boezio, ma riserva un’indagine anche alla teoria del suono. Parimenti, anche la boeziana musica delle sfere si attualizza e diviene segno di una visione unitaria del mondo. Con il linguaggio simbolico e allegorico tipico della cultura filosofica platonizzante, Bernardo Silvestre tratteggia nella sua Cosmografia il personaggio di Endelichia, principio vivificante che mette ordine e pone una mediazione fra supernaturale e naturale, come un “essere che si muove secondo armonie e ritmi” (I, 2, 14).
Nel sistema dei saperi affermatosi nel Medioevo la musica appartiene al quadrivio in virtù della sua natura matematica, basata su fondamenti e contenuti definiti da Boezio.
Ma, in forza della sua applicazione alla pratica del canto, in primo luogo del canto liturgico gregoriano, è anche strettamente correlata alle arti del trivio, cioè la grammatica, la dialettica e la retorica.
Quando, a partire dal secolo XI, gradualmente comincia a svilupparsi una trattatistica musicale orientata alla pratica, il cui scopo è la produzione e l’esecuzione della musica sonora, tale contesto di saperi teorici comincia a essere definito ars cantus, arte del canto, e come tale costituisce materia di studio nelle scuole annesse alle chiese, ai monasteri e alle cattedrali. La vicinanza di questo contesto teorico alle scienze del linguaggio getta le sue radici già nella trattatistica dell’età carolingia, in particolare nelle anonime Musica e Scholica enchiriadis, ma si precisa nei secoli centrali del Medioevo in modo più dettagliato, come sottolinea Eggebrecht in Musica in Occidente, grazie all’inserimento di molti concetti linguistici nella terminologia musicale, allo stabilirsi di analogie fra la costruzione della forma musicale e lo svolgersi del discorso, al modo di interazione fra il testo cantato e le strutture musicali nelle quali esso si presenta, e, in senso più generale, all’orientarsi della musica sul metro e sul ritmo della lingua.
Questa relazione fra musica e linguaggio è messa in evidenza, fra gli altri, nel trattato De musica di Giovanni di Afflighem, conosciuto anche come Giovanni Cotton. Questo maestro, fornito di un’erudizione nella grammatica che rispecchia la formazione culturale del tempo, trasferisce nella teoria della musica concetti e termini della teoria letteraria, allo scopo di rendere più efficaci le sue analisi di melodie gregoriane. Nello specifico, le tecniche della retorica che definiscono l’esordio, il corpo centrale e la chiusura del discorso forbito sono per Giovanni ricalcate dalla modalità di sviluppo della struttura melodica, principio che per un anonimo trattatista contemporaneo a Giovanni è applicabile anche al linguaggio polifonico, per la giusta composizione e conduzione dell’organum.
Ma i parallelismi non si fermano qui. Per Giovanni di Afflighem, infatti, anche la grammatica fornisce criteri di lettura testuale che illuminano sull’appropriata conduzione melodica del canto. L’analisi comparata che egli istituisce, ad esempio, fra l’inizio del terzo capitolo del Vangelo di Luca e la melodia di una antifona per la festività di San Pietro in Vincoli, definisce per la musica una segmentazione in sezioni analoghe a quelle grammaticali della frase in sezioni minime (commata) e raggruppamenti di commata (cola), le cui aggregazioni definiscono infine una struttura complessa (periodus).
La musicologia moderna ha sviluppato un grande interesse per la possibilità di analizzare in senso comparativo le strutture sintattiche del testo liturgico (ma anche profano) medievale e della musica che lo intona. I musicologi Leo Treitler e Ritva Jonsson hanno condotto tali indagini applicandole, ad esempio, al latino complesso dei tropi, mostrando, nel caso di un tropo a un’antifona per l’Epifania, che la melodia, basata su un numero ristretto di formule segnate da un uso appropriato delle cadenze e delle ripetizioni, contribuisce a chiarire le relazioni del tropo stesso con il testo dell’antifona. Analoghe relazioni si possono individuare entrando nel repertorio dei nova cantica, come è stata definita la produzione poetico-musicale in latino dei secoli XI e XII, ma la varietà stessa di queste forme musicali e della loro destinazione rende ovviamente inapplicabile qualsiasi criterio sistematico di relazione testo-musica, che oltretutto sarebbe forzato e anacronistico.
I tempi di creazione della musica e della poesia nel Medioevo sono diversi, come sottolinea opportunamente Fabrizio Della Seta nel suo saggio “Parole in musica” (Lo spazio letterario del Medioevo, a cura di G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menestò, 1995, pp. 537-569), anche nel caso ideale in cui il musicista e il poeta siano la stessa persona: la poesia resta legata in modo indissolubile alla scrittura, al confronto retrospettivo e alla revisione, la musica è ancora fortemente condizionata dai processi dell’oralità, fondati sulla continua elaborazione di schemi e formule melodiche in buona parte desunte dalla tradizione. Una distanza che, di fatto, possiamo considerare istituita anche nel repertorio della lirica romanza trovadorica e trovierica.